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giovedì 1 settembre 2022

Piantare alberi serve veramente a qualcosa?





Dal "Fatto Quotidiano" del 2 Agosto 2022

Sembra che si stia concludendo questa caldissima estate con i temporali che hanno alleviato un po’ la siccità e il caldo afoso, perlomeno al Nord – ma causando anche, come al solito, dei grossi danni. Se questa è la tendenza per i prossimi anni, non siamo messi bene. Negli ultimi anni, è venuto di moda piantare alberi per evitare, o perlomeno mitigare, la siccità e i disastri correlati. Ma serve veramente a qualcosa? Oppure è soltanto un modo per i politici di farsi belli?

Per prima cosa, ci dobbiamo domandare se la siccità è legata al cambiamento climatico. Una correlazione diretta è difficile da stabilire, ma i modelli ci dicono che gli eventi estremi tendono ad aumentare in frequenza con il riscaldamento globale. Quello che sta succedendo è che piove di più in inverno, a volte con risultati catastrofici, mentre piove di meno in estate, con risultati altrettanto catastrofici in termini di siccità. Questo corrisponde a quello che abbiamo visto questa estate in Italia.

Quindi, la prima ricetta contro la siccità è contrastare il cambiamento climatico. Questo si può fare riducendo le emissioni di gas serra (principalmente il biossido di carbonio, CO2), ovvero smettendo di bruciare combustibili fossili. Ma per questo, comunque vada, ci vorrà tempo. Nel frattempo, gli alberi possono darci una mano?

Certamente piantare alberi dove prima non ce n’erano ha l’effetto di assorbire un po’ di carbonio dall’atmosfera, e questo riduce l’effetto riscaldante. Tenete conto, però, che una volta che l’albero è cresciuto, non assorbe più carbonio. Se poi viene tagliato per farci pellet per le stufe, allora siamo di nuovo al punto di prima, con il carbonio assorbito che ritorna nell’atmosfera.

Ma gli alberi hanno anche effetti sul clima che non dipendono dal biossido di carbonio. Non entro qui nel discorso dell’effetto che le foreste hanno sulla temperatura dell’atmosfera. E’ una storia molto complicata, ma ci sono buoni motivi per ritenere che l’effetto complessivo sia un raffreddamento, anche se è difficile quantificarlo.

A proposito della siccità, i contadini di una volta dicevano che gli alberi “portavano la pioggia”. Avevano ragione, anche se non sapevano perché. Anche qui, la storia è complicata, ma ha a che vedere con la “evapotraspirazione”, il meccanismo con cui gli alberi pompano acqua dalle radici alle foglie. Un effetto dell’evapotraspirazione è che le foreste rilasciano enormi quantità di vapore acqueo nell’atmosfera, che in certe condizioni può ritornare a terra sotto forma di pioggia. Non solo, ma gli alberi emettono anche composti organici che tendono a formare nuclei di condensazione che, anche loro, favoriscono la pioggia. Infine, la condensazione genera la cosiddetta “pompa biotica” che porta vapore acqueo dal mare alla terra. Anche questo effetto favorisce la pioggia.

Quindi, piantare alberi dovrebbe aiutarci contro la siccità. Ma c’è un problema: in Italia, la superficie forestata è raddoppiata negli ultimi 50 anni (vedi l’articolo recente di Agnoletti e altri). E allora perché abbiamo oggi un problema di siccità che non sembra esistesse nel passato? Su questo punto, ho interpellato la collega Anastassia Makarieva, esperta di clima e di fisica dell’atmosfera. Fra le altre cose è stata lei (insieme a Viktor Gorshkov) a sviluppare il concetto di “pompa biotica”, importantissimo per capire il funzionamento della biosfera. Dice Anastassia che “c’è una soglia di concentrazione di vapore acqueo necessaria per generare la pioggia. Se il vapore acqueo emesso dagli alberi non è sufficiente per generare la condensazione, quest’acqua è perduta inutilmente. E’ quello che succede con la maggior parte delle foreste italiane. Sono il risultato di una crescita disordinata in aree prima occupate dall’agricoltura. Sono delle ‘foreste bambine’ che traspirano in un regime sotto la soglia della condensazione, quindi non generano pioggia. Invece, le foreste naturali mature traspirano quando è necessario e riducono al minimo le fluttuazioni del ciclo dell’acqua, le ondate di calore, la siccità e le inondazioni”.

In sostanza, serve a poco piantare alberi più o meno a casaccio per combattere la siccità. Come sempre, le vere soluzioni non sono quelle più semplici, ma una volta capito come stanno le cose, ci possiamo lavorare sopra in molti modi. Uno dei più efficaci (anche se non il solo) è creare foreste mature e vitali che possano fare il loro mestiere di regolare le fluttuazioni del ciclo dell’acqua. Dopotutto, anche le “foreste bambine” prima o poi diventeranno grandi. Ma solo se le lasciamo crescere in pace.

mercoledì 20 marzo 2013

Una Foresta Personale

Da “The Great Change”. Traduzione di MR


Di Albert Bates



“Ogni anno a Capodanno, scrivo la lettura del contatore elettrico, faccio un grafico dei chilometri percorsi da qualsiasi veicolo abbia usato, compresi gli autobus, i treni e gli aerei e quantifico anche il mio uso di gas propano, legna da ardere, ecc. Da questo determino quanti alberi ho bisogno di piantare negli anni a venire per compensare l'impatto climatico del mio stile di vita”.



Quand'ero ragazzo, i miei genitori si sono trasferiti dai sobborghi di Chicago a una zona densamente forestale del Connecticut, dove sono cresciuto. Il mio cortile erano quei boschi e giocavo con fortini, molte e diverse zone di campeggio o nascondigli ed una serie di casa sugli alberi. Mi piaceva passare la notte su un materasso di aghi di pino in un piccolo boschetto di pini e a volte l'ho persino fatto su 30 centimetri di neve fresca e farinosa. I miei genitori mi lasciavano anche arrampicare sugli alberi e giocare su un vecchio tappeto di scarti di legno che avevo incastrato fra i rami più bassi di una grossa quercia. In seguito ho costruito un tepee rotondo intorno a quell'albero ed ho passato molte notti estive vivendo lì dentro, imparando ad arrampicarmi su e giù con delle corde.

Immagino si possa dire che glia alberi sono come la famiglia per me. Essi rimangono parte della mia vita ovunque vada. Quando avevo 17 anni ho imparato ad occuparmi dei cavalli e, più tardi, quando sono arrivato alla Fattoria in Tennessee, fresco di diploma, ho usato queste capacità per usare i tronchi serpeggianti dal bosco con una squadra di giumente belghe. Ho costruito una tenda per la mia sposa su una piattaforma di tronchi di quesrcia scavati a mano acquisiti in quel modo. La gente a volte veniva all'Ecovillage Training Center alla Fattoria e si meravigliava per il piccolo diametro dei pali rotondi usati come travi sul tetto molto ampio che copriva la nostra taverna del Drago Verde, ma io sapevo quando ho costruito quel tetto che i pali rotondi erano molto più forti del legname lavorato. Erano come i rami d'albero che sostenevano le mie case sugli alberi.

Iniezione in pozzo profondo

Trentenne, sono stato avvocato di parte civile in causa contro una azienda chimica in una città a 15 miglia dalla Fattoria. L'azienda produceva organofosfato, pesticidi ed erbicidi ed iniettava i prodotti di scarto, compresi i propri lotti scaduti, in un pozzo profondo. I laboratori per la Qualità dell'Acqua dello Stato aveva testato gli effluente verde luminescenti e aveva detto che era il più tossico che avesse mai incontrato. Una singola goccia fatta cadere nella loro vasca dei pesci li aveva uccisi tutti in 24 ore.

Quel pozzo era profondo un miglio e la pressione ha fratturato il letto di calcare – come il fracking – per rendere la roccia più ricettiva a milioni di galloni di questo infuso delle streghe. La fratturazione aveva anche aperto dei varchi nella falda acquifera di Knox, uno dei più grandi fiumi sotterranei del Nord America e presumibilmente avrebbe continuiato a contaminarne liberamente altre riserve potenzialmente importanti di acqua dolce degli Stati Uniti sudorientali su un'area molto vasta. Ogni pozzo di prova che l'azienda aveva perforato mostrava che la contaminazione era già arrivata molto lontano dal sito di quanto l'azienda fosse disposta a monitorare. Lo Stato non aveva le risorse per perforare pozzi di prova da milioni di dollari, quindi si è potuta mai conoscere l'estensione reale del danno. Mentre l'acqua dei pozzi dell'area diventava gradualmente verde fluorescente, l'azienda ha pagato i proprietari delle terre e sigillato i loro pozzi.

Quando il nostro gruppo ambientalista locale ha fatto causa all'azienda, l'azienda ha detto al giudice che non c'era ragione di proteggere la falda acquifera perché la regione sudorientale aveva un sacco di acqua dolce in superficie o vicino ad essa. In delle memorie scritte, ho fatto due obiezioni contro ciò: popolazione e cambiamento climatico. La risorse di acqua dolce erano di valore e lo sarebbero state sempre di più.

Questo nei primi anni 80 ed io ero lì che andavo in una corte del Tennessee e cercavo di fare un caso del riscaldamento globale. Ciò mi ha costretto a leggere quasi tutti gli studi su cui riuscivo a mettere le mani, a contattare gli esperti e a pregarli di venire a testimoniare. Ho cercato di semplificare un tema estremamente complesso così che il giudice o il giurato medio potessero capirlo, nonostante reti di pseudoscienza arcana a far confusione intessute dagli avvocati delle aziende e le eccezioni all'interno della Conservazione delle Risorse federali e il Recovery Act sufficienti a svuotare un lago.

Come è venuto fuori, il caso non è mai arrivato a processo. Il Dipartimento di Salute e Ambiente del Tennessee mi ha contattato persuadendomi che avrei dovuto aiutarli aa abbozzare delle norme che proibissero iniezione in pozzi profondi e la fratturazione idraulica, che accettai di fare. E' stata una strada molto meno costosa per il locale gruppo ambientalista, lasciare che lo Stato sostenesse le spese per gli esperti per combattere la lobby industriale ben finanziata e senza scrupoli. Avevamo vinto, anche se ci sono voluti alcuni anni prima che la vittoria fosse siglata e le aziende chimiche facessero i bagagli e lasciassero la città. I loro rifiuti tossici sono ancora laggiù, per adesso.


  • In ogni campagna non violenta ci sono quattro passi fondamentali: mettere insieme i fatti per determinare l'esistenza di un'ingiustizia, la negoziazione, l'auto purificazione e l'azione diretta.  M.L. King, Lettere da una prigione di Birmingham (1963).


Nel periodo che ho passato a leggere e parlare con gli esperti mi sono spaventato. Il riscaldamento globale un affare molto più grande di quanto pensassi in origine. Avevamo solo mezzo grado in più rispetto al secolo precedente in quel momento, ma c'erano già segni che i poli si stavano fondendo, che il livello del mare si stava alzando e siccità più frequenti stavano arrivando sui continenti. Nel 1988, il fiume Mississippi era sceso così tanto che il traffico fluviale è stato sospeso. Il mio giovane uomo del congresso, Al Gore Jr., ha aperto le audizioni al Campidoglio. Gli scienziati iniziavano a presentarsi al pubblico per suonare l'allarme. Le grandi compagnie del petrolio e del carbone cominciavano a finanziare campagne per minare e calunniare quegli scienziati e per avvelenare il dibattito pubblico con studi fasulli e teorie della cospirazione. La politica ufficiale dell'amministrazione Bush era la censura del cambiamento climatico. Tutti quei segni erano minacciosi.

Depositi di carbonio

I combustibili fossili hanno provocato un cambiamento tale nella civiltà che è difficile immaginare di abbandonarli volontariamente. Hanno alimentato la rivoluzione industriale e globalizzato il mondo con ferrovie e battelli a vapore. Hanno posto fine ad una pratica particolarmente odiosa che è stato il metodo tradizionale per costruire gli imperi nei 5.000 anni precedenti, soppiantando la lunga tradizione di schiavi umani con applicazioni casalinghe di “schiavi energetici” e “risparmio energetico”. La Guerra Civile Americana è stata l'ultimo sussulto per impiantare l'economia ed è finita con la vittoria schiacciante degli industriali dell'acciaio e della loro energia fossile, che hanno proseguito estendendo il loro nuovo impero con la Guerra Ispano Americana e tutte le guerre per le risorse da lì in avanti. La fine del carbone e del petrolio significa un ritorno alla schiavitù o possiamo imparare a costruire una società egalitaria all'interno del bilancio energetico solare? Solo il tempo lo dirà.

Dall'altra parte della contabilità, ci sono pochi segni promettenti che qualcosa possa essere fatto per invertire gli effetti di tre secoli di dipendenza da petrolio e carbone. Le foreste del Nord America rimangono un deposito netto di carbonio, ma quando i terreni passano da foresta ad agricoli, ciò genera un picco enorme di carbonio in atmosfera. In Messico, che sta perdendo più di 5.000 km2 di foresta all'anno, il disboscamento, gli incendi e il degrado del suolo contano per il 42% delle emissioni annuali di carbonio stimate del paese. In aggiunta al carbonio perso con gli alberi, i suoli perde il 25-31% del loro carbonio iniziale (alla profondità di un metro) quando vengono arati, irrigati e coltivati.

Negli Stati uniti, i terreni coltivati sono aumentati da circa 2.500 km2 nel 1700 a 2.360.000 km2 nel 1990 (anche se quasi tutto questo aumento è avvenuto prima del 1920). I pascoli si sono estesi da 1.000 km2 a 2.300.000 km2 nello stesso periodo. La favolosa era dei cowboys è stata fra il 1850 e il 1950 e il disegno si è ripetuto in Canada e Messico. Ma poi è successo qualcosa di diverso.

In parte a causa del Dust Bowl e alle risposte organizzate dell'amministrazione Roosevelt, in parte a causa della Grande Depressione e parte a causa di un'etica di conservazione emergente, dopo il 1920 molti terreni coltivabili sono stati abbandonati nel nordest, sudest e nelle regioni centro-settentrionali e 100.000 km2 sono stati riforestati dalla natura. Fra il 1938 e il 2002, gli Stati Uniti hanno guadagnato 123 milioni di acri di foresta dall'abbandono delle fattorie mentre hanno perso 150 milioni di acri per il disboscamento, principalmente nel sudest e nel nordovest del Pacifico. Questa tendenza, perdita marginale netta, continua oggi negli Stati uniti e in Canada, al contrario del Messico che sta rapidamente distruggendo le proprie foreste senza ripiantarle da nessuna parte.


  • TABELLA: Bilancio del carbonio della foresta di Harvard dall'inventario forestale e misurazioni del flusso di covarianza del vortice, 1993- 2001. I valori positivi sono pozzi, i valori negativi sorgenti. Da Barford, C.C., et al., Fattori che controllano il sequestro a breve e lungo termine della CO2 atmosferica in una foresta di media latitudine. Science, 294:5547;1688-1691 (2001).

  • TABELLA: Confronto di scambio ecosistemico netto (net ecosystem exchange - NEE) di diversi tipi ed età di foreste temperate. Il NEE negativo significa che la foresta è un pozzo per la CO2 atmosferica. 81 anni di dati dai siti ed una rete di saggi di sintesi (Law et al., 2002). Il NEE é stato mediato per sito, quindi la media è stata determinata per tipo di foresta e classe di età. Dal Primo Rapporto sullo Stato del Ciclo del Carbonio (SOCCR): Bilancio del Carbonio Nordamericano ed Implicazioni per il Ciclo Globale del Carbonio. Un rapporto del Programma Scientifico sul Cambiamento Climatico del Subcomitato di Ricerca sul Cambiamento Climatico degli Stati Uniti. A. W. King, L. Dilling, et al, eds. (2007), Appendice D, p 174.

L'effetto di pozzo netto di una foresta in recupero è variabile, ma la media della foresta decidua di successione di 200 grammi di carbono per metro cubo per anno o 2 tonnellate per ettaro. Questo è calcolato considerando la crescita annuale e la mortalità sopra e sotto terra, i cambiamenti chimici nel legno morto e i cambiamenti netti del carbonio nel suolo. 
(Pacla S., et al., le misurazioni di covariante di vortice ora confermano le stime dei pozzi  di carbonio dagli inventari delle foreste, in King & Dilling, ibid, 2007).

A un certo punto del 1985 ho cominciato a piantare alberi per compensare la mia impronta personale di carbonio. Oggi la foresta è di circa 30 acri (12 ettari) e si pianta annualmente da sé. Ho scritto un libro, Clima in Crisi, mettendo insieme le mie ricerche legali e esponendo la scienza del clima in termini che i non scienziati, come me, potessero afferrare. Nel 1995, mi sono ritirato dalla legge per diventare un insegnante di Permacultura e un progettista di ecovillaggi. Ho continuato a partecipare ad incontri scientifici ed ai negoziati internazionali sul clima, ho contribuito alla discussione con un blog, molti articoli per riviste e libri. Mi sono tenuto aggiornato con le ultime scoperte, sempre cercando strade che potessero fornire soluzioni, non solo per la mia impronta personale, ma anche per la catastrofe climatica in arrivo per tutti noi. 

Spazzole atmosferiche

Potremmo spendere parole qui per discutere di geoingegneria, sostituti dell'energia fossile, biochar e del passaggio a qualche forma di agricoltura ecologica, ma la verità della cosa è che non c'è niente che possa guarire il nostro squilibrio chimico globale più rapidamente degli alberi. 

Come ho scritto in Clima in Crisi, e più tardi in altri libri, le foreste sono spazzole. Esse assorbono CO2 dall'aria, la trasformano in O2 con la magia della fotosintesi e sequestrano il carbonio in lignina e cellulosa. Esse lo trasferiscono anche in profondità nel terreno attraverso le loro radici e la rete alimentare del suolo.

Noi, gli esseri umani, potremmo essere capaci, in condizioni ottimali, di arrivare a sequestrare una gigatonnellata di carbonio (petragrammi di Carbonio o PgC) all'anno passando ad una “agricoltura al carbonio”: gestione olistica, compostaggio, keyline e non aratura biologica. Il pieno potenziale del biochar è stimato da 4 a 10 PgC all'anno, se nel mondo si impiegassero ampiamente reattori a pirolisi biomassa-energia. Le foreste, con il rimboschimento a tutto campo e l'imboschimento, hanno un rendimento potenziale di 80 PgC all'anno.





Il ciclo climatico, con 393 ppm di Carbonio nell'aria, sta attualmente aggiungendo 2 ppm all'anno in atmosfera. Questo rappresenta una ulteriore ritenzione di 3,2 PgC al di sopra di quello che la Terra è in grado di drenare al terreno o agli oceani. Gli oceani si stanno acidificando – ad un ritmo disastroso – perché un eccesso di Carbonio viene drenato, quindi ciò che deve accadere è che più Carbonio deve essere preso sia dagli oceani sia dall'atmosfera e sepolto nel terreno, cioè, di fatto, da dove proviene l'eccesso, in primo luogo. 

Andare oltre lo zero

Per tornare a 350 ppm – l'obbiettivo di Bill McKibben – dobbiamo diminuire il carbonio atmosferico di 42 ppm o 67,4 PgC. Se volessimo raggiungere quell'obbiettivo per il 2050, diciamo, (37 anni da adesso), avremmo bisogno di avere una rimozione di Carbonio media netta di 1,82 PgC all'anno. Quindi dobbiamo passare da +3,2 a -1,8 di media in circa 40 anni. Naturalmente molti, me incluso, non credono che 350 sia abbastanza buono da togliere il grasso dal fuoco. Preferirei che puntassimo a 320 ppm per il 2050 se vogliamo sfuggire al peggio che Madre Natura sta ora preparandosi a scodellare. Un obbiettivo di 320 in 37 anni significa che dobbiamo abbassare il carbonio atmosferico dei 72 ppm, o 115 PgC; un tasso di rimozione media netta di Carbonio di 3,1 PgC all'anno. In altre parole, dobbiamo passare dall'aggiungere 3,2 PgC di inquinamento da gas serra all'anno alla rimozione di circa la stessa quantità. Dobbiamo passare ad un negativo netto per almeno 40 anni.  

L'orticoltura biologica e la ri-mineralizzazione del suolo per cui Vandana Shiva, Elaine Ingham, Dan Kittredge ed altri sono entusiasti, non ci porteranno a quel punto, anche se è un buon inizio ed un punto importante con molti altri benefici. Il biochar ci potrebbe portare a quel punto, ma l'industria è immatura, poco compresa dagli ambientalisti e dipendente da finanziamenti che potrebbero o no essere disponibili in un'era di decrescita e di collasso economico. Per passare a 3 o 4 PgC all'anno è probabile che ci vorranno più di 40 anni. 

Piantare alberi è la nostra migliore scommessa. I Corpi Civili di Conservazione di Franklin Roosevelt hanno piantato massicce fasce protettive per arginare il Dust Bowl ed i posti di lavoro creati hanno aiutato gli USA a sollevarsi dalla Grande Depressione. La stessa cosa potrebbe essere fatta in Spagna e Grecia, per non parlare dell'Africa. E, prima di dimenticarmene, due dei più grandi riforestatori al mondo, Cristoforo Colombo e Genghis Khan, hanno dimostrato la capacità della nostra specie di cambiare rapidamente il clima. Essi hanno mostrato che potremmo addirittura accelerare l'avvio di una piccola Era Glaciale, se volessimo. Parliamo di aria condizionata! Lasciamo perdere.

Ora, il pianeta sta ancora rapidamente perdendo le foreste. Ho fatto questa illustrazione per il mio notiziario Diritti Naturali, a metà degli anni 80:

Nel 1988, essendo stati soppressi dalla pubblicazione i prestiti dai rapporti dell'agenzia federale da parte dell'amministrazione Bush, ho disegnato dei grafici per mostrare cosa sarebbe accaduto alle foreste dell'est in un mondo più caldo di 5°C ed il tipo di migrazione di specie che ci si poteva aspettare:



Un punto più importante, che ho sollevato su Clima in Crisi, era che la composizione a chiazze individuale delle foreste era meno importante delle sinergie che vengono perse quando quelle composizioni vengono spezzate. E' importante cosa succede fra chiazze, non solo riguardo alle piante. Dobbiamo considerare gli animali impollinatori e che immagazzinano i semi. Non possono avere cibo solo in una stagione, ne hanno bisogno in tutte le stagioni, altrimenti se ne andranno. Alcune piante ed animali sono migratori veloci (armadilli e abete rosso) ed altri sono molto più lenti (formiche tagliafoglie e ginkgo). Quando si forza un rapido cambiamento sistemico, la rete delle connessioni viene rotta, la biodiversità collassa ed i servizi ecologici sono compromessi. La rete si disfa.  

Impronte di gas serra (GHG Footprints)

Nei primi anno 90 scherzavo sul fatto che, prima di scrivere il mio libro sul clima, la mia impronta di inquinamento di gas serra è stata in costante declino per 10 anni. Dopo aver scritto il libro è salita alle stelle. Gli inviti a parlare continuano ad aumentare anche oggi, 23 anni dopo. 

Ogni anno a Capodanno, scrivo la lettura del contatore elettrico, faccio un grafico dei chilometri percorsi da qualsiasi veicolo abbia usato, compresi gli autobus, i treni e gli aerei e quantifico anche il mio uso di gas propano, legna da ardere, ecc. Da questo determino quanti alberi ho bisogno di piantare negli anni a venire per compensare l'impatto climatico del mio stile di vita.

Piantare alberi come compensazione personale richiede un po' di pianificazione anticipata, perché i calcoli dipendono da quanto tempo un albero crescerà, quanto diventerà grande e da quello che probabilmente restituirà all'atmosfera alla fine della sua vita. Bisogna anche anticipare le dinamiche cangianti introdotte dal rapido cambiamento climatico. Ciò mi ha portato ad organizzarmi con un contratto a lungo termine di un po' di terra e per acquisire nuove conoscenze su come piantare e gestire una foresta resiliente al clima. 

In questo momento ho il vantaggio di visite alle foreste di Pioneer e Alford nelle Ozarks, che descrivo su La Soluzione del Biochar (2010), così come foresta selvaggia secolare in Scozia, Columbia Britannica, Queensland del Nord in Australia, Il bosco di Muir in California, la Penisola di Darien in Colombia, gli altipiani Mesoamericani ed il Bacino dell'Amazzonia, per nominarne qualcuno. Ho studiato Permacultura, con riferimento in particolare al lavoro di Christopher Nesbitt, David Jacke ed Eric Toensmeier per progettare una metodologia per costruire foreste per risorse alimentari. Ma, nel 1985, non avevo niente di tutto questo, quindi ho cominciato su una parte delle fattoria dei miei genitori che era in via di transizione da campo per la produzione di ortaggi a boscaglia bassa. 

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“Se si comprende lo sforzo necessario di un singolo individuo di avere zero emissioni di carbonio, si potrebbe capire quello che servirebbe per equilibrare l'impronta di carbonio di una città moderna di decine di milioni di individui”.

Nel 1979, con la nascita del mio secondo figlio, mia madre mi ha raggiunto nel Tennessee e ha comprato 88 acri vicino al nostro ecovillaggio in erba. Siccome la nostra comunità intenzionale aveva quella terra a mezzadria, i campi sono stati circondati da terrazze e forniti di fossi nei tardi anni 70, con la ruspa della Fattoria e il grader stradale, usufruendo della guida del locale servizio di conservazione del suolo (un'altra reliquia di Roosevelt), quindi era già in condizioni molto buone da punto di vista della gestione keyline. Ho raccolto il suggerimento del locale agente del USDA ed ho piantato pino rigido (Pinus taeda), il che è risultato essere un buon consiglio. Il pino rigido è resistente, cresce in fretta , tollera la siccità e la sua portata si sta espandendo man mano che il sudest si scalda. Ho piantato anche castagni, gelsi, agrumi rustici e bamboo.  

La lunghezza della stagione libera dal gelo (e la stagione agricola corrispondente) è cresciuta a livello nazionale dagli anni 1980. NOAA/NCDC, National Climate Assessment 2013 (bozza in anteprima).

Interno del Prancing Poet, in costruzione nel 2012
Nel 1977-78, anche prima che mia madra comprasse la sua fattoria, ho cominciato a sperimentare a casa mia con ibridi di pioppo, sviluppati in Pennsylvania, confrontando le caratteristiche della loro crescita con il pioppo liodendro (Liriodendron tulipifera). Stavo cercando una fornitura di calore per l'inverno sostenibile ed un substrato per la produzione di funghi che potessero essere raccolti nel bosco ceduo e capitozzato. Nel 1985 ho applicato questa conoscenza per piantare una linea di protezione di pioppi ibridi lungo un confine della proprietà di mia madre. 
  
La Fattoria della Collina dei Noci

Nel 1998, ho piantato 3.000 noci ibridi, confrontando i rizomi innestati sviluppati dall'Università di Pardue per l'impiallacciatura con il noce nero nativo usato principalmente per mobili e pavimenti in legno e, secondariamente per un prodigioso raccolto di noci oleose. Quasi tutte le costose piantagioni ibride sono andate perdute entro 5 anni a causa di conigli, insetti, siccità e tempeste di ghiaccio. I noci nativi invece hanno avuto successo e sono diventati una parte durevole della progettazione della mi foresta in quella che la nostra famiglia ora chiama la Fattoria della Collina dei Noci. Quest'inverno, stiamo usando i malli oleosi per colorare il rivestimento interno di una nuova aggiunta all'Ecovillage Training Center della Fattoria. I tardi anni 90 hanno visto anche l'introduzione di molti bamboo, lungo i fossati e nei “canneti di interruzione” (gioco di parole fra canebrakes – canneti – e canebreaks, ndt.) dove i torrenti esonderebbero con le piene. Ho piantato una mezza dozzina di varietà a macchia di leopardo, sparse su oltre 20 acri. Queste si sono moltiplicate così rapidamente che solo loro compensano più del consumo annuale al Global Village Institute, compreso l'Ecovillage Training Center e tutti i suoi impiegati, visitatori e volontari e tutti i miei viaggi annuali nel mondo per fare corsi e laboratori. Tenendo conto del sequestro sia sopra che sotto terra, 10 acri di bamboo trattengono 63,5 tonnellate di Carbonio all'anno (tonnellate metriche di carbonio all'anno).

Peter Bane, l'autore del Manuale di Permacultura,  mi ha detto che 6 tonnellate di Carbonio all'anno sono coerenti con le cifre dei calcoli approssimativi per il mais, un altro fotosintetizzatore di C-4. La differenza col bamboo è che essendo annuale, il mais commestibile viene raccolto e consumato ogni anno e le stoppie si decompongono piuttosto rapidamente, rilasciando il carbonio brevemente immagazzinato come gas serra. Il mais è di fatto una pompa di gas serra, perché preleva il carbonio del suolo nella pianta dalle radici robuste e lo rende più prontamente disponibile per l'atmosfera. Il bamboo, se sistemato in boschetti o usato per mobili, costruzioni o biochar, permane molto più a lungo nell'ambiente terrestre. La Foresta Albert Bates (non la chiamiamo così, sto scherzando) ora occupa circa 30 acri. Dopo che è morta mia madre, l'Istituto ha affittato 44 acri dalla Collina dei Noci per il progetto e piantato alberi da frutto, cespugli di bacche, bamboo e cactus, così come alberi locali comprovati e veraci. Sappiamo che il cambiamento climatico causerà la migrazione di molte specie di alberi famigliari e stiamo lavorando per riempire il vuoto piantando specie che è più probabile che sopravvivano in condizioni semi tropicali, sebbene interrotte da blizzard invernali.

Piantare alberi non è così facile come sembra quando la tua esperienza si riduce a robusti trapianti di pino rigido (taeda) forniti dal Servizio Forestale a piccoli fasci. Gran parte degli alberi resistono al trapianto e devono essere incoraggiati e coccolati. Oliver Rackham, in Alberi e boschi nel paesaggio britannico (2001) dice: “piantare un albero è simile a sparare ad un uomo nello stomaco”. Quello che intende è che gli alberi sono univocamente adattati all'angolo del Sole, al flusso delle acque superficiali e dei nutrienti, alla comunità della foresta e ad altri fattori che raramente consideriamo. Far crescere un albero sul posto dal seme o da piccole piantine è spesso più probabile che abbia successo che non trapiantarli  come rizomi innestati o alberi quasi maturi.

Il mio metodo di piantagione si basa pesantemente sulla rigenerazione naturale, e in secondo luogo sulla selezione di caratteristiche desiderabili. A causa del suolo povero dell'altipiano nella nostra regione, i cedri sono delle specie pioniere comuni. Il pioppo liodendro e la robinia (Robinia pseudoacacia) sono anch'essi comuni. Gli ecosistemi più disturbati si riconvertiranno a bosco attraverso la successione naturale, se lasciati liberi dal pascolo e senza che vengano tagliati. Abbiamo tagliato quelle aree che volevamo riservare alla piantagione perenne di maggior valore. Gli alberi auto-seminati sono generalmente più forti e crescono più in fretta degli alberi piantati, quindi favorendo lo spazio fra le macchie, lasciamo un sacco di spazio per la succesione naturale attraverso l'auto-semina.

Gran parte del lavoro con gli alberi viene fatto nella stagione dormiente, approssimativamente fra metà novembre e la fine di aprile. Mio figlio ora ha un vivaio alla Collina dei Noci dove pianta i semi in contenitori dentro delle serre nei mesi estivi, trapiantando le piantine in inverno. E' bravo a ripulire gli scarti delle piante dalle vendite del vivaio e dai mercati degli agricoltori e anche se quegli alberi hanno tassi di sopravvivenza ridotti a causa dell'eccessiva manipolazione e dell'abbandono, a volte alcuni riescono a sopravvivere e maturare. Da quelli, vengono coltivate ed incoraggiate nuove generazioni.

Ho piantato a densità di circa 100 piante per acro, ma quelle densità aumenteranno sostanzialmente quando la foresta si auto-riempirà. Immagino dai 400 ai 1.000 alberi per acro come più tipici al culmine, più una ampia gamma di piante di sottobosco. Ho chiesto a Frank Michael, ingegnere del Global Village Institute, di fare questi calcoli per me. Ha usato diversi approcci per eliminare le variabili inconoscibili. Questo è parte di un lavoro in divenire che pensa di pubblicare come libro in un prossimo futuro.

Calcolare il sequestro di carbonio

Per una foresta mesofila mista di querce e noce americano del tipo che stiamo piantando nella regione del Highland Rim del Tennessee centro meridionale, i dati concreti non sono prontamente disponibili, ma le appendici al Primo Rapporto del Cyclo del Carbonio del Programma Scientifico sul Cambiamento Climatico statunitense (2007) sono molto utili. Gli studi aggiunti dal NOAA suggeriscono che 400 alberi (un acro alla maturità) assorbirebbero strutturalmente 2,6 tonnellate di carbonio all'anno (2,6 tC/acro-a o 5,84 tC/h-a), sulla base di studi su 6 siti per 34 anni. I nostri 30 acri si trovano ora a circa il 5% della densità di biomassa finale, quindi sequestrano 3,9 tC/a. Raggiunta la maturità sequestrerebbero 78 tC/a. Forestando tutti i 44 acri, questi sequestrerebbero 114,4 tC/a.

Un altro approccio è quello di usare un coefficiente per la media di sequestro della foresta. Un riferimento standard per questo lavoro è “Mappatura Globale della Produttività Primaria Terrestre ed Efficienza nell'uso della Luce con un Modello basato sul Processo” (Global Mapping of Terrestrial Primary Productivity and Light-Use Efficiency with a Process-Based Model), di Akihiko Ito  Takehisa Oikawa su Cambiamenti Ambientali Globali nell'Oceano e sulla Terraferma, M. Shiyomi et al., Terrapub Edizioni (2004), pp. 343–358. Se applichiamo il numero che Ito e Oikawa citano — 0.5-0.6 kgC/m2-anno per la seconda crescita del bosco del nordico – ai nostri 44 acri (178,000 m2), arriviamo a 89-107 tC/a alla maturità, che è nello stesso ordine della stima della massa strutturale fatta usando le cifre del NOAA. Siccome siamo solo al 5% della maturità su 30 acri, la foresta attualmente risparmia circa 3 tC/a. 

Usando il calcolatore del carbonio sul sito Dopplr e tracciando la mia media dei viaggi annuali degli ultimi 5 anni, io produco circa 10 tonnellate all'anno di CO2, o 2,72 tC, col mio stile di vita da jet set. Per includere anche tutta l'energia incorporata ammortizzata in alimentazione, vestiario, gadget, posto di lavoro e casa, diciamo che siano 5 tC/a, anche se probabilmente sono sovrastimate. Così, a questo punto le mie piantagioni di alberi non coprono la mia impronta, anche se le mie piantagioni di bamboo lo fanno, senza contare che sto trascurando di menzionare i miei esperimenti con le alghe in zone umide artificiali. Alghe e bamboo sono le prime e le seconde piante più rapide nella fotosintesi di cui siamo a conoscenza.

La stima del sequestro medio annuale potenziale della mia foresta alla sua maturità, anche senza bamboo ed alghe, è di 89-114 tC/ad una densità di stoccaggio di 400 alberi per acro, permanentemente. Ciò cancellerà la mia impronta con i suoli nel tempo

La raccolta a fasi

Per il 2050 questa foresta dovrebbe essere relativamente matura e quindi continuerebbe solo ad immagazzinare carbonio agli stessi rapidi tassi ai quali lo faceva come foresta giovane se fosse stata raccolta selettivamente. Ne La soluzione del Biochar ho descritto il metodo proposto da Frank Michael per la raccolta a fasi. Presumo che gran parte del legno raccolta a quel punto sarebbe usato per costruzioni o per il biochar, sequestrando ulteriormente il suo carbonio piuttosto che ossidarlo verso l'atmosfera attraverso la decomposizione o bruciandolo. 

Nel metodo di raccolta a fasi, le specie miste native vengono piantate in griglie strette, distanziate per raggiungere una copertura chiusa in 4-6 anni e a quel punto metà dei giovani alberi vengono raccolti ed usati per la produzione di biochar (e accompagnare la cattura di calore); il biochar viene rimesso nella macchia. In 9 anni, gli alberi rimasti chiudono ancora la copertura e la metà vengono raccolti per il biochar e il legname. Questo ciclo viene ripetuto ai 12, 16,5 e 24 anni, ecc. Ad ogni passaggio, ci sono diverse opzioni:

1. Raccogliere tutti gli alberi e iniziare un ciclo di piantagione completamente nuovo; 

2. Inserire una rotazione agricola/orticola nella aree aperte, aggiungendo pacciame, compost liquido (compost tea), biochar e compost come emendanti del suolo; o

3. Lasciare che gli alberi rimanenti maturino e richiudano la copertura, mentre si favoriscono o si aggiungono piante di sottobosco.

La prima opzione rende più di 6,2 volte la biomassa per unità di tempo ed area di una piantagione forestale commerciale convenzionale. 

“Ho cercato di scoprire, fra i rumori delle foreste e delle onde, parole che gli altri uomini non potevano sentire, ed ho drizzato le orecchie per ascoltare la rivelazione della loro armonia”. Gustave Flaubert, November

La mia speranza che molto dopo che mene sarò andato, la foresta della mia vita continuerà a fornire servizi ecologici preziosi di tutti i tipi a coloro che ci abiteranno dopo di me, o per la mitigazione climatica o per il senso di meraviglia che può dare a un bambino il crescere in mezzo a grandi alberi. 

Mi rendo conto che è un lusso straordinario, per un essere umano, avere accesso a 40 acri di terra ed essere in grado di dedicare le risorse che servono per impiantare una foresta durevole, produttiva e resiliente al clima: Non voglio dire che tutti potrebbero o dovrebbero farlo – moltiplicate semplicemente 40 acri per 7,2 miliardi di persone e vedete che sarebbe impossibile. Ciò che sto dicendo è che l'impronta del carbonio di milioni di persone che vivono col mio stesso standard di vita, utilizzano aria, mare, miglia di terra ed usano fattorie alimentate da schiavi energetici fossili per prenotare il prossimo viaggio d'affari, non si cancella da sola. Il ciclo del carbonio terrestre è profondamente squilibrato (come lo sono quello dell'azoto, del potassio ed altri cicli), così tanto che quelle condizioni ora minacciano la nostra estinzione.

Se riconoscete lo sforzo che serve ad un singolo individuo per avere zero emissioni di carbonio, potete riconoscere cosa potrebbe servire per equilibrare l'impronta di carbonio di una città moderna di decine di milioni di persone. Gli studi che dicono che gli abitanti delle città sono più ecologici dei loro cugini di campagna spesso trascurano questo tipo di calcolo. 

Quindi, qual è la prescrizione? Mentre non tutti possono piantare una foresta personale, tutti possono stimare la propria impronta di gas serra e cominciare a ridurla. Ho fatto dei seminari su come scaldare la propria casa con stufe che producono biochar e su come usare il biochar nel vostro giardino (orto) per far crescere ulteriore biomassa, compreso il carburante per l'inverno. Sono attivo anche nei movimenti degli Eco-villaggi e delle Città di Transizione, che stanno sperimentando un futuro più luminoso, felice e fresco. Piantare alberi aiuta. Più foreste è meglio. Ma potrebbe non essere abbastanza. 








martedì 1 dicembre 2009

Davanti a noi, la foresta; dietro di noi, il deserto




Gilgamesh e Enkidu uccidono Humbaba, il guardiano della foresta dei cedri, in Libano. Gilgamesh poi taglierà i cedri in un processo che si è completamente esaurito solo ai nostri giorni, con la quasi completa distruzione delle foreste libanesi. Per fare qualcosa in proposito, potete aggregarvi alla "causa" di Facebook "All for the reforestation of Lebanon"


La distruzione delle foreste planetarie da parte degli esseri umani è un processo che è iniziato migliaia di anni fa e che sta arrivando al completamento ai nostri tempi. Non ci sono dati quantitativi sull'andamento della deforestazione mondiale, ma è rapido abbastanza da giustificare il titolo de "Il Grande Massacro" all'ultimo capitolo del libro "Deforesting the Earth" di Michael Williams.

Gli alberi sono un'altra risorsa che stiamo sovrasfruttando e che farà la stessa fine del petrolio, delle balene, degli storioni, degli elefanti e di tutto quanto abbiamo distrutto e sterminato con grande efficienza. Per distruggere una foresta, bastano pochi anni - per ricrearla ce ne vogliono migliaia. Dove abbiamo sterminato gli alberi, di solito non rimane che il deserto generato dall'erosione. Tutta la storia umana si può vedere come una corsa verso la foresta, mentre scappiamo dal deserto.

Di questa nostra attivitità come sterminatori di alberi, mi è capitato fra le mani un documento che vorrei passarvi. E' l'antichissima storia di Gilgamesh, eroe sumero di almeno 5000 anni fa. Una delle storie della saga è quando Gilgamesh e Enkidu, il suo amico, uccidono Humbaba, il divino guardiano delle foreste di cedri del Libano e danno inizio al taglio degli alberi. Oggi, il lavoro di Gilgamesh è ampiamente concluso e delle antiche foreste del Libano non rimane che qualche centinaio di alberi. Vista in questi termini, la storia che ci ritorna dalle antiche tavolette di argilla ci suona come l'inizio di una tragedia. Forse, appariva così anche all'antico scriba che ci ha lasciato queste tavolette, dato che mostra una certa simpatia umana per Hubaba, mostro orribile, ma che chiede pietà e al quale la pietà viene rifiutata. Usa anche il termine "uccidere gli alberi", a indicare la brutalità della distruzione della foresta. Da notare anche il dettaglio dell' "abitazione degli Dei" (gli Annunaki) desecrata da Gilgamesh e Enkidu. Che la foresta avesse un suo valore sacro è una cosa che ritroviamo in moltissime culture umane, ma che non è bastata a salvare gli alberi.

Vi passo questo testo senza ulteriori commenti. E preso da "La saga di Gilgames" di Giovanni Pettinato (Mondadori 2004). La tavoletta è frammentaria e la traduzione è incerta. Quindi ho un po' ritoccato e interpolato il testo per renderlo più leggibile - spero che i sumeristi non me ne vogliano, ma credo che l'essenza della cosa sia rimasta.


La Tavoletta di Iscali (EpCl Tav. V)

Enkidu parlò a lui, a Gilgamesh:
"Uccidi Hubaba per i tuoi dei,
spargi le sue membra nella steppa"

Gilgamesh diede ascolto alle parole del suo compagno

la spada che pesava otto talenti, l'ascia di dieci talenti egli prese
Con esse avanzò nel bosco.

Dell'abitazione degli Dei egli apri' la tenda
Gilgamesh tagliò i cedri, Enkidu dissotterrò i tronchi.


Enkidu parlo poi a lui, a Gilgamesh:

"Gilgamesh uccidi i cedri!"


prese l'ascia nella sua mano

estrasse la spada dalla sua guaina


Gilgamesh lo colpì alla nuca

Enkidu, il suo amico, lo trafisse al cuore


Al terzo colpo, egli cadde.

Ne nacque un gran trambusto e poi silenzio di morte


Egli aveva ucciso Hubaba, il grande guardiano

A due leghe di distanza, i cedri udirono il tonfo


Aveva ucciso il brigante, il guardiano della foresta,

al cui frastuono tremano Saria e Libano

domenica 19 gennaio 2014

Cosa è successo sull'Isola di Pasqua – Un nuovo scenario (persino più spaventoso)

Da “Krulwich wonders”. Traduzione di MR

Di Robert Krulwich

Tutti quanti conosciamo la storia, o almeno penso che la conosciamo. Lasciate che ve la racconti alla vecchia maniera, poi in quella nuova. Vedete voi quale vi preoccupa di più.

Robert Krulwich/NPR

Prima versione: l'Isola di Pasqua è un piccolo lembo di terra di 63 miglia quadrate – a più di 1.000 miglia dal punto abitato più vicino nell'Oceano Pacifico. Ne 1200 DC (o giù di lì), un piccolo gruppo di Polinesiani – potrebbe essere stata una singola famiglia – si sono diretti lì, si sono insediati ed hanno cominciato a coltivare. Quando sono arrivati, il luogo era ricoperto da alberi – 16 milioni di alberi, alcuni che raggiungevano i 100 piedi di altezza. Questi coloni erano agricoltori che praticavano l'agricoltura “taglia e brucia”, quindi hanno bruciato i boschi, aperto spazi e cominciato a moltiplicarsi. Ben presto l'isola aveva troppe persone, troppo pochi alberi e quindi, in sole poche generazioni, nessun albero.

Robert Krulwich/NPR

Come racconta Jared Diamond nel suo best seller Collasso, l'Isola di Pasqua è “l'esempio più chiaro di una società che ha distrutto sé stessa sfruttando troppo le proprie risorse”. Una volta iniziato l'abbattimento di alberi, non si è fermato finché l'intera foresta non era scomparsa. Diamond chiama questo comportamento autodistruttivo “ecocidio” ed ha avvertito che il destino dell'Isola di Pasqua un giorno potrebbe essere il anche il nostro destino. Quando il capitano James Cook ha visitato il posto nel 1774, il suo equipaggio ha contato circa 700 isolani (rispetto ad una popolazione precedente di migliaia), che vivevano vite marginali, le loro canoe ridotte a frammenti rattoppati di legno galleggiante. E questa è diventata la lezione dell'Isola di Pasqua – di non osare di abusare delle piante e degli animali intorno a noi, perché se lo facciamo cadremo, tutti noi, insieme.

Robert Krulwich/NPR

E tuttavia, incomprensibilmente, quelle stesse persone sono riuscite a scolpire enormi statue – quasi un migliaio, con enormi occhi vuoti e facce scarne; qualcuna dal peso di 75 tonnellate. Le statue erano rivolte non verso l'esterno, non verso il mare, ma verso l'interno, verso l'ormai vuoto e denudato paesaggio. Quando il capitano Cook le vide, molti di questi “moai” erano stati rovesciati e giacevano a faccia in giù in segno di abietta sconfitta. Bene, questa è la storia che tutti conosciamo, la storia del collasso. Quella nuova è molto diversa.

Una storia di successo?

Proviene da due antropologi, Terry Hunt e Carl Lipo, dell'Università delle Hawaii. Essi dicono, “Piuttosto che un caso di fallimento abietto”, ciò che è accaduto alla gente dell'Isola di Pasqua “è un'improbabile storia di successo”.  Successo?Come può mai qualcuno chiamare ciò che è successo nell'Isola di Pasqua un “successo”? Be', ho dato un'occhiata al loro libro, Le statue che camminavano, e stranamente ciò che dicono ha senso, anche se dirò in anticipo che ciò che chiamano “successo” mi sembra altrettanto spaventoso – forse ancora più spaventoso.

Ecco la loro argomentazione: i professori Hunt e Lipo dicono che i cacciatori di fossili e i paleobotanici non hanno scoperto nessuna prova solida che i primi coloni Polinesiani diedero fuoco alla foresta per liberare la terra – ciò che viene chiamata “grande agricoltura preistorica”. Gli alberi sono morti, nessun dubbio. Ma al posto del fuoco, Hunt e Lipo danno la colpa ai topi.

Robert Krulwich/NPR

I topi polinesiani (Rattus exulans) erano nascosti nelle loro canoe, dicono Hunt e Lipo, e quando sono sbarcati, senza nessun nemico e con molte radici di palma da mangiare, si sono dati alla baldoria, mangiando e distruggendo albero dopo albero e moltiplicandosi ad un ritmo furioso. Come ha riportato un recensore sul Wall Street Journal:

Nelle impostazioni di laboratorio, il topo polinesiano può raddoppiare in 47 giorni. Mettetene una coppia fertile in un'isola senza predatori e cibo abbondante e l'aritmetica suggerisce il risultato... Se gli animali si fossero moltiplicati come hanno fatto alle Hawaii, calcolano gli autori, [l'Isola di Pasqua] ne avrebbe rapidamente ospitato fra i 2 e i 3 milioni. Fra i cibi preferiti del R. exulans ci sono i semi e i germogli degli alberi. Gli esseri umani hanno sicuramente abbattuto parte della foresta, ma il danno reale sarebbe venuto dai topi che impedivano la nuova crescita. 

Quando gli alberi se ne sono andati, la stessa cosa hanno fatto 20 altre specie di piante della foresta e 6 uccelli di terra e diversi uccelli di mare. Così c'è stata decisamente meno scelta di cibo, una dieta molto più ristretta, tuttavia la gente continuava a vivere sull'Isola di Pasqua e il cibo, sembra, non era il loro grande problema.

Carne di topo. Ne volete?

Per prima cosa, potevano mangiare topi. Come riporta J.B. MacKinnon nel suo nuovo libro Il mondo di una volta e quello futuro, gli archeologi hanno esaminato gli antichi cumuli di rifiuti sull'Isola di Pasqua cercando ossa di scarto ed hanno trovato “che il 60% delle ossa provenivano dai topi introdotti”. Quindi avevano trovato un sostituto di carne.

Robert Krulwich/NPR

Per di più, siccome l'isola non aveva molta acqua e il suo suolo non era ricco, gli isolani hanno preso delle pietre, le hanno spaccate e sparpagliate sui campi aperti creando una superficie irregolare. Quando soffiava il vento dal mare le pietre irregolari creavano flussi d'aria più irregolari che “rilasciavano i nutrienti minerali della pietra”, dice J.B. MacKinnon, il che ha dato ai suoli la quantità sufficiente di aumento dei nutrienti per sostenere i vegetali fondamentali. Un decimo dell'isola aveva questi “giardini” di pietre spaccate e producevano cibo sufficiente “a sostenere una densità di popolazione simile a posti come l'Oklahoma, il Colorado, la Svezia e la Nuova Zelanda di oggi”. Secondo MacKinnon, gli scienziati dicono che gli scheletri dell'Isola di Pasqua di quel tempo mostrano “meno malnutrizione degli Europei”. Quando un esploratore olandese, Jacob Roggevin, capitò da quelle parti, nel 1722, scrisse che gli isolani non chiedevano cibo. Volevano invece i cappelli europei. E, naturalmente, la gente che ha fame di solito non ha tempo ed energia per scolpire ed innalzare statue di 70 tonnellate intorno alla loro isola.

Una storia di “successo”? 

Perché questa è una storia di successo? Perché, dicono gli antropologi hawaiiani, i clan e le famiglie sull'Isola di Pasqua non sono crollate. E vero, l'isola è diventata desolata, più vuota. L'ecosistema era severamente compromesso. Tuttavia, dicono gli antropologi, gli abitanti dell'Isola di Pasqua non sono scomparsi. Si sono adattati. Non avevano legno per costruire canoe per andare a pescare al largo. Avevano meno uccelli da cacciare. Non avevano noci di cocco. Ma hanno continuato mangiando carne di topo e piccole porzioni di vegetali. Si accontentavano.

Robert Krulwich/NPR

Una domanda pignola: se tutti mangiavano abbastanza, perché la popolazione è declinata? Probabilmente, dicono i professori, a causa di malattie trasmesse sessualmente dopo l'arrivo degli europei. Bene, forse non c'è stato “ecocidio”. Ma è una buona notizia? Dovremmo celebrare? Me lo chiedo. Ciò che abbiamo qui sono due scenari che riguardano apparentemente il passato dell'Isola di Pasqua, ma che riguardano in realtà ciò che potrebbe essere il futuro del nostro pianeta. Il primo scenario – un collasso ecologico – nessuno lo vuole. Ma pensiamo un attimo a questa nuova alternativa – in cui gli esseri umani degradano il loro ambiente ma in qualche modo “se la cavano”. E' migliore?In qualche modo, penso che questa storia di “successo” sia altrettanto spaventosa. 

Il pericolo del “successo”

E se l'ecosistema del pianeta, come dice J.B. MacKinnon, “viene ridotto in rovina, anche se la sua gente resiste, adorando i propri dei e bramando oggetti di status mentre sopravvive mangiando un qualche equivalente futuristico della carne di topo e degli orti di pietre degli abitanti dell'Isola di Pasqua?”

Gli esseri umani sono una specie molto adattabile. Abbiamo visto la gente crescere abituata alle baraccopoli, adattarsi ai campi di concentramento, imparare a vivere con qualsiasi destino gli si ponga davanti. Se il nostro futuro è quello di degradare continuamente il pianeta, perdendo pianta dopo pianta, animale dopo animale, dimenticando ciò di cui una volte godevamo, adattandoci a circostanze inferiori, senza mai gridare “E' finita!” - accontentandosi sempre , questo non lo chiamerei “successo”. 

La lezione? Ricordate Tang, la bibita da colazione

Le persone non riescono a ricordare ciò che hanno visto i loro bisnonni, mangiato e amato del mondo. Sanno solo ciò che sanno. Per evitare una crisi ecologica, dobbiamo allarmarci. E allora che tutti noi agiamo. La nuova storia dell'Isola di pasqua suggerisce che gli esseri umani potrebbero non vedere mai l'allarme. E come la storia delle persone abituate a parlare della Tang, un succo d'arancia bibita completamente sintetico reso popolare dalla NASA. Se sapete che sapore ha il vero succo d'arancia, la Tang non è una gran conquista. Ma se siete stati in un viaggio di 50 anni, se avete perso la memoria del vero succo d'arancia allora, gradualmente, cominciate a pensare che la Tang sia deliziosa. Sull'Isola di Pasqua, la gente ha imparato a vivere con meno e dimenticato com'era avere di più. Forse è questo che ci accadrà. Eccola la lezione. E non è una lezione allegra. Come dice MacKinnon: “Se state aspettando che una crisi ecologica persuada gli esseri umani a cambiare le loro relazioni problematiche con la natura, potreste aspettate molto, molto a lungo”.






domenica 2 novembre 2014

Bruciare le foreste in nome della sostenibilità. Ideona!


Dagrist.org”. Traduzione di MR (h/t Nate Hagens)

Di Ben Adler

Se si guida attraverso il Sud e si vede un campo spogliato pieno di nuove piantagioni tozze dove un tempo c'era la foresta lussureggiante, la colpa potrebbe essere di un colpevole improbabile: l'Unione Europea e le sue ben intenzionate regole per l'energia pulita. Nel marzo 2007, l'UE ha adottato obbiettivi climatici ed energetici dal 2010 al 2020. I 27 paesi membri hanno stabilito un obbiettivo di riduzione delle emissioni di carbonio del 20% per il 2020 e di aumento delle rinnovabili fino al 20% del proprio portafoglio energetico. Sfortunatamente, hanno sottostimato l'intensità di carbonio dell'uso della legna (leggi, “biomassa”) per fare elettricità ed hanno categorizzato la legna come combustibile rinnovabile.

Il risultato: i paesi della UE con settori rinnovabili più ridotti si sono rivolti alla legna per sostituire il carbone. I Governi hanno fornito incentivi per gli impianti energetici allo scopo di fare questo passaggio. Ora, con un pugno di nuove centrali europee a legna che sono entrate in funzione, gli europei hanno bisogno di legna per alimentare la bestia. Ma in gran parte dei paesi europei non sono rimaste molte foreste da tagliare a disposizione. Quindi importano le nostre foreste, specialmente dal Sud. Naturalmente, la legna è in un certo senso rinnovabile: gli alberi possono essere ripiantati. Ma in altri sensi è più simile ai combustibili fossili che non al solare e all'eolico. Dopotutto, tutta questa ossessione per le rinnovabili non è solo a causa dell'esaurimento dei combustibili fossili. E' perché bruciare combustibili fossili produce CO2 che causa il riscaldamento globale. La stessa cosa vale bruciando legna, a differenza dell'eolico e del solare.

La legna rappresenta una maggioranza di generazione di energia rinnovabile in Polonia e in Finlandia e quasi il 40% in Germania. E' particolarmente attraente per le utility energetiche britanniche, perché il governo britannico offre sussidi generosi per l'energia rinnovabile e la sua industria solare non è nemmeno lontanamente progredita quanto quella della Germania. Drax, una grande utility britannica, ha annunciato lo scorso anno che convertirà tre centrali a carbone a legna. Questa transizione porterà l'azienda a 550 milioni di sterline britanniche all'anno (912 milioni di dollari) di sussidi governativi per le rinnovabili. The Economist chiama questa politica “demenza ambientale”, osservando seccamente: “Dopo anni in cui i governi europei hanno vantato la loro rivoluzione ad alta tecnologia e a basso tenore di carbonio, il principale beneficiario sembra essere il combustibile preferito delle società preindustriali”.

La logica iniziale della UE non era completamente folle – è solo risultata essere del tutto sbagliata. Citando ricerche che suggerivano che gli alberi giovani consumano più CO2 di quelli vecchi, i decisori politici hanno immaginato che bruciare un albero per l'energia poteva essere neutro dal punto di vista del carbonio, se si fosse piantato un albero sostitutivo. Studi più recenti, tuttavia, hanno mostrato che questo era troppo ottimistico. Non tutti gli alberi giovani consumano più CO2 di quelli vecchi – dipende dalla specie e da varie altre condizioni. Il processo di triturazione degli alberi per farne pellet di legna, di spedirlo oltre Atlantico e l'energia coinvolta nel bruciarlo tutto, si aggiungono all'intensità di carbonio totale. “Bruciando pochissimi combustibili di legna mostra un qualche beneficio rispetto al carbone”, dice Scot Quaranda, un portavoce della Dogwood Alliance, un gruppo anti-deforestazione di Asheville, in Carolina del Nord. “In gran parte dei casi è in realtà peggio del carbone o del gas naturale”.

Dogwood ha lanciato una campagna per fare pressione sulle utility americane e britanniche per fermare la combustione di alberi per produrre elettricità (dice che la segatura che rimane nelle segherie è relativamente innocua). Ci sono alcune variabili cruciali da considerare quando si valutano gli impatti climatici della combustione di legna. Una è: cosa sarebbe successo alla legna se non fosse stata bruciata? Molte operazioni di taglio e segherie bruciano mucchi di ramaglie, scarti e segatura, creando più gas serra di quella che potrebbe generare una centrale bruciando pellet fatto con gli stessi “residui”, secondo un rapporto pubblicato lo scorso mese dal Dipartimento Britannico dell'Energia e del Cambiamento Climatico. Ma da una prospettiva climatica, sarebbe meglio lasciare che quei residui si decompongano nella foresta, dice il rapporto. Dipende anche da quanta energia termica è richiesta per seccare il pellet da bruciare e come quell'energia viene prodotta. In media, dice il rapporto, “E stato scoperto che l'elettricità da biomassa richiede ingressi di energia maggiori di gran parte delle altre tecnologie per generare elettricità”. La legna spedita in Europa dalla costa occidentale ha delle emissioni da combustibile molto più alte per via del trasporto di quella spedita dalla costa orientale. Poi c'è la questione di come sarebbe stata usata la terra se non vi fossero stati coltivati alberi.

La linea di fondo è: mentre in certi scenari bruciare pellet di legna può avere un'impronta di gas serra “molto bassa”, dice il rapporto, “altri scenari possono risultare nelle intensità (di gas serra) maggiori di quelle dell'elettricità prodotta da combustibili fossili, anche dopo 100 anni”. E “in tutti i casi, l'ingresso di energia richiesta per produrre elettricità dal pellet nord americano è maggiore di quello dell'elettricità prodotta da combustibili fossili e da altre rinnovabili (eccetto i sistemi FV più energeticamente intensivi) e il nucleare”. In generale, ciò sembra difficilmente una cosa che dovremmo incentivare. Speriamo che le politiche europee stiano al passo con le scoperte dei loro governi.

sabato 18 dicembre 2021

Scienza, boschi, orsi e nuvole

Miguel Martinez racconta l'incontro di qualche giorno fa a Firenze con la scienziata Russa Anastasiya Makarieva. Dal blog "Kelebek".

di Miguel Martinez


Ieri sera al tramonto, un gran freddo, le nuvole rosse scure a ovest. E la luna mezza, sopra i cipressi neri a destra, che si stagliano contro il fuoco del sole morente.

Sotto Bellosguardo, quel muretto silenzioso dove a volte cammina un gatto nero, e a sinistra puoi vedere la neve sui monti, e sotto la città con sopra la vecchia nemica, Fiesole…

Saliamo verso Martignolle, e Marco mi recita i versi del poeta folle, Dino Campana:

Al giardino spettrale al lauro muto

De le verdi ghirlande

A la terra autunnale

Un ultimo saluto!

Camminando tra i muri silenziosi che nascondono i segreti di una città occulta, arriviamo alla villa dell’antica famiglia.

Da un capo della grande sala, ci guarda Abramo in un quadro settecentesco, mentre si appresta a sacrificare Isacco; dall’altro capo, ci guarda in ritratto l’avo della famiglia, e ha la stessa barba e lo stesso sguardo (e fede) di Abramo. E tra i due, la menoràsulla credenza di legno che porta incisa la data MDCXXXVII.

Ci siamo riuniti per ascoltare Anastasija Makarieva, capelli neri, occhi azzurri a mandorla e zigomi alti, dell’Istituto di Fisica Nucleare di San Pietroburgo. Un ente erede di quell’altra metà del mondo, che non solo riusciva a costruire dal nulla bombe atomiche sovietiche, ma esplorava mondi sconosciuti agli occidentali.

Anastasija (con l’accento sulla “i”) non si occupa affatto di bombe atomiche, ma di boschi.

Tutti abbiamo sentito parlare dei boschi dell’Amazzonia, ma non si parla mai di quelli forse ancora più grandi che vanno dal Baltico al Pacifico.

Ora, da laureato in lingue orientali che fa fatica a distinguere un frassino da un olmo, che non ha preso appunti, e va a memoria, provo a raccontarvi, eventuali scemenze sono solo mie…

Si dice che stiamo vivendo un’immensa crisi ambientale, legata alle emissioni di CO2 con relativo riscaldamento globale; e che bisogna ridurre quindi tali emissioni.

Che ha però un sottinteso enorme: se il problema è troppo CO2, riduciamo il CO2 anche al costo di una strage, fine del problema. La guerra contro il cambiamento climatico è tutto lì.

Gli scienziati di San Pietroburgo non negano affatto la questione delle emissioni, ma dicono che c’è un altro fattore, che forse è anche più importante, che ci sta portando verso la catastrofe climatica.

Se esiste la vita, esiste perché esiste la biosfera; e la biosfera è intimamente legata a qualcosa che i russi chiamano la pompa biotica.

Gli alberi sono macchine in apparenza straordinariamente incompetenti: disperdono il 90% (cito a memoria) dell’acqua che assorbono nell’atmosfera.

Ma gli alberi della costa colgono la poca acqua che il mare manda sulla terra; solo loro, grazie all’evapotraspirazione, riescono a far salire ciò che per sua natura scende. Emettendo non solo acqua, ma anche altre sostanze che permettono all’acqua di condensarsi, formano le nuvole, e attraverso vari meccanismi molto complessi – che si affiancano a quelli noti alla meteorologia – creano i venti, che portano l’umidità all’interno.

E permettono quindi la vita nei continenti, e generano i fiumi.

Quindi, la vita sulla terra dipende dal mondo dei boschi.

Ma non basta piantare milioni di alberi a caso, come vorrebbero fare i tecnoverdi.

Anastasija ci racconta degli abeti, piantati in massa all’inizio del Novecento, in Boemia, che oggi sono stati infestati e distrutti in poco tempo dai parassiti, perché non esiste alcuna varietà; del problema degli alberi coevi – la pompa biotica funziona davvero solo quando c’è l’insieme di alberi di tante generazioni, con tutto l’ecosistema circostante.

E un artista americano che ci ascolta racconta di un suo amico, che per ricreare un bosco, prese con grande lentezza l’humus di un bosco ancora intatto, con tutta la sua varietà.

Siberia e Amazzonia sono i due poli forestali del mondo, nella loro immensa diversità.

Ma per qualche motivo, la Siberia che stanno svendendo alle multinazionali dell’industria del legname, non sembra interessare a nessuno.

“Sono stata solo due volte in Siberia”,

ammette Anastasija.

“Ma ogni anno io e il mio compagno ci accampiamo in una tenda, sulla costa del Mare Bianco.

Una volta abbiamo visto un orso. Da molto lontano… allora ci siamo avvicinati.

Ce lo siamo trovati davanti, e allora ho sentito dentro di me, quello che l’orso pensava dentro la sua testa: era arrivata la fine!

Ha guardato un’ultima volta il mare, poi si è girato, cercando di far vedere il meno che potesse del suo profilo. E poi improvvisamente, ha raccolto tutte le sue forze, ed è scappato nel bosco!”

E ci regala la foto del gufo, visto su un albero molto, molto a nord, con cui apriamo questa storia.