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martedì 17 ottobre 2023

Perché i Dinosauri Erano Così Grandi? Un'Esplorazione del Metabolismo dell'Ecosistema Terrestre


Se sei un amante dei dinosauri (o forse sei un dinosauro), questa scena del primo film "Jurassic Park" deve essere stato un momento speciale della tua vita. Siamo tutti affascinati dai dinosauri: basta guardare i volti dei protagonisti del film quando vedono il brachiosauro brucare le foglie degli alberi. Deve essere perché conserviamo un ricordo dei nostri antenati cacciatori e comprendiamo che un cacciatore in grado di uccidere una simile bestia diventerebbe molto popolare tra le giovani donne della tribù. Ma perché esattamente queste bestie erano così grandi? Qui, abbozzo una possibile interpretazione che va all'essenza stessa di come funziona il grande olobionte della Terra.


I sauropodi: i più grandi animali terrestri mai esistiti

Non tutti i dinosauri erano grandi, ma i sauropodi sì, erano molto grandi. Quelle bestie dal collo lungo che includono il diplodocus, il brontosauro, il brachiosauro e molti altri, erano più grandi di qualsiasi mammifero mai vissuto sulla Terra. La figura qui sotto, tratta da un recente articolo di Michael D'Emic, ci fa vedere esattamente quanto erano grandi.





Ma perché i sauropodi erano così grandi? Dopotutto, si suppone che i mammiferi li abbiano sostituiti perché erano più efficienti, no? E allora, perché non abbiamo mammiferi così enormi al giorno d'oggi? Gli elefanti arrivano a circa cinque tonnellate; alcuni antichi mammiferi potrebbero essere arrivati ​​a 20-25 tonnellate. Non male, ma comunque molto più piccolo delle 70 tonnellate dell'Argentinosaurus, forse il più grande sauropode mai vissuto. Alcuni studi stimano che la dimensione massima possibile di una creatura terrestre sulla Terra sia di circa 100 tonnellate. I sauropodi arrivarono vicino a quel limite.

Se volete imparare qualcosa sulla biologia dei sauropodi, vi suggerisco un articolo di Paul Sander (2011). Non è recentissimo ma fornisce 38 pagine dense di spunti di riflessione. Ma, riguardo alle ragioni delle grandi dimensioni di queste creature, beh, riporta 24 spiegazioni diverse! Un discreto casino.

Queste sono quasi tante spiegazioni per le grandi dimensioni dei dinosauri quante ce ne sono per la loro estinzione, che, fino a non molto tempo fa, se ne contavano centinaia (vedi questa straordinaria recensione di Benton). Ma è così che funziona la scienza (almeno, la versione buona). Utilizza il principio che Alex Osborn chiamò “divergenza/convergenza” nel 1953. L’idea è che prima si propone un’ampia gamma di ipotesi, e poi si affinino quelle buone.

Per quanto riguarda l’estinzione dei dinosauri, gli scienziati stanno ora convergendo su quella che sembra essere la buona spiegazione: l’anossia causata da una grande provincia magmatica (LIP), una gigantesca eruzione vulcanica che ha causato la diminuzione del contenuto di ossigeno nell’atmosfera (l’idea che i dinosauri il colpevole era un asteroide ancora popolare, ma in fase di graduale abbandono). Per le grandi dimensioni dei sauropodi stiamo ancora “sfoltendo” quelle ipotesi evidentemente insostenibili. Non entrerò nei dettagli, ma lasciatemi menzionare almeno uno di quelli che si contraddicevano a vicenda, ad esempio i sauropodi erano così grandi perché avevano un metabolismo veloce , ma no, erano grandi e avevano un tasso metabolico lento . E forse ricorderete come i sauropodi venivano spesso mostrati nelle illustrazioni semisommersi nelle paludi. Questo perché si credeva che avrebbero sostenuto il loro peso in questo modo.




Questa visione è rimasta così popolare che anche in “Jurassic Park” del 1996 c’è una scena che mostra i sauropodi che guadano in una palude (vedi il clip sopra). Notate anche come nella figura i bestioni vengono mostrati mentre mangiano erba, il che è sbagliato per due ragioni. La prima è che erano brucatori, non brucatori: non c’è bisogno di un collo lungo per mangiare l’erba sul terreno. La seconda, più importante, è che durante il Giurassico l'erba non esisteva. Apparve solo nel tardo Cretaceo.

Ma è tempo di convergere verso una spiegazione sensata. Proprio come i grandi dinosauri furono uccisi dalla mancanza di ossigeno (anossia), potrebbero essere stati creati da un’elevata concentrazione di ossigeno nell’atmosfera. Questa ipotesi è stata proposta molto tempo fa (anche se è difficile individuare chi l’ha proposta per primo), e ora sta diventando quella preferita.


Il ruolo dell'ossigeno

L'energia che muove tutti gli esseri viventi sulla terra è fornita dall'ossidazione dei prodotti della digestione degli alimenti per creare il “carburante” chiamato molecole di ATP (adenosina trifosfato). Dinosauri o mammiferi, il meccanismo è lo stesso. Con l’ossigeno, è disponibile molto carburante per creare muscoli forti, e muscoli forti possono sostenere un corpo pesante. Quindi, è possibile che i dinosauri fossero così grandi perché al loro tempo la concentrazione di ossigeno nell’atmosfera era maggiore.

Ciò ha senso, ma comporta anche problemi. Innanzitutto, è vero? Cominciamo con alcuni dati sulla concentrazione di ossigeno durante l'Eone Fanerozoico, da 540 milioni di anni (My) fa ad oggi. Questi dati provengono da un recente review sull'argomento .




I sauropodi vissero durante il periodo Giurassico e Cretaceo, da circa 200 a 66 My fa. Il grafico ci dice che sì, a quel tempo c’era più ossigeno di adesso, circa il 25%, contro il livello attuale di quasi il 21%. Ma i dati sollevano anche domande sconcertanti: da notare il grande picco alla fine del Permiano. Con più del 35% di ossigeno nell'atmosfera, gli animali terrestri dell'epoca dovevano essere dotati di turbocompressore. Quindi, avrebbero dovuto sviluppare corpi enormi, forse anche più grandi di quelli dei dinosauri molto più tardivi. Ma la fauna del Permiano non è così impressionante. Era dominato dai terapsidi, un gruppo che fa parte del clade più ampio dei sinapsidi, creature che alla fine generarono i mammiferi.




Si dice che alcune di queste creature del Permiano pesavano più di una tonnellata, ma non è niente di paragonabile ai sauropodi. Non erano nemmeno molto più grandi di un essere umano, come si vede nella foto. Notate anche come le loro zampe sporgono lateralmente, come quelle dei rettili. Non è un buon modo per sostenere un corpo pesante (chiedete a qualsiasi elefante che avete a portata di mano perché non ha gambe come quelle dei coccodrilli!). Se era necessario che le creature del Permiano evolvessero gambe colonnari simili a quelle di un elefante, avevano tutto il tempo per farlo: il Permiano durò circa 50 milioni di anni.

Allora perché l’ossigeno ha generato i giganti durante il Giurassico ma non durante il Permiano? Inoltre, cosa governa la concentrazione di ossigeno nell’atmosfera? Perché viviamo in un’era con una concentrazione di ossigeno relativamente bassa? E perché un altro tipo di gigantismo, quello del cervello umano, si evolve solo ora e non nel Giurassico?

Misurazione delle paleoconcentrazioni di ossigeno

Dobbiamo approfondire la storia dell’ossigeno nell’atmosfera. Innanzitutto, quanto possiamo fidarci dei dati? Vediamo un altro set di dati; questo mostra l'incertezza coinvolta nelle varie stime ( da Wade et al. )


Francamente, è un disastro. Secondo questi dati la concentrazione di ossigeno al tempo dei dinosauri (fino a 66 milioni di anni fa) potrebbe essere stata molto più alta di quella attuale, ma anche molto più bassa. E anche il picco del Permiano, quando ebbe luogo, esattamente? Questi dati ci dicono solo che la concentrazione di ossigeno è aumentata all'inzio del fanerozoico e, successivamente, tende a diminuire. Ma i dettagli sono incerti.

In precedenza ho menzionato il modello divergenza/convergenza di acquisizione della conoscenza di Osborne. Questo grafico della concentrazione di O2 è un chiaro esempio della fase di “divergenza”: tanti dati e ipotesi in contrasto tra loro. Ma ciò non dovrebbe scoraggiarci dal cercare la convergenza. E credo che la scienza stia convergendo sui dati giusti. Tra i vari modelli che stimano la concentrazione di ossigeno nell’antichità, il modello “COPSE” (Carbon, Oxygen, Phosphorus, Sulphur, Evolution) di Tim Lenton et al. è forse quello più completo e aggiornato. Ha il vantaggio di considerare diversi elementi della complessità dell'evoluzione dell'ecosistema lungo il Fanerozoico, compresi quelli biologici ed evolutivi.

Vediamo quindi i principali risultati per la concentrazione di ossigeno e CO2 dal documento di Lenton del 2018 .



Ora le cose hanno molto più senso. Il picco dell’ossigeno nel Cretaceo è più importante, ed è sicuramente molto più alto della concentrazione attuale. Potrebbe spiegare le grandi dimensioni dei sauropodi. Il picco del Permiano, quindi, non domina più il Fanerozoico. Tuttavia, rimane grande e rimane la questione del perché la fauna del Permiano fosse così insignificante. Dobbiamo esaminare in che modo esattamente l’ossigeno può favorire tassi metabolici più elevati e creature più grandi.

Metabolismo e rapporto O2/CO2

A questo punto si potrebbe ragionevolmente dire: “Bene, ma di cosa stiamo discutendo? Che differenza fa se la concentrazione di O2 è del 20% o del 25%? Se è un po’ più bassa, respira semplicemente un po’ più velocemente e avrai tutto l’ossigeno di cui hai bisogno!”

Ehm, no. Non funziona in questo modo. Il punto è che un animale non ha solo bisogno di fornire ossigeno alle sue cellule; ha anche bisogno di eliminare dalle cellule l'anidride carbonica prodotta dalle reazioni metaboliche. Sia l'ossigeno che l'anidride carbonica viaggiano nel sangue. La chimica coinvolta è complicata, ma il punto è che lo scambio avviene nella barriera sangue-aria degli alveoli, sacche microscopiche all’interno dei polmoni. Presso la barriera, l’ossigeno deve muoversi all’interno del corpo mentre l’anidride carbonica esce. Questo trasferimento dipende dai gradienti di concentrazione: se vogliamo che l'ossigeno si muova all'interno, deve esserci un'elevata concentrazione nell'aria in corrispondenza della barriera. Il contrario vale per l’anidride carbonica; la sua concentrazione nell'aria deve essere bassa se deve uscire dal sangue.

Respirare più velocemente può aiutare a far entrare più ossigeno nel sangue perché aumenta il flusso verso la barriera aria-sangue. Ma solo entro certi limiti perché aumenterà anche il flusso di anidride carbonica nella stessa direzione, rendendo più difficile la rimozione della CO2 dal sangue. In condizioni di ipossia (ad esempio, minatori bloccati in un tunnel di miniera), le persone muoiono non tanto per la mancanza di ossigeno, ma per l'eccesso di CO2. Sviluppano una condizione chiamata ipercapnia (alta concentrazione di CO2 nel sangue), accompagnata da acidificazione del sangue. Muoiono ben prima che l'ossigeno si esaurisca completamente. Inutile dire che, in queste condizioni, respirare più velocemente non li aiuterebbe molto.

Un modo migliore per garantire un elevato flusso di ossigeno nel corpo è aumentare la superficie degli alveoli; cioè, rendere i polmoni più grandi. A differenza della respirazione più veloce, ciò aumenterebbe sia l’afflusso di O2 che il deflusso di CO2. Ma, ovviamente, ci sono dei limiti a ciò che si può fare in questo modo. In termini di volume, i polmoni sono già l’organo più grande del corpo umano. Polmoni molto più grandi avrebbero un costo metabolico considerevole e creerebbero evidenti problemi pratici. La situazione era probabilmente la stessa per i dinosauri, anche se avevano un sistema respiratorio aviario, probabilmente più efficiente di quello dei mammiferi. Se potevano contare su un grande apporto di ossigeno al loro corpo, molto probabilmente era perché c’era più ossigeno nell’atmosfera; ma non solo. Inoltre, la concentrazione di CO2 doveva essere bassa.

Queste considerazioni suggeriscono che il rapporto tra ossigeno e anidride carbonica è un fattore importante nell'influenzare il metabolismo di un animale, forse più importante della concentrazione assoluta di ossigeno. Quindi, diamo nuovamente un'occhiata ai dati dell'articolo di Lenton: come è variato il rapporto O2/CO2 durante il Fanerozoico? Ecco il grafico, ottenuto digitalizzando i dati di Lenton. (PAL sta per Present Atmospheric Levels. Le concentrazioni sono normalizzate ai valori attuali).





Non ho visto questo grafico da nessuna parte nella letteratura scientifica. Ciò non significa che nessuno l'abbia notato prima, quindi se siete a conoscenza di uno studio in cui è già stato mostrato, fatemelo sapere. In ogni caso, penso che siamo in qualcosa di interessante. In realtà, molto interessante.

Vedete che il primo picco nel rapporto O2/CO2 arriva circa 50 milioni di anni prima del picco della concentrazione assoluta di O2. Quindi, il picco della disponibilità di ossigeno arriva durante la grande espansione della vita durante il Devoniano e l'Ordoviciano, non durante il Permiano. Le creature del Permiano respiravano aria che conteneva molta CO2, e questo potrebbe essere stato il motivo per cui non sono mai diventate grandi e spettacolari come i sauropodi. Quindi, vediamo che i sauropodi respiravano un'atmosfera con un elevato rapporto O2/CO2 mentre, ai nostri tempi, abbiamo un rapporto O2/CO2 ancora più elevato. Ciò spiega la spettacolare encefalizzazione di un gruppo di primati nudi che oggigiorno esistono in gran numero nell'ecosistema? Probabilmente non è stato l’unico fattore, ma potrebbe anche essere importante.

Perché le cose sono quello che sono?

Abbiamo un ultimo punto da approfondire in questa disamina che è partita parte dal film “Jurassic Park” e ci ha portato alla storia della composizione chimica dell'atmosfera terrestre. Perché l'ossigeno aumenta e poi diminuisce? E perché il rapporto O2/CO2 continua ad aumentare?

Il nocciolo della storia è che le concentrazioni di CO2 e O2 non sono indipendenti l’una dall’altra. La fonte di ossigeno libero nell'atmosfera è l'acqua, scomposta in idrogeno e ossigeno dalla reazione di fotosintesi nelle piante. Ma questa reazione non avviene senza coinvolgere la CO2, che viene consumata nel processo, creando molecole organiche. Il risultato complessivo è che la CO2 viene trasformata in carbonio organico e l'ossigeno viene liberato nell'atmosfera. Quindi, possiamo dire che la CO2 è la principale fonte di ossigeno.

Il carbonio organico risultante dalla reazione fotosintetica viene gradualmente sepolto sottoterra come “carbonio fossile”. È questo meccanismo che consente alla concentrazione di ossigeno nell'atmosfera di aumentare nel corso del tempo geologico mentre la massa dell'ecosistema rimane approssimativamente costante. L'effetto inverso, la rimozione di ossigeno dall'atmosfera, si verifica a seguito di quelle enormi eruzioni vulcaniche chiamate “LIP” (grandi province ignee). Queste eruzioni bruciano grandi quantità di carbonio fossile, restituendo una frazione significativa di ossigeno alla CO2.

Fu uno di questi LIP, 66 milioni di anni fa, a uccidere i dinosauri non aviari creando un livello di ipossia in cui non potevano sopravvivere. In precedenza, 250 milioni di anni fa, un altro grande LIP spazzò via la maggior parte dei terapsidi prima che potessero evolversi in creature più grandi. La stessa cosa, la combustione di grandi quantità di carbonio fossile con l’ipossia associata, potrebbe accadere proprio adesso, tranne per il fatto che il carbonio fossile viene bruciato da quelle fastidiose scimmie nude. Dal punto di vista della chimica dell'atmosfera non ha molta importanza. Il risultato è comunque l’estinzione di massa in corso.

E le temperature?

L’interazione tra la crescita dell’ecosistema che pompa O2 nell’atmosfera e dei LIP che lo rimuovono ha guidato le oscillazioni nella concentrazione di CO2 e O2 negli ultimi 500 milioni di anni circa. Ma c’è un’ulteriore complicazione che ha a che fare con il fatto che la CO2 è un gas serra, quindi influenza la temperatura della Terra. La creazione di un’elevata concentrazione di ossigeno a scapito della concentrazione di CO2 potrebbe portare la Terra a congelarsi in un’era glaciale, o addirittura trasformarla in una palla di neve. È già successo.

C'è poi un ulteriore fattore: la luminosità del sole è andata gradualmente aumentando ad un ritmo di circa l'1% ogni 110 milioni di anni. Per mantenere la temperatura della superficie terrestre entro i limiti necessari per la sopravvivenza dell'ecosistema, la concentrazione di CO2 deve diminuire. Ciò avviene principalmente a causa di un meccanismo chimico chiamato “erosione dei silicati” che rimuove la CO2 dall’atmosfera più velocemente a temperature più elevate. È un'altra storia complicata; diciamo solo che durante il Fanerozoico la luminosità del sole è aumentata di circa il 6% e la concentrazione di CO2 è scesa da diverse migliaia di ppm (parti per milione) di inizio eone al valore attuale di circa 400 ppm. Il risultato complessivo è stato un aumento medio del rapporto O2/CO2. Tuttavia, poiché la CO2 è la fonte di O2, una concentrazione molto bassa di CO2 può portare a concentrazioni di O2 più basse. E questo è ciò che stiamo vedendo, con l’ossigeno sceso a circa il 21% dal picco del 35% di 300 milioni di anni fa. Abbiamo ancora abbastanza ossigeno nell'atmosfera per mantenere in vita quelle strane scimmie nude e per mantenere in funzione (più o meno) i loro enormi cervelli. Ma per quanto riguarda il futuro?

Tutto nell'universo segue cicli. Questo vale anche per l'ecosistema. Stiamo assistendo al conflitto di diversi fattori che cercano di mantenere l’omeostasi del sistema: l’ecosistema continua a produrre O2, ma la necessità di mantenere temperature costanti contro l’irradiazione solare crescente sta abbassando la concentrazione di CO2 a livelli così bassi che la fotosintesi potrebbe iniziare a essere influenzata negativamente. Il risultato potrebbe essere un’inversione delle tendenze in gioco durante il primo Fanerozoico (vedi questo articolo di Ozaki et al. ). Cioè, la Terra vedrà una concentrazione di ossigeno nell’atmosfera gradualmente inferiore nel corso delle prossime decine di milioni di anni, o forse anche molto più velocemente poiché le scimmie nude sono impegnate ad accelerare il processo bruciando carbonio fossile. La figura seguente è tratta da un articolo di Franck, Bounama e Von Bloh .


Tra qualche centinaio di milioni di anni, le concentrazioni di CO2 e O2 diventeranno così basse che le creature multicellulari non saranno in grado di sopravvivere. Sarà il contrario dell'antica esplosione del Cambriano che irradiò creature multicellulari su tutta la Terra. Quindi, il pianeta tornerà silenziosamente alla sua condizione originale di un brodo di creature unicellulari negli oceani. In tempi molto più lunghi, gli oceani ribolliranno e la vita scomparirà. Tra qualche miliardo di anni, la Terra sarà inghiottita dal sole in espansione e di essa non rimarrà nulla.


Conclusione: la morte di Gaia?

È una caratteristica tipica dei sistemi complessi che puoi solo osservarli, non farci esperimenti sopra. Quindi, questa grande immagine del passato e del futuro della Terra è solo un assaggio di ciò che possiamo vedere del nostro passato e immaginare il nostro futuro. Molte cose potrebbero cambiare nella nostra visione man mano che impariamo di più, ma alcune cose nell’universo sembrano seguire schemi che possiamo comprendere. Non sorprende che la grande esplosione della vita che chiamiamo “Fanerozoico” (l’era della vita visibile) alla fine svanirà e scomparirà. Quella sarà la morte di Gaia, il grande olobionte che chiamiamo “ecosistema”.

Ma chi lo sa? Forse, quelle strane scimmie encefalizzate potrebbero inventare qualche trucco per proteggere la Terra dal soffio infuocato del sole e mantenerla a temperature sufficientemente basse da consentire sia all'ossigeno che all'anidride carbonica di continuare ad esistere in una concentrazione abbastanza grande da mantenere vivo l'ecosistema (aka Gaia). ancora per qualche miliardo di anni. Potrebbe essere, in effetti, proprio la loro funzione. In ogni caso, l’unica cosa di cui possiamo essere sicuri è che Gaia ne sa più di noi.



Gaia. la Dea della Terra interpretata dal programma di intelligenza artificiale di Dezgo.com


h/t Lorenzo Sciadini


mercoledì 23 agosto 2023

Il Progetto Cagnara. Brevi Riflessioni sul Libro del Generale Vannacci

 



Il "Progetto Cagnara" è una definizione di Uriel Fanelli per l'attuale stato della politica in Italia. Siccome non si sa cosa fare, nessuno fa niente. Quindi, per evitare che qualcuno se ne accorga, si tende a buttare tutto in cagnara, un altro modo di mettere in pratica la vecchia leggenda di "Fare Ammuina" dei tempi della marina militare borbonica. 

Uno dei sintomi del progetto cagnara in corso è il libro di Roberto Vannacci, "Il Mondo al Contrario", di cui non avrete potuto evitare di sentir parlare a meno che non viviate in una grotta del monte Athos insieme agli altri monaci. 

Che dire di questo libro? Non vi dirò che l'ho letto, perché non ne vale decisamente la pena. Vi posso dire che gli ho dato una rapida passata, a mio parere più che sufficiente per capire di cosa si tratta. La definizione migliore sarebbe una "Fiera delle Banalità."  A parte il soggetto del Covid, del quale (a suo onore) Vannacci non dice quasi niente, si sente tuttavia in grado di dire sua su quasi tutti i campi possibili e immaginabili dello scibile umano. Vista la difficoltà dell'impegno, difficilmente ci saremmo potuti aspettare di meglio. 

Vi faccio un esempio del contenuto e dello stile della discussione con un paio di paragrafi sull'energia: 

"I pannelli solari e le turbine eoliche non crescono sugli alberi, non germogliano sui campi e non durano in eterno. Una centrale solare ha bisogno, oltre che del sole –che non c’è di notte – di semiconduttori al selenio-germanioo al gallio-arsenico e di silicio raffinato (col deprecato carbone, ovviamente). Una centrale eolica richiede migliaia di magneti permanenti fatti di terre rare come neodimio e disprosio, che generano migliaia di tonnellate di rifiuti tossici per chilogrammo di materiale raffinato. Per entrambe le forme di energia servono inoltre le batterie, che a loro volta richiedono milioni di tonnellate di nichel, cadmio, litio, cobalto e altri minerali."

Ora, se vi intendete un minimo di queste cose, la vostra reazione non può essere che quella che gli Americani chiamano "facepalm" -- ovvero coprirsi la faccia con il palmo della mano per l'orrore (in Italiano, diciamo "mettersi le mani nei capelli"). Sarebbe un'impresa inutile andare a demolirlo parola per parola, anche perché la discussione sull'energia del libro è piuttosto lunga e tutta a questo livello. Ma, per vostra curiosita, le centrali solari NON hanno bisogno di selenio, germanio, gallio, arsenico; non ci sono proprio nei pannelli solari dell'attuale generazione (a parte quantità infinitesime di gallio come dopante). E le "milioni di tonnellate" di cadmio che nelle batterie della generazione attuale non ci sono per niente. Per non parlare poi delle "migliaia di tonnellate di rifiuti tossici" per chilogrammo generate dall'estrazione delle terre rare. Una stima più ragionevole sarebbe "qualche decina di chilogrammi", un erroretto di un fattore 100.000. E così via, ma ci vorrebbe un altro libro intero solo per per spiegare tutti gli errori che il libro contiene.

Tuttavia, è anche vero che da quello che si legge sui social, sembra proprio che la maggioranza degli Italiani non troverebbe nulla di sbagliato in questi due paragrafi (e nei molti altri sullo stesso tono e livello).  Perlomeno su certi argomenti, e forse su quasi tutti, il libro di Vannacci sembra calibrato esattamente sul livello di conoscenza e di percezione della famigerata casalinga di Voghera. (*)

Viene da pensare che questo libro non sia semplicemente il parto di un signore di media cultura che ha deciso di insegnare a tutti cose di cui lui sa poco o nulla. E nemmeno che sia semplicemente un occasione per fare cagnara o ammuina. Piuttostto, che sia un'operazione fatta a tavolino sulla base dei risultati dei sondaggi per intercettare il cosiddetto "pubblico" o magari l'entità nota come "elettore medio". Quali siano gli obbiettivi politici specifici di questa operazione, lo vedremo nel prossimo futuro. Comunque vada, la cagnara non si ferma! 



(*) Il che non va inteso come un insulto rivolto alle signore che abitano a Voghera che non mi risultano essere meno intelligenti o meno colte della media. 

h/t Miguel Martinez

sabato 22 luglio 2023

Finiremo tutti bolliti? Probabilmente si, ma forse ce lo meritiamo




Gira in rete un testo pubblicato su “Libero quotidiano” a firma di Fausto Gnesotto, professore all’Università di Trieste, dal titolo “Riscaldamento Globale, Perché i meteorologi sbagliano." Lo trovate a questo link 

Il testo di Gnesotto ha avuto un certo successo e si può capire anche perché. In un momento di smarrimento per una situazione climatica che si sta facendo drammatica, è un testo tranquillizzante che si basa su un'idea molto popolare: “il clima è sempre cambiato”. E’ anche scritto da qualcuno che, in linea di principio, potrebbe essere qualificato per parlare di certi argomenti. Va insieme ad altre esternazioni di persone sicuramente blasonate, anche se non esperti di clima. Per esempio, il premio nobel Carlo Rubbia ha parlato di clima in modo tranquillizzante sulla base di cose tipo gli elefanti di Annibale che attraversavano le Alpi.

Così, succede anche a persone intelligenti di veder passare il testo di Gnesotto sui social. A una rapida passata gli sembra interessante, e così cliccano su “condividi” e il testo si diffonde e va a far parte di quella nuvola di scetticismo che circonda la questione del clima oggi. 

Si, ma di cosa stiamo parlando? Lo so che ormai quando si cerca di spiegare certe cose si viene classificati immediatamente come parte del complotto globale ordito dal WEF, il World Economic Forum di Klaus Schwab, per farci mangiare insetti. Però, fatemi provare a ragionarci sopra un attimo.

Cosa dice Gnesotto? Beh, cose tipo, “Purtroppo i climatologi dell’Ipcc (che dettano legge) sono dei meteorologi che possono conoscere le temperature solo dal 1800 in poi, mentre gli unici scienziati idonei a tracciare una storia del clima sono i geologi”. Un attimo….. I climatologi sono dei meteorologi? Da quando? Senza dir male dei meteorologi, che hanno una loro specializzazione ben precisa, i climatologi NON sono meteorologi. Sono specializzazioni completamente diverse, che si sovrappongono solo parzialmente. 

Quanto poi a “conoscere le temperature solo dal 1800 in poi”, non si capisce nemmeno cosa voglia dire. Esiste un campo che si chiama “paleoclimatologia” dove lavorano scienziati con diverse specializzazioni – anche geologi, ma non solo. Ed è un campo che non parte certamente dal 1800. Spazia su miliardi di anni anche se, ovviamente, più si va indietro nel tempo, più le ricostruzioni di temperatura sono incerte.

Gnesotto dice anche che “gli unici scienziati idonei a tracciare una storia del clima sono i geologi ... coi loro carotaggi pollinici”. E, anche qui, onestamente non ci siamo proprio. Lo studio del polline è uno dei tanti strumenti usati per questi studi, ma solo uno. Senza troppo sforzarmi le meningi, ve ne posso elencare svariati altri, dalla dendrocronologia (lo studio degli anelli degli alberi) allo studio delle carote glaciali. E’ chiaro che Gnesotto è uno che a studiato pollini per tutta la vita, ma forse avrebbe dovuto o potuto prendere in considerazione che ci sono altri campi che vanno in parallelo col suo.

E qui arriviamo alla ricostruzione del clima che fa Gnesotto, parlando di “cicli di 400 anni” di caldo e di freddo. E’ “un fatto storico che il clima muta periodicamente ogni 400 anni circa.” Non è chiaro cosa intenda Gnesotto con “fatto storico” ma la sua ricostruzione è completamente sbagliata. Non esiste nessun ciclo di 400 anni nel clima terrestre, in particolare in Europa. Non vi sto a raccontare i dettagli, ma la storia che racconta Gnesotto, fra vichinghi in Groenlandia, la Peste di Giustiniano, e la piccola era glaciale, è un miscuglio di leggende raffazzonate che non hanno base quantitativa. 

Se volete capire qualcosa del clima del passato in Europa, potete consultare un articolo di Ulf Buentgen, che è un paleoclimatologo, fra le altre cose con qualifiche in geologia. Qui, trovate una ricostruzione delle temperature in Europa degli ultimi 2500 anni, e con tutta la buona volontà non ci troverete nessun ciclo di 400 anni. Se proprio vi volete divertire, potete dare un’occhiata a questo articolo del 2016 di Lüdecke e altri, che hanno fatto del loro meglio per analizzare i dati alla ricerca di cicli climatici. Forse c’è qualcosa con un periodo di 200 anni, ma niente a 400. La temperatura dell'Europa, durante questo periodo, è cambiata molto poco. Niente che abbia a che vedere con quello che sta succedendo adesso. 

Vedete quindi che con un po’ di buona volontà non è impossibile andare a capire se qualcuno parla sapendo di cosa parla, oppure no. Da notare che non sto mettendo in dubbio la competenza del Prof. Gnesotto nel suo campo, la palinologia, così come non mi azzarderei mai a mettere in dubbio la competenza di Carlo Rubbia nella fisica delle particelle. Mi sento però in grado di mettere in dubbio la competenza di Gnesotto nel campo generale della paleoclimatologia, come pure quella di Rubbia quando parla degli elefanti di Annibale.

Certo, questo richiede un minimo di lavoro e di competenza spicciola; anche solo sapere la differenza fra “meteorologo” e “climatologo” aiuta molto. Ma non basta, bisogna sapersi districare un attimo nella letteratura scientifica: se leggete che qualcuno parla di una “periodicità di 400 anni nel clima” non è che dovete essere dei paleoclimatologi esperti per andare a verificare se esiste oppure no. Però dovete essere in grado di leggere un articolo scientifico in Inglese e, se necessario, tirarlo fuori dal “paywall” dietro il quale gli scienziati lo hanno nascosto. Come se se ne vergognassero, un altro autogol della “Scienza”-

Il problema è che ben pochi hanno questo tipo di competenza. E allora, si ritorna al solito punto. Il dibattito si basa su concetti come “il tale professore ha detto questo” ma “il talaltro professore ha detto esattamente il contrario”. E quando qualcuno ti dice, " ma se gli scienziati ci hanno imbrogliato sul virus, perché dovrei credere a quello che ci raccontano sul clima?" non gli posso in coscienza dare torto. In pochi anni, la scienza ha rovinato la reputazione che si era costruita in un paio di secoli di lavoro, non solo col Covid, ma con tante altre cose.

E allora come ne usciamo? Francamente, non ne ho idea. Mi sa che se il dibattito rimane quello che è oggi, finiremo tutti bolliti. E, forse, ce lo meritiamo.

domenica 11 giugno 2023

Che Pena il Dibattito sul Clima


Dal "Fatto Quotidiano" del 24 Maggio 2023


Il disastro dell’Emilia-Romagna ha generato un’accesa discussione fra quelli che lo attribuiscono al cambiamento climatico e quelli che lo danno come dovuto alla cementificazione o ai verdi che non vogliono tagliare gli alberi. E’ parte del dibattito sul clima che, purtroppo, è degenerato in una polemica assai semplificata, per non dir di peggio. Oltre ad accusare (o scagionare) il CO2 per i fenomeni estremi, non c’è molto di più che ragionamenti sul fatto che “il clima è sempre cambiato,” e vaghi discorsi sugli elefanti di Annibale, o le Alpi prive di ghiaccio nel Medio Evo. E da questo se ne dovrebbe dedurre che il cambiamento non è colpa dell’uomo e non azzardatevi a togliermi la mia suv. Dall’altra parte, si tende a liquidare le obiezioni parlando di “negazionismo” (termine che non uso e che suggerirei a tutti di non usare) e con il concetto che “il 99% degli scienziati è d’accordo, e allora tacetevi”.

E’ un peccato che il dibattito sul clima si sia ridotto a questo basso livello. Ma è un fatto che la politica vuole certezze; pochi e semplici concetti in bianco e nero. Invece, la scienza (quella vera, non quella dei televirologi) tende sempre a sfumature di grigio. Questo è vero in particolare per la scienza del clima; una faccenda complessa e incerta, ed è proprio questo che la rende così affascinante. Forse anche i negazionisti… (oops, scusate, mi è sfuggito!) la troverebbero affascinante se avessero voglia di fare uno sforzo per capirla.

Su questo punto, vi posso raccontare di qualche sviluppo recente. Per cominciare, c’è un articolo in preparazione di James Hansen e altri che fa il punto su quello che si sa sul clima degli ultimi 66 milioni di anni, il periodo chiamato “Cenozoico”. Quello, per intendersi, dei mammiferi dopo l’estinzione dei dinosauri. E, per la felicità di quelli che dicono che “il clima è sempre cambiato”, beh, è proprio vero: all’inizio del Cenozoico le temperature erano qualcosa come 10-12 gradi più alte di oggi. Era un mondo diverso, senza ghiacci ai poli, con il livello del mare più alto di circa 60 metri rispetto all’attuale, e molte altre cose.

Il punto è, tuttavia, che il clima non cambia per caso. Ci sono delle ragioni che lo destabilizzano ed è questo il soggetto dell’articolo di Hansen. Viene fuori che siamo oggi in condizioni di concentrazioni di gas serra tali che a lungo andare potremmo tornare alle condizioni dell’inizio del Cenozoico; ovvero 10 gradi in più di temperatura, con gli annessi 60 metri di innalzamento del livello del mare. Non succederà a breve scadenza ma, quantomeno, è una strada un po’ pericolosa quella che abbiamo preso.

C’è poi di un altro articolo recente, che studia un argomento complementare, ovvero i fattori che tendono a stabilizzare il clima. Anche qui, leggiamo una storia affascinante: sono questi fattori che hanno reso possibile la sopravvivenza della vita terrestre per miliardi di anni. Questo studio è una conferma della cosiddetta “Ipotesi Gaia” presentata tempo fa da Lynn Margulis e James Lovelock. Ma non facciamoci troppe illusioni: sono fenomeni molto lenti se confrontati con l’esistenza umana. Su scale di tempi relativamente brevi – meno di qualche migliaio di anni – non compenseranno la perturbazione antropogenica attuale.

Per finire, un cenno a un articolo al quale ho contribuito anch’io sul ruolo delle foreste nella regolazione del clima e dell’umidità atmosferica. Viene fuori che le foreste stabilizzano sia il clima come le precipitazioni quando sono in buona salute e potrebbero avere un effetto benefico nell’evitare disastri come quello recente in Emilia-Romagna. Ma, anche qui, l’azione umana in termini di tagli indiscriminati e cementificazione ha fatto danni.

Tutte queste cose sono affette da inevitabili incertezze e risultano incomprensibili da chi vede il mondo in bianco e nero, come è normale nel dibattito politico. Ma, nel dubbio, io prenderei qualche precauzione. Oltre alle cose che già sappiamo su come combattere il riscaldamento globale, io lascerei anche le foreste in pace e ne pianterei di nuove.

lunedì 22 maggio 2023

Firenze: la "non-città". La trasformazione da cittadini in abitanti

 


Aurora Suleimanovich, nuova cittadina del quartiere di Oltrarno di Firenze e, in quanto tale, appartenente di diritto della compagnia dei "Bianchi."  


Ieri, a Firenze, abbiamo visto la cerimonia della benedizione delle bandiere dei Bianchi nella chiesa di Santo Spirito, una delle quattro compagnie di "calcianti" di Firenze. Bello, coinvolgente, addirittura travolgente. Non ancora, miracolosamente, solo un attrazione turistica, ma una cosa sentita e creduta da molti fiorentini. Le "compagnie", organizzazioni di quartiere spesso in competizione fra loro, sono una tradizione che va indietro al Medio Evo, e che continua tuttora. Sono parte di quello che rende una città un'entità vivente, qualcosa che ha una sua esistenza organica e che crea i cittadini, opposti a quelli che sono semplicemente "abitanti." Purtroppo, Firenze si sta trasformando da una città in un insieme di appartamenti, e i cittadini in abitanti. Forse è inevitabile, o forse le cose cambieranno di nuovo nel futuro. Per il momento, questa è la situazione. I dettagli ve li potete leggere in questo bel post di Miguel Martinez sul suo blog "Kelebek" (La farfalla). 


I Bianchi di Santo Spirito e la Saligia

Oggi ho partecipato al corteo che da Santa Maria del Carmine andava a Santo Spirito, per ottenere la benedizione delle bandiere dei Bianchi: tra poco, i nostri scenderanno nella sabbia di Santa Croce, e se vinceranno (e se sopravviveranno), disputeranno il finale a San Giovanni, il 24 giugno (dove qualche anno fa spaccarono la clavicola al nostro grande Vàllero, e lo mandarono in coma).

Ho scritto Santa/Santo/San quattro volte, e dà un quadro del nostro mondo

E’ gente da moccoli, che non va spesso in chiesa, e il Priore degli Agostiniani, nella sua predica, li smaschera subito, dicendo che cercano la benedizione per vincere, solo che anche i Rossi, i Verdi e gli Azzurri, da furbi, si sono fatti benedire le bandiere anche loro, e quindi si neutralizzano tutti a vicenda.

E’ una piccola umanità di Sioux o di hobbit o semplicemente di beceri, come preferite.

Questa antica umanità (nella foto, da sinistra, ape, antilope e luna) è sull’orlo dell’estinzione, esattamente come tutte le altre umanità, e magari anche la umanità stessa, o la vita stessa, a causa di quella forza impersonale e demoniaca, che si chiama capitalismo.

Nella navata di Santo Spirito, una signora americana dallo splendido sorriso, mi chiede cosa stanno celebrando. E provo in circa centosedici secondi, a spiegarle cos’è il Calcio in Costume; e lei mi sorride, alza il pugno e dice, “I hope the Whites win!”

Ecco, questa è la turista.

Che è l’umanità colta nel suo momento migliore: il momento in cui partiamo con grandi occhi spalancati, cercando di amare e scoprire il mondo.

Ma ecco invece cos’è il turismo.

Dal sito Inside AirBnB, la mappa di puntini rossi dei luoghi su cui la multinazionale AirBnB, proprietà dei signori Brian Chesky, Nathan Blecharczyk e Joe Gebbia, ha creato un impero miliardario, senza magari aver mai messo piede a Firenze.

Innanzitutto ecco tutta Firenze:

Che poi colpisce ancora di più quando vedi cosa è successo strada per strada nel nostro Rione:

Per ogni puntino rosso, immaginatevi una storia.

Che va da

  • ho seri problemi economici, affitto la stanza dei figlioli ormai grandi che se ne sono andati di casa, e faccio pure amicizia con l’americana dallo splendido sorriso che vuole sapere tutto del nostro rione
  • ho una seconda casa, e me ne vado a vivere a Soffiano, e affitto quella in centro, e sulla porta ci metto un lucchetto a codice così non devo nemmeno guardare in faccia l’ospite, che sarà solo una transazione sul mio conto corrente
  • ho una casa che ho affittato anni fa per un prezzo ragionevole alla Nonna Nietta che è pensionata, e l’ho venduta a una finanziaria delle Isole Cayman che in realtà appartiene a una finanziaria londinese che campa di soldi sauditi, e la finanziaria di Nonsisadove sta mandando minacce per sfrattare la Nonna Nietta, per affittare casa sua a dieci volte il prezzo

Non immaginatevi mai mostri (nemmeno la Nonna Nietta è perfetta, anche se ci si avvicina).

Smettetela di odiare i padroni.

Pensate al capitalismo, che entra dentro ciascuno di noi e ci corrode, e non ha nome né volto né corpo, ma ci tenta sempre per SaligiaSuperbia, Avarizia, Lussuria, Invidia, Gola, Ira, Accidie. Ciò che gli economisti chiamano, mercato.

Eppure alla fine del capitalismo e della Saligia, dopo le mille scuse che ciascuno di noi avanza, c’è solo la morte.

La morte del rione, la morte della diversità delle culture, la morte delle famiglie, la morte della terra, delle radici, dei funghi, delle identità, degli alberi, dei tassi, delle lingue, delle stagioni, delle donne e degli uomini, l’avvelenamento di terra, acqua, aria.

E da non cristiano, resto fulminato dalle parole che San Paolo (ancora un San!) rivolse agli efesini:

“La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti”

martedì 14 marzo 2023

Niente Foreste, Niente Pioggia. Un recente studio lo dimostra

  


L'idea che le foreste creino pioggia è nota ai contadini da centinaia, forse migliaia, di anni. I primi studi scientifici risalgono ad Alexander von Humboldt (1769-1859), ma l'argomento rimane controverso. Tuttavia, stiamo iniziando a comprendere le profonde e complesse interazioni tra l'atmosfera e la biosfera. Esse formano un vero e proprio "olobionte", un sistema di elementi collegati che si influenzano a vicenda in modo non lineare. Un recente lavoro pubblicato da un gruppo di ricerca guidato da Anastassia Makarieva mostra come l'evapotraspirazione, l'evaporazione dell'acqua da parte degli alberi, modifichi la dinamica del vapore acqueo e possa generare regimi ad alto contenuto di umidità che forniscono la pioggia necessaria all'ecosistema terrestre. C'è ancora molto da capire su questi meccanismi, ma un punto è chiaro: le foreste sono un elemento cruciale per la stabilità del clima terrestre, e devono essere preservate il più possibile (U.B.) (dal blog "The Proud Holobionts")


Qui sotto, la traduzione del comunicato stampa a cura degli autori (traduzione cortesia di Mara Baudena)


Traspirazione da parte delle foreste e il ciclo dell'acqua sulla terra. Una relazione non banale

Makarieva, A. M.,  Nefiodov, A. V.,  Nobre, A. D.,  Baudena, M.,  Bardi, U.,  Sheil, D.,  Saleska, S. R.,  Molina, R. D., &  Rammig, A. 

Con la crescente scarsità d’acqua a livello globale e la deforestazione che minaccia molte delle foreste naturali rimaste, è sempre più urgente cercare di capire come le piante influenzino le piogge e più in generale il ciclo dell’acqua. Uno studio internazionale, capeggiato dalla Technical University di Monaco di Baviera (Germania), a cui ha partecipato l’Istituto di Scienze dell'Atmosfera e del Clima del Consiglio nazionale delle ricerche di Torino (Cnr-Isac) e pubblicato su Global Change Biology, rivela che, quando le condizioni atmosferiche sono umide, le foreste contribuiscono attivamente ad aumentare il trasporto di umidità dal mare alla terraferma. Viceversa, date condizioni atmosferiche più secche, la traspirazione delle piante può far diminuire il trasporto di umidità marina sulla terra e quindi le piogge.

Lo studio va molto oltre alle convinzioni tradizionali sul ruolo delle piante nel ciclo dell’acqua. “Abbiamo basato la nostra analisi su un nostro risultato precedente, cioè che l'aumento dell'umidità dell’aria dovuto alla presenza della foresta amazzonica porta a un grande incremento della pioggia” dichiara la Dr. Mara Baudena, ricercatrice del Cnr-Isac e coautore della ricerca. Combinando questa dipendenza con una piena considerazione del bilancio idrico atmosferico, i ricercatori hanno dimostrato che l’aumento delle piogge legato alla presenza delle foreste in condizioni umide, porta a una maggiore importazione di umidità dai mari. “Tali risultati confermano la teoria secondo cui le foreste agiscono come una “pompa biotica”, un cuore pulsante che sposta l’acqua sul pianeta” dichiara la Dr. Anastassia Makarieva (Technical University di Monaco di Baviera), primo autore del lavoro. Continua: “C’è anche una controparte: esistono due regimi per il ciclo dell’acqua, uno secco ed uno umido. In condizioni secche, la traspirazione delle foreste non porta a piogge e anzi va a diminuire il trasporto di umidità dal mare all’entroterra”. Questi risultati sono validi ovunque, dall’Amazzonia all’altopiano desertico del Loess, in Cina.

I risultati dello studio hanno profonde implicazioni, per esempio per la resilienza delle foreste tropicali di fronte al pericolo della deforestazione e del cambiamento climatico. La deforestazione può deumidificare l'atmosfera e quindi portare la foresta in un regime più secco, dove la vegetazione in ricrescita potrebbe estrarre ulteriormente l’acqua dal suolo intensificando l’aridità e al contempo diminuire l'importazione di aria umida dall’oceano. Uscire da questa trappola potrebbe essere impossibile. “Speriamo che i risultati dello studio aumentino la consapevolezza dell'importanza della conservazione delle foreste pluviali” continua Baudena. "Dobbiamo tenere conto delle relazioni olobiontiche tra tutti gli elementi dell'ecosistema che consentono una regolazione efficiente del ciclo dell'acqua", aggiunge un altro autore, il dott. Ugo Bardi (Club di Roma, Università di Firenze).

C’è anche una buona notizia: anche nelle terre aride, ripristinando la vegetazione originaria si dovrebbe poter migliorare l’apporto di umidità atmosferica dal mare verso l’entroterra. Per raggiungere questo obiettivo, la strategia di ripristino ecologico dovrebbe essere attentamente progettata per guidare la transizione dell'ecosistema dal regime secco a quello umido. Conclude Makarieva: “I flussi d'acqua atmosferici non riconoscono i confini internazionali; quindi, la deforestazione in una regione potrebbe innescare una transizione al regime più secco in un'altra. I nostri risultati indicano che le foreste naturali della Terra, sia alle alte che alle basse latitudini, sono la nostra eredità comune di fondamentale importanza globale, in quanto supportano il ciclo dell'acqua terrestre. La loro conservazione dovrebbe diventare una priorità ampiamente riconosciuta per risolvere la crisi idrica globale».

La scheda

Chi: Cnr-Isac (Torino), Università Tecnica di Monaco (Germania), Centro de Ciência do Sistema Terrestre INPE, São Paulo, Brazil, Dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze

Che cosa: Makarieva, A. M.,  Nefiodov, A. V.,  Nobre, A. D.,  Baudena, M.,  Bardi, U.,  Sheil, D.,  Saleska, S. R.,  Molina, R. D., &  Rammig, A. (2023).  The role of ecosystem transpiration in creating alternate moisture regimes by influencing atmospheric moisture convergence. Global Change Biology,  00,  1– 21. https://doi.org/10.1111/gcb.16644


 

 

sabato 11 febbraio 2023

Quelle maledette scimmie della savana: la nuova grande provincia ignea

Da "The Proud Holobionts" Giovedì 2 febbraio 2023


In un post precedente, ho descritto come le scimmie della savana si sono evolute e come hanno cambiato l'ecosistema terrestre nel processo. Qui diamo uno sguardo al futuro. Le scimmie potrebbero davvero fare molti danni.

Le gigantesche eruzioni vulcaniche chiamate "Grandi Province Ignee" o LIP ("Large Igneous Provinces") tendono a verificarsi sul nostro pianeta a  intervalli dell'ordine di decine o centinaia di milioni di anniSono eventi giganteschi che provocano la fusione della superficie di interi continenti. I risultati sono devastanti: ovviamente, tutto ciò che è organico sulla traiettoria della massa lavica in crescita viene distrutto e sterilizzato, ma l'effetto planetario dell'eruzione è ancora più distruttivo. Si ritiene che le LIP riscaldino i giacimenti di carbone a temperature sufficientemente elevate fargli prendere fuoco. Questi enormi incendi assorbono ossigeno dall'atmosfera, trasformandolo in CO2. Il risultato è un intenso riscaldamento globale, accompagnato da anossia. Nel caso del più grande di questi eventi, l'estinzione della fine del Permiano di circa 250 milioni di anni fa, l'intera biosfera rischiò seriamente di essere sterilizzata. Fortunatamente, il sistema si è ripreso e siamo ancora qui, ma è ci siamo andati vicini.

Si ritiene che le LIP siano il risultato di movimenti interni del nucleo terrestre. Per qualche ragione, giganteschi pennacchi di lava tendono a svilupparsi nel mantello terrestre e a spostarsi verso la superficie. È lo stesso meccanismo che genera i vulcani, solo su scala molto più ampia. Da quello che sappiamo, le LIP sono imprevedibili, sebbene possano essere correlati a un "effetto di copertura" generato dalla danza dei continenti sulla superficie terrestre. Quando i continenti sono raggruppati insieme, tendono a riscaldare il mantello sottostante, e questa potrebbe essere l'origine del pennacchio che crea la LIP.

Naturalmente, se una LIP dovesse aver luogo oggigiorno, i risultati sarebbero alquanto catastrofici, forse più catastrofici di quanto la fantasia dei cineasti di Hollywood possa immaginare. Nei loro film, ci hanno tirato addosso tutti i tipi di disastri possibili, dagli tsunami a interi asteroidi. Ma immaginare che l'intero continente nordamericano diventi un bacino di lava incandescente, beh, è ​​davvero catastrofico!

Fortunatamente, i LIP sono processi geologici lenti e anche se ci sarà un altro di questi eventi nel nostro futuro, non accadrà nella scala temporale delle vite umane. Ma ciò non significa che gli umani, quelle noiose scimmie della savana, non possano fare del loro meglio per creare qualcosa di simile. E, sì, sono impegnati nella straordinaria impresa di creare un equivalente di una LIP bruciando enormi quantità di carbonio organico ("fossile") che si era sedimentato sottoterra in decine o centinaia di milioni di anni di attività biologica. 

È notevole quanto sia stata rapida la LIP delle scimmie. Le LIP geologiche coprono in genere milioni di anni. La LIP delle scimmie ha attraversato il suo ciclo in poche centinaia di anni: la vediamo svilupparsi proprio ora. Finirà quando la concentrazione di carbonio fossile immagazzinato nella crosta diventerà troppo bassa per autosostenere la combustione con l'ossigeno atmosferico. Proprio come tutti gli incendi, il grande incendio del carbonio fossile finirà quando finirà il carburante, probabilmente tra meno di un secolo. Anche in così poco tempo, è probabile che la concentrazione di CO2 raggiunga, e forse superi, livelli visti nel passato solo prima dell'Eocene, circa 50 milioni di anni fa. Non è impossibile che possa raggiungere più di 1000 parti per milione e anche di più. Oltre quattro volte i valori della concentrazione di prima che le scimmie mettessero mano ai loro fuochi alimentati da carbonio fossile. 

C'è sempre la possibilità che una così alta concentrazione di carbonio nell'atmosfera spinga la Terra oltre il limite della stabilità e uccida Gaia surriscaldando il pianeta. Ma non è uno scenario molto interessante: moriamo tutti e basta. Quindi, esaminiamo la possibilità che la biosfera sopravviva al grande impulso di carbonio generato dalle scimmie della savana. Che cosa accadrà?

Le stesse scimmie saranno probabilmente le prime vittime dell'impulso di CO2 che hanno generato. Senza i combustibili fossili su cui fanno affidamento, il loro numero diminuirà molto rapidamente. Dall'incredibile numero di 8 miliardi di individui, che hanno recentemente raggiunto, torneranno ai livelli tipici dei loro primi antenati della savana: forse solo poche decine di migliaia. Molto probabilmente, si estingueranno. In ogni caso, difficilmente riusciranno a mantenere la loro abitudine di abbattere intere foreste. Senza scimmie impegnate nel business del taglio e con alte concentrazioni di CO2, le foreste sono avvantaggiate rispetto alle savane, ed è probabile che ricolonizzino la terra, e vedremo di nuovo un pianeta lussureggiante e boscoso (le scimmie arboree probabilmente sopravvivranno e prospereranno). Tuttavia, le savane non scompariranno. 

Su tempi molto lunghi, il grande ciclo di riscaldamento e raffreddamento terrestre potrà ricominciare dopo la fine della grande LIP delle scimmie, proprio come è successo per le LIP geologiche "naturali". Tra qualche milione di anni, la Terra potrebbe assistere a un nuovo ciclo di raffreddamento che porterà di nuovo a una serie di ere glaciali simili a quelle del Pleistocene. A quel punto, potrebbero evolversi nuove scimmie della savana. Potrebbero riprendere la loro abitudine di sterminare la megafauna, bruciare foreste e costruire utensili in pietra. Ma non avranno la stessa abbondanza di combustibili fossili che le scimmie chiamate " Homo sapiens " avevano trovato quando emersero nelle savane. Quindi, il loro impatto sull'ecosistema sarà minore. 

E poi cosa? In tempi molto lunghi, il destino della Terra è determinato dal lento aumento dell'irradiazione solare che, a lungo andare,  eliminerà tutto l'ossigeno dall'atmosfera e sterilizzerà la biosfera , forse tra meno di un miliardo di anni. Nel frattempo, potremmo assistere a più cicli di riscaldamento e raffreddamento prima che l'ecosistema terrestre collassi. A quel punto, non ci saranno più foreste, né animali, e potrà persistere solo la vita unicellulare. Deve essere così. Gaia, povera signora, sta facendo il possibile per mantenere in vita la biosfera, ma non è onnipotente. E nemmeno immortale. 

Tuttavia, il futuro è sempre pieno di sorprese e non bisogna mai sottovalutare quanto sia intelligente e intraprendente Gaia. Pensate a come ha reagito alla carenza di CO2 delle ultime decine di milioni di anni. Ha inventato non solo uno, ma due nuovi meccanismi di fotosintesi progettati per funzionare a basse concentrazioni di CO2: il meccanismo detto "C4" tipico delle erbe e un altro chiamato metabolismo dell'acido crassulaceo (CAM) . Per non parlare di come la simbiosi fungo-pianta nella rizosfera si sia evoluta con nuovi stratagemmi e nuovi meccanismi. Non ci possiamo immaginare cosa possa inventare la vecchia signora nel suo garage insieme ai suoi Elfi scienziati (quelli che lavorano anche part-time per Babbo Natale). 

Ora, cosa succede se Gaia inventa qualcosa di ancora più radicale in termini di fotosintesi? Una possibilità sarebbe che gli alberi adottassero il meccanismo C4 e creassero nuove foreste che sarebbero più resistenti alle basse concentrazioni di CO2. Ma possiamo pensare a innovazioni ancora più radicali. Per esempio di un percorso di fissazione dell'energia solare che non funzioni solo con meno CO2, ma che non richiede nemmeno CO2. Sembra quasi miracoloso ma, sorprendentemente, quel percorso esiste . Ed è stato sviluppato esattamente da quelle scimmie della savana che hanno armeggiato con - e parzialmente rovinato - l'ecosfera. 

Il nuovo percorso fotosintetico non usa nemmeno molecole di carbonio ma usa solo silicio solido (le scimmie la chiamano "energia fotovoltaica"). Immagazzina l'energia solare sotto forma di elettroni eccitati che possono essere conservati a lungo sotto forma di metalli ridotti o altre specie chimiche. Le creature che utilizzano questo meccanismo non hanno bisogno di anidride carbonica nell'atmosfera, non hanno bisogno di acqua e possono cavarsela anche senza ossigeno. Ciò che le nuove creature possono fare è difficile da immaginare per noi (anche se  possiamo provarci ). 

In ogni caso, Gaia è una donna tosta, e potrebbe sopravvivere molto più a lungo di quanto possiamo immaginare, anche con un sole abbastanza caldo da ridurre in cenere la biosfera. Le foreste sono le creature di Gaia, e lei è benevola e misericordiosa (non sempre, però), quindi potrebbe tenerle con sé per molto, molto tempo. (e, chissà, potrebbe anche risparmiare le scimmie della savana dalla sua ira!). 


Potremmo essere scimmie della savana, ma rimaniamo intimoriti dalla maestosità delle foreste. L'immagine di una foresta fantastica dal film di Hayao Miyazaki, "Mononoke no Hime", risuona molto con noi.


mercoledì 8 febbraio 2023

Gaia in movimento: l'ascesa delle scimmie della savana

 Da "The Proud Holobionts"

Non esistono scimmie boreali. O forse, ne esiste solo una, ma non è non esattamente una scimmia!


I primati sono creature arboree che si sono evolute nell'ambiente caldo delle foreste dell'Eocene. Usavano i rami degli alberi come rifugio e potevano adattarsi a vari tipi di cibo. Ma, dal punto di vista di questi antichi primati, la riduzione dell'area occupata dalle foreste tropicali iniziata con la " Grande Coupure," circa 30 milioni di anni fa, fu un disastro. Non erano attrezzati per vivere nelle savane: erano lenti a terra: un facile pranzo per i predatori dell'epoca. Inoltre, i primati non colonizzarono mai le foreste settentrionali della taiga eurasiatica. Molto probabilmente non perché non potessero vivere in ambienti freddi (alcune scimmie di montagna moderne possono farlo), ma perché non potevano attraversare la steppa che separava le foreste tropicali da quelle settentrionali. Se per caso ci hanno provato, i carnivori della steppa hanno fatto in modo che non ci riuscissero.  

Alla fine, le scimmie furono costrette a trasferirsi nella savana. Durante il Pleistocene, circa 4 milioni di anni fa, apparvero in Africa gli Australopitechi, (fonte immagine ). Possiamo chiamarle le prime "scimmie della savana". Parallelamente, forse un po' più tardi, si è evoluto in Africa anche un altro tipo di scimmia che viveva nella savana, il babbuino. All'inizio, australopitechi e babbuini probabilmente praticavano tecniche di vita simili, ma col tempo si svilupparono in specie molto diverse. I babbuini esistono ancora oggi: sono una specie robusta e adattabile che, tuttavia, non ha mai sviluppato le caratteristiche speciali degli australopitechi che li hanno trasformati in esseri umani. Le prime creature che classifichiamo come appartenenti al genere Homo, l' homo habilis, sono apparse circa 2,8 milioni di anni fa. Erano abitanti della savana. 

Questo ramo di scimmie della savana ha vinto il gioco della sopravvivenza attraverso una serie di innovazioni evolutive. Hanno aumentato le loro dimensioni corporee per una migliore difesa, hanno sviluppato una posizione eretta per avere un campo visivo più esteso, hanno potenziato il loro metabolismo eliminando i peli del corpo e usando la sudorazione profusa per rinfrescarsi, hanno sviluppato linguaggi complessi per creare gruppi sociali per la difesa dai predatori, e hanno imparato a realizzare strumenti di pietra adattabili a diverse situazioni. Infine, hanno sviluppato uno strumento che nessun animale sulla Terra aveva mai imparato prima: il fuoco. Nel giro di poche centinaia di migliaia di anni, si sono diffuse in tutto il mondo dalla loro base iniziale in una piccola area dell'Africa centrale. Le scimmie della savana, ora chiamate "Homo sapiens," furono uno straordinario successo evolutivo. Le conseguenze sull'ecosistema sono state enormi.

Innanzitutto, le scimmie della savana hanno sterminato la maggior parte della megafauna, i grandi erbivori che popolavano le steppe e le savane. Gli unici grandi mammiferi sopravvissuti all'assalto furono quelli che vivevano in Africa, forse perché si sono evoluti insieme agli australopitechi e hanno sviluppato specifiche tecniche di difesa. Ad esempio, le grandi orecchie dell'elefante africano sono un sistema di raffreddamento destinato a rendere gli elefanti in grado di far fronte all'incredibile resistenza dei cacciatori umani. Ma in Eurasia, Nord America e Australia, l'arrivo dei nuovi arrivati ​​è stato così rapido e inaspettato che la maggior parte dei grandi animali è stata spazzata via. 

Eliminando i megaerbivori, le scimmie avevano, teoricamente, dato una mano ai concorrenti dell'erba, delle foreste, che ora avrebbero avuto più facilità a invadere i prati senza vedere calpestati i loro germogli. Ma anche le scimmie della savana avevano assunto il ruolo di megaerbivori. Hanno usato gli incendi con grande efficienza per disboscare le foreste per fare spazio alla selvaggina che cacciavano. In seguito, con lo sviluppo della metallurgia, le scimmie riuscirono ad abbattere intere foreste per fare spazio alla coltivazione delle specie erbacee che nel frattempo avevano addomesticato: grano, riso, mais, giura e molte altre. 

Ma le scimmie della savana non erano necessariamente nemiche delle foreste. Parallelamente all'agricoltura, gestivano anche intere foreste come fonti di cibo. La storia delle foreste di castagno del Nord America è oggi quasi dimenticata ma, circa un secolo fa, le foreste della regione erano in gran parte  formate da alberi di castagno  piantati dai nativi americani come fonte di cibo ( fonte immagine). All'inizio del XX secolo, il castagneto fu devastato dalla "peronospora del castagno", una malattia fungina originaria della Cina. Si dice che siano stati distrutti circa 3-4 miliardi di castagni e, ora, il castagneto non esiste più. Il castagneto americano non è l'unico esempio di foresta gestita, o addirittura creata, dall'uomo. Anche la foresta pluviale amazzonica, a volte considerata un esempio di foresta "naturale", mostra segni di essere stata gestita in passato dai nativi amazzonici come fonte di cibo e altri prodotti. 

L'azione delle scimmie della savana è sempre stata massiccia e, nella maggior parte dei casi, si è conclusa con un disastro. Anche gli oceani non erano al sicuro dalle scimmie: riuscirono quasi a sterminare le balene, trasformando vaste aree degli oceani in deserti. A terra, intere foreste furono rase al suolo. Ne seguì la desertificazione, provocata da "mega siccità" quando il ciclo delle piogge non era più controllato dalle foreste. Anche quando le scimmie risparmiavano una foresta, spesso la trasformavano in una monocoltura, soggetta ad essere distrutta dai parassiti, come dimostra il caso dei castagneti americani. Eppure, in un certo senso, le scimmie stavano facendo un favore alle foreste. Nonostante le enormi perdite causate da seghe e accette, non sono mai riusciti a  sterminare completamente una specie di albero , anche se oggigiorno alcune sono in grave pericolo di estinzione. 

L'azione più importante delle scimmie in tempi recenti è la loro abitudine di bruciare specie di carbonio sedimentate che erano state rimosse dall'ecosfera molto tempo prima. Le scimmie chiamano queste specie di carbonio "combustibili fossili." Hanno trovato una vero tesoro sepolto usando l'energia immagazzinata in questo antico carbonio senza la necessità di passare attraverso il lento e laborioso processo di fotosintesi. Così facendo, hanno innalzato la concentrazione di CO2 nell'atmosfera a livelli che non si vedevano da decine di milioni di anni prima. Questo carbonio è cibo gradito per gli alberi, che ora si stanno riprendendo dalla loro precedente situazione difficile durante il Pleistocene, quando la concentrazione di CO2 era talmente bassa da mettere a rischio il meccanismo fotosintetico detto "C3", quello usato dagli alberi. In questo modo, le foreste stanno riconquistando alcune delle terre che avevano perso a causa dell'invasione dell'erba. Nel nord dell'Eurasia, la taiga si sta espandendo e sta gradualmente eliminando la vecchia steppa dei mammut. Stiamo vedendo la tendenza a un ritorno del verde nel deserto del Sahara. 

Il problema, però, è che l'aumento della concentrazione di biossido di carbonio sta portando la terra a una nuova situazione di equilibrio di temperature molto elevate che non si vedeva dal lontano Eocene. E' una Terra diversa quella che le scimmie della savana stanno creando, e lo stanno facendo senza rendersene conto. E senza nemmeno rendersi conto che loro stesse potrebbero non sopravvivere alla trasformazione. 

Quello che le scimmie della savana hanno potuto fare è stata probabilmente una sorpresa per la stessa Gaia, che ora deve  essere lì a grattarsi la testa, chiedendosi cosa sia successo alla sua amata Terra. E cosa succederà ora con l'aumento delle temperature che sembra essere inarrestabile? Ci sono diverse possibilità, inclusa un'estinzione catastrofica della maggior parte dei vertebrati, o forse di tutti. O, forse, una nuova esplosione evolutiva potrebbe sostituirli con forme di vita completamente nuove. Quello che possiamo dire è che l'evoluzione ha "messo il turbo" in questa fase dell'esistenza del pianeta Terra. I cambiamenti saranno molti e molto rapidi. Non necessariamente piacevoli per le specie esistenti ma, come sempre, Gaia ne sa più di noi.