Questo è il mio ultimo libro, sarà presentato a Firenze questo fine settimana. E' la ricerca della storia di un eroe dimenticato della prima guerra mondiale. Una storia di eroismo, dovere, sofferenza e della sconfitta finale di un uomo onesto che ha fatto il suo dovere fino alla fine: Armando Vacca il suo nome, di cui sono onorato di essere stato un umile biografo.
A commento di questa storia, un testo di Elena Corna sul concetto di "Guerra Giusta". Secondo Elena, il concetto sviluppato da Agostino è stato oggi stravolto a tal punto da giustificare lo sterminio di massa, un argomento discusso anche nel mio libro.
La Guerra Giusta
di Elena Corna
Dice il re di Sparta Archidamo (Tuc., I,80):
Nessuno può desiderare la guerra, né ritenerla utile e priva di incognite.” I
Greci non hanno fatto molte guerre, in pratica sono tre, Troia, le
guerre contro i persiani e la guerra del Peloponneso, ma molto hanno
riflettuto. E hanno sempre pensato che la guerra è una disgrazia
assoluta, che consegue come ananke da un atto di ubris. E crea
conseguenze a non finire. E’ stato così per la guerra di Troia e anche
per le guerre persiane. La tracotanza dei Greci nel portare guerra a
Troia ha causato infiniti lutti, e la ubris di Serse nell’invadere la
Grecia anche.
Eschilo, i Persiani: “
creatura mortale
non deve concepire pensieri oltre misura, chè tracotanza fruttifica in
spiga di rovina e miete messe di pianto (v. 816 sgg.) E’ il fantasma di
Dario che parla. Idem Agamennone 438: anche i vincitori piangono i lutti, la guerra non è bene per nessuno. Euripide Trioane e Elena (avete combattuto per un fantasma). Aristofane, Lisistrata. La condanna della guerra è netta.
Ed
è da notare che nella produzione letteraria c’è spesso il presentare il
punto di vista dei vinti, come nei Persiani di Eschilo e nelle Troiane
di Euripide. E’ solo questione di fortuna essere dalla parte dei
vincitori o dei vinti. “
Guai a chi infierisce sui prigionieri di guerra,
ricordate che potremmo esserci noi al posto loro.” (Eschilo,
Agamennone).
I Romani adottano il concetto greco della filantropia e anche il loro pensiero relativamente alla guerra. Cicerone
At. IX 19, tutte le guerre, anche se giustificabili, sono moleste, non
dovrebbero esserci. Ugualmente Virgilio e Tibullo:
Quis fuit horrendos primus qui protulit enses? Seneca ep. 95, condanna tutte le guerre. La violenza non ha giustificazione morale:
Seneca ep. 95:
Cum
possim breviter hanc illi formulam humani offici tradere: omne hoc quod
vides, quo divina atque humana conclusa sunt, unum est; membra sumus
corporis magni. Natura nos cognatos edidit, cum ex isdem et in eadem
gigneret; haec nobis amorem indidit mutuum et sociabiles fecit. Illa
aequum iustumque composuit; ex illius constitutione miserius est nocere
quam laedi; ex illius imperio paratae sint iuvandis manus. Ille versus
et in pectore et in ore sit: "Homo sum, humani nihil a me alienum puto".
Habeamus in commune: in commune nati sumus.
E’
vero che i Romani hanno portato la guerra fin dove potevano, ma mai
l’hanno considerato una cosa giusta. Infatti si sentivano in dovere di
giustificarsi (Virgilio) e anche loro sanno mettersi dal punto di vista
dei vinti. Forse ricordate il discorso di Calcago in Tacito: i Romani
fanno il deserto e lo chiamano pace. Inoltre dimostrano stima per i
nemici, si vede in Cesare, in Tacito, in Livio. Non c’è disprezzo. Verso
i greci, poi, avevano un vero complesso di inferiorità. Un ultimo
elemento: alcuni episodi come quelli degli Scipioni che, dopo aver
distrutto Cartagine e Corinto, piangono sulle rovine, dimostrano che si
sentivano in colpa.
Conclude Marta Sordi: ( Guerra e diritto nel mondo greco e romano, p. 18)
Il
concetto di bellum iustum non toglie la consapevolezza che la guerra è
comunque violenza e spargimento di sangue e sarebbe meglio che non ci
fosse. E il sangue versato esige comunque una espiazione, anche se
sangue di nemici versato in guerra.
Sordi cita qui
il bellum iustum e bisogna chiarire di cosa si tratta. Ne parla Livio
(I.32) Innanzitutto c’era da dichiararla in modo esatto, invocare gli
Dei perché fossero testimoni in caso di violazioni, perché la guerra è
potenzialmente sacrilega; ci doveva essere una ragione e poi si faceva
l’evocatio. Il bellum iustum per i Romani era semplicemente questione di
correttezza giuridica e formale.
La Guerra Giusta Secondo la Dottrina Cristiana
Ma
il concetto di guerra giusta è cristiano. E questo è fuori di dubbio.
Dice Wikipedia, se cercate guerra giusta: La dottrina della guerra
giusta è un campo di riflessione della
teologia morale cristiana che stabilisce a quali condizioni dichiarare una guerra, e combattere
per vincerla, sia lecito per un cristiano. Secondo questa dottrin,
« bellum non est per se inhonestum. » « la guerra non è in sé stessa intrinsecamente illecita. » Belligerare
malis felicitas, bonis necessitas. “
Il comandamento che proibisce
l’uccisione non è stato violato da coloro che hanno condotto guerre per
l’autorità di Dio o da coloro che hanno imposto la pena di morte ai
criminali (Agostino, De civitate Dei, IV, 6, 15). La pena di morte è
ancora contemplata nel catechismo:
2267 L'insegnamento
tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento
dell'identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena
di morte, quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere
efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani. Secondo
l'enunciazione tradizionale di questa dottrina, perché una guerra non
sia inhonesta - cioè "intrinsecamente illecita" - si devono verificare
tre condizioni (le prime due riassunte sotto l'espressione jus ad
bellum, il "diritto di fare la guerra", e la terza nella categoria dello
jus in bello, il "diritto [da rispettare] durante la guerra"):
che la guerra sia dichiarata dalla "legittima autorità" (legitima auctoritas),
che sia intrapresa per una "giusta causa" (iusta causa),
che sia condotta nei "modi legittimi", commisurati al fine della guerra (debitus modus).
La dottrina della guerra giusta era concettualmente molto diversa da quella della legittima difesa,
se non altro perché la prima poteva considerare "giusta" anche una
guerra offensiva, e non solo quella difensiva. La dottrina della
legittima difesa, inoltre, giustifica una reazione anche violenta
soltanto di fronte ad un'aggressione ingiusta "in atto", o perlomeno
incombente, mentre la dottrina della giusta poneva solo la clausola di
un "giustificato motivo", che non necessariamente era riconducibile solo
ad una aggressione già in atto. Fin qui Wikipedia.
“
mentre
i razionalissimi romani, aiutati da un cospicuo retaggio di
speculazione greca, riflettevano sui limiti giuridici delle azioni, il
cristianesimo squalificò del tutto l’intelligenza umana chiamando in
causa una volontà divina che si manifestava solo al papa ignorando tutto
il resto della popolazione.”(da Impero romano blogspot)
L’elaborazione
della dottrina della guerra giusta si nutriva anche dell’avallo del
Vecchio Testamento che, come si sa, pullula di stragi ordinate da dio.
Scrive Simone Weil:
Gli ebrei vedevano invece nella
sventura il segno del peccato; dunque un motivo legittimo di disprezzo.
Guardavano i nemici vinti come se Dio stesso li avesse in orrore e li
condannasse a espiare delitti, ciò che rendeva lecita e addirittura
indispensabile la guerra e la crudeltà» S. Weil, La Grecia e le
intuizioni precristiane, Milano,Rusconi,1974,p. 43.
La
“guerra giusta”, definita anche “guerra santa”, fu definitamente
legittimata all‟interno della chiesa dal monaco cistercense, Bernardo di
Chiaravalle (1130)
In verità – scrisse –
i cavalieri
di Cristo combattono le battaglie del loro Signore senza correre rischi,
senza in alcun modo sentire di aver peccato nell’uccidere il nemico,
non temendo il pericolo della loro stessa morte visto che sia dare la
morte, sia il morire quando sono fatti in nome di Cristo non sono per
nulla atti criminosi, ma addirittura meritano una gloriosa ricompensa…il
soldato di Cristo uccide sentendosi sicuro: muore sentendosi ancora più
sicuro. Non per nulla egli porta la spada! Egli è lo strumento di Dio
per la punizione dei malfattori e per la difesa dei giusti. Invero,
quando egli uccide un malfattore non commette omicidio, ma malificio, e
può essere considerato il carnefice autorizzato da Cristo contro i
malvagi. (Lode della nuova milizia)
La guerra viene
così ad essere concepita più semplicemente come uno scontro tra il bene e
il male che, proprio per questo, non richiede altre legittimazioni: in
poche parole si fa guerra perché si deve combattere il male e restaurare
l’ordine voluto da Dio. Non a torto Danilo Zolo ha scritto che «
il
monoteismo cattolico… ha in parte accolto e in larga parte rielaborato
in chiave moralistica l’idea vetero-israelitica della guerra santa,
mostrando così come il bellum justum dei cristiani trovi
genealogicamente il proprio luogo di provenienza nelle pagine del
Deuteronomio, dove la guerra santa obbligatoria appare come guerra di
annientamento dei nemici del popolo di Dio.» ( D. Zolo, Una guerra
globale monoteistica, in “Iride”, 39, 2003, pag. 223).
Scrive
F. Cardini, (Cristiani perseguitati a persecutori, Roma, Salerno
editrice, 2011);”
La croce divenne così «simbolo di potere e di controllo
esercitati anche con la forza delle armi: il ricorso alla violenza,
supportato da numerosi passi delle Scritture, divenne metodo di
conversione e di affermazione della nuova religione che indirizzò la sua
azione sia al suo esterno sia al suo interno, ossia verso coloro che
venivano considerati eretici». Ma fu in realtà il 27 novembre del 1095,
verso la fine dei lavori del Concilio di Clermont, che papa Urbano II
attribuì anche il crisma di “ santa” alla guerra condotta per difendere
la fede e la dottrina della chiesa. La logica era
semplice. Chi lottava contro la cristianità veniva considerato alla
stessa stregua di un criminale o di un bandito: ucciderlo o torturarlo,
anche senza rispetto delle regole etico-giuridiche, diveniva lecito e
giusto (tesi di Manuela Girgenti, la rinascita della guerra giusta,
2016/17 )
In pratica, come dice Salinari su Il
Manifesto (Breve storia della guerra giusta): con la teoria della guerra
giusta, concetto religioso medievale, si ha il passaggio dal «nemico
formalmente giusto», al nemico «criminale», diabolico, disumanizzato,
percepito come qualcosa di non-umano.
Dice Andrea Baravelli ( Guerra e rappresentazione del nemico, "Storicamente", 1 (2005):
Nell’Iliade
l’inimicizia fra Achei e Troiani non porta alla disumanizzazione di
Ettore. Nel medioevo cristiano il nemico divenne nemico diabolico. Il
successo dell'impiego della balestra in Terra Santa ne favorì la
diffusione in tutto il mondo occidentale, ma essa, tuttavia, a causa
dell'uso sempre più frequente di frecce avvelenate, che la rendevano
ancora più micidiale, nel 1139 subì l'anatema di Papa Innocenzo II,
durante il Secondo Concilio Lateranense: "Illam mortiferam artem et Deo
odibilem Ballistariorum et Sagittariorum adversus Christianos et
Catholicos exerceri de cetero sub anathemate prohibemus" (Poiché l’arte
della morte è odiosa a Dio, sotto pena d’anatema, dobbiamo proibire
l’impiego di archi e balestre contro i Cristiani ed i Cattolici). Contro
gli altri però sì. Da http://www.ilgiudiziocattolico.com/1/70/guerra-giusta-e-pacifismo-la-dottrina-della-chiesa.html:
La
Chiesa, pur condannando le guerre ingiuste, non ha mai mancato di
mostrare la sua sollecitudine per chi porta le armi al servizio
dell’autorità legittima e qualunque opinione che volesse considerare la
vocazione alla vita militare come non coerente con il Vangelo è del
tutto infondata. Un altro fondamentale compendio della
dottrina cattolica sul nostro argomento afferma: «
La guerra giusta (a).
– Il precetto divino della pace ci obbliga non solamente a rispettare,
ma a proteggere e difendere i beni essenziali che ci permettono di
conseguire il nostro fine, naturale e soprannaturale. Di fronte ad un
aggressore del quale la slealtà è certa, si può essere costretti ad
iniziare per primi le ostilità, ad “attaccare”, senza per questo essere
“aggressore”. – Tra i beni da rispettare e difendere, come i più
essenziali, bisogna includere i beni spirituali, ed il più importante di
tutti, la fede, che ci permette di raggiungere il nostro fine
soprannaturale: Dio. È perciò cosa legittima, ed alle volte è un
obbligo, difendere questo bene, in caso di attacco o grave minaccia, se è
necessario, anche con le armi» (Insegnamenti pontifici, a cura dei
Monaci di Solesmes).
Qui si innesta la seconda
considerazione. Se la «pace è dono di Dio», se «
Egli è il solo
fondamento stabile dell’ordine, il solo autentico garante della pace» e
quindi «
è impossibile stabilirla al di fuori dei principi del Vangelo»
non vi potrà essere vera pace, anzi aumenteranno i conflitti nella
misura in cui la Regalità Sociale di Cristo verrà sempre più ripudiata.
Da un punto di vista soprannaturale, «
se la pace è un dono del cielo,
una grazia» (Insegnamenti pontifici), non si vede quale valore possano
allora avere le preghiere per la pace che accomunano rappresentanti di
diverse “religioni”, o, come si sarebbe detto un tempo, cattolici,
scismatici, eretici, infedeli e financo pagani. L’utilità di tali
incontri può essere al massimo solo politica o diplomatica.
Per
concludere con la parola di un Papa, Pio XII, che si spera vedere
presto elevato alla gloria degli altari: «
La Chiesa deve tener conto
delle potenze oscure che hanno sempre operato nella storia. Questo è
anche il motivo per cui essa diffida di ogni propaganda pacifista nella
quale si abusa della parola di pace per dissimulare scopi inconfessati».
In una lettera al Presidente
del Senato Marcello Pera, il cardinale Ratzinger affermava: «
Sul fatto
che un pacifismo che non conosce più valori degni di essere difesi e
assegna a ogni cosa lo stesso valore sia da rifiutare come non cristiano
siamo d’accordo: un modo di “essere per la pace” così fondato, in
realtà, significa anarchia; e nell’anarchia i fondamenti della libertà
si sono persi». Tale concetto fu ribadito e precisato in un discorso
pronunciato a Subiaco il 1° aprile 2005, poche settimane prima
dell’elezione a Sommo Pontefice: «
La pace e il diritto, la pace e la
giustizia sono inseparabilmente interconnessi. Quando il diritto è
distrutto, quando l’ingiustizia prende il potere, la pace è sempre
minacciata ed è già, almeno in parte, compromessa. Certamente la difesa
del diritto può e deve, in alcune circostanze, far ricorso a una forza
commisurata. Un pacifismo assoluto, che neghi al diritto l’uso di
qualunque mezzo coercitivo, si risolverebbe in una capitolazione davanti
all’iniquità, ne sanzionerebbe la presa del potere e abbandonerebbe il
mondo al diktat della violenza. (…) Negli ultimi decenni abbiamo visto
ampiamente nelle nostre strade e sulle nostre piazze come il pacifismo
possa deviare verso un anarchismo distruttivo e verso il terrorismo».
Vorrei mettere in luce questi elementi che sono emersi:
- la
liceità dell’uccidere senza sentirsi in colpa, o senza sentire di avere
qualcosa da espiare (nel paganesimo non era così, si espia ANCHE il
sangue degli animali).
- La disumanizzazione del nemico che quindi non ha diritto alcuno.
Lo
stabilire la frattura fra due campi: il bene e il male assoluti, che
nel paganesimo non esistevano proprio. Stabiliti questi, ogni guerra
contro il male è lecita per chi rappresenta il bene.
Omnia munda mundis
(Paolo di tarso, epistola a Tito). Conseguenza:
le uccisioni di massa. Anche i Romani risparmiavano i civili e si sa
che risparmiavano chi si arrendeva e chi si rifugiava nei templi o sulle
tombe; i cristiani non risparmiano nessuno.
Esempio:
La
città di Beziérs (nel sud della Francia) venne rasa al suolo il 22
luglio 1209, tutti gli abitanti massacrati, compresi i cattolici, che
avevano rifiutato l’estradizione degli eretici. Il numero dei morti
viene stimato tra 20.000 e 70.000 (WW 179-181) (Sito UAAR: vittime della
fede cristiana). Una bella differenza con i pagani che tendevano a risparmiare più vite possibile:
Carlo
Ciullini (Tuttostoria.nei):
Nei casi di Romolo, Cosso e Marcello
impegnati a incrociar le spade coi sovrani nemici, si ha come la somma,
in ciascuno dei duellanti, delle qualità, delle virtù, della forza
collettiva dei rispettivi popoli: un unico uomo diventa così il braccio
armato della nazione di cui si fa difensore, addossandosi l'onore e
l'onere, con la vittoria o la sconfitta, d'indirizzare in termini
positivi o contrari le sorti della propria gente. La scelta
concordata di affidare a due campioni la supremazia di un intero
esercito su un altro, ha risparmiato così la vita di migliaia di uomini.
Niente a che vedere, dunque, con i generali dell'era moderna, che solo
raramente abbandonano retrovie e Quartier Generali dai quali lanciare (a
debita distanza...) gli ordini tattico-strategici.
E in nome di tutte queste premesse, tutto diventa lecito e giusto: Il generale
Francisco Franco, per esempio, si giustificò di fronte alla Chiesa cattolico-romana (di cui era il campione e il difensore in Spagna) per il
bombardamento a tappeto di Guernica,
affermando che comunque esso era proporzionato al giusto fine di
demoralizzare la popolazione ribelle e stabilire l'ordine nel Paese. «
Resta il fatto che in nessuna delle guerre degli ultimi secoli il
debito modo ha esercitato alcuna influenza sulle scelte dei governanti, e
neppure sui giudizi che i cristiani – e le Chiese – hanno dato di tali
scelte. Nessun governo è stato pubblicamente e solennemente condannato
da alcuna Chiesa cristiana per il modo di condurre una guerra,” (
Enrico Chiavacci)
E così ne è una diretta conseguenza il concetto di “asse del male”. L'espressione "asse del male" ("axis of evil") fu introdotta dal
presidente degli Stati Uniti George W. Bush in occasione del suo discorso sullo stato dell'unione del 29 gennaio
2002.
In Iraq Quella che si sta combattendo, ha detto Bush, è una battaglia
«contro il male assoluto». E anche lui diceva di agire in nome di Dio
(Emilio Gentile, La democrazia di Dio, Laterza).
Circa,
infine, la iusta causa, bisogna dire che, lungo i secoli, come "giuste
cause" furono addotti praticamente tutti i motivi immaginabili: la
promozione della fede cattolica, l'apporto di un generico beneficio
all'umanità, il libero commercio, e così via. Nessuna autorità
ecclesiastica cattolica, per esempio, obiettò al preteso diritto
dell'Italia ad avere più terre da coltivare (un “
posto al sole”) come giusta causa per scatenare le
guerre per le colonie.
C’è stato in verità qualche pronunciamento della chiesa contro la guerra, il primo è stato Giovanni XXIII nella sua
enciclica Pacem in Terris che mise di fatto in discussione tutti e tre i principi della guerra giusta, affermando che, nell'
era degli armamenti atomici, fosse addirittura «
alienum a ratione bellum iam aptum esse ad violata iura sarcienda. » « estraneo alla ragione [ritenere] che la guerra possa essere uno strumento adatto per rivendicare dei diritti violati
In
una conferenza, padre Bartolomeo Sorge, direttore di Civiltà cattolica,
ribadisce che nell’era della guerra atomica la prospettiva di un
conflitto non è più accettabile perché mancherebbe il debitus modus.
Tuttavia nel giugno 1982, in una comunicazione inviata da Giovanni Paolo
II alla sessione speciale dell’Assemblea dell’ONU sul disarmo, veniva
affermava la liceità etica della dissuasione nucleare, in opposizione
alla lettera “antinucleare” dei vescovi americani e a precisazione,
almeno formale, di taluni principi della guerra giusta: la
proporzionalità della violenza, la discriminazione fra combattenti e non
combattenti, la giusta causa, la retta intenzione e la speranza di
vittoria.
Insomma
la chiesa ha rivisto le sue posizioni dall’era atomica, ma il punto
chiave è che in 2000 anni di monopolio ideologico ha fatto entrare nella
coscienza collettiva l’idea della guerra giusta; loro sono l’asse del
bene, gli altri sono il male e dobbiamo difendere il bene. Non c’è un
ripudio della guerra quale invece dovrebbe esserci. Questo è entrato
profondamente nella mente degli occidentali; se dite “la guerra è
terribile”, moltissimi rispondono “mah, d’altra parte, se loro ci
minacciano…” “Però non possiamo mica permettere che…” Questa è la grossa
responsabilità della chiesa e della sua dottrina della guerra giusta.
E’ quello che sostengono molti studiosi. Guerra giusta e totale, pace
ideale e distruzione dell’avversario (di Eduardo Zarelli)
Le Guerre Moderne
Le
"guerre giuste" moderne, non rispettano alcuna limitazione e
proporzionalità. Sotto questo profilo esse si ricollegano alle antiche
"guerre sante" che, come si legge nella Bibbia, danno unzione divina
allo sterminio del nemico. Coloro che conducono guerre di questo genere
hanno l'obbligo di non risparmiare niente e nessuno. Poiché si ritiene
che la vittoria confermi la superiorità della fede e della religione, il
nemico viene del tutto naturalmente assimilato al Male, cioè a un
nemico personale di Dio. Ogni riconciliazione con lui diventa
impensabile.
L’educazione cattolica è stata infarcita, negli ultimi due
secoli, di questa ideologia. In Italia, l’organizzazione giovanile più
frequentata, anche perché non c’erano molte alternative, era la Gioventù
cattolica. Nella GC (scrive Francesco Piva, Uccidere senza odio;
pedagogia di guerra nella storia della gioventù cattolica italiana, ed.
franco Angeli 2005) “
fu costante l’esortazione a partecipare alle guerre
decise dall’autorità costituita, ma al giovane cattolico fu soprattutto
offerto un modello di eccellenza nel combattimento. Venne via via
elaborata una strategia pedagogica per guidare i giovani non solo ad
accettare il sacrificio con disciplina ed abbandono a dio, ma anche a
non aver remore nell’infliggere violenza e morte. Questo era inglobato
iin una teoria pedagogica volta a plasmare la personalità del militante:
maschio, prestante, forte e pronto allo scontro fisico. Uno degli
elementi fondanti era l’identificazione della vittoria della patria con
la vittoria del cristianesimo. Siamo sempre lì. La guerra giusta.
Uccidere senza odio e senza colpa.
Lo studio di Piva arriva fino al
1943. Con la seconda guerra mondiale si è aperta una nuova stagione. Dal
punto di vista giuridico, infatti, sull’onda di una opinione favorevole
all’abolizione della guerra, subito dopo la fine della seconda guerra
mondiale, essa fu messa al bando e tale decisione fu ufficialmente
formalizzata nella Carta delle Nazioni Unite del 26 giugno 1945. Pur
tuttavia, anche se il termine guerra è stato messo al bando, l’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite, in una risoluzione consensuale del 14
dicembre 1974, ha lasciato aperta la possibilità di interventi militari
contro quegli Stati “canaglia” che, potenzialmente o in atto, potessero
macchiarsi di gravi crimini contro l’umanità. La Carta della Nazioni
Unite, infatti, se da un lato sancisce il divieto dell’uso della forza
nei rapporti internazionali, dall’altro demanda ad un organo delle
Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza (cap. VII, art.39ss), la
competenza a compiere le azioni necessarie per il mantenimento
dell’ordine e della pace tra gli Stati e, in particolare, a usare la
forza a fini di “polizia internazionale”.
In nome, quindi, della
giustizia le grandi potenze democratiche al vertice del sistema
internazionale, pur con accentuazioni diverse, non hanno evitato il
ricorso all’uso della forza contro “sospetti” definiti non come nemici,
ma come espressione delle forze del male. In poche parole, in nome della
universalità dei diritti umani e attraverso una rinomizzazione
eufemistica, le potenze occidentali hanno paradossalmente ridato vita
alla “guerra giusta”; la guerra «
è stata trasfigurata in sanzione
collettiva, operazione di polizia internazionale, strumento per il
mantenimento della pace, tanto che si potrebbe dire, paradossalmente,
che oggi la guerra può figurare tanto meno come guerra quanto più si
presenta come giusta».( A. Colombo, Ingerenza umanitaria, interventismo e
guerra dopo il Novecento. Il discutibile trionfo della “guerra giusta”)
E‟ una maniera che consente ai nuovi conflitti di essere facilmente
metabolizzati dalle società occidentali, che, anche per le poche perdite
subite di vite umane, non comportano rotture o contraccolpi sociali.
Ora, vuoi che prendano il nome di “interventi umanitari, vuoi che
vengano chiamate “missioni di pace” o “operazioni di polizia”, nessuno
potrà negare che nella realtà ci troviamo di fronte a vere e proprie
operazioni di guerra, finalizzate, almeno sulla carta, alla
riaffermazione della giustizia. Si ritorna, così, di conseguenza, all’
uso della forza non più con motivazioni strumentali, ma adducendo
giustificazioni di carattere morale, ma, soprattutto per sostenere e
diffondere i valori democratici e di libertà, qualora questi ultimi
vengano seriamente messi in pericolo. Non più, dunque, un intervento
militare basato su ambizioni territoriali, ma su valori assolutamente
inalienabili. In questi conflitti si evince un tratto comune di non poca
rilevanza: il ricorso a giustificazioni di tipo morale che li rendono
più accettabili e legittimi sul piano internazionale. Il riferimento a
motivazioni morali, sebbene quali la libertà e la sicurezza come
giustificazioni di un intervento armato, consente di ottenere il favore
dell’opinione pubblica; in secondo luogo, da un punto di vista
internazionale, gli interventi motivati da cause umanitarie e per la
difesa dei valori democratici e di libertà permettono più facilmente di
ottenere legittimità sul piano internazionale. In poche parole,
attraverso l’interventismo umanitario, si tenta di legittimare il
fenomeno bellico, imbellettandolo come strumento di tutela e
affermazione dei diritti umani.
Negli ultimi vent’anni
abbiamo assistito ad un cedimento dell’inibizione all’uso della forza
da parte delle grandi potenze e a un continuo richiamo alla grammatica
della “guerra giusta”, sia nelle nomizzazioni delle missioni militari
che nelle strategie comunicative. In pratica, di fronte al Male
assoluto, non c‟è tempo per cercare soluzioni alternative; e ci si basa
sull‟assunto che, di fronte alle nuove minacce (terrorismo in testa) non
è più possibile sapere quanto immediata sia la minaccia nemica – come
richiederebbe il vecchio istituto della “legittima difesa preventiva” –
e, quindi, non c‟è altro modo di togliersi il dubbio che attaccare in
anticipo. (A. Colombo, Ingerenza umanitaria, interventismo e guerra dopo
il Novecento. Il discutibile trionfo della “guerra giusta”, in
G.Daverio Rocchi (a cura di), Dalla concordia dei greci al bellun justum
dei moderni, Milano, Franco Angeli, 2013.cit., pag.209).
Oggi le
tradizionali restrizioni dello Jus in bello, malgrado l’evoluzione
tecnologica della guerra, che consente di distinguere con maggiore
precisione i siti militari da quelli civili, sono state di fatto sospese
in nome di una lotta globale al terrorismo. Se le forze alleate, come è
avvenuto per esempio in Iraq, hanno, non diciamo la certezza, ma anche
il sospetto che il nemico abbia nascosto parte del suo materiale bellico
all‟interno di un centro abitato, si ritengono autorizzate a
bombardarlo, considerandolo un legittimo obiettivo militare. Se
l‟incursione aerea provoca centinaia di vittime civili, la questione
viene subito liquidata come un semplice danno collaterale. Schmitt (Il
Nomos della terra nel diritto internazionale dello “Jus publicum
europaeum, Milano, Adelphi, 1991) sostiene che nel futuro sarà la
superiorità militare a far sì che uno Stato possa arrogarsi l‟autorità
di iniziare un conflitto per una “giusta causa” e di trattare il nemico
come un criminale.
La guerra che si profila all‟orizzonte – a suo parere
– non sarà soltanto una guerra globale, asimmetrica, “giusta” e
“umanitaria”, ma sarà una guerra capace di una discriminazione abissale
del nemico, poiché assumerà la forma di una permanente “operazione di
polizia internazionale”, controllata dagli stati Uniti, che userà armi
di distruzione di massa contro i “perturbatori della pace”, senza più
alcuna distinzione fra truppe regolari e milizie irregolari, fra
militari e civili. Non sarà, dunque, una guerra fra Stati, suscettibile
di concludersi con un qualche trattato di pace, ma sarà una permanente
“guerra civile mondiale”, condotta da una grande potenza per sottoporre a
controllo poliziesco-militare l‟intero pianeta. (Schmitt C., Il nomos
della terra nel diritto internazionale dello Jus publicum europaeum,
Milano, Adelphi, 2005)
La prima guerra del Golfo, quella del Kosovo e,
successivamente quella in Afghanistan, appaiono esemplari. In tutte e
tre si registra, anche se in modo differente, l'eversione del diritto
internazionale e, nel contempo, il riemergere della figura,
originariamente teologica, della “guerra giusta”. Così, in nome di una
sacra difesa dei valori occidentali, il “nuovo ordine mondiale”,
attraverso “guerre umanitarie” o “operazioni di polizia” infinite,
punisce i suoi oppositori, che di volta in volta rispondono ai nomi di
Saddam Hussein, Milosevic e bin Laden, perpetrando massacri ai danni dei
loro popoli. «
è una vera regressione alle retoriche antiche di
giustificazione della guerra, inclusi importanti elementi della dottrina
etico-religiosa del bellum justum e del suo nocciolo sacrificale di
ascendenza biblica: “la guerra santa obbligatoria” (milchemet mitzvà)
come guerra di annientamento dei nemici del popolo di Dio».
La guerra
moderna è la più radicale negazione dei diritti degli individui, a
cominciare dal diritto alla vita. La guerra moderna, condotta con armi
di distruzione di massa sempre più sofisticate e micidiali, è un evento
incommensurabile con le categorie dell‟etica e del diritto.( D. Zolo, La
giustizia dei vincitori, cit., pp.85-86; Idem: Chi dice umanità.
Guerra, diritto e ordine globale, Torino, Einaudi, 2000, pp.124-68) E
c’è una ulteriore aggravante. Se nel passato la potenza sovietica,
indicata dall‟Occidente come l‟impero del male, era un nemico ben
visibile e facilmente identificabile in uno spazio ben definito, il
terrorismo è invece un nemico oscuro, tentacolare, mimetico e senza
confini ben precisi. La qual cosa costituisce il passepartout ideologico
per giustificare una guerra condotta senza limiti di spazio e di tempo e
senza regole. Un terrorismo ubiquo significa la possibilità di
intervenire militarmente ovunque: una situazione totalmente diversa dai
tempi della guerra fredda, quando i rispettivi “campi” o le “sfere di
influenza” erano delimitati. Noi siamo – ha dichiarato George Bush – in
una guerra tra il Bene e il Male, e l‟America chiamerà il Male con il
suo nome.
Si ritorna assolutamente alla guerra giusta.
Questo
pregiudizio (di essere il Bene) ha avuto la funzione latente, ma reale,
di assolvere in anticipo i crimini europei su scala mondiale, in nome
della salvezza religiosa di cui si sentivano portatori, con la Croce e i
simboli della religione cristiana, i conquistatori e le loro truppe. A
questo proposito è da notare uno strano paradosso: i massacratori
razzisti in realtà agivano con rara ferocia ed efficienza proprio perché
si sentivano chiamati ad assolvere ad un compito sacro, strumenti
eletti di un superiore disegno provvidenziale…atti di ferocia, che,
lungi dall‟essere ritenuti atrocità, erano concepiti ed attuati come
doveri morali, missioni di civiltà, evangelizzazione dei popoli che non
avevano avuto la fortuna di conoscere il messaggio divino del Cristo.
Peccato che questo messaggio non fosse, troppo spesso, la “buona
novella”, bensì la sistematica spogliazione e infine il genocidio e lo
sterminio di intere civiltà.” ( F. Ferrarotti, La tentazione dell’oblio,
Roma-Bari, Laterza, 1993, pag.52).
“
Nel nome di una
guerra giusta si tratta, in realtà, di vere e proprie guerre di
aggressione, che, come si è già visto, possono essere definite esse
stesse terroristiche, sia per la violenza sanguinaria con cui sono state
condotte e vengono tuttora condotte dalle potenze occidentali, sia
perché esse stesse sono responsabili della replica terroristica da parte
dei paesi aggrediti, martoriati e militarmente occupati. Siamo alla
rinascita della guerra giusta, dunque, che il giudizio storico sembrava
avere consegnato alla storia dell‟ideologia. La sola via percorribile
per garantirsi una difesa capace e a lungo termine contro anarchia,
guerre, terrorismo e violenza è quella del rafforzamento della
democrazia.”( B.R. Barber, L’impero della paura. Potenza e impotenza
dell’America nel nuovo millennio, Torino, Einaudi, 2004, pag.128)
“
Altrettanto
importante è prendere le distanze dalla logica dello scontro delle
civiltà, dal linguaggio della politica identitaria e dal rinnovato
spirito di crociata cui sembrerebbero indulgere vasti settori dell’
opinione pubblica e della classe politica occidentale.” (Manuela Girgenti).