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domenica 3 ottobre 2021

I Limiti della Scienza: Come Dimostrare che le Mascherine Funzionano (Oppure no?)

 


Una discussione dei limiti della scienza quando si tratta di valutare sistemi complessi che non si prestano a un approccio "Galileiano" di misure in condizioni controllate. Per quanto riguarda le mascherine protettive, con tutta la buona volontà, la scienza non ci può dare risultati certi e validi ovunque, nonostante le affermazioni dei virologi televisivi (vedi anche questo articolo di Scorrano e altri). 

Per anni ho seguito il blog di Paolo Attivissimo, "Il Disinformatico" trovandolo spesso utile e informativo. Ho smesso di seguirlo quando Attivissimo se n'è uscito con una frase particolarmente infelice. "La stessa scienza che manda sonde su Marte ci dice di indossare le mascherine antivirus." (cito a memoria).

Sono quelle cose che ti fanno dubitare della logica dell'intero universo. La scienza che manda sonde su Marte non è -- enfaticamente NON è -- la stessa scienza che valuta l'efficacia delle mascherine. Nemmeno per idea. Non ci siamo proprio.

Quando si parla di "Scienza" (quella con la "S" maiuscola) di solito ci si riferisce alle affermazioni dei virologi televisivi i quali, a loro volta, tendono a parlare di una cosa che si chiama "metodo scientifico," quello di Galileo. Ma Galileo si occupava di astronomia e di vari aggeggi meccanici. Non aveva gli strumenti per analizzare quelli che oggi chiamiamo "sistemi complessi." Sono due mondi completamente diversi.

Per dare un'idea della confusione che regna anche fra gente che dovrebbe saperne di più, all'inizio della pandemia sono apparse delle riprese al rallentatore delle goccioline di saliva (dette da taluni "sputazzi") emesse quando uno parla. Si vede, come vi aspettereste, che la mascherina intercetta un buon numero di goccioline. Da qui, alcuni (anche miei colleghi) hanno dedotto che la mascherina funziona, concludendo con una frase che oggi è di moda, "serve altro?" 

Si. Serve altro. Molto altro. 

Non c'è modo di misurare direttamente la trasmissione di un virus da una persona a un'altra, tantomeno usando una telecamera. Al massimo lo può stimare con metodi di tracciamento, ma con enormi incertezze. Per studiare sistemi complessi di questo tipo ci vogliono metodi statistici. Già questo non è un concetto facile da passare in un mondo in cui ci si aspetta che dalla TV arrivi una risposta "si o no" a tutte le domande. Ma gli studi statistici, anche se fatti bene (e non sempre è il caso) hanno dei grossi limiti. 

Un buon esempio è quello delle mascherine anti-virus. Sono efficaci oppure no? I virologi televisivi ci dicono di si perché loro, i virologi, sono "La Scienza." (serve altro?). Ma se vai a vedere i risultati degli studi, le cose non sono affatto chiare. Ve lo raccontano, per esempio, Luca Scorrano e i suoi collaboratori in un recente review dei dati disponibili dove vi dicono chiaramente che "i dati disponibili non suggeriscono l'uso universale, spesso improprio, di mascherine facciali per la popolazione come misura protettiva contro il COVID-19"

Allora, come mai in TV vi dicono una cosa mentre altri scienziati ne dicono un'altra? Ha a che vedere con l'incertezza dei risultati statistici, per cui se uno vuole trovare dei dati che confermano la sua opinione, riesce di solito a trovarli. Vi faccio un esempio. Si è letto ultimamente di un lavoro che arriva dal Bangladesh che è stato presentato sui media (e persino sulle riviste scientifiche, tipo "Nature") come una conferma dell'efficacia delle mascherine (serve altro?). 

Ma è vero? Premetto che è uno studio ben fatto, per quanto possibile. Ma, anche così, i risultati sono incerti e difficili da interpretare. Andiamo brevemente a esaminarlo.

Nello studio, I ricercatori hanno preso in esame un gran numero di villaggi nel Bangladesh. In alcuni si distribuivano mascherine gratis e gli abitanti venivano incoraggiati a indossarle, come pure a mantenere il distanziamento. In altri, non si faceva niente del genere, per cui quasi nessuno indossava mascherine o si teneva a distanza. Dopodiché, i ricercatori hanno analizzato la presenza di anticorpi nel sangue delle persone sintomatiche. 

L'approccio è quello giusto e il lavoro ha esaminato oltre 300.000 persone. Una statistica senza dubbio significativa. E i risultati? In buona sostanza sono:

1. Il distanziamento non ha nessun effetto sulla trasmissione del virus

2. Le mascherine in stoffa non hanno nessun effetto nel ridurre la trasmissione del virus

3. Le mascherine chirurgiche riducono di circa l'11% la trasmissione del virus

Diciamo che sono risultati abbastanza sensati a parte certi dettagli un po' strani: per esempio che i villaggi dove si portavano le mascherine hanno avuto lievemente PIU' persone con sintomi di quelli dove non si portavano (lo dicevo che queste cose non sono mai semplici!). 

Comunque, se non altro i risultati provano che le "goccioline" (ovvero gli "sputazzi") NON trasmettono il virus, altrimenti le mascherine di stoffa le avrebbero fermate, almeno in parte. Invece, le mascherine chirurgiche hanno dei pori più piccoli e bloccano una frazione le particelle submicrometriche dell'aerosol che trasmette il virus. Era una cosa che si sapeva già da un pezzo, questa è una conferma (serve altro?). 

Fin qui, bene. Ma che cosa ne deduciamo nella pratica? Eh, beh, la faccenda si fa complicata.

Per prima cosa, c'è un problema di fondo con questo e tanti altri studi. Gli autori stessi dichiarano che  erano partiti con l'idea di provare che le mascherine funzionano. E' chiaro che ne erano convinti fin dall'inizio. Ora, domandatevi cosa sarebbe successo se non avessero trovato nessun effetto. Avrebbero pubblicato l'articolo lo stesso? Sarebbe stato citato sui media? Immaginatevi quelli che hanno finanziato lo studio arrabbiatissimi con i ricercatori che gli dicono, "avete sprecato un sacco di soldi per non trovare nulla!" 

E se qualcun altro avesse fatto uno studio simile dove non trova nessun'effetto, sarebbe stato pubblicato e citato? Questo è un problema ben noto nella scienza medica: uno studio che non riesce a provare un'ipotesi viene lasciato di solito in un cassetto. Il fatto che un medicinale NON funziona non porta vantaggi a nessuno, quindi non c'è interesse a farlo sapere in giro. Il risultato è che si pubblicano solo articoli dove si prova qualcosa, oppure, peggio, si interrompono i test quando i dati disponibili sembrano dimostrare qualcosa. Non si sa mai: facendo altre misure l'effetto trovato potrebbe sparire! 

Seconda cosa: lo studio ha il limite di essere stato fatto su dei villaggi del Bangladesh dove, con tutta la buona volontà, le condizioni di vita, le distanze sociali, l'areazione degli spazi interni, e tantissime altre cose, non sono le stesse che in Europa. Basti dire che quando uno si prova a comparare i risultati della Svezia (dove non si portano mascherine) con quelli dell'Italia (dove le si portano quasi ovunque) ti arriva la critica "ma la Svezia è diversa dall'Italia" -- figuriamoci allora il Bangladesh!

Ma la cosa fondamentale è cosa fare con questo dato dell'11% in meno di infezioni, assumendo che sia vero. E' una questione di bilanciamento costi/benefici: vale la pena costringere un'intera popolazione a portare mascherine per ottenere un beneficio di questa entità? I ricercatori che hanno scritto l'articolo ci hanno ragionato sopra arrivando alla conclusione che, si, l'effetto delle mascherine è piccolo, ma che può valere la pena indossarle se sono prodotte su larga scala per ridurre i costi.  

Forse è vero, ma qui c'è un problema tipico dei sistemi complessi che si esprime dicendo "in un sistema complesso, non puoi fare una cosa soltanto." Al momento in cui cominci a parlare di mettere su un'industria intera per fabbricare mascherine chirurgiche che poi tutti devono indossare, poi ti trovi il problema di cosa fare quando le cose cambiano. Il calcolo del rapporto costi/benefici è stato fatto per quattro mesi di dati, ma si sa che l'epidemia va su e giù e le cose cambiano sempre. E se nuovi dati ti dicono che la mascherina non serve, cosa fai del sistema di produzione che hai costruito? E cosa fai di quelli che ci lavorano? E dei soldi che ci hai speso sopra? Capite il problema.  

E poi, quali sono gli effetti a lungo termine delle mascherine chirurgiche su persone che hanno difficoltà respiratorie? Nessuno lo sa e nemmeno si può sapere perché sono, appunto, a lungo termine. Per non parlare poi degli effetti psicologici, che sono difficilmente quantificabili, ma ci sono, specialmente sui bambini e sui giovani. Tutte cose di cui nell'articolo non si parla, ma che sono importanti.

E l'inquinamento causato dalle mascherine usate? Nell'articolo, se la cavano dicendo che fino ad ora è stato circa "un terzo di quello causato dalle borse di polietilene" come per dire, "non è poi così tanto". Ma vi sembra poco aver aumentato l'inquinamento da microparticelle del 30%? E questo è per una situazione in cui indossare mascherine era una cosa ancora rara in Bangladesh. Cosa succederebbe se tutti se la mettessero? Anche qui, nessuno sa quantificare i danni a lungo termine causati dalle microparticelle delle mascherine sparpagliate in giro. Eppure è un altro parametro fondamentale che dovremmo considerare per prendere delle decisioni. 

Insomma, vedete come sono complicate e difficili le cose. In confronto, mandare una sonda su Marte è cosa molto semplice per "La Scienza," nella sua forma Galileiana. Ma quando si tratta di quantificare effetti deboli tipo le mascherine come mezzo contro la diffusione di un virus, beh, la Scienza è in grossa difficoltà. Al massimo, ti da delle indicazioni. E non si dovrebbero usare queste indicazioni per terrorizzare la gente. E invece.....

giovedì 30 settembre 2021

Il Declino della Scienza: Un Post di P.A. Ioannidis

 John P. A. Ioannidis, uno dei massimi esperti di epidemiologia al mondo. 

La sconfitta della scienza

John PA Ioannidis è uno dei massimi esperti di epidemiologia su questo pianeta. Professore di Medicina e Professore di Epidemiologia e Salute della Popolazione, nonché Professore di Scienze Biomediche e Statistica presso la Stanford University. Le sue pubblicazioni complete relative al COVID-19 possono essere trovate qui. E, fra i suoi tanti meriti, c’è quello di non apparire spesso in TV!
Mi è parso il caso di tradurre questo recente articolo di Ioannidis, dove fa un riassunto di come la scienza è uscita con le ossa rotte dall’epidemia del Covid. Distrutta da una combinazione di incompetenza, ignoranza, supponenza, politicizzazione, interessi privati, e, soprattutto, corruzione a tutti i livelli. E questo proprio mentre tutti la osannavano e sostenevano che tutto quello che gli faceva comodo era “Scienza”,
Fa male quasi fisicamente leggere queste note scritte da un grande scienziato come Ioannidis che vede distrutto in breve quello su cui aveva lavorato -- quello su cui tanti scienziati avevano lavorato -- il tentativo di tirar fuori la scienza, quella vera, dalle nebbie della corruzione che l’avevano avvolta e che la stanno avvolgendo sempre di più. Dice Ioannidis “C'è stato uno scontro tra due scuole di pensiero, la salute pubblica autoritaria contro la scienza e la scienza ha perso.”
Riuscirà mai la scienza a riprendersi da questo disastro? Forse si, ma leggete questo pezzo per capire in che condizioni ci siamo ridotti. (Ugo Bardi)


Come la pandemia sta cambiando le norme della scienza

Imperativi come lo scetticismo e il disinteresse vengono scartati per alimentare una guerra politica che non ha nulla in comune con la metodologia scientifica
DI JOHN PA IOANNIDIS
SETTEMBRE 09, 2021
In passato avevo spesso ardentemente desiderato che un giorno tutti potessero essere appassionati ed entusiasti della ricerca scientifica. Avrei dovuto essere più attento a quello che desideravo. La crisi causata dalla letale pandemia di COVID-19 e dalle risposte alla crisi ha reso miliardi di persone in tutto il mondo estremamente interessate e sovraeccitate per la scienza. Le decisioni pronunciate in nome della scienza sono diventate arbitri della vita, della morte e delle libertà fondamentali. Tutto ciò che conta è stato influenzato dalla scienza, dagli scienziati che interpretano la scienza e da coloro che impongono misure basate sulle loro interpretazioni della scienza nel contesto del conflitto politico.

Un problema con questo nuovo impegno di massa con la scienza è che la maggior parte delle persone, inclusa la maggior parte delle persone in Occidente, non era mai stata seriamente esposta alle norme fondamentali del metodo scientifico. Le norme mertoniane del "comunitarismo" (condivisione dei dati), dell'universalismo, del disinteresse e dello scetticismo organizzato purtroppo non sono mai state comuni nell'istruzione, nei media e nemmeno nei musei della scienza e nei documentari televisivi su argomenti scientifici.

Prima della pandemia, la condivisione gratuita di dati, protocolli e scoperte era limitata, compromettendo la condivisione dei dati su cui si basa il metodo scientifico. Era già ampiamente tollerato che la scienza non fosse universale, ma piuttosto il regno di un'élite sempre più gerarchica, una minoranza di esperti. All’ombra della scienza prosperavano giganteschi interessi e conflitti finanziari e di altro tipo, e la norma del disinteresse personale era stata abbandonata.

Quanto allo scetticismo organizzato, non ha avuto molto successo all'interno dei santuari accademici. Anche le migliori riviste sottoposte a “peer review” spesso presentavano risultati con pregiudizi e forzature. L’ampia diffusione pubblica e mediatica delle scoperte scientifiche è stata in gran parte focalizzata su esagerazioni correlate alla ricerca, piuttosto che sul rigore dei suoi metodi e sull'incertezza intrinseca dei risultati.

Tuttavia, nonostante la cinica consapevolezza che le norme metodologiche della scienza erano state trascurate (o forse a causa di questa presa di coscienza), voci che lottavano per più comunitarismo, universalismo, disinteresse e scetticismo organizzato si erano moltiplicate tra i circoli scientifici prima della pandemia. I riformatori erano spesso visti come detentori di una sorta di terreno morale più elevato, nonostante fossero in inferiorità numerica nell'occupazione di posizioni di potere. Le crisi di riproducibilità in molti campi scientifici che vanno dalla biomedicina alla psicologia, hanno causato un esame di coscienza e sforzi per migliorare la trasparenza, inclusa la condivisione di dati grezzi, protocolli e codici. Le disuguaglianze all'interno dell'accademia sono state sempre più riconosciute con appelli a porvi rimedio. Molti erano ricettivi alle richieste di riforma.

Gli esperti basati sull'opinione (mentre ancora dominanti in comitati influenti, società professionali, importanti conferenze, organismi di finanziamento e altri nodi di potere del sistema) sono stati spesso sfidati da critiche basate sull'evidenza. Ci sono stati sforzi per rendere i conflitti di interesse più trasparenti e per minimizzare il loro impatto, anche se la maggior parte dei leader scientifici è rimasta in conflitto di interesse, specialmente in medicina. Una fiorente comunità di scienziati si è concentrata su metodi rigorosi, lavorando sui pregiudizi e riducendo al minimo il loro impatto. Il campo della metaricerca, cioè la ricerca sulla ricerca, era diventato ampiamente rispettato. Si poteva quindi sperare che la crisi pandemica potesse favorire il cambiamento. In effetti, il cambiamento è avvenuto, ma forse per lo più in peggio.

La mancanza di condivisione durante la pandemia ha alimentato scandali e teorie del complotto, che sono state poi trattate come fatti in nome della scienza da gran parte della stampa popolare e sui social media. La ritrattazione di un articolo sull'idrossiclorochina altamente visibile da The Lancet è stato un esempio sorprendente: una mancanza di condivisione e apertura ha permesso a un'importante rivista medica di pubblicare un articolo in cui 671 ospedali avrebbero fornito dati che non esistevano, e nessuno si è accorto che era un’invenzione prima della pubblicazione. Il New England Journal of Medicine, un'altra importante rivista medica, è riuscita a pubblicare un documento simile; molti scienziati continuano a citarlo frequentemente molto tempo dopo la sua ritrattazione.

Il dibattito scientifico pubblico più acceso del momento - se il virus COVID-19 fosse il prodotto dell'evoluzione naturale o un incidente di laboratorio - avrebbe potuto essere risolto facilmente con una minima dimostrazione di comunitarismo ("comunismo", in realtà, nel vocabolario originale di Merton) dalla Cina: l'apertura dei libri di laboratorio dell'Istituto di virologia di Wuhan avrebbe immediatamente alleviato le preoccupazioni. Senza tale apertura su quali esperimenti sono stati fatti, le teorie sulle fughe di laboratorio rimangono credibili in modo allettante.

Personalmente, non voglio considerare la teoria delle fughe di laboratorio, un duro colpo per l'indagine scientifica, come la spiegazione corretta. Tuttavia, se la piena condivisione pubblica dei dati non può avvenire nemmeno per una questione relativa alla morte di milioni e alla sofferenza di miliardi, che speranza c'è per la trasparenza scientifica e una cultura della condivisione? Qualunque siano le origini del virus, il rifiuto di attenersi alle norme precedentemente accettate ha fatto enormi danni.

La pandemia ha portato apparentemente da un giorno all'altro a una nuova spaventosa forma di universalismo scientifico. Tutti sono diventati scienziati esperti sul COVID-19 o si sono sentiti in grado di commentare sull’argomento. Ad agosto 2021, c'erano 330.000 articoli scientifici pubblicati sul COVID-19, coinvolgendo circa un milione di autori diversi. Un'analisi ha mostrato che almeno alcuni degli scienziati di ognuna delle 174 discipline che compongono ciò che conosciamo come “scienza” hanno pubblicato sul COVID-19. Alla fine del 2020, solo l'ingegneria automobilistica non aveva scienziati che pubblicavano sul COVID-19. All'inizio del 2021, anche gli ingegneri automobilistici hanno detto la loro.

A prima vista, questa è stata una mobilitazione senza precedenti di talenti interdisciplinari. Tuttavia, la maggior parte di questo lavoro era di bassa qualità, spesso errata e talvolta altamente fuorviante. Molte persone senza competenze tecniche in materia sono diventate esperte da un giorno all'altro, raccontando enfaticamente di stare salvando il mondo. Man mano che questi esperti spuri si moltiplicavano, gli approcci basati sull'evidenza, come gli studi randomizzati e la raccolta di dati più accurati e imparziali, venivano spesso respinti come inappropriati, troppo lenti e dannosi. Il disprezzo per gli studi ben preparati e affidabili è stato persino celebrato.

Molti scienziati straordinari hanno lavorato su COVID-19. Ammiro il loro lavoro. I loro contributi ci hanno insegnato tanto. La mia gratitudine si estende ai tanti giovani ricercatori estremamente talentuosi e ben addestrati che ringiovaniscono la nostra vecchia forza lavoro scientifica. Tuttavia, accanto a migliaia di validi scienziati, sono arrivati ​​esperti appena coniati con credenziali discutibili, irrilevanti o inesistenti e dati discutibili, irrilevanti o inesistenti.

I social media e i principali media hanno contribuito a creare questa nuova generazione di “esperti”. Chiunque non fosse un epidemiologo o uno specialista in politiche sanitarie poteva essere improvvisamente citato come epidemiologo o specialista in politiche sanitarie da giornalisti che spesso sapevano poco di quei campi ma sapevano immediatamente quali opinioni erano vere. Al contrario, alcuni dei migliori epidemiologi e specialisti di politica sanitaria in America sono stati diffamati come incapaci e pericolosi da persone che si ritenevano idonee a giudicare sommariamente le differenze di opinione scientifica senza comprendere la metodologia o i dati in questione.

La questione del conflitto di interesse ne ha sofferto gravemente. In passato, le entità in conflitto cercavano principalmente di nascondere la loro azione. Durante la pandemia, queste stesse entità in conflitto sono state elevate allo status di eroi. Ad esempio, le aziende Big Pharma hanno chiaramente prodotto farmaci utili, vaccini e altri interventi che hanno salvato vite umane, sebbene fosse anche noto che il profitto era ed è il loro motivo principale. Big Tobacco era noto per uccidere molti milioni di persone ogni anno e per ingannare continuamente la gente quando promuoveva i suoi prodotti vecchi e nuovi, tutti ugualmente dannosi. Tuttavia, durante la pandemia, la richiesta di prove migliori sull'efficacia e sugli eventi avversi è stata spesso considerata anatema. Questo approccio sprezzante e autoritario "in difesa della scienza" potrebbe purtroppo aver aumentato l'esitazione per il vaccino e il movimento anti-vaccino, sprecando un'opportunità unica creata dal fantastico rapido sviluppo dei vaccini contro il COVID-19. Anche l'industria del tabacco ha migliorato la sua reputazione: Philip Morris ha donato respiratori per promuovere un profilo di responsabilità aziendale e salvare vite, una parte delle quali è stata messa a rischio di morte dal COVID-19 a causa di malattie pre-esistenti causate dai prodotti del tabacco.

Altre entità potenzialmente in conflitto sono diventate i nuovi regolatori della società, piuttosto che quelli tradizionali. Le grandi aziende tecnologiche, che hanno guadagnato trilioni di dollari in valore di mercato cumulativo dalla trasformazione virtuale della vita umana durante il blocco, hanno sviluppato potenti macchinari di censura che hanno distorto le informazioni disponibili per gli utenti sulle loro piattaforme. Ai consulenti che hanno guadagnato milioni di dollari dalla consultazione aziendale e governativa sono stati dati incarichi prestigiosi, potere ed elogi pubblici, mentre gli scienziati non conflittuali che hanno lavorato pro bono ma hanno osato mettere in discussione le narrazioni dominanti sono stati diffamati come conflittuali. Lo scetticismo organizzato era visto come una minaccia per la salute pubblica. C'è stato uno scontro tra due scuole di pensiero, la salute pubblica autoritaria contro la scienza e la scienza ha perso.

Farsi continuamente oneste domande e l'esplorazione di percorsi alternativi sono indispensabili per una buona scienza. Nella versione autoritaria (al contrario di quella partecipativa) della salute pubblica, queste attività erano viste come tradimento e diserzione. La narrativa dominante è diventata che "siamo in guerra". In guerra, tutti devono eseguire gli ordini. Se a un plotone viene ordinato di andare a destra e alcuni soldati girano a sinistra, vengono fucilati come disertori. Lo scetticismo scientifico doveva essere eliminato senza fare domande. Gli ordini erano chiari.

Chi ha dato questi ordini? Chi ha deciso che la sua opinione, competenza e conflitti dovrebbero essere responsabili? Non era una singola persona, non un generale pazzo o un politico spregevole o un dittatore, anche se l'interferenza politica nella scienza si è verificata in modo massiccio. Eravamo tutti noi, un conglomerato che non ha nome e non ha volto: una rete e un disordine di prove a metà; media frenetici e di parte che promuovono il giornalismo di incompetenti paracadutati in giro e la copertura del branco; la proliferazione di personaggi dei social media pseudonimi ed eponimi che hanno portato anche scienziati seri a diventare avatar selvaggi e selvaggi di se stessi, sputando enormi quantità di sciocchezze e sciocchezze; aziende industriali e tecnologiche scarsamente regolamentate che mostrano la loro intelligenza e il loro potere di marketing; e gente comune afflitta dalla crisi prolungata. Tutti nuotano in un misto di alcune buone intenzioni, alcune idee eccellenti e alcuni splendidi successi scientifici, ma anche di conflitti, polarizzazione politica, paura, panico, odio, divisione, notizie false, censura, disuguaglianze, razzismo e malattie sociali croniche.

I dibattiti scientifici accesi ma salutari sono sempre bene accetti. I critici seri sono i nostri più grandi benefattori. John Tukey una volta disse che il nome collettivo per un gruppo di statistici è un litigio. Questo vale anche per altri scienziati. Ma “siamo in guerra” ha portato a un passo oltre: questa è una guerra sporca, senza dignità. Gli oppositori sono stati minacciati, maltrattati e vittime di bullismo da campagne di annullamento della cultura sui social media, storie di successo nei media tradizionali e bestseller scritti da fanatici. Le dichiarazioni sono state distorte, trasformate nel contrario di quello che erano e ridicolizzate. Le pagine di Wikipedia sono state vandalizzate. La reputazione di molti scienziati è stata sistematicamente devastata e distrutta. Molti brillanti scienziati sono stati maltrattati e hanno ricevuto minacce durante la pandemia, con lo scopo di rendere infelici loro e le loro famiglie.

L'abuso dell’anonimato e dello pseudonimo ha già un effetto agghiacciante; ma è peggio quando le persone che abusano hanno un nome e sono rispettabili. Le uniche risposte possibili al bigottismo e all'ipocrisia sono la gentilezza, la civiltà, l'empatia e la dignità. Tuttavia, escludendo la comunicazione di persona, la vita virtuale e i social media nell'isolamento sociale sono scarsi vettori di queste virtù.

La politica ha avuto un'influenza deleteria sulla scienza pandemica. Tutto ciò che qualsiasi scienziato apolitico ha detto o scritto potrebbe essere usato come arma per programmi politici. Legare interventi di salute pubblica come maschere e vaccini a una fazione, politica o meno, soddisfa coloro che sono devoti a quella fazione, ma fa infuriare la fazione avversaria. Questo processo mina la più ampia adozione necessaria affinché tali interventi siano efficaci. La politica travestita da salute pubblica non ha ferito solo la scienza. Ha anche abbattuto la salute pubblica partecipativa in cui le persone sono autorizzate, piuttosto che obbligate e umiliate.

Uno scienziato non può e non deve cercare di modificare i suoi dati e le sue inferenze sulla base dell'attuale dottrina dei partiti politici o della lettura del giorno del termometro dei social media. In un ambiente in cui le tradizionali divisioni politiche tra sinistra e destra non sembrano più avere molto senso, i dati, le frasi e le interpretazioni vengono estrapolati dal contesto e trasformati in armi. Lo stesso scienziato apolitico potrebbe essere attaccato da commentatori di sinistra in un luogo e da commentatori di destra in un altro. Molti scienziati eccellenti hanno dovuto tacere per loro scelta in questo caos. La loro autocensura è stata una grave perdita per le indagini scientifiche e lo sforzo per la salute pubblica. I miei eroi sono i molti scienziati ben intenzionati che sono stati maltrattati, diffamati e minacciati durante la pandemia. Li rispetto tutti e soffro per quello che hanno passato, indipendentemente dal fatto che le loro posizioni scientifiche siano d'accordo o in disaccordo con le mie. Soffro e apprezzo ancora di più coloro le cui posizioni erano in disaccordo con le mie.

Non c'era assolutamente nessuna cospirazione o pianificazione dietro questa evoluzione col turbo. Semplicemente, in tempi di crisi, i potenti prosperano e i deboli diventano più svantaggiati. In mezzo alla confusione pandemica, i potenti e i combattenti sono diventati più potenti e più conflittuali, mentre milioni di persone svantaggiate sono morte e miliardi hanno sofferto.

Temo che la scienza e le sue norme abbiano condiviso il destino degli svantaggiati. È un peccato, perché la scienza può ancora aiutare tutti. La scienza rimane la cosa migliore che possa capitare agli esseri umani, a condizione che possa essere sia tollerante che tollerata.

lunedì 6 settembre 2021

La trappola della conoscenza



Un Post di Fabio Vomiero

Nonostante certa filosofia ingenua e una spiccata propensione umana alla retorica mitologica amino da sempre confezionare ed etichettare idee e concetti, dovrebbe invece essere chiaro come, in realtà, tutto il nostro armamentario lessicale, sintattico e cognitivo, si dimostri il più delle volte evidentemente insufficiente nell'esprimere l'estrema complessità intrinseca di molti fenomeni complessi.

Problema peraltro già noto da tempo presso le menti più perspicaci. Basti pensare per esempio, senza scomodare la solita fisica quantistica di Heisemberg o Schrӧdinger, alle frequenti riflessioni di Darwin sui possibili fraintendimenti che avrebbe potuto generare la difficile esplicazione della sua teoria, cosa che poi si è effettivamente verificata. Si pensi inoltre a concetti comunemente abusati come quelli di realtà, vita, mente, coscienza, scienza o conoscenza stessa, appunto: nonostante in letteratura si possa trovare certamente di tutto e di più, di fatto, non esistono mai delle definizioni univoche e universalmente accettate.

Del resto, anche l'osservazione attenta della nostra piccola esperienza quotidiana ci può dire molto in merito alla questione. Provate a mettere d'accordo uno scienziato e un sacerdote sulle prove dell'esistenza di Dio, o un filosofo "cartesiano" e un neuroscienziato sull'essenza del presunto dualismo mente-corpo, oppure ancora un certo politico di destra e uno di sinistra sulla convenienza socio-economica o meno del cosiddetto "liberismo". Ma provate anche soltanto a capire, tra la sterminata letteratura spesso discordante, se il caffè, le uova, i latticini o il cioccolato facciano bene o male, se sia meglio operare la vostra poliposi nasale o la vostra calcolosi oppure no, se la caccia nel ventunesimo secolo abbia ancora un senso, se la politica di Biden possa essere o meno corretta, o soltanto conoscere come siano andate veramente le cose in Libia e in Iraq prima, e adesso in Afghanistan.

Ebbene, il punto è che allora, nonostante molte menti dogmatiche continuino ancora a pensare ingenuamente il contrario, tutto questo ci dovrebbe invece suggerire quantomeno una certa prudenza nel considerare la valenza stessa di concetti assoluti come quelli di realtà, verità e conoscenza.

In effetti, se ci spostiamo provvidenzialmente dalle sfere appunto più dogmatiche e mitopoietiche, come quelle per esempio delle ottomila religioni e delle infinite filosofie diffuse nel mondo, all'unica vera possibilità di avvicinamento a forme di conoscenza perlomeno affidabili e condivise, rappresentate dalla scienza contemporanea (che non è più soltanto quella di Galileo e Newton), possiamo ritrovare moltissimi elementi teorici e sperimentali che supportano l'evidenza di come non si possa in alcun modo attribuire al concetto di conoscenza un significato completamente oggettivo e definitivo.

Primo fra tutti il fatto che ogni dato (scientifico) grezzo è generalmente muto se non viene integrato e contestualizzato all'interno di un costrutto teorico (teoria o modello) che, com'è noto, non è mai fisso e definitivo, ma cambia o si modifica costantemente nel tempo. Il problema è che ad essere in gioco non è soltanto l'estrema complessità dei fenomeni osservati che producono emergenza di nuova informazione e di nuovi comportamenti, ma anche la variabilità, i limiti e la complessità dell'osservatore che, a tutti gli effetti, diventa egli stesso elemento di ogni tipo di sistema indagato, condizionando, di fatto, la pluralità e la scelta delle descrizioni possibili.

E' chiaro che allora, a questo punto, la frontiera di ogni prospettiva di conoscenza non potrà che essere mobile e cambiare anche sensibilmente a seconda che l'elemento osservatore ragioni fondamentalmente da poeta, da sacerdote, da filosofo, da scienziato e ancora di più a seconda che questi osservatori siano più o meno bravi e preparati nell'analisi e nell'interpretazione sistemica.

Processi complessi che studiano altri processi complessi, sostanzialmente, il che implica che ogni descrizione del mondo non potrà che essere necessariamente centrata sulle "scelte sistemiche" sempre parziali e limitate dell'osservatore, sgomberando così il campo da quelle residue, ma ancora diffuse illusioni, di una logica completamente oggettivistica della conoscenza. In altre parole è come se di un infinito paesaggio di informazione noi non riuscissimo che a cogliere di volta in volta soltanto alcuni aspetti e non altri, un po' come quando in meccanica quantistica si fissano le condizioni sperimentali per estrarre dai sistemi certa informazione anzichè altra, mediante il collasso della funzione d'onda.

Ecco perchè il filosofo e il neuroscienziato di prima non si metteranno mai d'accordo e in fondo, nonostante tutti i proclami, non riusciremo mai a prevedere nel dettaglio l'evoluzione di molti sistemi complessi quali il clima, la tettonica, il folding proteico, il decorso o l'esito di malattie ed epidemie, le relazioni sociali, l'andamento della borsa, le crisi economiche, o soltanto immaginare quale potrà essere il nostro pensiero tra cinque minuti.

Ma qual è allora il senso di questa breve riflessione epistemica... Probabilmente quello di una semplice lezione di umiltà e di consapevolezza della precarietà della nostra conoscenza così come lo è peraltro la nostra stessa esistenza. Perchè esiste sempre uno scarto tra le nostre rappresentazioni e descrizioni del mondo, siano esse modelli o teorie, e il mondo stesso che ci chiama, ed è proprio grazie a questo scarto, più o meno ampio, che trova spazio il gioco della pluralità degli approcci possibili e delle visioni prospettiche, le quali possono poi generare ipotesi e teorie anche sostanzialmente, o soltanto apparentemente, incommensurabili tra di loro.

Il nostro rapporto con il mondo, infatti, non è mai neutro, perchè anche le nostre osservazioni empiriche sono sempre inevitabilmente cariche di una certa dose di background, pregiudizio, teoria e aspettativa, purtroppo, che poi è anche il motivo per cui siamo così diversi da una semplice macchina di Touring.

Insomma, potremmo dire che, sulla base di quanto abbiamo detto, tenderebbe ad emergere l'immagine di una conoscenza condannata ad essere soltanto parziale e dalla vocazione più che altro "costruttivista", da intendersi quindi come un raffinato processo relazionale tra osservatore e osservato a metà strada tra un "realismo" banale e tautologico e un "relativismo" ingenuo, che trascura invece l'importanza, la straordinarietà e l'affidabilità della conoscenza scientifica rispetto a tutte le altre forme di sapere.

Purtroppo, il caos culturale tipico della nostra epoca rappresenta un ambiente pericoloso e poco favorevole alla produzione e alla trasmissione di una conoscenza seria e concreta: proliferazione continua di miti e di luoghi comuni, formazione scolastica probabilmente inadeguata, informazione mediatica scadente, ipertecnologia che paralizza le menti, e una scienza che continua ad essere poco compresa e male interpretata oltre che dai soliti umanisti naif, anche da alcuni suoi stessi rappresentanti.

Serve perciò molto impegno, studio e applicazione se si vuole ambire a diventare delle persone intellettualmente libere, sagge e razionali, e rendere un po' meno ingombrante e pesante il fardello non solo della propria ignoranza, ma anche della propria stupidità... Una fatica che, comunque sia, varrebbe la pena di sostenere.

venerdì 27 agosto 2021

Il Piacere della Scienza

 

Ilaria Perissi, molto soddisfatta della nostra creazione: una simulazione di un'esplosione nucleare fatta usando 50 trappole per topi. E' un tipo di scienza creativa, ben diverso dalla scienza di oggi, rigida, costosa, e incasellata nelle varie conventicole nelle quali gli scienziati si rinchiudono da soli.


Ultimamente, mi è venuto molto da pensare a che cos'è veramente la scienza. E mi è tornato in mente che la ragione per la quale sono quello che sono (e sono stato), arriva tutto da una sera quando avevo forse 6 -7 anni e mio zio, ingegnere, mi fece vedere gli anelli di Saturno da una finestra di casa con un telescopio che era poco più di un giocattolo. Mi insegnò anche tante altre cose, tipo a saldare i fili dei circuiti elettrici usando un vecchio saldatore scaldato con una fiamma a gas. Non esattamente una cosa che oggi metteremmo in mano a un bambino. 

Certo, la scienza è cambiata tanto. Negli anni, ho usato strumentazione complicata, laboratori attrezzati, addirittura interi accelleratori per produrre le particelle che usavamo come sonde per i fenomeni che studiavamo. Scienza costosa. Ma molto di quello che ho fatto aveva ancora molto il piacere di trovare qualcosa di nuovo e di inaspettato. C'era ancora spazio per idee originali da sperimentare. Magari non funzionavano, ma per tante cose ci siamo divertiti. 

Per esempio, la mia collaboratrice e allieva Ilaria Perissi (che vedete nella figura più sopra) ha fatto la sua tesi di dottorato su un nuovo liquido raffreddante per gli impianti solari a concentrazione, quelli di Rubbia per intenderci. Alla fine, non è risultata una cosa pratica, ma era tutto un mondo nuovo e affascinante, quello dei "liquidi ionici," solventi che nessuno aveva mai sperimentato prima per questa applicazione.

Ma, ultimamente, la scienza non la riconosco più. Tutto si è irrigidito, politicizzato, bloccato in conventicole ristrette, gestito non più dagli scienziati ma da chi li finanzia. La "Scienza" (alle volte scritta come "La Scienzah") è diventata una specie di idolo pagano che si deve adorare ma non si può criticare. E gli scienziati alla moda sono diventati quei virologi televisivi che ormai sono degli attori che interpretano il ruolo degli scienziati.

E così, con la mia collaboratrice di lungo corso, Ilaria, ci siamo messi in testa di ritornare alla scienza di una volta. La scienza semplice, la scienza affascinante, la scienza fatta con pochi soldi. La scienza fatta per il puro piacere di farla. Vi dirò che ci siamo divertiti. Anzi, ci siamo divertiti tanto. Anzi, tantissimo! 

Fra le tante cose, vedete nella foto un esperimento fatto sull'effetto termico del biossido di carbonio. Non aveva lo scopo di dimostrare che l'effeto serra esiste (questo già lo sappiamo) ma che la maggior parte degli esperimenti "didattici" che pretendono di dimostrare che esiste, sono sbagliati. 

Poi con Ilaria abbiamo fatto pezzi teatrali sull'economia delle risorse. Abbiamo inventato il "gioco di Moby Dick" in cui i giocatori prendono il ruolo di capitani di navi baleniere e si impegnano in una simulazione del sovrasfruttamento delle risorse. E' un gioco da tavolo, fatto espressamente con l'obbiettivo della semplicità; niente computer, regole semplici, un po' ci si diverte, un po' si imparano cose. Lo trovate nel nostro libro "Il Mare Svuotato." 

Recentemente, ci siamo anche inventata una "sesta legge della stupidità" applicando un nostro modello matematico alle cinque leggi della stupidità umana inventate negli anni 1970s da Carlo Cipolla. Era anche lui uno scienziato che si divertiva a fare il suo lavoro. L'ho conosciuto di persona, era un tipo riservato, ma se entravi un po' in confidenza con lui ti faceva morire dalle risate con le sue idee sulle scienze economiche. E abbiamo anche pubblicato il nostro articolo su una rivista scientifica "seria." 

Non vi dico quanto ci hanno fatto patire i revisori, scandalizzati che si potesse fare scienza non noiosa! Dai report che ci arrivavano sembrava di vedere la faccia disgustata dello scienzatone di turno che scriveva cose tipo "ma chi si credono di essere questi qua?" (non proprio esplicitamente, ma il senso era questo). Abbiamo addirittura avuto l'onore di avere quattro revisori, quando di solito due sono il massimo, tanto l'editore era terrorizzato dal nostro articolo. Ma, alla fine, si sono dovuti arrendere quando si sono accorti che sapevamo di cosa parlavamo.

E, infine, come vedete nella foto all'inizio di questo post, io e Ilaria ci siamo impegnati in un altro esperimento per la pura curiosità di farlo. Niente di meno che la simulazione di un'esplosione nucleare usando trappole per topi! 

L'idea di base non ce la siamo inventata noi: vi ricordate forse di aver visto l'esperimento in un famoso film di Walt Disney "Il Nostro Amico Atomo" (1957). Si tratta di caricare le trappole con delle palline da ping-pong, poi ogni trappola quando scatta spara due palline in aria, le palline fanno scattare altre trappole, e il risultato è un'esplosione di palline da ping pong. E' lo stesso meccanismo che genera le esplosioni nucleari: si chiama "feedback positivo" nella scienza dei sistemi complessi. 


Ma perché rifare un esperimento già fatto più di mezzo secolo fa? Beh, in parte è una questione di curiosità. Se andate sul Web, troverete decine e decine di filmati di questo esperimento in varie forme. Ma questi esperimenti sono di solito fatti in modo dilettantesco, solo per il gusto di vedere palline che volano. Ma la scienza divertente non è scienza fatta male. Anzi, deve essere rigorosa, specialmente considerando che vai a fare cose che ti inventi da te. Non è lo stesso che comprare uno strumento di misura costoso già fatto e seguire il manuale di istruzioni, che è il modo in cui si fa tanta scienza oggi.

Allora, non vi sto a dare i dettagli di questo esperimento con le trappole per topi che si sta rivelando alquanto complicato a fare -- ma ci stiamo riuscendo! (per non parlare di quante volte ci siamo presi una tagliola sulle dita). Quello che vogliamo fare è misurare i parametri dell'esplosione delle palline e poi verificare il meccanismo con un modello matematico. Come vi dicevo, ci sono decine e decine di esperimenti del genere, e nessuno che mai si sia preoccupato di misurare quello che succede e di interpretarlo con un modello. E questa è la cosa interessante: capire se il modello si può applicare a sistemi reali. Scienza divertente ma rigorosa!

La prossima invenzione ve la accenno soltanto, ma è una simulazione del ruolo delle balene nel cambiamento climatico. Non so se mai funzionerà, ma non vi immaginate quante cose si possono imparare a cercare di fare un modello matematico di una cosa del genere. 

Per concludere, due cose. La prima è ringraziare Ilaria per avermi seguito (e per continuare a seguirmi) in questa ricerca un po' originale. Poi, vi passo qualche paragrafo tradotto da un post recente di Matthew Crawford che mi ha ispirato questo testo.


Come la Scienza è Stata Corrotta

Di Matthew Crawford (estratto)

Quando ero piccolo, mio ​​padre faceva esperimenti in casa. Quando soffi sulla parte superiore di una bottiglia di vino, quanti modi di vibrazione ci sono? Come si ottengono le note più alte? 

Un'altra volta, la questione in esame potrebbe essere "l'angolo di riposo" di un mucchio di sabbia, come in una clessidra. Dipende dalla dimensione delle particelle? Sulla loro forma? Questi fattori determinano la velocità con cui una clessidra si svuota? 

La mia preferita era la domanda su quale tecnica svuoterà una brocca d'acqua più velocemente. Dovresti semplicemente capovolgerla e lasciare che l'aria entri (come deve, per sostituire l'acqua) in quel modo instabile, glug-glug-glug, o tenerlo con un'angolazione più delicata in modo che il versamento non venga interrotto? Risposta: capovolgi la brocca e agitala energicamente per creare un effetto vortice. Questo crea uno spazio vuoto al centro del flusso, dove l'aria è libera di entrare. La brocca si svuoterà molto rapidamente. 

Mio padre è diventato famoso per questi esperimenti di "fisica in cucina" dopo aver incluso compiti basati su di essi in un libro di testo da lui scritto, pubblicato nel 1968 e amato da generazioni di studenti di fisica: Waves (Berkeley Physics Course, Vol. 3). Mia sorella ed io, di due e cinque anni, siamo citati nei ringraziamenti per aver ceduto i nostri Slinky alla causa. <...>

La pandemia ha messo in rilievo una dissonanza tra la nostra immagine idealizzata della scienza, da un lato, e il lavoro che la “scienza” è chiamata a svolgere nella nostra società, dall'altro. Penso che la dissonanza possa essere ricondotta a questa discrepanza tra la scienza come attività della mente solitaria e la sua realtà istituzionale. 

La grande scienza è fondamentalmente sociale nella sua pratica, e con ciò derivano alcune implicazioni. In pratica, la "scienza politicizzata" è l'unico tipo che esiste (o meglio, l'unico di cui probabilmente sentirai parlare). Ma è proprio l'immagine apolitica della scienza, come arbitro disinteressato della realtà, che la rende uno strumento così potente della politica. Questa contraddizione è ora allo scoperto. 

Le tendenze “antiscienza” del populismo sono in misura significativa una risposta al divario che si è aperto tra la pratica della scienza e l'ideale che ne sostiene l'autorità. Come modo di generare conoscenza, è l'orgoglio della scienza essere falsificabile (a differenza della religione). Tuttavia, che tipo di autorità sarebbe quella che insiste che la propria comprensione della realtà è solo provvisoria? 

Presumibilmente, l'intero scopo dell'autorità è spiegare la realtà e fornire certezza in un mondo incerto, nell'interesse del coordinamento sociale, anche a prezzo della semplificazione. Per svolgere il ruolo assegnatole, la scienza deve diventare qualcosa di più simile alla religione. Il coro di lamentele su una "fede nella scienza" in declino espone il problema in modo quasi troppo franco. I più reprobi tra noi sono gli scettici del clima, a meno che non siano i negazionisti del Covid, accusati di non obbedire alla scienza. Se tutto questo ha un suono medievale, dovrebbe farci riflettere.


martedì 10 agosto 2021

Consenso: un'arte che stiamo perdendo. Il caso della scienza del clima

 

Dal blog "The Seneca Effect"

Nel 1956, Arthur C. Clarke scrisse "The Forgotten Enemy", una storia di fantascienza che trattava del ritorno dell'era glaciale ( fonte immagine ). Sicuramente non era la migliore storia di Clarke, ma potrebbe essere stata la prima scritta su quell'argomento da un noto autore. Diversi altri autori di fantascienza hanno esaminato lo stesso tema, ma ciò non significa che, a quel tempo, esistesse un consenso scientifico sul raffreddamento globale. Significa solo che un consenso sul riscaldamento globale è stato ottenuto solo più tardi, negli anni '80. Ma quali meccanismi sono stati utilizzati per ottenere questo consenso? E perché, oggigiorno, sembra impossibile raggiungere il consenso su qualsiasi cosa? Questo post è una discussione su questo argomento che usa la scienza del clima come esempio.

 

di Ugo Bardi

 

Forse ricorderete come, nel 2017, durante la presidenza Trump, sia circolata brevemente sui media l'idea di organizzare un dibattito sui cambiamenti climatici sotto forma di un incontro "squadra rossa contro squadra blu" tra gli scienziati del clima ortodossi e i loro avversari. Gli scienziati del clima erano inorriditi all'idea. Erano particolarmente sgomenti per le implicazioni militari dell'idea "rosso contro blu" che suggeriva il modo in cui avrebbe potuto essere organizzato il dibattito. Da parte del governo, invece, si è subito capito che in un dibattito scientifico equo la loro parte non aveva nessuna possibilità di successo. Quindi, il dibattito non ha mai avuto luogo ed è un bene che sia stato così. Forse chi lo proponeva aveva buone intenzioni (o forse no), ma in ogni caso sarebbe degenerato in una rissa e avrebbe creato solo confusione.

Eppure, la storia di quel dibattito che non si è mai tenuto suggerisce un punto che la maggior parte delle persone comprende: la necessità del consenso . Nulla nel nostro mondo può essere fatto senza una qualche forma di consenso e la questione del cambiamento climatico ne è un buon esempio. Gli scienziati del clima tendono ad affermare che esiste un consenso e talvolta lo quantificano come il 97% o addirittura il 100%. I loro avversari affermano il contrario

In un certo senso hanno ragione entrambi. Esiste un consenso sul cambiamento climatico tra gli scienziati, ma questo non è vero per il grande pubblico. I sondaggi dicono che la maggior parte delle persone ha delle nozioni sui cambiamenti climatici e concorda sul fatto che bisogna fare qualcosa al riguardo, ma non è la stessa cosa di un consenso approfondito e informato. Inoltre, questa maggioranza scompare rapidamente non appena è il momento di fare qualcosa che tocca il portafoglio di qualcuno. Il risultato è che, per più di 30 anni, migliaia dei migliori scienziati del mondo hanno continuato ad avvertire l'umanità di una terribile minaccia in arrivo, e non è stato fatto nulla di serio per fermarla. Solo proclami, greenwashing e "soluzioni" che peggiorano il problema (l'" economia basata sull'idrogeno " ne è un buon esempio).

Quindi, la costruzione del consenso è una questione fondamentale. La si può chiamare una scienza o vederla come ciò che altri chiamano "propaganda". Alcuni rifiutano l'idea stessa come una forma di "controllo mentale" o la praticano in vari metodi di negoziazione basata su regole. È un argomento affascinante che va al cuore della nostra esistenza di esseri umani in una società complessa. 

Qui, invece di affrontare la questione da un punto di vista generale, discuterò un esempio specifico: quello del "raffreddamento globale" contro il "riscaldamento globale", e come si è ottenuto un consenso sul fatto che il riscaldamento sia la vera minaccia. È una disputa che spesso si dice sia la prova che non esiste consenso nella scienza del clima. 

Avrete sicuramente sentito la storia di come, solo pochi decenni fa, il "raffreddamento globale" fosse la visione scientifica generalmente accettata del futuro. E come quegli sciocchi scienziati hanno cambiato idea, passando invece al riscaldamento. Al contrario, potreste anche aver sentito che questo è un mito e che non c'è mai stato un consenso sul fatto che la Terra si stesse raffreddando.

Come sempre, la  realtà è più complessa di quanto la politica voglia che sia. Il raffreddamento globale come consenso scientifico è una delle tante leggende generate dalla discussione sui cambiamenti climatici e, come la maggior parte delle leggende, è sostanzialmente falsa. Ma ha perlomeno alcuni collegamenti con la realtà. È una storia interessante che ci dice molto su come si ottiene il consenso nella scienza. Ma dobbiamo cominciare dall'inizio.

L'idea che il clima della Terra non fosse stabile è emersa a metà del XIX secolo con la scoperta delle passate ere glaciali. A quel punto, una domanda ovvia era se le ere glaciali potessero tornare in futuro. La questione è rimasta al livello di speculazioni sparse fino alla metà del XX secolo, quando il concetto di "nuova era glaciale" è apparso nella "memesfera" (l'insieme dei memi pubblici umani). Possiamo vedere questa evoluzione utilizzando Google "Ngrams", un database che misura la frequenza delle stringhe di parole in un ampio corpus di libri pubblicati ( Grazie, Google !!).

 

Vedete che la possibilità di una "nuova era glaciale" è entrata nella coscienza pubblica già negli anni '20, poi è cresciuta e ha raggiunto un picco nei primi anni '70. Altre stringhe come "Earth cooling" e simili danno risultati simili. Si noti inoltre che il database "English Fiction" genera un picco per il concetto di "nuova era glaciale" all'incirca nello stesso periodo, negli anni '70. In seguito, il raffreddamento è stato completamente sostituito dal concetto di riscaldamento globale. Possiamo vedere nella figura sottostante come è arrivato il crossover alla fine degli anni '80.

 


Anche dopo che iniziò a declinare, l'idea di una "nuova era glaciale" rimase popolare e i giornalisti amavano presentarla al pubblico come una minaccia imminente. Ad esempio, Newsweek ha pubblicato un articolo intitolato "The Cooling World " nel 1975, ma il concetto ha fornito un buon materiale per il genere catastrofico. Ancora nel 2004, era alla base del film " The Day After Tomorrow. "

Questo significa che gli scienziati credevano che la Terra si stesse raffreddando? Ovviamente no. Non c'era consenso sulla questione. Lo stato della scienza del clima fino alla fine degli anni '70 semplicemente non consentiva certezze sul clima futuro della Terra.

Ad esempio, nel 1972, il noto rapporto al Club di Roma,  "I limiti alla crescita ", rilevava la crescente concentrazione di CO2 nell'atmosfera, ma non affermava che avrebbe causato il riscaldamento - evidentemente il problema non era ancora chiaro nemmeno per gli scienziati impegnati in studi sull'ecosistema globale. 8 anni dopo, nel 1980, gli autori del " The Global 2000 Report to the President of the US " commissionato dal presidente Carter, avevano già una comprensione molto migliore degli effetti sul clima dei gas serra. Tuttavia, non hanno escluso il raffreddamento globale e ne hanno discusso come uno scenario plausibile.

Il Global 2000 Report è particolarmente interessante perché fornisce alcuni dati sull'opinione degli scienziati del clima così com'era nel 1975. Sono stati intervistati 28 esperti ai quali è stato chiesto di prevedere la temperatura media mondiale per l'anno 2000. Il risultato è stato nessun riscaldamento o un riscaldamento minimo di circa 0,1 C. Nel mondo reale, tuttavia, le temperature sono aumentate di oltre 0,4 C nel 2000. Chiaramente, nel 1980, non esisteva un consenso scientifico sul riscaldamento globale. Sul punto si veda anche l'articolo di Peterson (2008 ) che analizza la letteratura scientifica degli anni Settanta. Trovava che la maggior parte degli articoli erano in favore del riscaldamento globale, ma anche una minoranza significativa sosteneva l'assenza di variazioni di temperatura o il raffreddamento globale.

Ora stiamo arrivando al punto veramente interessante di questa discussione. Il consenso sul riscaldamento della Terra non esisteva prima degli anni '80, ma poi è diventato la norma. Come è stato ottenuto?

Ci sono due interpretazioni che fluttuano oggi nella memesfera. Una è che gli scienziati hanno concordato una cospirazione globale per terrorizzare il pubblico sul riscaldamento globale al fine di ottenere vantaggi personali. L'altra che gli scienziati sono analizzatori di dati a sangue freddo e che hanno fatto come disse John Maynard Keynes: "Quando ho nuovi dati, cambio idea". 

Entrambi sono leggende. Quello sulla cospirazione scientifica è ovviamente ridicolo, ma il secondo è altrettanto sciocco. Gli scienziati sono esseri umani e i dati non sono un vangelo di verità. I dati sono sempre incompleti, affetti da incertezze e devono essere selezionati. Prova a invetare la legge di gravitazione universale di Newton senza ignorare tutti i dati sulla caduta di piume, fogli di carta e uccelli, e capirai cosa intendo. 

In pratica, la scienza è nata come una macchina per la costruzione del consenso. Si è evoluta proprio allo scopo di assorbire nuovi dati in un processo graduale che non porta (normalmente) al tipo di divisione partigiana tipica della politica. 

La scienza utilizza un procedimento derivato da un antico metodo che, in epoca medievale, era chiamato disputatio e che affonda le sue radici nell'arte della retorica dell'antichità classica. L'idea è quella di discutere i problemi mettendo uno di fronte all'altro i campioni delle diverse tesi e cercando di convincere un pubblico informato utilizzando i migliori argomenti che possono raccogliere. La disputatio medievale poteva essere molto sofisticata e, ad esempio, ho discusso la " Controversy of Valladolid " (1550-51) sullo stato degli indiani d'America. Le Disputstiones teologiche normalmente non potevano armonizzare posizioni veramente incompatibili, ad esempio convincendo gli ebrei a diventare cristiani (è stato tentato più di una volta, ma vi potete immaginare i risultati). Ma a volte portavano a buoni compromessi e mantenevano il confronto a livello verbale (almeno per un po').

Nella scienza moderna, le regole sono leggermente cambiate, ma l'idea rimane la stessa: gli esperti cercano di convincere i loro avversari usando i migliori argomenti che possono raccogliere. Deve essere una discussione, non un litigio. Le buone maniere vanno mantenute e la caratteristica fondamentale è saper parlare una lingua reciprocamente comprensibile. E non solo: i relatori devono concordare su alcuni principi di base della cornice della discussione.  Durante il Medioevo, i teologi discutevano in latino e concordavano che la discussione doveva essere basata sulle scritture cristiane. Oggi gli scienziati discutono in inglese e concordano sul fatto che la discussione debba essere basata sul metodo scientifico.

Nei primi tempi della scienza si usavano dibattiti uno contro uno (forse ricorderete il famoso dibattito sulle idee di Darwin che coinvolse Thomas Huxley e l'arcivescovo Wilberforce nel 1860). Ma, al giorno d'oggi, è raro. Il dibattito si svolge in convegni e seminari scientifici a cui partecipano parecchi scienziati che guadagnano o perdono "punti prestigio" a seconda di quanto sono bravi a presentare le proprie opinioni. Occasionalmente, un presentatore, in particolare un giovane scienziato, può essere "fatto alla griglia" dal pubblico in una piccola rievocazione delle cerimonie di raggiungimento della maggiore età dei nativi americani. Ma, cosa più importante di tutte, durante la conferenza si svolgono discussioni informali. Questi incontri non devono essere vacanze, sono funzionali allo scambio di idee faccia a faccia. Come ho detto, Si fa molta scienza nelle mense e davanti a un bicchiere di birra. Probabilmente, la maggior parte delle scoperte scientifiche inizia in questo tipo di ambiente informale. Nessuno, per quanto ne so, è mai stato colpito da un raggio di luce dal cielo mentre guardava una presentazione in power point.

Sarebbe difficile sostenere che gli scienziati siano più abili nel cambiare le loro opinioni di quanto i teologi medievali e gli scienziati più anziani tendano ad attenersi alle vecchie idee. A volte si sente dire che la scienza avanza un funerale alla volta; non è sbagliato, ma sicuramente un'esagerazione: le opinioni scientifiche cambiano anche senza dover aspettare che muoia la vecchia guardia. Il dibattito in una conferenza può decisamente spostarsi in una certa direzione sulla base della brillantezza di uno scienziato, della disponibilità di buoni dati e della competenza complessiva dimostrata. 

Posso testimoniare che, almeno una volta, ho visto qualcuno del pubblico alzarsi dopo una presentazione e dire: "Caro signore, ero di parere diverso fino a quando non ho sentito il suo discorso, ma ora mi ha convinto. Mi sbagliavo e lei è nel giusto. " (e vi posso dire che questa persona aveva più di 70 anni, i bravi scienziati possono invecchiare bene, come succede per il vino). In molti casi, la conversione non è così improvvisa e così spettacolare, ma succede. Ovviamente, il denaro può fare miracoli nell'influenzare le opinioni scientifiche ma, finché ci atteniamo alla scienza del clima, non ci sono molti soldi coinvolti e la corruzione non è diffusa come in altri campi, come in medicina.

Quindi, possiamo immaginare che negli anni '80 la macchina del consenso abbia funzionato come avrebbe dovuto e ha portato l'opinione generale degli scienziati del clima a passare dal raffreddamento al riscaldamento. È stata una buona cosa, ma la storia non è finita con questo. Restava da convincere le persone al di fuori del ristretto campo della scienza del clima, e questo non era ovvio. 

Dagli anni '90 in poi, la disputatio è stata dedicata a convincere sia gli scienziati che lavorano in campi diversi dal clima sia il pubblico informato. C'era un problema serio in questo: la scienza del clima non è una cosa da dilettanti, è un campo in cui l'effetto Dunning-Kruger (persone che sopravvalutano la propria competenza) può essere dilagante. Gli scienziati del clima si sono trovati a dover affrontare vari tipi di oppositori. In genere, scienziati anziani che si rifiutavano di accettare nuove idee o, a volte, geologi che vedevano la scienza del clima invadere il loro territorio e risentirsi per questo. Occasionalmente, gli avversari potevano segnare punti nel dibattito concentrandosi su punti ristretti che loro stessi non avevano completamente compreso (ad esempio, il "punto caldo troposferico" era un trucco alla moda). Ma quando il dibattito coinvolgeva qualcuno che conosceva abbastanza bene la scienza del clima, il destino degli avversari era segnato: finivano asfaltati facilmente.

Questi dibattiti sono andati avanti per almeno un decennio. Forse conoscete il libro del 2009 di Randy Olson, " Non essere uno scienziatcosì" che descrive questo periodo. Olson ha sicuramente capito il punto fondamentale del dibattito: devi rispettare il tuo avversario se vuoi convincere lui o lei, e anche il pubblico. Sembrava funzionare, lentamente. Si facevano progressi e il problema climatico diventava sempre più noto.

E poi, qualcosa è andato storto. Di brutto. Gli scienziati si sono trovati improvvisamente coinvolti in un altro tipo di dibattito per il quale non avevano alcuna formazione e poca comprensione. Vedete in Google Ngrams come l'idea che il cambiamento climatico fosse una bufala è decollata negli anni 2000 ed è diventata una caratteristica della memesfera. Notate come è cresciuto rapidamente: ha avuto un culmine nel 2009, con lo scandalo Climategate, ma non è diminuito in seguito.



Era un modo completamente nuovo di discutere: non più una disputatio. Niente più regole, niente più rispetto reciproco, niente più linguaggio comune. Solo slogan e insulti. Uno scienziato del clima ha descritto questo tipo di dibattito come come essere coinvolti in una "rissa da bar a mani nude". Da lì in poi, la questione climatica si è politicizzata e fortemente polarizzata. Nessun progresso è stato fatto e nessun progresso si sta facendo in questo momento.

Perché è successo? In gran parte, è stato a causa di una campagna di pubbliche relazioni professionale volta a denigrare gli scienziati del clima. Non sappiamo chi l'abbia progettata e pagata ma, sicuramente, esistevano (ed esistono ancora) lobby industriali che avrebbero perso molto se si fosse attuata un'azione decisa per fermare il cambiamento climatico. Chi ha ideato la campagna ha avuto vita facile contro un gruppo di persone tanto ingenue in termini di comunicazione quanto esperti in materia di scienze del clima. 

La storia di Climategate è un buon esempio degli errori commessi dagli scienziati . Se leggete l'intero corpus delle migliaia di email rilasciate nel 2009, da nessuna parte troverate che gli scienziati stavano falsificando i dati, erano coinvolti in cospirazioni o cercavano di ottenere guadagni personali. Ma sono riusciti a dare l'impressione di essere una cricca settaria che si rifiutava di accettare le critiche dei suoi avversari. In termini scientifici, non hanno fatto nulla di male, ma in termini di immagine è stato un disastro. Un altro errore degli scienziati del clima è stato quello di cercare di schiacciare i loro avversari rivendicando il 97% del consenso scientifico. Anche supponendo che sia vero (potrebbe anche essere), gli si è ritorto contro, dando ancora una volta l'impressione che gli scienziati del clima siano autoreferenziali e non tengano conto delle obiezioni degli altri. 

Permettetemi di citare un altro esempio di dibattito scientifico che è deragliato ed è diventato politico. Ho già citato lo studio del 1972 "I limiti della crescita". Era uno studio scientifico, ma il dibattito che ne seguì era al di fuori delle regole del dibattito scientifico. Una "frenesia alimentare" tra gli squali sarebbe una descrizione migliore di come gli economisti del mondo si sono uniti per fare a pezzi lo studio. Il "dibattito" si è rapidamente riversato sulla stampa ufficiale e il risultato è stata una demonizzazione generale dello studio, accusato di aver fatto "previsioni sbagliate" e, in alcuni casi, di pianificare lo sterminio dell'umanità. (Parlo di questa storia nel mio libro del 2011 " The Limits to Growth Revisited.") La cosa interessante (e deprimente) che possiamo imparare da questo vecchio dibattito è che non sono stati fatti progressi in mezzo secolo. Avvicinandosi al 50° anniversario della pubblicazione, possiamo trovare la stessa critica ripubblicata di nuovo sui siti Web, "previsioni sbagliate", e tutto il resto. 

Quindi, siamo bloccati. C'è una speranza per invertire la situazione? Difficilmente. La perdita della capacità di ottenere un consenso sembra essere una caratteristica dei nostri tempi: i dibattiti richiedono un minimo di rispetto reciproco per essere efficaci, ma questo si è perso nella cacofonia del web. L'unica forma di dibattito che rimane è quella rudimentale che vede i candidati presidenziali scambiarsi goffamente luoghi comuni tra loro ogni quattro anni. Ma un vero dibattito? Niente da fare, è sparito come le dispute tra teologi nel Medioevo.

La discussione sul clima, così come su tutte le questioni importanti, si è spostata sul Web, in gran parte sui social. E l'effetto è stato devastante sulla costruzione del consenso . Una cosa è guardare un essere umano dall'altra parte di un tavolo con due bicchieri di birra nel mezzo, un'altra è vedere un pezzo di testo cadere dal nulla come commento al tuo post. Questa è una ricetta per il litigio, e funziona così ogni volta. 

Inoltre, non aiuta che gli incontri e le conferenze scientifiche internazionali siano quasi scomparsi in una situazione che scoraggia gli incontri di persona. Gli incontri online si sono rivelati ore di noia in cui nessuno ascolta nessuno e tutti sono felici quando finisce. Anche se riesci a essere presente a un incontro di persona, non aiuta che il tuo collega ti appaia sotto forma di un contenitore di virus pericolosi, mascherato e da tenere sempre a distanza, se possibile dietro una barriera di plexiglas. Non è il modo migliore per stabilire un rapporto umano.

Questo è un problema fondamentale: se non si può costruire un consenso attraverso un dibattito, l'unica altra possibilità è usare il metodo politico. Significa raggiungere la maggioranza attraverso un voto (e si noti che nella scienza, come nella teologia, il voto non è considerato una tecnica accettabile di costruzione del consenso). Dopo il voto, la parte vincente può imporre la propria posizione alla minoranza usando una combinazione di propaganda, intimidazione e, a volte, forza fisica. Una tecnica estrema di costruzione del consenso è lo sterminio degli avversari. È stato fatto così spesso nella storia che è difficile pensare che non sarà fatto di nuovo su larga scala in futuro, forse nemmeno in uno remoto. Ma, a parte le implicazioni morali, il consenso forzato è costoso, inefficiente e spesso porta a stabilire dogmi. Quindi è impossibile adattarsi ai nuovi dati quando arrivano. 

Allora, dove stiamo andando? Le cose continuano a cambiare continuamente; forse troveremo nuovi modi per ottenere consenso anche online, il che implica, come minimo, non insultare e attaccare il tuo avversario fin dall'inizio. Per quanto riguarda una lingua comune, dopo che siamo passati dal latino all'inglese, potremmo ora passare a "Googlish", una nuova lingua mondiale che potrebbe forse essere strutturata per evitare scontri di assoluti - forse potrebbe essere solo priva di imprecazioni, forse potrebbe avere alcune caratteristiche specifiche che aiutano a creare consenso. Sicuramente serve una riforma della scienza che sbarazzi della corruzione dilagante in molti campi: il denaro è una sorta di consenso, ma non quello che vogliamo.

O, forse, potremmo sviluppare nuovi rituali. I rituali sono sempre stati un mezzo potente per ottenere consensi, basti pensare alla messa cristiana (la chiesa cristiana non si è ancora resa conto di aver ricevuto un colpo mortale dalle regole anti-virus ). I rituali possono essere trasferiti online? O avremmo bisogno di incontrarci di persona nella foresta come le "persone del libro" immaginate da Ray Bradbury nel suo romanzo del 1953 " Fahrenheit 451 "? Non lo possiamo dire. Non ci resta che cavalcare l'onda del cambiamento che, al giorno d'oggi, sembra essere diventata un vero tsunami. Galleggeremo o affonderemo? Chi puo 'dirlo? La riva sembra essere ancora lontana.


h/t Carlo Cuppini e "moresoma"