Per anni ho seguito il blog di Paolo Attivissimo, "Il Disinformatico" trovandolo spesso utile e informativo. Ho smesso di seguirlo quando Attivissimo se n'è uscito con una frase particolarmente infelice. "La stessa scienza che manda sonde su Marte ci dice di indossare le mascherine antivirus." (cito a memoria).
Sono quelle cose che ti fanno dubitare della logica dell'intero universo. La scienza che manda sonde su Marte non è -- enfaticamente NON è -- la stessa scienza che valuta l'efficacia delle mascherine. Nemmeno per idea. Non ci siamo proprio.
Quando si parla di "Scienza" (quella con la "S" maiuscola) di solito ci si riferisce alle affermazioni dei virologi televisivi i quali, a loro volta, tendono a parlare di una cosa che si chiama "metodo scientifico," quello di Galileo. Ma Galileo si occupava di astronomia e di vari aggeggi meccanici. Non aveva gli strumenti per analizzare quelli che oggi chiamiamo "sistemi complessi." Sono due mondi completamente diversi.
Per dare un'idea della confusione che regna anche fra gente che dovrebbe saperne di più, all'inizio della pandemia sono apparse delle riprese al rallentatore delle goccioline di saliva (dette da taluni "sputazzi") emesse quando uno parla. Si vede, come vi aspettereste, che la mascherina intercetta un buon numero di goccioline. Da qui, alcuni (anche miei colleghi) hanno dedotto che la mascherina funziona, concludendo con una frase che oggi è di moda, "serve altro?"
Si. Serve altro. Molto altro.
Non c'è modo di misurare direttamente la trasmissione di un virus da una persona a un'altra, tantomeno usando una telecamera. Al massimo lo può stimare con metodi di tracciamento, ma con enormi incertezze. Per studiare sistemi complessi di questo tipo ci vogliono metodi statistici. Già questo non è un concetto facile da passare in un mondo in cui ci si aspetta che dalla TV arrivi una risposta "si o no" a tutte le domande. Ma gli studi statistici, anche se fatti bene (e non sempre è il caso) hanno dei grossi limiti.
Un buon esempio è quello delle mascherine anti-virus. Sono efficaci oppure no? I virologi televisivi ci dicono di si perché loro, i virologi, sono "La Scienza." (serve altro?). Ma se vai a vedere i risultati degli studi, le cose non sono affatto chiare. Ve lo raccontano, per esempio, Luca Scorrano e i suoi collaboratori in un recente review dei dati disponibili dove vi dicono chiaramente che "i dati disponibili non suggeriscono l'uso universale, spesso improprio, di mascherine facciali per la popolazione come misura protettiva contro il COVID-19"
Allora, come mai in TV vi dicono una cosa mentre altri scienziati ne dicono un'altra? Ha a che vedere con l'incertezza dei risultati statistici, per cui se uno vuole trovare dei dati che confermano la sua opinione, riesce di solito a trovarli. Vi faccio un esempio. Si è letto ultimamente di un lavoro che arriva dal Bangladesh che è stato presentato sui media (e persino sulle riviste scientifiche, tipo "Nature") come una conferma dell'efficacia delle mascherine (serve altro?).
Ma è vero? Premetto che è uno studio ben fatto, per quanto possibile. Ma, anche così, i risultati sono incerti e difficili da interpretare. Andiamo brevemente a esaminarlo.
Nello studio, I ricercatori hanno preso in esame un gran numero di villaggi nel Bangladesh. In alcuni si distribuivano mascherine gratis e gli abitanti venivano incoraggiati a indossarle, come pure a mantenere il distanziamento. In altri, non si faceva niente del genere, per cui quasi nessuno indossava mascherine o si teneva a distanza. Dopodiché, i ricercatori hanno analizzato la presenza di anticorpi nel sangue delle persone sintomatiche.
L'approccio è quello giusto e il lavoro ha esaminato oltre 300.000 persone. Una statistica senza dubbio significativa. E i risultati? In buona sostanza sono:
1. Il distanziamento non ha nessun effetto sulla trasmissione del virus
2. Le mascherine in stoffa non hanno nessun effetto nel ridurre la trasmissione del virus
3. Le mascherine chirurgiche riducono di circa l'11% la trasmissione del virus
Diciamo che sono risultati abbastanza sensati a parte certi dettagli un po' strani: per esempio che i villaggi dove si portavano le mascherine hanno avuto lievemente PIU' persone con sintomi di quelli dove non si portavano (lo dicevo che queste cose non sono mai semplici!).
Comunque, se non altro i risultati provano che le "goccioline" (ovvero gli "sputazzi") NON trasmettono il virus, altrimenti le mascherine di stoffa le avrebbero fermate, almeno in parte. Invece, le mascherine chirurgiche hanno dei pori più piccoli e bloccano una frazione le particelle submicrometriche dell'aerosol che trasmette il virus. Era una cosa che si sapeva già da un pezzo, questa è una conferma (serve altro?).
Fin qui, bene. Ma che cosa ne deduciamo nella pratica? Eh, beh, la faccenda si fa complicata.
Per prima cosa, c'è un problema di fondo con questo e tanti altri studi. Gli autori stessi dichiarano che erano partiti con l'idea di provare che le mascherine funzionano. E' chiaro che ne erano convinti fin dall'inizio. Ora, domandatevi cosa sarebbe successo se non avessero trovato nessun effetto. Avrebbero pubblicato l'articolo lo stesso? Sarebbe stato citato sui media? Immaginatevi quelli che hanno finanziato lo studio arrabbiatissimi con i ricercatori che gli dicono, "avete sprecato un sacco di soldi per non trovare nulla!"
E se qualcun altro avesse fatto uno studio simile dove non trova nessun'effetto, sarebbe stato pubblicato e citato? Questo è un problema ben noto nella scienza medica: uno studio che non riesce a provare un'ipotesi viene lasciato di solito in un cassetto. Il fatto che un medicinale NON funziona non porta vantaggi a nessuno, quindi non c'è interesse a farlo sapere in giro. Il risultato è che si pubblicano solo articoli dove si prova qualcosa, oppure, peggio, si interrompono i test quando i dati disponibili sembrano dimostrare qualcosa. Non si sa mai: facendo altre misure l'effetto trovato potrebbe sparire!
Seconda cosa: lo studio ha il limite di essere stato fatto su dei villaggi del Bangladesh dove, con tutta la buona volontà, le condizioni di vita, le distanze sociali, l'areazione degli spazi interni, e tantissime altre cose, non sono le stesse che in Europa. Basti dire che quando uno si prova a comparare i risultati della Svezia (dove non si portano mascherine) con quelli dell'Italia (dove le si portano quasi ovunque) ti arriva la critica "ma la Svezia è diversa dall'Italia" -- figuriamoci allora il Bangladesh!
Ma la cosa fondamentale è cosa fare con questo dato dell'11% in meno di infezioni, assumendo che sia vero. E' una questione di bilanciamento costi/benefici: vale la pena costringere un'intera popolazione a portare mascherine per ottenere un beneficio di questa entità? I ricercatori che hanno scritto l'articolo ci hanno ragionato sopra arrivando alla conclusione che, si, l'effetto delle mascherine è piccolo, ma che può valere la pena indossarle se sono prodotte su larga scala per ridurre i costi.
Forse è vero, ma qui c'è un problema tipico dei sistemi complessi che si esprime dicendo "in un sistema complesso, non puoi fare una cosa soltanto." Al momento in cui cominci a parlare di mettere su un'industria intera per fabbricare mascherine chirurgiche che poi tutti devono indossare, poi ti trovi il problema di cosa fare quando le cose cambiano. Il calcolo del rapporto costi/benefici è stato fatto per quattro mesi di dati, ma si sa che l'epidemia va su e giù e le cose cambiano sempre. E se nuovi dati ti dicono che la mascherina non serve, cosa fai del sistema di produzione che hai costruito? E cosa fai di quelli che ci lavorano? E dei soldi che ci hai speso sopra? Capite il problema.
E poi, quali sono gli effetti a lungo termine delle mascherine chirurgiche su persone che hanno difficoltà respiratorie? Nessuno lo sa e nemmeno si può sapere perché sono, appunto, a lungo termine. Per non parlare poi degli effetti psicologici, che sono difficilmente quantificabili, ma ci sono, specialmente sui bambini e sui giovani. Tutte cose di cui nell'articolo non si parla, ma che sono importanti.
E l'inquinamento causato dalle mascherine usate? Nell'articolo, se la cavano dicendo che fino ad ora è stato circa "un terzo di quello causato dalle borse di polietilene" come per dire, "non è poi così tanto". Ma vi sembra poco aver aumentato l'inquinamento da microparticelle del 30%? E questo è per una situazione in cui indossare mascherine era una cosa ancora rara in Bangladesh. Cosa succederebbe se tutti se la mettessero? Anche qui, nessuno sa quantificare i danni a lungo termine causati dalle microparticelle delle mascherine sparpagliate in giro. Eppure è un altro parametro fondamentale che dovremmo considerare per prendere delle decisioni.
Insomma, vedete come sono complicate e difficili le cose. In confronto, mandare una sonda su Marte è cosa molto semplice per "La Scienza," nella sua forma Galileiana. Ma quando si tratta di quantificare effetti deboli tipo le mascherine come mezzo contro la diffusione di un virus, beh, la Scienza è in grossa difficoltà. Al massimo, ti da delle indicazioni. E non si dovrebbero usare queste indicazioni per terrorizzare la gente. E invece.....