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lunedì 16 marzo 2015

La popolazione è il vero problema

Dalla pagina FB di Bodhi Paul Chefurka. Traduzione di MR


C'è una vecchia argomentazione ripetuta su cosa abbia più impatto sul pianeta – la popolazione o il consumo, i nostri numeri o i nostri livelli di attività. Ho creduto per diversi anni che i livelli di attività, o il consumo, siano il fattore chiave, uno che dovrebbe essere affrontato anche più urgentemente della crescita della popolazione. Tuttavia, sto per cambiare i miei punti di vista. Mentre il nostro consumo è di fatto la causa immediata dell'impatto ambientale umano, mi sono reso conto che la popolazione è in realtà la chiave del puzzle in alcuni modi non banali.

Gli scienziati Luis Bettencourt e Geoffrey West (ex direttore dell'Istituto Santa Fe) hanno pubblicato una serie di saggi sulla relazione dell'attività umana con le popolazioni delle città. Ciò che hanno scoperto è che le attività che si basano sulla creatività umana (comprese le attività economiche e di ricerca e sviluppo) hanno seguito una curva di crescita che è collegata alla popolazione. Man mano che la popolazione di una città aumenta, la sinergia raggiunta mettendo più persone in contatto più ravvicinato fra loro causa che i livelli della loro attività crescano più rapidamente della popolazione. Bettencourt e West hanno identificato un'equazione conosciuta come “legge di potenza” che ne descrive l'effetto, ne ho parlato brevemente in una nota su FB sul fenomeno dello scaling superlineare.

Di recente ho lavorato ulteriormente sulla connessione fra la nostra popolazione mondiale in crescita e la crescita dell'attività umana complessiva come viene rappresentata dal PIL a dollaro costante nel periodo dal 1950. Essenzialmente, ho considerato il mondo come una singola “città” la cui popolazione cresce nel tempo. Ciò che ho scoperto valida le scoperte di West e Bettencourt a livello globale. Man mano che la nostra popolazione cresce, la nostra attività economica creativa (e quindi il nostro impatto planetario) cresce anche più rapidamente, con una connessione di legge di potenza chiaramente osservabile fra le due. Inoltre, l'esponente che collega le due è altamente superlineare – un valore notevole di 2,65 negli ultimi 60 anni. In altre parole, quando la nostra popolazione raddoppia, la nostra attività economica, ed i suoi conseguenti impatti ambientali, aumenta di sei volte.

Il grafico dimostra questa connessione. La linea blu è il PIL reale dal 1950. La linea rossa mostra la curva del PIL da me calcolata derivata dalla sola popolazione mondiale usando l'equazione della legge di potenza mostrata nel grafico. Come potete vedere, la correlazione è notevolmente stretta.
Questo mi suggerisce che senza accordi internazionali draconiani per regolare l'attività economica, fino a quando la nostra popolazione continua a crescere, il nostro impatto sul pianeta continuerà a surclassarla. Ciò è dovuto alla sinergia creativa del numero di persone in aumento, che sono collegate sempre più da vicino all'interno della “città” globale, attraverso le reti di trasporto e comunicazione in espansione.

lunedì 5 gennaio 2015

Il picco dell'unica risorsa della quale non possiamo assolutamente fare a meno (e non è il petrolio)

Da “trust.org”. Traduzione di MR

Rimangono solo 60 anni di agricoltura se il degrado del suolo continua
 
Di Chris Arsenault



I funzionari del locale Ufficio per la Conservazione dell'Acqua camminano ai margini di un deserto in cui è stata piantata erba per prevenire la desertificazione. Contea di Mingin, nordest della provincia Gansu  in Cina, 8 dicembre 2010. REUTERS/Stringer

Roma (Thomson Reuters Foundation) – Generare tre centimetri di suolo richiede 1.000 anni e se gli attuali tassi di degrado continuano, tutto il suolo mondiale potrebbe scomparire entro 60 anni, ha detto venerdì un alto funzionario dell'ONU. Circa un terzo del suolo mondiale è stato già degradato, ha detto Maria-Helena Semedo della FAO ad un forum che contrassegnava la Giornata Mondiale del Suolo. Le cause della distruzione del suolo comprendono le pesanti tecniche di agricoltura chimica, la deforestazione che aumenta l'erosione e il riscaldamento globale. La Terra sotto i nostri piedi viene troppo spesso ignorata dai politici, dicono gli esperti.

“I suoli sono la base della vita”, ha detto Semedo, vice direttore generale della FAO delle risorse naturali. “Il 95% del nostro cibo proviene dal suolo”. A meno che non vengano adottati nuovi approcci, la quantità globale di terra coltivabile e produttiva per persona nel 2050 sarà solo un quarto del livello del 1960, ha detto la FAO, a causa della crescita delle popolazioni e del degrado del suolo. I suoli giocano un ruolo chiave nell'assorbire carbonio e nel filtrare l'acqua, ha detto la FAO. La distruzione del suolo crea un circolo vizioso, in cui viene immagazzinato meno carbonio, il mondo si riscalda e la terra si degrada ulteriormente. “Stiamo perdendo 30 campi di calcio al minuto di suolo, principalmente a causa dell'agricoltura intensiva”, ha detto Volkert Engelsman, un attivista della Federazione Internazionale dei Movimenti per l'Agricoltura Biologica al forum nel quartier generale della FAO a Roma. “L'agricoltura biologica potrebbe non essere la sola soluzione, ma è la migliore opzione a cui possa pensare”.

venerdì 6 giugno 2014

Urban legend 2: Ma è vero che la popolazione italiana è in diminuzione?

E' il primo? No, il 7-miliardesimo


Di Jacopo Simonetta

Che la popolazione italiana stia diminuendo è una leggenda talmente diffusa e radicata de essere stata accreditata perfino da Serge Latouche in una sua recente conferenza.

In realtà (dati ISTAT), se escludiamo l’immigrazione, osserviamo che il saldo fra nati e morti oscilla molto vicino allo zero dalla metà degli anni ’80 fino al 2010, poi sembra cominciare ad aprirsi un saldo negativo, ma è ancora troppo presto per capire se è una fluttuazione od una tendenza.
Tuttavia, le cose cambiano radicalmente se consideriamo il contributo alla popolazione degli immigrati. Considerando solo l’immigrazione legale (i clandestini sono stimati fra i 300.000 ed il 500.000 a seconda delle fonti e dei periodi), troviamo che la popolazione non ha mai cessato di crescere, ma era giunta molto vicino alla stabilità negli anni ’90, per poi ricominciare a crescere in modo esplosivo fino a giorni nostri.   Un dettaglio interessante: la curva presenta un punto di rottura preciso: il 2001, l’anno precedente l’ approvazione della famigerata “legge Bossi-Fini”  che, giusta od iniqua che sia, non ha minimamente influenzato la tendenza all'aumento della popolazione generato dall'immigrazione.


Per quanto riguarda invece la popolazione mondiale, è vero che il tasso di crescita è diminuito dal 2,19% del 1963 ad un apparentemente modesto 1,14% nel 2013, ma tradotto in numero di bocche da sfamare, nel 1963 l’incremento fu di circa 70 milioni, mentre nel 2013 l’incremento è stato di oltre 80 milioni.   In termini assoluti, oggi stiamo quindi vivendo la crescita demografica maggiore della storia, ma cosa accadrà negli anni venturi?  Generalmente si legge che la popolazione tenderà a stabilizzarsi fra i 9 ed i 10 miliardi di abitanti verso la metà del secolo, complice il miglioramento delle condizioni di vita.   Un messaggio apparentemente tranquillizzante, con una interessante storia alle spalle.

Le proiezioni demografiche che giustificano questa serafica conclusione sono basate su di un modello matematico chiamato “teoria della transizione demografica”.   Per l’appunto una teoria basata sul presupposto che le famiglie benestanti abbiano meno figli di quelle povere; ne consegue che il miglioramento delle condizioni di vita comporta una stabilizzazione della popolazione secondo lo schema seguente:

1 – Equilibrio demografico antico sostanzialmente stabile perché sia la natalità che la mortalità sono alte.

2 – Prima fase della transizione: Crescita dovuta la fatto che, migliorando le condizioni di vita, la mortalità diminuisce mentre la natalità rimane alta.

3 – Seconda fase di transizione: Stabilizzazione dovuta alla graduale riduzione delle nascite.

4 – Equilibrio demografico moderno, sostanzialmente stabile in quanto natalità e mortalità sono entrambe basse.


Nata agli inizi del XX° secolo, questa teoria che ha descritto in maniera abbastanza fedele quanto effettivamente accaduto in Europa occidentale, USA e Giappone nel secondo dopoguerra:   Dunque la teoria è validata dai fatti?   Così pareva agli inizi degli anni ’70, tanto che è entrata a far parte integrante di Word 3 i cui scenari, purtroppo, si stanno dimostrando molto affidabili.    Ma già allora il “gruppo Meadows” metteva in guardia contro alcuni limiti nell’applicabilità di tale teoria.

Oggi, 40 anni più tardi, dovremmo constatare alcune cose:

- Fra i paesi con la natalità più bassa al mondo troviamo alcuni paesi “sviluppati” (come Germania Regno Unito ed Austria), ma anche  paesi poveri ex-comunisti (come Bielorussia, Ucraina, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria) in cui il collasso economico ha portato un aumento della mortalità, ma non quello della natalità, come avrebbe dovuto accadere se la teoria fosse universalmente valida.
- Molti paesi particolarmente ricchi hanno indici di natalità elevati, ad es. i paesi arabi petroliferi.

- Dal momento che gli accordi in sede WTO consentono una notevole (anche se non totale) mobilità dei flussi migratori, il tasso di natalità e quello di crescita demografica dei vari paesi sono due variabili assai poco correlate.   Paesi con tassi di natalità molto bassi hanno tassi di crescita demografica molto elevati e viceversa.   

- Se anche avvenisse la prevista stabilizzazione, non è affatto detto che questa avvenga ad un livello sostenibile, vale a dire al di sotto della capacità di carico del territorio interessato o del pianeta nel suo complesso.   Ne siamo brillanti esempi noi occidentali che, se non fosse per l’immigrazione,  avremmo tassi di crescita molto vicini alla parità o lievemente negativi, ma che per vivere utilizziamo quasi il doppio delle risorse che avremmo a disposizione.

In realtà, il meccanismo storicamente riscontrato (ma da molti contestato)  è un altro: la crescita economica consente la crescita demografica che, alcune generazioni dopo, provoca una crisi economica a seguito della quale i tassi di mortalità e di emigrazione aumentano finché la popolazione non rientra all'interno della capacità di carico del proprio territorio.   Dopodiché le risorse possono rigenerarsi (almeno in parte) ed il ciclo può anche ripartire.   

La trappola psicologica consiste nel fatto che la fase di crescita demografica segue di poco l’inizio di quella di crescita economica e la accompagna a lungo, effettivamente stimolandola ulteriormente mediante l’ampliamento del mercato e della mano d’opera disponibile, ma solo finché gli altri elementi del sistema (risorse, inquinamento, stabilità sociale) lo consentono.    Una volta superata le “linea rossa” della capacità di carico, ogni incremento demografico diviene un chiodo nella bara del benessere acquisito, ma l’esperienza vissuta e ricordata porta invece ad identificare la prosperità con la fecondità.   Fino a giungere ai deliranti messaggi odierni in cui si invoca un’ulteriore crescita demografica per rilanciare quella economica.   Una cosa che suona un po’ come praticare l’incendio boschivo per rilanciare la forestazione.
Ma se i cicli storici sono stati di secoli, quello che stiamo vivendo attualmente ha vissuto l’esplosione e probabilmente vivrà il collasso in meno di cento anni, perché?    Semplicemente perché la nostra strabiliante crescita ha un nome preciso: petrolio di buona qualità ed a buon mercato.   Non abbiamo finito il petrolio (probabilmente non lo finiremo mai), ma quello che ci rimane è scadente e caro.   

Esistono alternative, certo, ma costose e parziali.   Inoltre l’energia non è certo l’unico limite allo sviluppo economico contro il quale ci stiamo scontrando: gli effetti negativi dell’inquinamento, del degrado dei suoli, dell’estinzione di massa in corso, (per citarne solo alcuni) rischiano di essere ancor più dirompenti.   L’estrema instabilità e disparità economica (entrambe senza precedenti nella storia moderna) rischiano di far implodere il sistema  in qualunque momento, mentre il crescere della conflittualità sociale, il risorgere dei nazionalismi e la corsa internazionale all'accaparramento delle risorse residue presentano ulteriori rischi già nel breve periodo.

In conclusione, è estremamente improbabile che la popolazione umana tenda a stabilizzarsi e sono certo che i demografi dell’ONU lo sanno benissimo.   Al contrario, e’ probabile che, a livello globale,  una flessione inizi entro il 2030 se non prima, quindi fra 10-15 anni.   Ma se il modello Word3 si è dimostrato estremamente affidabile finora, la sua affidabilità decrescerà molto rapidamente in rapporto al tempo da quando la curva della popolazione inizierà a flettere.

Ci sono due ragioni molto forti per questo.

La prima, già evidenziata dagli autori, è che nelle prime fasi del collasso il sistema globale si disarticolerà in sotto-sistemi relativamente indipendenti fra loro (magari anche in conflitto fra loro), cosicché saranno possibili dinamiche anche molto diverse a seconda delle zone.

La seconda è che il modello prevede che, al degradarsi delle condizioni di vita, aumentino rapidamente sia la mortalità che la natalità e questo non è detto che avvenga.   A parità di altre condizioni, le zone dove la popolazione diminuirà più rapidamente saranno quelle che si stabilizzeranno prima e che avranno le migliori possibilità di recupero, ma non è certo perché numerosissimi altri sono i fattori in gioco.


sabato 19 aprile 2014

L’UNICITA’ DELLA SPECIE UMANA NE DETERMINA IL FATO? Parte 2 – Il passato.

Prima parte.



Di Jacopo Simonetta


       Per indagare il futuro, necessariamente ignoto, è buona regola cominciare dall'analizzare il passato, parzialmente noto, per poi cercare di capire come le tendenze strutturali al sistema che osserviamo interagiranno con il contesto presumibile nel futuro.
Il passato dell’uomo moderno è cominciato circa 100.000 anni fa, probabilmente in Africa orientale.   E’ importante notare che, all'epoca, esistevano numerose altre specie umane quali Homo neanderthalensis , H.soloensis, H. heidelbergensis, H. helmei, H. floresiensis, probabilmente popolazioni relitte di H. Erectus ed altre genti ancora ignote.   Nello stesso periodo, tutte le terre emerse erano popolate da una varietà di mammiferi, rettili ed uccelli di grandi e grandissime dimensioni, superiore anche alla mega-fauna che, nell'Africa sub-sahariana, è localmente sopravvissuta fino ai giorni nostri.  

Questi uomini moderni si distinsero subito dai congeneri per una cultura materiale  più elaborata e, soprattutto, molto più dinamica. Anche gli altri uomini conoscevano il fuoco e realizzavano strumenti di pietra, legno od osso, ma le loro culture erano molto uniformi nello spazio e molto conservatrici nel tempo. I nostri diretti antenati, viceversa, mostrarono da subito una grande dinamicità sia spaziale che temporale, inaugurando quel tipo di accelerazione evolutiva di cui abbiamo fatto cenno.  Contemporaneamente, compaiono le prime forme di arte, il che implica una capacità di pensiero astratto che gli altri umani, con ogni probabilità, non avevano. L’ipotesi principale per spiegare questo drastico cambiamento è che gli Homo sapiens sapiens avessero acquisito una capacità nettamente superiore nel modulare il linguaggio, presupposto indispensabile per lo sviluppo della narrativa che, rispetto alla sola osservazione/imitazione, consente un livello enormemente superiore nella conservazione e nella trasmissione delle conoscenze, oltre che costituire la  base per l’elaborazione del pensiero simbolico su cui si fondano quei modelli mentali esclusivi della nostra specie.

La diffusione dell’uomo moderno sul pianeta è facile da tracciare, anche in assenza di fossili specifici, perché ovunque siano arrivati si assiste alla rapida scomparse di molte, talvolta tutte, le specie più grandi e di molte altre che da esse dipendevano, inaugurando quell'effetto destabilizzatore che le altre specie umane non avevano avuto. Non si sa se per sterminio diretto o se per cause indirette, ma anche le altre specie umane si sono rapidamente estinte al sopraggiungere dei nostri avi, salvo alcuni casi in cui forse piccoli gruppi potrebbero essere sopravvissuti abbastanza a lungo da dare origine a diffuse leggende su “giganti”, “uomini selvatici” eccetera.  

La cosa interessante è che questo fenomeno non è avvenuto una sola volta; bensì si è ripetuto ogni volta che una nuova civiltà si diffondeva in un territorio già abitato, annientando le culture precedenti e con esse un ulteriore set di specie che erano sopravvissute alla fase precedente.  Un fenomeno, questo, molto ben documentato nel caso della diffusione globale delle diverse ondate di tecnologia industriale, ma eventi simili hanno accompagnato da sempre la diffusione dell’uomo moderno.   Anzi, i casi di estinzione di massa più spettacolari mai causati dall'uomo sono probabilmente quelli seguiti all'arrivo dei primi H. sapiens in Australia (circa 40.000 anni fa), in Nord America (circa 14.000 anni fa), in Nuova Zelanda (Intorno al 1.200 d.C.).

Ovviamente, una simile capacità distruttiva comporta una dinamica della popolazione particolarmente instabile, con rapidi incrementi che seguono la scoperta di nuove risorse e/o di nuovi modi per sfruttare meglio le vecchie.   Una crescita che prosegue esponenzialmente erodendo la capacità di carico del territorio finché carestie, guerre e migrazioni non riportano la popolazione in equilibrio con le risorse  rimaste.   Probabilmente proprio questa dinamica è alla base del popolamento umano del pianeta e spiega come gruppi di persone perfettamente ragionevoli siano andati ad insediarsi in luoghi tanto inospitali quanto il pack od i deserti.

Naturalmente, non tutti i gruppi umani hanno sempre seguito questo copione.   Si conoscono anzi numerosi casi in cui complicati sistemi sociali, culturali, politici ed economici assicuravano una parziale sostenibilità; ma sono stati elaborati in periodi successivi a crisi ecologiche e, probabilmente, in risposta a queste.   In ogni caso si tratta di eccezioni che confermano la regola.

In sintesi, pare che crisi di tipo “malthusiano” facciano parte integrante del nostro modo di esistere, fin dal nostro apparire.   Per decine di migliaia di anni queste crisi sono avvenute su scala locale, contribuendo a delineare quel complesso mosaico di nascita, sviluppo e crisi delle civiltà che ha tanto  affascinato  studiosi del calibro di Gianbattista Vico, Oswald Spengler, Arnold J. Toynbee o Jared Diamond.
Con il XVIII° secolo, per la prima volta avvenne che una crisi di questo tipo, originatasi in Europa, abbia coinvolto l’intero pianeta nel giro di poco più di un secolo.   In effetti, già il reverendo Malthus aveva previsto e stigmatizzato che l’eccessiva natalità degli europei sarebbe costata la vita ai  “selvaggi delle Americhe”, cosa che puntualmente avvenne, con l’aggiunta di diversi altri popoli sparsi per il mondo.   In altre parole, per la prima volta, una crisi maltusiana ha avuto una dimensione globale ed è stata risolta sterminando, marginalizzando od acculturando (di fatto assorbendo) quasi tutti gli altri popoli della terra.   La popolazione mondiale raddoppiò.
Una seconda crisi di portata globale avvenne circa 150 anni più tardi con epicentro in Cina, ma con forti carestie in gran parte dell’Asia e dell’Africa su di un arco di 15-20 anni.   Questa nuova crisi di portata globale fu superata mediante la “rivoluzione verde” che devastò culture, società ed ecosistemi, ma moltiplicò la produzione mondiale di cibo, consentendo un ulteriore raddoppio della popolazione globale.   In questo caso dunque, anziché spostare grandi masse di persone, si fece un massiccio ricorso alle riserve di energia fossile e si elevò il livello di integrazione fra i diversi settori economici e fra i diversi sistemi-paese.   Tendenza questa che è poi proseguita, con una brusca accelerazione a partire dagli anni ’90, portando l’attuale livello di integrazione globale a livelli fino ad oggi impensabili.  

Ciò ha permesso un ulteriore raddoppio della popolazione mondiale, ma a costo di un molto più che proporzionale aumento dei consumi e degli impatti (v. parte 1) che hanno portato la destabilizzazione degli ecosistemi a  livelli oramai analoghi a quelli delle grandi crisi caratterizzanti la storia geologica del pianeta.   Questo crea uno scenario del tutto inedito nella storia dell’umanità: tutti i popoli della Terra stanno entrando in una crisi malthusiana quasi contemporaneamente. Alcuni, anzi, ci sono già in pieno e cercano di sfuggirvi tornando all'antica usanza della migrazione di massa, ma non può funzionare perché non esistono praticamente più zone del pianeta la cui capacità di carico non sia già stata superata, o non sia sul punto di esserlo.





lunedì 14 aprile 2014

Energia e crescita demografica: un legame inaspettato

Tom Murphy scrive qui un post eccezionale: da meditare riga per riga. Fra le altre cose, dimostra come sia sbagliata la leggenda che vuole come la ricchezza porti a un rallentamento nella crescita della popolazione - non è così: si trova un legame evidente fra quantità di energia prodotta all'interno di una nazione e la crescita demografica della nazione stessa: impressionante. (U.B.)



Da “Do The Math”. Traduzione di MR

Di Tom Murphy

Da World Population Review 


Considerato a volte un tema tabù, il tema della popolazione scorre come una corrente sotterranea virtualmente in ogni trattazione delle sfide moderne. Naturalmente, l'uso di risorse, le pressioni ambientali, i cambiamento climatico, il fabbisogno di cibo e acqua e la salute delle popolazioni di animali selvatici sarebbero tutti dei non problemi se la Terra avesse una popolazione umana di 100 milioni o meno.

Il tema è tabù per diverse ragioni. La suggestione che un numero inferiore sarebbe bello porta con sé la domanda di chi dovremmo eliminare e chi deve decidere cose del genere. Inoltre, la stragrande maggioranza delle persone genera figli e forse si sente punta personalmente nel vivo quando risulta implicito che tali azioni sono parte del problema. Io stesso discendo da un lungo lignaggio di procreatori, e forse anche voi. Di recente, partecipando ad un gruppo di discussione di fronte ad una stanza piena di insegnanti di fisica, ho fatto la semplice dichiarazione secondo la quale “il surplus di energia aumenta il numero di bambini”. Ciò è motivato dal mio riconoscimento del fatto che la crescita della popolazione si è rivolta verso l'alto da quando si è inaugurato l'uso diffuso del carbone nella Rivoluzione Industriale. Queste sono davvero solo sfaccettature della più ampia Rivoluzione dei Combustibili Fossili. Sono stato sfidato da un membro del pubblico con la dichiarazione palesemente ovvia che i tassi di crescita della popolazione si riducono nelle nazione energeticamente ricche – la cosiddetta transizione demografica. Come quadrano questi sentimenti l'uno con l'altro? Così, nello spirito di guardare i numeri, esploriamo nei particolari le varie connessioni fra popolazione ed energia. Nel processo, evidenzierò gli Stati Uniti, piuttosto che l'Africa, per esempio, come il vero problema quando si tratta di crescita della popolazione.

Un breve sguardo alla storia della popolazione

Per molte migliaia di anni a seguito dell'ultima Era Glaciale, la popolazione umana è cresciuta costantemente e lentamente, ad un tasso di circa 0,032% all'anno – traducendosi in comodo tempo di raddoppio di circa 2000 anni. Circa 3000 anni fa, la diffusione delle pratiche agricole ha portato ad un modesto incremento nei tassi di crescita. Ma la corsa selvaggia non è iniziata davvero fino ai tempi moderni.


Grafico logaritmico della popolazione mondiale storica, con misura esponenziale a due segmenti. Dati da Wikipedia. 

Anche in un grafico logaritmico – nel quale le curve esponenziali sono trasformate in linee rette – la tendenza della nostra popolazione somiglia all'infausta curva a “mazza da hockey” vista così tanti settori (CO2 atmosferico, temperatura globale della superficie e praticamente ogni misura associata all'attività umana). Una mazza da hockey logaritmica è davvero spaventosa. Siccome gli impatti umani sul pianeta sono in scala con la popolazione, non sorprende terribilmente che una curva della popolazione a mazza da hockey possa tradursi in mazze da hockey ovunque. E' in questo senso che la popolazione è alla base di quasi ogni problema e sfida dei nostri tempi.

Ma cosa possiamo capire della popolazione? Cosa governa il suo tasso? Cosa conta nella discontinuità dell'inclinazione? Perché siamo balzati ad una crescita del 1% ed un tempo di raddoppio di 70 anni nei secoli recenti? Un suggerimento proviene da uno sguardo più da vicino alla storia recente. Mettendo su grafico la popolazione globale negli ultimi 1000 anni (sotto) vediamo alcune accelerazioni nella curva. Per gran parte di questo periodo, abbiamo assistito ad un modesto 0,12% di tasso di crescita, che equivale a un tempo di raddoppio di 600 anni. Intorno al 1700, il tasso è avanzato allo 0,41%, raddoppiando ogni 170 anni. L'accelerazione successiva avviene intorno al 1870, saltando allo 0,82%, costituendo un tempo di raddoppio di 85 anni. Poi intorno al 1950, vediamo un altro salto del tasso di fattore due a 1,7 ed un'impressionante e breve tempo di raddoppio di 40 anni.

Grafico logaritmico della recente tendenza della popolazione mondiale, spezzato in quattro segmenti esponenziali. 

Forse possiamo attribuire il salto del 1700 al Rinascimento e al progresso scientifico. Abbiamo imparato a lavarci le mani dopo aver lottato coi nostri maiali e che le malattie non erano causate da vapori infernali evocati dal pensieri impuri. Il salto intorno al 1870 corrisponde alla Rivoluzione Industriale, nella quale il carbone ha trasformato la produzione di acciaio (fornendo attrezzi agricoli), il trasporto ferroviario di beni e ha cominciato a meccanizzare l'agricoltura in modo limitato. Il 1950 segna la Rivoluzione Verde: la petrolizzazione completa dell'agricoltura, accompagnata da massicce campagne di fertilizzazione usando il gas naturale come materia prima. Questo porta alla tesi piuttosto semplice: Il surplus energetico presentatoci dai combustibili fossili ci ha permesso di nutrire le persone più facilmente in tutto il mondo. Il premio dei combustibili fossili trasformati in cibo ha incoraggiato un'esplosione dei tassi di nascita, come avviene virtualmente per ogni organismo date delle circostanze simili. E' così palesemente ovvio che sono imbarazzato ad aver indugiato su questo punto così a lungo.

L'energia fa crescere il numero di bambini?

Il surplus di energia aumenta il numero dei bambini. E' stata questa la mia affermazione al pubblico, sulla base dei puntini che ho collegato sopra. Quindi cosa diciamo del commento astuto secondo il quale i paesi con gli eccessi maggiori mostrano il tasso di crescita inferiore – persino negativo? Questa affermazione suona a sua volta vera, quindi come teniamo entrambi i pensieri in testa? Prima di scavare fra i dati, condividerò la mia risposta intuitiva. I paesi in via di sviluppo sono recipienti di cibo, medicine e beni prodotti dalle nazioni industriali del mondo. Il surplus di energia “qui” può far aumentare i bambini “là”. Tale redistribuzione sembra plausibile, in ogni caso. Ma perché le nazioni ricche di energia rallentino era meno ovvio per me, a parte per una maggior educazione e una maggiore autonomia delle donne.

Un camion a rimorchio di dati

Fate un po' di spazio, perché sto per portare un camion di dati e ve lo scarico sul vostro computer. In gran parte vengono dalle Statistiche Energetiche Mondiali Chiave della International Energy Agency del 2012. Dieci pagine su questa pubblicazione contengono i dati tabulari dell'appetito di energia del mondo, insieme a popolazione, PIL ed emissioni di CO2. Un po' di copia-incolla, editor magic e analisi Python possono trasformarli in un camion di grafici. Ho aggiunto i dati sui tassi di crescita della popolazione, in gran parte provenienti dalla statistiche della CIA. Inquietante, sì, ma questi erano i numeri più aggiornati sulla pagina di Wikipedia. La tavola della IEA comprende 139 paesi, ma aggrega anche diversi raggruppamenti chiave di paesi del mondo. Oltre a dare cifre per tutto il mondo, i sette raggruppamenti includono:


  • L'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) include: Australia, Austria, Belgio, Canada, Cile, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Islanda, Irlanda, Israele, Italia, Giappone, Corea, Lussemburgo, Messico, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti.
  • Il Medio Oriente include: Bahrain, Repubblica Islamica dell'Iran, Iraq, Giordania, Kuwait, Libano, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Repubblica Araba di Siria, Emirati Arabi Uniti e Yemen.
  • L'Europa non-OCSE e l'Eurasia includono: Albania, Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Bosnia ed Herzegovina, Bulgaria, Croazia, Cipro, Georgia, Gibilterra, Kazakistan, Kosovo, Kyrgyzstan, Lettonia, Lituania, l'Ex Repubblica Yugoslava di Macedonia, Malta, Repubblica Moldava, Montenegro, Romania, Federazione Russa, Serbia, Tagikistan, Turkmenistan, Ucraina e Uzbekistan.
  • La Cina include la Cina continentale ed Hong Kong.
  • L'Asia include: Bangladesh, Brunei Darussalam, Cambogia, Taipei, India, Indonesia, Repubblica Democratica di Corea, Malesia, Mongolia, Myanmar, Nepal, Pakistan, Filippine, Singapore, Sri Lanka, Thailandia, Vietnam e altri paesi dell'Asia.
  • L'America non-OCSE comprende: Argentina, Bolivia, Brasile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Repubblica Dominicana, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Haiti, Honduras, Giamaica, Antille Olandesi, Nicaragua, Panama, Paraguay, Perù, Trinidad e Tobago, Uruguay, Venezuela ed altri paesi non-OCSE delle Americhe.
  • L'appartenenza all'Africa è evidente.

Le legende dei grafici, per rimanere compatte, tralasciano alcuni dei dati dell'elenco di cui sopra. Inoltre, i puntini periferici dei singoli paesi sono etichettati nei grafici attraverso un processo automatico. Non ho fatto un tentativo particolare per ripulire collisioni fortuite fra etichette. Dovrei anche premettere con una dichiarazione che tutto l'insieme di grafici che segue non è necessariamente centrale al mio punto principale. Ma immagino che saranno interessanti per molti di voi come lo sono stati per me, quindi perché non farne uno spettacolo? Cominciamo con uno sguardo ad un grafico familiare dell'energia come funzione del reddito.

Tasso di uso dell'energia come funzione del reddito per i paesi del mondo. Dati dal Rapporto della IEA del 2012

Sto usando la 'parità di potere d'acquisto' (purchasing power parity – PPP), essenza del PIL, intesa a mettere tutti nella stessa condizione per confronti di reddito significativi. Ho convertito l'energia annuale pro capite in una potenza (Watt) – perché questa è la mia unità di misura preferita e si allontana da “tonnellate equivalenti di petrolio”, unità di misura in cui sono espressi i dati originali. La tendenza non stupisce affatto: gli abitanti dei paesi ricchi usufruiscono di un più grande tasso di uso dell'energia, in media. I valori anomali sono sempre interessanti ed istruttivi. Gli Stati Uniti (sempre rappresentati con un puntino rosso su questi grafici) si spingono ben al di là del gruppo in entrambe le dimensioni, ma non in modo estremo – classificandosi dodicesimi nella potenza totale a persona a ottavi in ricchezza. Alcuni ricorderanno da post precedenti la regola empirica secondo la quale ogni americano gestisce circa 10 kW di potenza, equivalenti a circa 100 esseri umani metabolici (schiavi) equivalenti.

Tasso di elettricità distribuita come funzione del reddito nei paesi del mondo. 

Dal momento che è nella tabella, guardiamo cosa accade se restringiamo la nostra attenzione all'energia sotto forma di elettricità. L'Islanda era così esageratamente alta (circa il doppio della seconda, la Norvegia) che ho dovuto rimettere in scala il grafico e indicare il suo dato stratosferico, Gli Stati Uniti si classificano noni nell'uso pro capite di elettricità. Notate che la statistica vale per l'energia elettrica consegnata. L'energia primaria richiesta per generare e consegnare l'elettricità potrebbe giungere ad essere tre volte maggiore del tasso consegnato, a causa del tipico 30-40% di efficienza di conversione nelle centrali. Per gli Stati Uniti, l'elettricità conta per circa il 40% dell'energia primaria, non il 15% come il confronto diretto dei due grafici precedenti potrebbe far pensare. Prima di tornare alle statistiche sulla popolazione, diamo un'occhiata a come si impilano le  emissioni di CO2 fra le nazioni del mondo.

Produzione di CO2 pro capite come funzione del tasso di uso di energia nei paesi del mondo. 

E' più fondamentale l'intensità di carbonio della produzione di energia. La chimica di base suggerisce che ogni grammo di combustibili fossili crea tre grammi di CO2 e distribuisce circa 10 kcal, o 41.840 J di energia. Far funzionare 10.000 W per un anno (3.155×107 secondi) richiederebbe quindi 7,5 tonnellate di combustibile fossile, che genera circa 22 tonnellate di CO2. Il grafico sopra mostra il cittadino tipico statunitense che arriva a circa 17,5 tonnellate di CO2 all'anno. A questo manca la nostra stima per il greggio, perché nucleare, idroelettrico, biomassa ed altre rinnovabili ammontano a circa il 20% dell'energia totale, non incorrendo di fatto in nessuna penalizzazione di carbonio (inoltre, gli Stati Uniti entrano in un piccolo flusso di 10 kW). I paesi al di sotto della linea di tendenza principale hanno intensità di carbonio inferiori di quella degli Stati Uniti (1.82 t/anno per 1 kW di tasso energetico) L'Islanda è degna di nota per il fatto che ottiene energia elettrica abbondante da fonti geotermiche.

Produzione di CO2 come funzione del reddito dei paesi del mondo. 

Ora esaminiamo il reddito nel mix per vedere come le emissioni di CO2 sono correlate alla ricchezza. I paesi europei dell'OCSE tendono ad apparire dalla parte “buona” della correlazione, mentre il Medio Oriente tende ad avere prestazioni basse per questa misura.

PANORAMICA SULLA POPOLAZIONE

Guardando i grafici sopra, possiamo imparare qualcosa di importante sul fatto di aggiungere gente al pianeta. Aggiungere una persona in Africa ha un impatto molto piccolo sull'uso di energia e (pertanto) sulle emissioni di CO2 in confronto all'aggiungere una persona negli Stati Uniti, di un fattore di 10. Immaginate un bambino americano 20 volte più grande di un bambino africano. Un cittadino del Qatar supera di 45 volte un tipico cittadino africano quando si parla di CO2. Se si ha la voglia di pensare a dove limitare la crescita della popolazione, i paesi in alto in questo grafico emergono sugli altri. Tanto per dire.

Correlazioni della crescita della popolazione

Finora, abbiamo visto solo i parametri della pubblicazione delle Statistiche Energetiche Mondiali Chiave della IEA. Ora aggiungiamo il tasso di crescita della popolazione e vediamo come i dati si impilano.

Tassi di crescita della popolazione come funzione del reddito.

Il primo è il tasso di crescita contro il reddito medio. C'è una correlazione chiara sul margine sinistro: i paesi più poveri hanno tassi di crescita alti, ma si tuffano rapidamente verso tassi inferiori – persino negativi – più o meno nel momento in cui i guadagni medi raggiungono un quarto di quelli statunitensi. Poi succede una cosa divertente: il gruppo torna di nuovo su! Devo dire che questa verità stravolgente mi ha fatto saltare dalla sedia. Mi aspettavo una transizione più o meno graduale: ricco significa meno prole, secondo l'idea della transizione demografica. Di sicuro qui gioca un ruolo l'immigrazione. E' certamente responsabile della crescita della popolazione statunitense. Ma sarebbe difficile convincermi che le statistiche totalmente sbilanciate a redditi maggiori riguardino solo l'immigrazione. Dove sono le nazioni ricche con crescita negativa? Oltre alla Germania, non si trovano paesi a crescita negativa. Notate che da sotto la scritta in alto a destra c'è il Qatar, che sfida apertamente il mantra secondo il quale “la ricchezza riduce la crescita” - e che vanta simultaneamente una crescita e un reddito superlativi. Forse questo non dovrebbe sorprendere troppo tenendo conto del fatto che le potenze economiche sono dipendenti dalla crescita e una popolazione fiacca è una ricetta per la recessione. Un ingrediente chiave per garantire un futuro più grande sono più persone giovani che lavorano: oltre a fornire il lavoro, la gioventù in crescita permette che funzionino il sistema pensionistico e l'assicurazione sanitaria. Infatti, la Germania sta cercando di combattere il declino della propria popolazione, che mette in pericolo la competitività economica. Quando ho visto questo articolo sul NYT, mi sono lamentato del fatto che la politica di protezione della crescita economica ci schiavizza a mettere al mondo più bambini. Preferirei che la razza umana sia la padrona dell'economia, non il contrario. Una citazione dall'articolo:

Forse non c'è miglior posto della campagna tedesca per vedere l'impatto nascente della caduta del tasso di fertilità dell'Europa nei decenni, un problema che ha implicazioni spaventose per l'economia e la psiche del Continente. 

E che dire della correlazione energetica, che trovo più intrinsecamente interessante?

Tassi di crescita della popolazione come funzione del tasso di uso di energia primaria. 

Naturalmente, la correlazione esistente fra energia e reddito si dispone per osservare l'emergere di uno schema simile. E infatti vediamo ancora il canale della fertilità che appare a tassi di energia modesti. A parte Trinidad e Tobago, nessun paese con un tasso di uso dell'energia maggiore di 7kW ha intenzione di unirsi al club della crescita negativa. Se non altro, trovo questo grafico più convincente di quello precedente: la curvatura a U è più evidente. Ancora una volta, è difficile sostenere che l'aumento di disponibilità di energia riduca il flusso di bambini. E alla fine ecco un grafico che ho trovato piuttosto impressionante. Le statistiche della IEA includono misure della produzione totale di energia, del consumo e delle importazioni/esportazioni nette. Quindi ho guardato il tasso di crescita come funzione della frazione del consumo di energia di una nazione che questo produce.

Tassi di crescita della popolazione come funzione dell'energia frazionale prodotta dal paese o dalla regione. Gli esportatori di energia sono sulla destra della linea verticale. 

Ho dovuto mettere l'asse orizzontale su scala logaritmica per distribuire i punti in modo ragionevole. Molti paesi sono tagliati fuori nella parte sinistra (meno di un decimo del loro consumo di energia viene prodotta internamente), ma tutti gli esportatori netti di energia sono rappresentati. Vediamo che i paesi con un surplus di energia (gli esportatori) tendono a loro volta ad aumentare la popolazione. A sinistra della linea di parità (10^0 = 1 significa produzione e consumo bilanciati), è di gran lunga più improbabile che i paesi abbiano tassi di crescita più bassi o negativi. Guardare i punti di dati aggregati (forme colorate) forse rivela la correlazione in modo più forte. Il surplus di energia tende a portare a un surplus di persone, nel nostro mondo reale.

Raccogliere i pensieri

Questo è un tema complesso. Per fare un lavoro accurato avrei dovuto distinguere i tassi di nascita da immigrazione da quelli interni. Ma certamente il grafico sopra getta dei dubbi sulla storia intuitiva secondo cui le nazioni ricche di energia o soldi tendono a tassi di crescita inferiori. Come si spiega la tendenza a forma di U? La rapida curva in discesa è molto probabilmente dovuta ai miglioramenti nell'educazione delle giovani donne. Volete tagliare i tassi di gravidanza fuori controllo? Date dei libri alle ragazze. E' molto di più che semplicemente educare le donne al controllo delle nascite e alla riproduzione, ecc. L'educazione rafforza le donne nel lavoro e per fare scelte libere. Se manca questa, il cibo importato finanziato dai governi delle nazioni industriali e da enti di beneficenza permette al surplus di attraversare i confini e fornire la materia prima per nuovi bambini. Questo mi fa mettere in dubbio il beneficio globale dell'aumentare la popolazione fornendo assistenza alimentare. Una volta ho contribuito a tali finanziamenti, ma ora mi sento confuso: qual è il piano qui? Capisco l'urgenza umanitaria di sostenere le popolazioni affamate – davvero. Questa simpatia universale è parte della natura umana, ma potrebbe diventare una delle forze che ci lega a binari che portano alla sovrappopolazione e al collasso finale. E' questa la mia preoccupazione. Sostenendo le popolazioni affamate adesso, non è che ci stiamo solo raddoppiando e così alla fine il numero delle persone che soffre è più grande? La cattiva notizia è inevitabile? Finché non ho un quadro più chiaro sono in qualche modo paralizzato nel mio desiderio intrinseco di dare sostegno.

In ogni caso, è abbastanza facile trovare i motivi per cui il tasso di crescita dovrebbe ridursi quando l'energia/ricchezza si libera dal fondo del barile. Ma perché il contrario?Un modo per rispondere e chiedersi: perché gli Stati Uniti hanno vissuto un boom demografico dopo la Seconda Guerra Mondiale? Significativamente, gli Stati Uniti dominavano la produzione di petrolio in quel periodo: allora eravamo per il mondo ciò che il Medio Oriente è oggi. Erano tempi di vacche grasse. Eravamo pieni di speranza ed ottimismo e credevamo di poter fare qualsiasi cosa. Questo è un buon clima per fare bambini, più gente. Prendiamo decisioni su cosa possiamo permetterci di sostenere sulla base delle condizioni attuali e un po' di senso di luminosità del futuro. Il surplus di energia, unito ad un istinto primario di passare i nostri geni e metter su famiglie, ci pone su un sentiero prevedibile.

Dov'è il vero problema della popolazione?

Noi occidentali tendiamo a puntare il dito verso i paesi in via di sviluppo come i maggiori colpevoli della crescita della popolazione. Ed è vero che i tassi di crescita frazionari in quei paesi sono allarmanti, con tempi di raddoppio di pochi decenni. Siamo giustificati nel chiederci come verrà sfamata questa popolazione.

Ma abbiamo anche visto che in termini di consumo di risorse, aggiungere un abitante del Qatar è circa 45 volte peggio che aggiungere un africano medio. Aggiungere un cittadino statunitense è circa 20 volte peggio. Tuttavia, conta realmente quanto sia stravagante la vita di un cittadino medio di Qatar, Kuwait, Trinidad e Tobago o Lussemburgo? Sono paesi piccoli. La nostra preoccupazione non dovrebbe rivolgersi a luoghi come India o Cina? Mettete insieme vaste popolazioni e sviluppo aggressivo e quei paesi sono nella posizione di cambiare il calcolo globale in modo piuttosto drammatico. Visti i dati sulla popolazione e sul tasso di crescita, facciamo presto a calcolare il numero di persone aggiunte all'anno in ogni paese. Ora, ipotizziamo che le persone aggiunte abbiano le condizioni medie della nazione nel suo complesso. Così possiamo moltiplicare il numero di persone aggiunte per l'uso nazionale di energia pro capite e ottenere la quantità totale di domanda di energia aggiunta sul pianeta a causa della crescita della popolazione. Fuori dai grafici...


Domanda di energia annuale assoluta aggiunta come risultato della crescita della popolazione, come funzione del numero di persone aggiunte ogni anno.

L'India aggiunge circa 15 milioni di persone all'anno (wow!). La Cina ne aggiunge poco più di 6 milioni. La Nigeria è la successiva, con circa 4 milioni. Poi abbiamo gli Stati Uniti che aggiungono 3 milioni di persone all'anno. Ma di questi, gli Stati Uniti sono i più affamati in termini energetici. Il grafico mostra quanti petajoule (PJ) di domanda vengono aggiunti ogni anno per paese a causa della crescita della popolazione (altri fattori possono anche contribuire  alla crescita o al declino dell'energia; qui isoliamo la porzione della popolazione). Come riferimento, l'appetito annuale di tutto il mondo è di 530.000 PJ. Ciò che vediamo è che la crescita della popolazione negli Stati Uniti sta aggiungendo domanda di energia più rapidamente di ogni altra nazione della Terra. La Cina e l'India sono a loro volta importanti (e in termini assoluti sono certamente più importanti come produttori di aumento di energia, a causa del loro standard di vita che cambia rapidamente). Ma la risposta alla domanda: quale crescita di popolazione sta avendo l'effetto più grande sulla domanda globale di energia? - sono gli Stati Uniti. 

Si potrebbe facilmente ribattere che nel corso delle vite dei nuovi aggiunti, le aggiunte finali di energia causate dall'attuale crescita di popolazione della Cina supereranno quelle dell'America a causa del cambiamento di strandard di vita. Per prima cosa, non è chiarissimo quanto durerà il colosso cinese contro le sfide sconosciute del futuro. Ma forse è più importante che gli spintoni per la posizione di testa potrebbe oscurare il risultato lampante evidente nel grafico. Sono Stati Uniti, Cina e India i posti dove la crescita della popolazione sta guidando l'aumento globale della domanda di risorse – nella misura in cui l'energia è un proxy per risorse generiche. Il resto del mondo è di importanza secondaria in questa classifica. Dov'è che la crescita della popolazione mette più pressione sulle risorse? Sono questi tre paesi, con gli Stati Uniti attualmente ben più avanti degli altri due. Nel frattempo, l'Ucraina sta facendo il lavoro migliore nel rimuovere domanda dal mondo. 


Capacità di energia elettrica annuale aggiunta come risultato della crescita della popolazione, come funzione del numero di persone aggiunte all'anno. 

La storia dell'elettricità è simile. La crescita della popolazione negli Stati Uniti sta portando l'aggiunta di circa 4 GW di capacità annua di generazione elettrica. Ancora una volta, la Cina e l'India sono sulla mappa, col resto del mondo ammucchiato nell'angolo in basso a sinistra.

CO2 annuo assoluta aggiunta come risultato della crescita della popolazione, come funzione del numero di persone aggiunte all'anno. 

Una cosa moderatamente interessante accade quando disegniamo il grafico in termini di CO2. Siccome India e Cina usano fonti energetiche “più sporche”, in termini di CO2, il divario fra gli Stati Uniti e Cina/India è minore. Gli Stati Uniti sono ancora al vertice, ma lo sono in modo meno schiacciante. Alcuni paesi mediorientali si sforzano a loro volta di staccarsi dal gruppo – ma non in un buon modo.

Senza figli per scelta

L'elenco di ragioni per cui mia moglie ed io abbiamo deciso di non avere bambini è lunga (questo non significa che non abbiamo visto anche benefici). Questo post tratta una delle sfaccettature. Aggiungere un bambino negli Stati Uniti ha un impatto sproporzionatamente grande sulle risorse globali, la cui natura finita sta diventando sempre più evidente. Ad un certo livello, il nostro è un tentativo di fermare la spinta umana innata a riprodursi (che condivido), perché questo risulta nell'aggiunta di più persone al pianeta – forse non la strada più saggia al momento. I genitori dipingono prontamente la nostra scelta come egoista – probabilmente perché abbiamo più libertà nel modo di passare il nostro tempo. Ma le argomentazioni di egoismo sono destinate a fallire: virtualmente, ogni scelta che fanno gli esseri umani comporta la considerazione di sé stessi, pertanto hanno una componente egoistica. Rigirando l'argomentazione, non avendo figli, ci priviamo: delle gioie innegabili di essere genitori (miste all'occasionale esasperazione), potenziali badanti per quando invecchiamo e perdiamo la capacità di fare da soli e un collegamento genetico col futuro. In parte, compenso questi vantaggi perché ho difficoltà a giustificare perché le mie necessità personali debbano provenire ad un costo smisurato per una civiltà sfidata in un modo senza precedenti. In questo senso, posso con la stessa facilità prendere la decisione di avere figli come la scelta egoista. Poco popolare con chi procrea: la gente non apprezza di essere etichettata come egoista. Mi aspetto qualche ululato.

La sfera di cristallo all'ombra del petrolio

Cerco di essere attento a non trasmettere certezza sul futuro – che non è un comportamento che osservo spesso da parte degli ottimisti. Piuttosto, cerco di indicare possibilità distinte che collettivamente tendiamo a ignorare o a negare. Solo attraverso una maggiore consapevolezza verso problemi trascurati posso sperare che le mie preoccupazioni si rivelino sbagliate. Sarebbe un bel risultato e infatti per me il punto è tutto qui. Ci troviamo nel bel mezzo di un esperimento non pianificato su una scala senza precedenti. Abbiamo 7 miliardi di persone sul pianeta, che crescono di circa 3 persone (nette) al secondo. E' una corsa folle e senza controllo verso il futuro. Si potrebbero immaginare scenari metaforici come quello di sbattere contro un muro o contro una scogliera, esaurire noi stessi e fermarci per prendere fiato o saltare nello spazio per lasciare il pianeta. Certamente faccio anche io le mie supposizioni, ma non posso esplicitare un futuro non scritto.

Mi riporto su al grafico più importante che informa la mia visione del mondo. Sappiamo che i combustibili fossili hanno dominato in lungo e in largo la scala del nostro uso di energia e che questi sono risorse finite. Possiamo quindi fare il seguente grafico con una certa sicurezza. Sono particolarmente sicuro del punto di domanda del futuro.

Sul lungo termine, l'era dei combustibili fossili è un puntino, con una parte in discesa che fa da specchio alla parte (più divertente) in salita.

Nella misura in cui il surplus di energia è responsabile del boom della popolazione, la simmetria della curva dei combustibili fossili porta con sé un potere predittivo anche per la popolazione? Queste curve sono state storicamente legate. L'onere della prova è per gli ottimisti che presumono che possiamo spezzare la dipendenza. In un post precedente, ho enfatizzato le difficoltà associate alla rottura di questa curva. In un altro post hodisposto in tabelle la superiorità relativa dei combustibili fossili sulle alternative attuali, amplificando la sfida. Non è fisicamente impossibile, ma sostenere miliardi di persone su questo pianeta sul lungo periodo non è una cosa che ci stiamo dimostrando di essere capaci di fare. Se le registrazioni storiche sono piene di esempi di civiltà che hanno raggiunto il picco, lo hanno oltrepassato e sono collassate, diventa piuttosto difficile sottoscrivere la nozione per cui stavolta sarà diverso, quando siamo di fronte a così tante sfide monumentali e simultanee.  La popolazione, come riflesso della natura umana, potrebbe ben essere la madre di tutte le sfide. Strettamente legato alla domanda di risorse, il problema non se ne andrà ignorando i nostri ruoli personali e focalizzando invece l'attenzione sui paesi poveri lontani mezzo mondo. La crescita economica incentiva la crescita della popolazione, che gioca proprio nei nostri desideri biologici. Sarebbe una boccata d'aria fresca non essere più schiavizzati come vittime di entrambe queste forze. Altrimenti non riusciremo davvero a scrivere il nostro futuro. E alla Natura non importa se noi non capiamo.

- Altro su: http://physics.ucsd.edu/do-the-math/2013/09/the-real-population-problem/#sthash.PtPRJSvm.dpuf 



giovedì 6 marzo 2014

Picco del cibo: il drammatico declino dell'agricoltura industriale

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Gran parte dei modelli di predizione convenzionali non tengono conto della realtà, dicono alcuni ricercatori statunitensi.

I cereali di prima necessità come il riso affrontano un declino senza precedenti. Foto: George Osodi


L'agricoltura  industriale potrebbe aver raggiunto dei limiti di fondo nella sua capacità di produrre raccolti sufficienti a sfamare una popolazione globale in espansione, secondo una nuova ricerca  pubblicata su Nature Communications. Lo studio di alcuni scienziati dell'Università del Nebraska-Lincoln sostiene che ci sono stati declini improvvisi o plateau nel tasso di produzione dei principali cerreali che minano le proiezioni ottimistiche di rendimenti dei raccolti in continuo aumento. Il “31% del totale globale della produzione riso, grano e mais” ha visto “un livellamento del rendimento o delle diminuzioni improvvise del miglioramento del rendimento, compreso il riso nell'Asia orientale e il grano nell'Europa nordoccidentale”. I declini e i plateau della produzione sono diventati prevalenti nonostante gli aumentati investimenti in agricoltura, il che potrebbe significare che i rendimenti massimi potenziali del modello industriali di agricoltura commerciale sono già superati. "I rendimenti dei raccolti nelle maggiori regioni produttrici di cereali non sono aumentati per lunghi periodi di tempo a seguito di un periodo precedente di costante crescita lineare”.

Il saggio è una lettura inquietante. I livelli di produzione si sono già livellati con “nessuna possibilità di tornare alla precedente tendenza alla crescita” per le regioni chiave che ammontano al “33% della produzione di riso globale e il 27% del grano”. I ricercatori statunitensi hanno concluso che questi plateau del rendimento potrebbero essere spiegati dalla deduzione secondo la quale “i rendimenti medi agricoli si avvicinano ad un tetto di rendimento biofisico per le colture in questione, il che è determinato dal loro potenziale di rendimento nelle regioni dove la coltura è prodotta”. Scrivono:

“... abbiamo trovato una diffusa decelerazione nel tasso relativo di aumento dei rendimenti medi delle maggiori colture di cereali durante il periodo 1990-2010 in paesi con la più grande produzione di queste colture e prove solide di plateau di rendimento o un improvviso calo nel tasso di aumento del rendimento nel 44% dei casi che, insieme, assommano al 31% della produzione totale globale di riso, grano e mais”. 

Le tendenze passate degli ultimi 5 decenni di aumento continuo dei rendimenti delle colture erano “guidate dalla rapida adozione delle tecnologie della rivoluzione verde che erano in gran parte innovazioni del passato” e che non possono essere ripetute. Queste comprendono le grandi innovazioni industriali come “lo sviluppo delle specie di grano e riso semi nane, il primo uso diffuso di fertilizzanti commerciali e pesticidi e grandi investimenti per espandere le infrastrutture di irrigazione”.

Anche se l'investimento in agricoltura in Cina è aumentato del triplo dal 1981 al 2000, i tassi di aumento dei rendimenti del grano sono rimasti costanti, diminuiti del 64% per il mai e sono trascurabili per il riso. Analogamente, il tasso di rendimento del mais è rimasto ampiamente piatto nonostante un 58% di aumento dell'investimento nello stesso periodo. Lo studio avverte:

“Una preoccupazione è che nonostante l'aumento dell'investimento in ricerca e sviluppo agricolo ed educazione durante questo periodo, il relativo tasso di guadagno del rendimento nelle maggiori colture alimentari  è diminuito nel tempo insieme con l'evidenza di plateau di rendimento in alcuni dei domini più produttivi”.

Lo studio critica prevalentemente altri modelli di proiezione dei rendimenti che prevedono aumenti in proporzione geometrica o esponenziale nei prossimi anni e decenni, anche se questi “non avvengono nel mondo reale”. Lo studio nota che “tali tassi di crescita non sono sostenibili sul lungo termine perché i rendimenti agricoli medi alla fine si avvicineranno ad un tetto potenziale di rendimento determinato da limiti biofisici ai tassi di crescita ed ai rendimenti delle colture”. I fattori che contribuiscono ai declini o ai plateau della produzione di cibo comprendono il degrado delle terre e dei suoli, il cambiamento climatico e dei modelli ciclici meteorologici, l'uso di fertilizzanti e pesticidi e l'inadeguato o inappropriato investimento.

La nuova ricerca solleva domande cruciali sulla capacità dei metodi dell'agricoltura industriale tradizionale di sostenere la produzione globale di cibo per una popolazione in crescita. La produzione di cibo dovrà aumentare di circa il 60% per il 2050 per soddisfare la domanda. Un rapporto uscito questo mese da parte della banca olandese Rabobank raccomanda di tagliare gli sprechi di cibo del 10%, in quanto oltre un miliardo di tonnellate – metà delle quali collegate all'agricoltura – finisce per essere sprecato. Un uso dell'acqua più efficiente è necessario, dice il rapporto, come la micro irrigazione, per affrontare un potenziale deficit di disponibilità di acqua del 40% per il 2030. Attualmente, l'agricoltura utilizza il 70% della domanda globale d' acqua. Il rapporto invita anche a ridurre la dipendenza dai fertilizzanti usando metodi di “ottimizzazione degli input” progettati per ridurre la quantità di energia ea acqua necessarie. Visto che il 53% dei nutrienti dei fertilizzanti rimangono nel terreno dopo il raccolto, i fertilizzanti contribuiscono al degrado del suolo nel tempo a causa della contaminazione delle acqua di falda, alla lisciviazione, all'erosione e al riscaldamento globale.

L'ossessione di Rabobank col focus sul miglioramento degli attuali metodi industriali – senza proprio afferrare la scala dei problemi che affronta l'agricoltura industriale – è, tuttavia, una deficienza grave. Due anni fa, un rapporto di riferimento del Relatore Speciale dell'ONU sul Diritto al Cibo dimostrava che l'agroecologia basata su metodi biologici sostenibili e su piccola scala potrebbero potenzialmente raddoppiare la produzione di cibo di intere regioni che affrontano la fame persistente nell'arco di 5-10 anni.






mercoledì 5 marzo 2014

Collasso: come siamo messi?

Da “MAHB”. Traduzione di MR.

Apocalípico I di Mauricio García Vega


Abbiamo avuto notevoli dubbi sull'opportunità di pubblicare questo articolo che contiene molteplici inesattezze. Alla fine, ci è parso il caso di metterlo on line dato che è stato scritto da due autori ben noti nel campo degli studi sulle risorse naturali, Paul e Anne Erlich, autori fra le altre cose di quella "The Population Bomb" che è stato uno dei primi documenti (risale al 1968) a segnalare con molta forza il problema della sovrappopolazione. Qui, abbiamo un documento di un certo interesse nel suo tentativo di una valutazione generale della situazione. Purtroppo è un approccio che soffre, appunto, di molte inesattezze e non poche banalità. Quindi, lasciamo al lettore il compito di leggere questo articolo con una certa cautela e molta attenzione.  (U.B)


Collasso: come stanno evolvendo le nostre possibilità?
Di Paul R. Ehrlich e Anne H. Ehrlich

E' passato poco più di un anno da quando abbiamo provato a valutare la probabilità che l'odierna tempesta perfetta di problemi ambientali porterà a un collasso della civiltà. [1] Sembra un momento appropriato per vedere come gli eventi e le scoperte recenti possano aver cambiato le possibilità. Le tendenze nei principali motori di distruzione continuano inesorabili. L'Ufficio di Riferimento per la Popolazione, che nel 2012 ha previsto che la popolazione mondiale nel 2050 sarebbe stata di 9,624 miliardi di persone, ha previsto nel 2013 una popolazione di 9,727 miliardi di persone sempre per il 2050, come risultato di un leggero aumento del tasso di fertilità globale. C'è un lieve segnale di diminuzione dei consumi, col potere d'acquisto medio che globalmente cresce (ma con grandi differenze geografiche). Ci sono prove crescenti che il cambiamento climatico antropogenico non stia solo aumentando la temperatura media globale, ma che stia anche aumentando la probabilità di eventi atmosferici estremi. Quest'ultimo aspetto è stato particolarmente distruttivo in parti del “paniere” americano, essenziali per il mantenimento degli approvvigionamenti umani di cibo.

Ancora più preoccupante, sembra che ci sia un'escalation di scoperte di "retroazioni positive" come la fusione del ghiaccio marino artico, che diminuisce la riflettività e quindi accelera il riscaldamento mentre ironicamente causa sgradevoli blizzard nel nord degli Stati Uniti. Il riscaldamento porta anche ad ulteriore riscaldamento aumentando il flusso del gas serra metano nell'atmosfera mentre il permafrost si scioglie e probabilmente i clatrati di metano (complessi di ghiaccio e metano che stanno sotto agli oceani settentrionali) si disintegrano con il riscaldamento degli oceani. Altre retroazioni positive stanno chiaramente riducendo le possibilità di mantenere la distruzione del clima entro limiti “gestibili” (se questi non sono già stati superati). Le recenti analisi delle situazioni del clima e dell'agricoltura [2] dipingono un quadro sempre più oscuro. Infatti, ci sono prove crescenti di un possibile fallimento nella generazione di ulteriori aumenti nei rendimenti delle colture che sarebbero necessari per nutrire 9 miliardi di persone nel 2045, anche se la distruzione climatica non colpisse duramente l'agricoltura. Ci sono anche problemi inevitabilmente crescenti che colpiscono gli sforzi per ottenere le risorse minerali necessarie alla civiltà industriale.

Infine, ci sono segnali che le grandi potenze, specialmente Stati Uniti, Cina e Russia, sono in competizione per le risorse in modi che potrebbero portare a grandi guerre, probabilmente nucleari. Gran parte della competizione in un Medio Oriente disintegrato è collegata all'accesso al petrolio, che avremmo potuto gradualmente eliminare se le società si fossero orientate verso la sostenibilità. La situazione internazionale, come la storica Margaret MacMillan ha indicato, ha una rassomiglianza spaventosa con quella che ha preceduto la Prima Guerra Mondiale. [3] Stiamo per giungere al termine un lungo periodo senza guerre mondiali ma caratterizzato da cambiamenti tecnologici senza precedenti che i problemi ambientali e di risorse renderanno anche meno comprensibili. Mentre la globalizzazione continua in una situazione di intensificata competizione per le risorse, i movimenti reazionari tenuti insieme dalle nuove tecnologie e la mancanza di fiducia dilagano in un mondo ancora strutturato in stati nazionali con meccanismi deboli disponibili per affrontare minacce globali. Il crescente confronto militare fra Cina e Stati Uniti potrebbe finire col rendere tutti i problemi ambientali secondari. Però ci sono anche alcune buone notizie.

Il consumo totale di energia negli Stati uniti è diminuito sotto il Presidente Obama a causa di un costante aumento dell'efficienza, specialmente dei veicoli. Il consumo statunitense di carbone è sceso perché la produzione di elettricità è stata piatta e il ruolo del carbone in essa è stato ridotto, rimpiazzato dall'uso del gas naturale (che, anche tenendo conto delle emissioni per perdite nella produzione e nel trasporto, rimane molto meglio del carbone in termini di cambiamento climatico). Naturalmente, questo ha senso soltanto come “ponte” temporaneo verso un mix a minore intensità di carbonio. La produzione statunitense di petrolio sale, ma ma questo potrebbe essere un fenomeno di breve durata. Anche così, bruciare petrolio interno è meglio sia dal punto di vista economico sia ambientale rispetto a bruciare petrolio importato. E anche se l'Australia intende continuare ad esportare enormi quantità di carbone, con costi enormi per l'ambiente australiano e quello mondiale, il governo cinese si sta rapidamente avviando verso una rapida riduzione dell'uso del carbone e l'India è costretta dalle proprie finanze in quella direzione. C'è anche un rincuorante diffusione della tecnologia solare nei paesi poveri, che fra le altre cose da alle persone un maggiore accesso alle comunicazioni moderne (la qual cosa, naturalmente, può essere usata sia bene che male!).

Le zone “protette” (aree in cui la pesca è proibita) hanno mostrato un'incredibile capacità di rigenerare la pesca di prossimità. Ma, tristemente, le zone non possono tenere sotto controllo inquinamento, acidificazione o cambiamento della temperatura, quindi potrebbero rapidamente perdere il loro valore. Il Brasile ha fortemente rallentato la deforestazione in Amazzonia con una combinazione di buone politiche e con la loro buona applicazione. E le prospettive della popolazione per gli Stati Uniti sono leggermente meno fosche: la proiezione del 2012 per il 2050 di 442,6 milioni è scesa nel 2013 a 399,8. Ma ciò che è lampante è che questi cambiamenti non sono neanche lontanamente grandi o rapidi abbastanza da incidere realmente sul problema. Inoltre, non ci sono piani né alcuna tendenza nella direzione di fare la scelta più cruciale necessaria per diminuire le possibilità di collasso: un rapido ma umano sforzo di ridurre la scala di tutta l'impresa umana mettendo fine alla crescita della popolazione, dando inizio al terribilmente necessario declino generale dei numeri e limitare drammaticamente il consumo dei ricchi. Non c'è nemmeno discussione sugli elementi ovvi del sistema socio-economico che supportano una struttura che incorpora un bisogno di crescita perpetua – essendo la riserva frazionaria bancaria un obbiettivo classico che richiede un'inchiesta in questo contesto. Virtualmente ogni politico o economista pubblico presuppone ancora acriticamente che ci siano dei benefici in un'ulteriore espansione economica, anche fra i ricchi. Pensano che la malattia sia la cura.

Qualche anno fa abbiamo avuto un dissenso col nostro amico Jim Brown, un eminente ecologista. Gli abbiamo detto che pensavamo che ci fosse un 10% di possibilità di evitare il collasso della civiltà ma, a causa della preoccupazione per i nostri nipoti e pronipoti, eravamo disposti a lottare per farlo diventare un 11%. Lui ha detto che la sua stima delle possibilità di evitare il collasso era solo del 1%, ma che stava lavorando per farlo diventare 1,1%. Tristemente, le tendenze e gli eventi recenti ci fanno pensare che Jim possa essere stato ottimista. Forse adesso è il momento di parlare di una qualche forma di collasso presto, nella speranza di fare un “atterraggio” relativamente dolce. Questa potrebbe essere l'unica cosa che potrebbe preservare la capacità della Terra di sostenere l'Homo sapiens in un futuro post apocalittico.

[1] Ehrlich PR, Ehrlich AH. 2013. Può essere evitato un collasso della civiltà? Atti della Royal Society B http://rspb.royalsocietypublishing.org/content/280/1754/20122845.
[2] http://vimeo.com/78610016; http://www.youtube.com/watch?v=TFyTSiCXWEE; Grassini P, Eskridge KM, Cassman KG. 2013. Distinguere fra miglioramenti del rendimento e plateau del rendimento nelle tendenze storiche di produzione delle colture. Nature Communications 4:2918 | DOI: 10.1038/ncomms3918 |www.nature.com/naturecommunications.
[3] http://bit.ly/K4rf8G