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lunedì 19 gennaio 2015

Fino a che punto il collasso della civiltà è imminente? Le (non) previsioni del Massachusetts Institute of Technology

Da “Usted non se lo cree”. Traduzione di MR

Di Ferran P. Vila

“Non mi importa se ha ragione oppure no. I risultati sono inaccettabili!” [1]

Monumento in ricordo dell'olandese Sicco Mansholt,
 presidente della Commissione Europea negli anni 70
 che accettò i risultati di LTG, ma solo per qualche mese
Jay Forrester, il padre del modello World3 dei Limiti dello Sviluppo (LTG), racconta che è così che gli rispondevano quando mostrava alcune conclusioni poco vendibili dell'analisi dinamica di un'economia urbana che aveva fatto mediante la dinamica dei sistemi (380). Questa espressione riflette una parte delle critiche ricevute dal metodo da parte di coloro ai quali i risultati non piacciono.

D'altra parte, le reazioni favorevoli a LTG dopo la sua pubblicazione non sono state molte, ma di alto livello. Per esempio Sicco Mansholt, che è stato nei primi anni 70 l'architetto della politica agraria comune dei sei paesi dell'allora Comunità Economica Europea (CEE), ha scritto a Franco Maria Malfatti, presidente della Commissione, una lettera nei seguenti termini: “Cosa possiamo fare come 'Europa' e cosa dobbiamo fare per evitare che la macchina “prenda l'influenza”? I problemi sono tanto fondamentali, tanto complessi e tanto strettamente legati che possiamo chiederci: c'è davvero qualcosa da fare? L'Europa può intervenire? Non si tratta di una faccenda che riguarda il mondo intero?” (381). Non lo hanno seguito. Il vicepresidente economista era Raymod Barre, traduttore in francese di Frederik Hayek. Il presidente francese Giscard d’Estaign non ha tardato ad affermare che non voleva diventare un “obbiettore della crescita” (382). Si da il caso che l'anno successivo Mansholt ha avuto accesso alla presidenza della commissione (erano altri tempi). Ma ha puntato sulla crescita. Ci sono forme più dolci per esprimere la stessa frase che apre il testo, persino più piene di contenuto:

“Non fa alcuna differenza che lei abbia ragione o no... né i politici né le persone accetteranno mai queste idee!” (383)  Il fatto è che idee inaccettabili accompagnate, in caso, da una montatura negazionista organizzata, si trasformano in idee più contestate, più messe in dubbio, che non è altro che l'obbiettivo di paralisi di queste campagne (384). E LTG è stato, e continua ad essere, oggetto di un attacco organizzato simile a quello che abbiamo in seguito contemplato, e continuiamo a subire, ancora oggi, sul terreno del clima.


Critiche e negazionismi a LTG

Le critiche a LTG sbagliavano clamorosamente come minimo per mancanza di conoscenza del metodo e conseguente errore di prospettiva (385). E' stato così persino nel tentativo di valutazione apparentemente più onesto, realizzato dal Sussex Group e pubblicato l'anno successivo col titolo di Models of Doom [2] (386). Accusavano LTG di essere partiti da conclusioni “ricardiste” per le quali non è necessario usare un computer. Tuttavia, non si esprimevano sulla validità delle tesi di David Ricardo né sull'influenza della legge dei ritorni decrescenti (387).

venerdì 14 novembre 2014

Lo studio “I Limiti dello Sviluppo” aveva ragione. Una nuova ricerca mostra che ci stiamo avvicinando al collasso


DaThe Guardian”. Traduzione di MR (h/t Emilio Martines)

Quattro decenni dopo la pubblicazione del libro, le previsioni de “I Limiti dello Sviluppo” sono state vendicate da una nuova ricerca australiana. Ci si aspetta che le prime fasi di un collasso globale cominciano a manifestarsi presto 

Di Graham Turner e Cathy Alexander 


Mucchi di automobili rottamate in un sito di riciclaggio dei metalli a Belfast, Irlanda del Nord. Foto: Alamy

Il libro del 1972 “I Limiti dello Sviluppo” (The Limits to Growth), che ha previsto che la nostra civiltà probabilmente collasserà ad un certo punto in questo secolo, è stato criticato come fantasia catastrofista sin dalla sua pubblicazione.

Nel 2002, il sedicente esperto ambientale Bjorn Lomborg lo ha consegnato alla “pattumiera della storia”. Non è quello il suo posto. Una ricerca dell'Università di Melbourne ha scoperto che le previsione del libro sono precise, su 40 anni. Se continuiamo a restare il linea con lo scenario del libro, possiamo aspettarci che le prime fasi del collasso globale comincino presto. I “Limiti dello Sviluppo” è stato commissionato da un think tank chiamato Club di Roma. I ricercatori al lavoro al MIT, compresi i coniugi Donella e Dennis Meadows, hanno costruito un modello computerizzato per tracciare l'economia mondiale e l'ambiente. Chiamato World 3, questo modello computerizzato era all'avanguardia.

L'impresa era molto ambiziosa. La squadra ha tracciato l'industrializzazione, la popolazione, il cibo, l'uso di risorse e l'inquinamento. Hanno modellato i dati fino al 1970 e poi hanno sviluppato una gamma di scenari fino al 2100, a seconda del fatto che l'umanità intraprendesse un'azione seria sui problemi ambientali e di risorse oppure no. Se questo non fosse accaduto, il modello prevedeva un “superamento e collasso” - dell'economia, dell'ambiente e della popolazione – prima del 2070. Questo è stato denominato lo scenario “business-as-usual”. Il punto centrale del libro, da allora molto criticato, è che “la Terra è finita” e la ricerca della crescita infinita di popolazione, beni materiali, ecc. alla fine avrebbe portato ad un collasso.

Allora, avevano ragione?Abbiamo deciso di controllare quegli scenari dopo 40 anni. Il dottor Graham Turner ha raccolto dati dall'ONU (dal suo dipartimento di economia e affari sociali, Unesco, dall'organizzazione dell'alimentazione e dell'agricoltura, FAO e dall'annuario statistico dell'ONU). Ha anche controllato i dati della statunitense NOAA, della revisione statistica della BP ed altro. Quei dati sono stati messi a fianco degli scenari de “I Limiti dello Sviluppo”. I risultati mostrano che il mondo sta viaggiando molto vicino allo scenario “business-as-usual” dei Limiti dello Sviluppo. I dati non corrispondono ad altri scenari. Questi grafici mostrano i dati del mondo reale (prima dal lavoro del MIT, poi dalla nostra ricerca), tracciati in una linea continua. La linea punteggiata mostra lo scenario “business-as-usual” dei Limiti dello Sviluppo fino al 2100. Fino al 2010, i dati sono sorprendentemente simili a quelli delle previsioni del libro.



Linea continua: MIT e ricerca in grassetto. Linea tratteggiata: scenario “Business-as-usual” de “I Limiti dello Sviluppo”.



Linea continua: MIT e ricerca in grassetto. Linea tratteggiata: scenario “business-as-usual” de “I Limiti dello Sviluppo”. Foto in dotazione.


Linea continua: MIT e ricerca in grassetto. Linea tratteggiata: scenario “business-as-usual” de “I Limiti dello Sviluppo”. Foto in dotazione.

Come hanno spiegato i ricercatori del MIT nel 1972, sotto quello scenario, la popolazione in crescita e le richieste di nuova ricchezza materiale avrebbe portato a più produzione industriale e a più inquinamento. I grafici mostrano che questo è in effetti accaduto. Le risorse vengono usate ad un tasso veloce, l'inquinamento aumenta, la produzione industriale e il cibo pro capite stanno aumentando. La popolazione sta aumentando rapidamente. Finora, I Limiti dello Sviluppo collimano con la realtà. Quindi cosa succederà? Secondo il libro, per alimentare la crescita continua dei produzione industriale ci deve essere un uso di risorse sempre in aumento. Ma le risorse diventano più costose da ottenere man mano che vengono usate. Visto che sempre più capitale viene diretto verso l'estrazione, la produzione industriale pro capite comincia a scendere – nel libro, circa dal 2015.

Mentre l'inquinamento aumenta e l'input industriale nell'agricoltura diminuisce, la produzione di cibo pro capite diminuisce. I servizi sanitari ed educativi vengono tagliati e questo si mette insieme portando un aumento nel tasso di morte da circa il 2020. La popolazione globale comincia a diminuire circa dal 2030, di circa mezzo miliardi di persone a decennio. Le condizioni di vita scendono a livelli simili a quelli del primo 900. Sono essenzialmente i limiti delle risorse che portano il collasso globale nel libro. Tuttavia, II Limiti dello Sviluppo tengono conto delle ricadute dell'aumento dell'inquinamento, compreso il cambiamento climatico. Il libro ha avvertito che le emissioni di biossido di carbonio avrebbero avuto un “effetto climatico” attraverso “il riscaldamento dell'atmosfera”. Come mostrano i grafici, la ricerca dell'Università di Melbourne non ha trovato prove di collasso fino al 2010 (anche se la crescita era già in stallo in alcune aree). Ma ne “I Limiti dello Sviluppo” quegli effetti cominciano a farsi sentire solo intorno al 2015-2030. I primi stadi del declino potrebbero essere già cominciati. La Crisi Finanziaria Globale (CFG) del 2007-2008 e l'attuale malessere economico potrebbero essere dei precursori di conseguenze dovute ai limiti delle risorse. La ricerca di ricchezza materiale ha contribuito a livelli di debito insostenibili, con improvvise impennate dei prezzi di cibo e petrolio che hanno contribuito ai default – ed alla CFG.

Il problema del picco del petrolio è cruciale. Molti ricercatori indipendenti concludono che la produzione di petrolio convenzionale “facile” abbia già superato il picco. Anche la prudente IEA ha avvertito riguardo al picco del petrolio. Il picco del petrolio potrebbe essere il catalizzatore del collasso globale. Alcuni vedono le nuove fonti di combustibili fossili come il petrolio di scisto, le sabbie bituminose e il gas dai giacimenti di carbone come i salvatori, ma il problema è la rapidità con la quale possono essere estratte queste risorse, per quanto tempo e a quale costo. Se risucchiano troppo capitale per la loro estrazione, le conseguenze sarebbero diffuse. La nostra ricerca non indica che il collasso dell'economia, dell'ambiente e della popolazione mondiali sia una certezza. Né dichiariamo che in futuro si manifesterà come hanno previsto i ricercatori del MIT nel 1972. Potrebbe scoppiare la guerra, come invece potrebbero sopravvenire delle vere leadership ambientaliste. Entrambe potrebbero condizionarne drammaticamente la traiettoria. Ma le nostre scoperte dovrebbero risuonare come un campanello d'allarme. Sembra improbabile che la ricerca di una crescita sempre in aumento possa continuare senza limiti fino al 2100 senza causare gravi effetti negativi  - e quegli effetti potrebbero arrivare prima di quanto pensiamo. Potrebbe essere troppo tardi per convincere i politici mondiali e le élite ricche di intraprendere un corso diverso. Quindi per il resto di noi è forse tempo di pensare a come proteggerci, dal momento che siamo diretti verso un futuro incerto.

Come concludeva “I Limiti dello Sviluppo” nel 1972:

Se le attuali tendenze di crescita di popolazione mondiale, industrializzazione, inquinamento, produzione di cibo ed esaurimento delle risorse continuasse immutata, i limiti della crescita su questo pianeta verrebbero raggiunti ad un certo punto entro i prossimi 100 anni. Il risultato più probabile sarebbe un declino piuttosto improvviso e incontrollabile sia della popolazione sia della capacità industriale. 

Finora, poche cose indicano che avessero capito male.



sabato 31 maggio 2014

IL DESTINO DELLE SOCIETÀ È INELUTTABILE O DIPENDE DALLE SCELTE UMANE?

  In questo articolo Jacopo Simonetta esamina qualitativamente gli elementi principali del "sistema mondo", arrivando a conclusioni molto simili a quelli a cui erano arrivati gli autori dello studio "I Limiti dello Sviluppo" nel 1972. In sostanza, l'economia umana (e la civilizzazione che ne dipende) sono condizionati dalla disponibilità di risorse naturali a buon mercato. Con il loro graduale esaurimento inizia una fase "catabolica" di declino che ci porta....... beh, difficile dire dove esattamente, ma da qualche parte dove probabilmente non vorremmo andare (UB)

 

di Jacopo Simonetta

 

Premessa.

Due degli storici moderni più interessanti e controversi sono Oswald Spengler  e Arthur Toynbee.   Entrambi condividevano una visione della storia come strutturata da una serie di cicli di nascita, sviluppo, decadenza e morte delle civiltà e degli imperi, per molti aspetti simile al ciclo della vita umana.

In due autori discordano tuttavia su di un punto fondamentale.   Schematizzando al massimo, secondo Spengler il fosco destino dei popoli dipende da una ineluttabile legge naturale.   Secondo Toynbee, viceversa, il destino delle civiltà dipende fondamentalmente dalla capacità delle classi dirigenti di capire i cambiamenti in corso ed adattarsi ad essi; una capacità che in gran parte dipende dalla religione che anima le società.

Fortemente criticata ed anche ridicolizzata da molti degli storici successivi, almeno in parte, questa visione appoggia però su solide basi scientifiche.   Le società umane sono infatti sistemi viventi altamente integrati, ossia, in termini fisici: “strutture dissipative complesse” (Prigogine  La fine delle certezze, 1997).  Ciò significa che assorbono bassa entropia e scaricano alta entropia nel loro ambiente; il prodotto di questo flusso è la Vita che ha un’intrinseca tendenza alla crescita ed alla complessità.   Può questo avere a che fare con i cicli storici evidenziati dai due celebri e contestati autori?

La questione è importante perché, se affidabile, una simile impostazione avrebbe un enorme valore nella valutazione delle situazioni attuali e delle scelte da compiere.

Non essendo uno storico, ma un ecologo, ho tentato di affrontare il problema in termini di flussi e di equilibri, rielaborando un’idea esposta da John Michael Greer nel suo libro “The long Descent” (New Society Publishers 2008). Nei ristretti limiti imposti da un articolo di questo tipo darò un riassunto dell’idea e dei risultati cui porta, nella speranza di raccogliere osservazioni utili a migliorare il lavoro.

Il modello.

Punto di partenza è il modello proposto da H Daly per spiegare la “crescita antieconomica".   Rimandando al link per la spiegazione, qui mi preme ricordare che la crescita economica è soggetta alla ben nota “legge dei ritorni decrescenti”, il che significa che ogni ulteriore passo di crescita comporta un risultato inferiore ed un costo maggiore rispetto al precedente.   Ne consegue che, mentre a sinistra del punto “b” (linea rossa) la crescita economica comporta più vantaggi che svantaggi (naturalmente dal punto di vista di chi cresce), a destra di tale punto ogni ulteriore crescita economica impoverisce, anziché arricchire la società.

Il punto che ho cercato di investigare è se l’attraversamento di questa “linea rossa” dipende dalla forza ineluttabile dei fatti, oppure deriva da scelte umane deliberate.

Nel tentativo di schematizzare al massimo, ho utilizzato 6 riserve (stock), un processo, 9 flussi (flow):

Per semplicità grafica, le 6 riserve sono riunite nei seguenti 4 box.

  • BOX 1: popolazione e capitale (riserve con tendenza alla crescita esponenziale).Ovviamente le persone non sono oggetti, ma in questa sede popolazione e capitale reale (ad es. costruzioni, sistemazioni fondiarie, infrastrutture, istituzioni, ecc.) sono accomunabili per alcune caratteristiche: entrambi hanno una tendenza alla crescita esponenziale, ma la crescita economica favorisce anche la crescita demografica e la crescita demografica stimola quella economica.   Inoltre, sia il capitale (comprensivo della tecnologia) che la popolazione possono agire in modo da aumentare il tasso di sfruttamento delle risorse, ma richiedono un costante investimento per il proprio mantenimento e per il necessario rinnovamento.
  • BOX 2 – finanza (riserva con tendenza alla crescita esponenziale).   Comprende il denaro in ogni sua forma (titoli, debiti, crediti, conti bancari, ecc.) comprese le banconote (circa il 3% della massa monetaria globale), ma esclusi i metalli preziosi.   Perlopiù la finanza agisce tramite il credito/debito che può consentire di incrementare il capitale reale nel caso in cui gli investimenti diano un rendimento eccedente l’interesse passivo al netto di costi, esternalità, ammortamenti, inflazione,  ecc.  Viceversa, consuma capitale nel caso di investimenti il cui rendimento netto sia inferiore all'interesse passivo.  
  • BOX 3 – Rifiuti (riserva senza tendenza endogena alla crescita).   L’insieme di tutti gli scarti solidi, liquidi e gassosi dei processi di estrazione, trasformazione ed uso, oltre che della consunzione del capitale.   L’accumulo di rifiuti (inquinamento) ha effetti negativi sia sulle risorse rinnovabili che sul capitale e la popolazione.
  • BOX 4 – Risorse rinnovabili e non rinnovabili. (riserva con una parziale tendenza al recupero di quanto prelevato).   Comprende le risorse non rinnovabili (ad es. minerali, idrocarburi, ecc.) e quella rinnovabili (ad es. acqua, biomassa, biodiversità, ecc).   Le seconde hanno una tendenziale capacità di recupero, ma solo se sfruttate largamente entro i limiti del loro rinnovamento.   In caso di sfruttamento superiore alla capacità di recupero tendono all'esaurimento e poiché questo è il caso generale oggi le due riserve possono essere accomunate.

Il processo considerato è:
  • Produzione.   Rappresenta l’insieme di tutti i processi di trasformazione delle risorse in beni e servizi.   Parte della produzione diventa nuovo capitale, parte va a manutenzionare o rimpiazzare il capitale usurato, parte diventa generi di consumo; in tutti i casi prima o poi diviene rifiuto. Ho qui mantenuto il termine economico “produzione” per semplicità, ma è bene ricordare che, quando si tratta di processi industriali, la realtà fisica è che si dissipa energia per trasformare risorse in beni destinati a diventare rifiuti o servizi destinati a svanire con la loro erogazione; un processo irreversibile. L’agricoltura potrebbe invece essere considerata come un’attività effettivamente produttiva, se non fosse per la quantità di energia fossile che dissipa che pone la maggior parte delle attività agricole nello stesso ruolo degenerativo dell’industria..

    I principali flussi (flow) che ho preso in considerazione sono dunque i seguenti:
    • Flussi di materia ed energia da risorse, capitale e popolazione a rifiuti. (frecce nere).   Tutto ciò che viene prelevato in natura ed utilizzato per realizzare beni e servizi attraversa il sistema e diviene  rifiuto; rapidamente per i beni di consumo e gli scarti di lavorazione, lentamente per il capitale.   
    • Quota di produzione dedicata a nuovo capitale (freccia azzurra).   Rappresenta i beni duraturi che vanno ad integrare il capitale reale (nuove macchine, costruzioni, sistemazioni fondiarie, organizzazioni, tecnologia, ecc).   
    • Quota produzione dedicata a manutenzione del capitale esistente (freccia marrone).   Rappresenta la quantità di beni e servizi dedicata alla manutenzione ordinaria e straordinaria del capitale reale (dalla sostituzione dei pneumatici usurati, fino alla ricostruzione delle case distrutte dalle tempeste, o delle infrastrutture terremotate)..
    • Quota di capitale dedicata a sostituzione di risorse carenti (freccia gialla).   Rappresenta l’investimento (in termini di beni materiali) necessario per compensare il depauperamento delle risorse.   Notare che non ricostituisce il capitale naturale (tranne che eventualmente e marginalmente per le risorse rinnovabili);  al contrario questo flusso aumenta l’efficienza con cui le risorse esistenti vengono trovate ed estratte, accelerandone dunque il depauperamento.
    • Quota di recupero risorse da rifiuti (freccia verde).   Rappresenta la percentuale di materia che dai rifiuti rientra nel ciclo produttivo, al netto degli scarti di lavorazione, dei materiali aggiunti e del’energia dissipata nel processo.
    • Flusso fra capitale/popolazione e finanza.   Fondamentalmente, il capitale finanziario fornisce denaro sotto forma di credito, mentre dalla popolazione e dal capitare reale tornano soldi alla finanza (comprensiva del Tesoro e della Banca centrale) sotto forma di interessi e tasse.

    Fase Anabolica.

    Ora osserviamo come il modello descriverebbe un’economia lontana dal fatale “Punto b”, sul 
    genere di quella che abbiamo avuto nei “gloriosi 30” e di cui oggi ci sentiamo tanto orfani.   Per analogia con i sistemi viventi, la ho definita “Fase anabolica”.

    In un’economia in fase di crescita reale (tratto di curva alla sinistra del punto “b”),  le risorse sono sovrabbondanti rispetto alla domanda, cosicché l’impiego di capitale per procurarle è modesto.    Una gran parte della produzione va in nuovo capitale la cui crescita consente un aumento di produzione e così via, innescando un processo di crescita esponenziale.   La quota di produzione dedicata al mantenimento del capitale è limitata per la relativa modestia del medesimo e per la relativa giovinezza di gran parte di esso.
    Anche la popolazione cresce ed è quindi prevalentemente giovane, il che significa che è molto produttiva e poco bisognosa di cure ed assistenza, mentre è avida di incrementare il proprio capitale (case, automobili, ecc.).   La crescita crea continuamente opportunità di lavoro e la disoccupazione è bassa.

    L’indebitamento è molto minore del capitale prodotto ed i rendimenti sono superiori ai costi complessivi, cosicché la finanza alimenta la crescita del capitale reale che alimenta la crescita della finanza con andamento parimenti esponenziale.

    La concorrenza è moderata perché il mercato è in espansione.

    La produzione di rifiuti è relativamente modesta per l’alta qualità delle risorse utilizzate e per le dimensioni relativamente contenute di popolazione, capitale e processi produttivi, mentre le capacità rigenerative degli ecosistemi sono sostanzialmente integre.   Di conseguenza l’inquinamento può provocare anche danni ingenti, ma di portata locale.   Il riciclaggio è assente o quasi perché il costo delle materie prime è basso.

    In sintesi, il sistema si espande creando nuove opportunità e quella sensazione di ottimismo caratteristica dei popoli in questa fase della loro storia.

    Il flusso di entropia aumenta con il crescere dei flussi di materia ed energia.   E’ un po’ come se, dal punto di vista termodinamico, man mano che l’economia cresce ed i flussi aumentano, il tempo accelerasse ed il sistema invecchiasse.

    Fase Catabolica.

    Vediamo ora come il modello descrive un’economia in prossimità del “punto b”, tipo quella che abbiamo oggi e dalla quale siamo tanto impazienti di uscire.   Ho battezzato questa fa se “Fase catabolica”, sempre per analogia con i sistemi viventi.

    Alcune risorse chiave sono scarse rispetto alla domanda, cosicché l’impiego di capitale per procurarle, o sostituirle, cresce esponenzialmente (ad es. maggiori costi per ricerca, estrazione, ecc.) e viene così distolto dalla produzione di nuovo capitale e prodotti di consumo.

    Il flusso di risorse verso la produzione è maggiore perché più grande è l’economia che deve alimentare, ma la loro qualità diminuisce ed il costo finale sale (N.B. costo e prezzo hanno fra loro rapporti complessi).  Il capitale reale è molto maggiore, ma più vetusto e gran parte di esso viene dirottato al rimpiazzo delle risorse ed al pagamento del debito.

    L’ammontare del debito cresce più rapidamente del capitale, cosicché parte crescente dei redditi è destinata al pagamento di interessi passivi e tasse.   Il ricorso a nuovo debito diviene necessario per i nuovi investimenti, il cui rendimento netto si riduce però progressivamente (“Ritorni decrescenti”).    In pratica, si copre il debito in scadenza mediante nuovo debito che darà un rendimento reale progressivamente inferiore a quello precedente.     La finanza sviluppa delle retroazioni interne che cortocircuitano il sistema reale.   Ciò provoca un aumento esponenziale della massa monetaria con conseguente sviluppo di bolle speculative e crescenti rischi di iper-inflazione.   In sintesi, da simbionte le finanza diviene parassita dell’economia reale.

    La competizione è accanita perché gli spazi di mercato si riducono ed i margini di utile si assottigliano, questo porta a strategie di mercato particolarmente nefaste come l’obsolescenza programmata, la pubblicità ingannevole, la corruzione, lo sfruttamento del personale, ecc. Quote crescenti di produzione vanno in rifiuti per la minore qualità delle risorse (aumento del fardello o zaino ecologico), mentre parte crescente della produzione va in mantenimento di un capitale molto più grande, ma meno produttivo.   Ciò nondimeno, la manutenzione non è generalmente sufficiente ed il capitale si degrada (ad es. parte dell’industria mineraria cinese o la rete stradale italiana).   La produzione di rifiuti da capitale cresce più rapidamente del capitale perché non tutto il capitale reale è destinato alla produzione, mentre tutto il capitale invecchia e si degrada. Si sviluppa il riciclo dei rifiuti con effetti positivi, ma insufficienti perché i flussi di risorse richiesti sono troppo elevati e perché anche le filiere dei rifiuti producono nuovi rifiuti ed entropia, sia pure in misura minore.
    In alcuni casi (ad es in Europa ed in Cina), la natalità diminuisce, ma la popolazione continua ad aumentare per il prolungarsi della vita madia e/o dell’immigrazione.

    Aumentano la disoccupazione cronica e la povertà, mentre i sistemi di “welfare” entrano in crisi e la classe dirigente perde di credibilità.   Si diffondono e radicalizzano quindi sentimenti quali la rabbia, la paura e la disperazione che sfociano generalmente in violenza che, normalmente, porta a distruzione sia di persone che di capitale, ma il secondo in misura molto maggiore.    Se, come solitamente accade, almeno parte del capitale distrutto era produttivo, alla fine la società si trova ad essere più povera ed a dover devolvere una quota ancora maggiore di produzione alla ricostruzione di parte del capitale perduto; una cosa possibile solo nella misura in cui sono ancora disponibili le risorse necessarie.

    Come sintetizzato nello schema di Daly, in fase catabolica l’economia diviene “un gioco a somma negativa” in cui ogni incremento dell’attività economica provoca danni indiretti superiori ai vantaggi diretti che procura (crescita anti-economica).   Ciò non impedisce che determinati soggetti possano continuare a crescere, solo che lo fanno a spese di altri.   Ne sono esempi i paesi in crescita malgrado la crisi globale, o le aziende altamente redditizie nei paesi in crisi, i professionisti di successo nei settori che licenziano. Il simbolo sullo sfondo indica che il flusso di entropia continua ad accelerare poiché il flusso di materia/energia è aumentato, mentre la qualità della vita è mediamente diminuita, un po' come se il sistema invecchiasse più rapidamente.

    In questa fase, il controllo politico del sistema diviene progressivamente più difficile, perché la situazione degenera ad un ritmo progressivamente accelerato, obnubilando le capacità di reazione di governi ed imprese, perlopiù concentrati sui problemi finanziari e sociali immediati, mentre i fattori più critici sono altri.   In particolare:

    - La quota di capitale dedicato alla sostituzione delle risorse cresce in misura superiore al reperimento delle medesime.   Si ha quindi un aumento dei costi ed una diminuzione del tenore di vita.

    - Gli impatti negativi dell’inquinamento sulle risorse, il capitale e la popolazione aumentano anche se l’economia decresce, sia per la longevità dei fattori inquinanti principali, sia per l’allentamento dei vincoli di legge, sia per l’incapacità degli ecosistemi fortemente degradati ad assorbire rifiuti (ad. esempio, la ridotta capacità di foreste e suoli degradati nell'assorbire CO2);

    - Crescono esponenzialmente la massa monetaria e gli interessi passivi da pagare alla finanza: due fattori che, combinati e sinergici, con facilmente scatenano un inflazione che distrugge stipendi, pensioni e risparmi.

    - Contemporaneamente, la diminuita capacità di consumo della popolazione può provocare deflazione: un fenomeno capace di far collassare molto rapidamente il sistema economico.

    - Si moltiplicano le azioni violente e/o illegali: dalla corruzione, alla criminalità, dalle sommosse alle guerre.   Tutti fenomeni che aumentano rapidamente l’entropia del sistema.

    Collasso.

    Man mano che la fase catabolica procede erodendo le riserve (risorse disponibili e capacità di assorbimento dei rifiuti), il sistema diviene sempre più instabile, finché un incidente qualsiasi non ne provoca l’arresto.    A quel punto, tutti i sistemi di retroazione che hanno alimentato la crescita alimentano la decrescita e si ha una progressiva distruzione di popolazione, oltre che di capitale sia reale che finanziario.   Un processo che può avere esiti molto diversi poiché ogni giorno che il carico complessivo (popolazione x consumi pro-capite) rimane al di sopra della capacità del sistema, questa si riduce.  
    Ne consegue che più rapidamente avviene il declino, prima le curve si re-incroceranno e migliori saranno le condizioni di chi rimane.   Viceversa, se la capacità di sfruttare le riserve residue rimane sufficiente a rallentare il declino, la capacità di carico può anche giungere a zero, provocando l’estinzione della popolazione.
    Naturalmente, in un sistema della vastità e complessità come quelle della Terra, ciò potrebbe verificarsi in alcune zone, ma non dovunque.

    In sintesi, il modello è coerente con gli scenari disegnati da Word3 e con la “crescita anti-economica” di Daly, ma aggiunge che, una volta giunti in prossimità del punto di equilibrio, il fatale passaggio diviene pressoché inevitabile per l’inerzia del sistema (qualcuno, genialmente, la ha chiamata la “sindrome di wile coyote”).   Inerzia che dipende da numerosi fattori sinergici:

    • Resistenza della popolazione e della classe dirigente ad accettare sacrifici sempre più grandi man mano che la situazione peggiora.
    • Triplice retroazione positiva fra popolazione e capitale: ognuna ha una tendenza innata alla crescita esponenziale; più sono ognuna forzante della crescita dell’altra.  

    • Capitale e popolazione possono continuare a crescere anche dopo che il punto di equilibrio sia stato superato erodendo le riserve di risorse e la stabilità degli ecosistemi.   Una possibilità tanto maggiore quanto più le riserve sono consistenti ed il progresso tecnologico ne consente uno sfruttamento via via più aggressivo ed efficiente (ad es. l’uso dei satelliti per guidare le flotte pescherecce o di bulldozer giganti per cavare carbone).   

    Ogni aumento del flusso dalle risorse verso la produzione si risolve però in un aumento del capitale, della popolazione e dei rifiuti, posticipando quindi il collasso, ma rendendolo più grave.   Una conclusione analoga a quella raggiunta già nel 1970 dal gruppo di lavoro che elaborò Word3.

    Conclusioni.

    Tornando a Spengler versus Toynbee, il modello suggerisce che, sostanzialmente, avessero entrambi ragione, ma in fasi diverse del processo.   Risulta infatti probabile che una dinamica intrinseca effettivamente esista e che, tendenzialmente, favorisca lo sviluppo e la decadenza delle civiltà, ma con regole in parte diverse a seconda della fase.    Durante la fase anabolica, infatti, sono possibili molte scelte alternative, fra cui quella di limitare volontariamente il proprio sviluppo.   Dipende quindi dalla lungimiranza, sensibilità e capacità politica della classe dirigente di rallentare, modificare od accelerare il processo.    Viceversa, una volta iniziata la fase catabolica, i gradi di libertà della società si riducono rapidamente e, molto presto, una qualche forma di collasso diviene inevitabile.   

    Siamo già a questo punto?   A livello globale con ogni probabilità si, ma la diversificazione delle situazioni locali lascerebbe, ritengo, dei margini di manovra; se non per evitare il collasso, perlomeno per mitigarlo.   Purtroppo, questo richiederebbe di ridurre contemporaneamente sia l’accumulo di capitale, sia la popolazione, pur mantenendo una struttura demografica relativamente giovane.
    In pratica, questo significherebbe falcidiare le posizioni di privilegio, aumentare le tasse e tagliare drasticamente tanto le pensioni quanto i fondi alla sanità.   Cioè proprio il tipo di cose massimamente impopolari fra tutte le classi sociali (sia pure per motivi diversi) ed a buon diritto, poiché sono quelle che maggiormente e direttamente riducono la qualità materiale e la durata della vita dei cittadini.   
    In definitiva, il problema è quindi che i pochi provvedimenti che sarebbero efficaci nel mitigare le condizioni nei decenni a venire avrebbero dei forti impatti negativi nell'immediato.   Viceversa, provvedimenti efficaci nel mitigare la situazione presente avrebbero ricadute negative in futuro.    

    Alla fine, quello che sta accadendo è forse l’unica via di uscita davvero possibile.   Quanto prima la violenza inutile, la malavita e le crisi finanziarie riusciranno a grippare la mega-macchia economica globale, tanto più facilmente i discendenti dei sopravvissuti potranno ricostruirsi una vita decente e, fra qualche secolo, anche delle civiltà.   Civiltà certamente prive dei gioielli tecnologici (ed energivori) di cui siamo tanto orgogliosi, ma magari ricche di arte e di spiritualità.   Magari si canteranno poemi che narreranno la grandezza di un popolo antico e scomparso, capace di costruire oggetti fantastici e misteriosi le cui rovine disegneranno i paesaggi del futuro ancora molto a lungo.






    martedì 13 maggio 2014

    L'invasione degli zombie delle risorse

    DaResource crisis”. Traduzione di MR


    (immagine da WikiHow  - licenza Creative Commons)

    Probabilmente avrete sentito dire che le “nuove idee nascono come eresie e muoiono come superstizioni”. Ma può essere anche peggio: ci sono idee che si rifiutano semplicemente di morire e, come zombie, continuano per sempre a perseguitare il panorama mentale umano. Una di queste idee è che il problema delle risorse minerali consiste nel “finire” qualcosa. Una manifestazione tipica di questa idea-zombie è un recente articolo di Matt Ridley apparso sul Wall Street Journal dal titolo “Le risorse del pianeta non stanno finendo”.

    Difficilmente mi posso immaginare un articolo più inutile di questo: contiene tutte le banalità tipiche di questo campo, compreso la ormai quasi obbligatoria calunnia al Club di Roma sulla base dell'idea che lo studio su “I limiti dello Sviluppo” del 1972 aveva previsto che a questo momento avremmo dovuto finire le risorse minerali (e, naturalmente, non è così). Pura leggenda; quello studio non ha mai detto niente del genere. E' solo un'altra idea-zombie che perseguita il panorama mentale umano.

    Ma, a parte le banalità e le leggende, l'articolo di Matt Ridley è sbagliato perché è basato sul classico "specchietto per le allodole":  quello che dice che non ci dobbiamo preoccupare di “finire” le risorse minerali. Non è così. Lasciatemelo dire enfaticamente, con certezza e inequivocabilmente: NON finiremo un bel niente. Non è questo il problema; il vero problema con le risorse sono i ritorni economici decrescenti. Significa che abbiamo estratto le risorse “facili” (leggi poco costose) e che ora siamo costretti ad estrarre da risorse più “difficili” (leggi più costose). Lasciate che vi mostri cosa sta accadendo con un esempio: il caso dell'estrazione dell'argento.



    Questa immagine, dal blog “SRSrocco Report”, dice tutto. In meno di 10 anni, il rendimento dell'estrazione dell'argento è diminuito di quasi la metà di quello che era all'inizio. Cioè, oggi dobbiamo trattare quasi il doppio della roccia rispetto a 10 anni fa per estrarre la stessa quantità di argento. Non stiamo finendo l'argento: la produzione è rimasta più o meno costante nell'ultimo decennio, ma estrarlo costa di più. Questo non è che un esempio, come espongo nel mio recente libro “Extracted”, tutte le risorse minerali stanno mostrando lo stesso problema: rendimenti di estrazione decrescenti.

    Ora, ci si può eccitare per le nuove tecnologie quanto si vuole (come fa Matt Ridley nel suo articolo), ma qui c'è un problema reale. Per estrarre minerali, bisogna trivellare, sollevare e macinare roccia e per questo serve energia e risorse (leggi soldi). La tecnologia può fare molte cose, per esempio bellissimi smartphone, ma non si può macinare la pietra con gli smartphone. La tecnologia, proprio come quasi tutto il resto, soffre del problema dei ritorni decrescenti (discuto questo punto in dettaglio in un mio articolo recente).

    Quindi c'è una ragione per l'aumento dei prezzi di tutti i beni minerali – sono i ritorni economici decrescenti. Sfortunatamente, tuttavia, alcune menti tendono ad essere infettate dal virus dello zombie delle risorse che ci racconta che non c'è nulla di cui preoccuparci. Ma c'è molto di cui preoccuparsi: se qualcosa costa di più, potresti non essere in grado di permettertela. In un caso del genere, potresti anche dire che non c'è (o persino che l'hai “finita”).

    Quindi, non è una buona idea rilassarsi e sperare che i miracoli della tecnologia ci libereranno dall'esaurimento delle risorse: nessun problema può mai essere risolto se ci si rifiuta di ammettere che esiste. A quel punto si possono trovare soluzioni sotto forma di maggiore efficienza, sostituzione, riciclaggio e altro. Si può fare, ma ci servono soldi, pianificazione e sacrifici. Più di tutto, dobbiamo sparare alla testa dello zombie delle risorse e riconoscere il problema per poter agire.


    sabato 19 aprile 2014

    L’UNICITA’ DELLA SPECIE UMANA NE DETERMINA IL FATO? Parte 2 – Il passato.

    Prima parte.



    Di Jacopo Simonetta


           Per indagare il futuro, necessariamente ignoto, è buona regola cominciare dall'analizzare il passato, parzialmente noto, per poi cercare di capire come le tendenze strutturali al sistema che osserviamo interagiranno con il contesto presumibile nel futuro.
    Il passato dell’uomo moderno è cominciato circa 100.000 anni fa, probabilmente in Africa orientale.   E’ importante notare che, all'epoca, esistevano numerose altre specie umane quali Homo neanderthalensis , H.soloensis, H. heidelbergensis, H. helmei, H. floresiensis, probabilmente popolazioni relitte di H. Erectus ed altre genti ancora ignote.   Nello stesso periodo, tutte le terre emerse erano popolate da una varietà di mammiferi, rettili ed uccelli di grandi e grandissime dimensioni, superiore anche alla mega-fauna che, nell'Africa sub-sahariana, è localmente sopravvissuta fino ai giorni nostri.  

    Questi uomini moderni si distinsero subito dai congeneri per una cultura materiale  più elaborata e, soprattutto, molto più dinamica. Anche gli altri uomini conoscevano il fuoco e realizzavano strumenti di pietra, legno od osso, ma le loro culture erano molto uniformi nello spazio e molto conservatrici nel tempo. I nostri diretti antenati, viceversa, mostrarono da subito una grande dinamicità sia spaziale che temporale, inaugurando quel tipo di accelerazione evolutiva di cui abbiamo fatto cenno.  Contemporaneamente, compaiono le prime forme di arte, il che implica una capacità di pensiero astratto che gli altri umani, con ogni probabilità, non avevano. L’ipotesi principale per spiegare questo drastico cambiamento è che gli Homo sapiens sapiens avessero acquisito una capacità nettamente superiore nel modulare il linguaggio, presupposto indispensabile per lo sviluppo della narrativa che, rispetto alla sola osservazione/imitazione, consente un livello enormemente superiore nella conservazione e nella trasmissione delle conoscenze, oltre che costituire la  base per l’elaborazione del pensiero simbolico su cui si fondano quei modelli mentali esclusivi della nostra specie.

    La diffusione dell’uomo moderno sul pianeta è facile da tracciare, anche in assenza di fossili specifici, perché ovunque siano arrivati si assiste alla rapida scomparse di molte, talvolta tutte, le specie più grandi e di molte altre che da esse dipendevano, inaugurando quell'effetto destabilizzatore che le altre specie umane non avevano avuto. Non si sa se per sterminio diretto o se per cause indirette, ma anche le altre specie umane si sono rapidamente estinte al sopraggiungere dei nostri avi, salvo alcuni casi in cui forse piccoli gruppi potrebbero essere sopravvissuti abbastanza a lungo da dare origine a diffuse leggende su “giganti”, “uomini selvatici” eccetera.  

    La cosa interessante è che questo fenomeno non è avvenuto una sola volta; bensì si è ripetuto ogni volta che una nuova civiltà si diffondeva in un territorio già abitato, annientando le culture precedenti e con esse un ulteriore set di specie che erano sopravvissute alla fase precedente.  Un fenomeno, questo, molto ben documentato nel caso della diffusione globale delle diverse ondate di tecnologia industriale, ma eventi simili hanno accompagnato da sempre la diffusione dell’uomo moderno.   Anzi, i casi di estinzione di massa più spettacolari mai causati dall'uomo sono probabilmente quelli seguiti all'arrivo dei primi H. sapiens in Australia (circa 40.000 anni fa), in Nord America (circa 14.000 anni fa), in Nuova Zelanda (Intorno al 1.200 d.C.).

    Ovviamente, una simile capacità distruttiva comporta una dinamica della popolazione particolarmente instabile, con rapidi incrementi che seguono la scoperta di nuove risorse e/o di nuovi modi per sfruttare meglio le vecchie.   Una crescita che prosegue esponenzialmente erodendo la capacità di carico del territorio finché carestie, guerre e migrazioni non riportano la popolazione in equilibrio con le risorse  rimaste.   Probabilmente proprio questa dinamica è alla base del popolamento umano del pianeta e spiega come gruppi di persone perfettamente ragionevoli siano andati ad insediarsi in luoghi tanto inospitali quanto il pack od i deserti.

    Naturalmente, non tutti i gruppi umani hanno sempre seguito questo copione.   Si conoscono anzi numerosi casi in cui complicati sistemi sociali, culturali, politici ed economici assicuravano una parziale sostenibilità; ma sono stati elaborati in periodi successivi a crisi ecologiche e, probabilmente, in risposta a queste.   In ogni caso si tratta di eccezioni che confermano la regola.

    In sintesi, pare che crisi di tipo “malthusiano” facciano parte integrante del nostro modo di esistere, fin dal nostro apparire.   Per decine di migliaia di anni queste crisi sono avvenute su scala locale, contribuendo a delineare quel complesso mosaico di nascita, sviluppo e crisi delle civiltà che ha tanto  affascinato  studiosi del calibro di Gianbattista Vico, Oswald Spengler, Arnold J. Toynbee o Jared Diamond.
    Con il XVIII° secolo, per la prima volta avvenne che una crisi di questo tipo, originatasi in Europa, abbia coinvolto l’intero pianeta nel giro di poco più di un secolo.   In effetti, già il reverendo Malthus aveva previsto e stigmatizzato che l’eccessiva natalità degli europei sarebbe costata la vita ai  “selvaggi delle Americhe”, cosa che puntualmente avvenne, con l’aggiunta di diversi altri popoli sparsi per il mondo.   In altre parole, per la prima volta, una crisi maltusiana ha avuto una dimensione globale ed è stata risolta sterminando, marginalizzando od acculturando (di fatto assorbendo) quasi tutti gli altri popoli della terra.   La popolazione mondiale raddoppiò.
    Una seconda crisi di portata globale avvenne circa 150 anni più tardi con epicentro in Cina, ma con forti carestie in gran parte dell’Asia e dell’Africa su di un arco di 15-20 anni.   Questa nuova crisi di portata globale fu superata mediante la “rivoluzione verde” che devastò culture, società ed ecosistemi, ma moltiplicò la produzione mondiale di cibo, consentendo un ulteriore raddoppio della popolazione globale.   In questo caso dunque, anziché spostare grandi masse di persone, si fece un massiccio ricorso alle riserve di energia fossile e si elevò il livello di integrazione fra i diversi settori economici e fra i diversi sistemi-paese.   Tendenza questa che è poi proseguita, con una brusca accelerazione a partire dagli anni ’90, portando l’attuale livello di integrazione globale a livelli fino ad oggi impensabili.  

    Ciò ha permesso un ulteriore raddoppio della popolazione mondiale, ma a costo di un molto più che proporzionale aumento dei consumi e degli impatti (v. parte 1) che hanno portato la destabilizzazione degli ecosistemi a  livelli oramai analoghi a quelli delle grandi crisi caratterizzanti la storia geologica del pianeta.   Questo crea uno scenario del tutto inedito nella storia dell’umanità: tutti i popoli della Terra stanno entrando in una crisi malthusiana quasi contemporaneamente. Alcuni, anzi, ci sono già in pieno e cercano di sfuggirvi tornando all'antica usanza della migrazione di massa, ma non può funzionare perché non esistono praticamente più zone del pianeta la cui capacità di carico non sia già stata superata, o non sia sul punto di esserlo.





    mercoledì 9 aprile 2014

    Il solito Club di Roma

    Da “Resource crisis”. Traduzione di MR


    Il commento di Nafeez Ahmed sul “Saggio finanziato dalla NASA” (un termine diventato virale) sul collasso della società è stato seguito da un dibattito acceso. In un mio precedente post, ho commentato come stavamo vedendo ancora una volta il dibattito che ha avuto luogo dopo la pubblicazione del primo studio de “I Limiti dello Sviluppo” del 1972. Infatti, è lo stesso dibattito, completo degli errori e delle interpretazioni sbagliate di allora.

    Allora, vediamo di esaminare la contestazione del post di Ahmed pubblicata da Keith Kloor. Kloor cerca appoggio alle proprie argomentazioni su diverse opinioni esterne. Per esempio, cita Mark Sagoff dichiarando:

    “A un certo punto, ieri ho dato un'occhiata l'articolo ed ho visto che si trattava ancora una volta del Club di Roma – il computer che urlava al lupo al lupo. [...] Non c'è niente qui [nel saggio] che non sia stato presentato negli anni 60 e 70 da Paul Ehrlich e da altre “Cassandre” come chiamano sé stessi. I loro punti di vista, ripetuti in questo articolo e studio [del Guardian], sono stati completamente screditati. […] Nessuno impara niente o si prende la briga di farlo".

    Direi che, prima di criticare un saggio, bisognerebbe esaminarlo un po' più a fondo che semplicemente “dargli uno sguardo”. Infatti, qui Sagoff giustifica la sua posizione semplicemente sulla base di vecchie leggende che dicono che i punti di vista del Club di Roma “sono stati completamente screditati”.

    E' curioso notare che il termine “Club di Roma” è ancora così spesso associato con l'idea che lo studio de “I Limiti dello Sviluppo” sia stato completamente screditato. Non è così e c'è una ampia letteratura che mostra che i risultati dello studio sono risultati essere validi per descrivere la situazione attuale. Il “computer che gridava al lupo” è solo una delle tante leggende che sono diventate virali ed infettano ancora il cyberspazio. Infatti, la dichiarazione di Sagoff “Nessuno impara niente o si prende la briga di farlo” descrive meglio i critici dello studio che non i suoi sostenitori.

    Un altro autore che Kloor cita a sostegno della sua tesi è Vaclav Smil. Kloor non riporta ciò che gli ha detto Smil, ma possiamo trovare l'opinione di Smil su questa materia in un saggio apparso sulla “Rivista della Popolazione e dello Sviluppo” nel 2005, dove ha criticato “I Limiti dello Sviluppo” principalmente sulla base di dichiarazioni di scetticismo e sul fatto che il modello è “troppo semplice” per descrivere il mondo reale. Per darvi un'idea del tono e della sostanza delle argomentazioni di Smil, considerate la seguente frase:

    [Nel modello] il declino del terreno arabile continua a diminuire la produzione di cibo, mentre nel mondo reale c'è, globalmente, un surplus osceno di cibo, visto che epidemie di obesità colpiscono sempre più paesi.

    Riuscite a vedere il problema qui? Smil scambia un parametro per il modello. “Il terreno arabile” è un parametro del modello. NON è il modello. E, naturalmente, il declino del terreno arabile come parametro ha l'effetto di diminuire la produzione di cibo: come potrebbe essere altrimenti? Ma il modello ha altri parametri relativi alla produzione di cibo: energia, fertilizzanti, tecnologia ed altro. Il risultato è che la produzione di cibo può continuare ad aumentare nonostante il declino del terreno arabile. Quindi, il modello descrive correttamente il comportamento del mondo reale (ahimè, fino ad ora; cosa succederà in futuro è tutto da vedere).

    Questo è lo stesso errore che ha fatto William Nordhaus nel 1973 quando ha criticato un modello simile a quello usato per I Limiti dello Sviluppo, prendendo una singola equazione dal modello e mostrando che l'equazione – di per sé – non poteva riprodurre il comportamento del mondo reale. Ovvia: tagliate una zampa ad una rana e osservate che la zampa, da sola, non salta. Quindi concludete che le rane non saltano. Logica impeccabile (vedi “I Limiti dello Sviluppo Rivisitati” per i dettagli di questa storia).

    C'è molto di più da dire sullo “studio finanziato dalla NASA” ed è del tutto possibile criticarlo per motivi validi. Sfortunatamente, tuttavia, i “dibattiti” su questo tema sembrano mostrarci più che altro il potere delle leggende di condizionare le menti umane. E vedremo sempre la stessa posizione: visto che non ci piave il risultato del modello, allora il modello non può essere vero. Non riusciamo a capire che i modelli sono soltanto strumenti, mai delle profezie.




    (*)
    The Limits to Growth Revisited
    Looking back on the limits to growth
    The World model controversy
    Revisiting the limits to growth
    ...e molti altri

    venerdì 4 aprile 2014

    Le élite sono così spietate da distruggere sé stesse

    Da “Extracted”. Traduzione di MR



    Il recente annuncio di un saggio di Motessharrry, Rivas e Kalnay (MRK) sul collasso delle società complesse ha generato molto dibattito, specialmente con la pubblicazione del commento entusiastico di Nafeez Ahmed che lo ha definito uno “studio finanziato dalla NASA”. Il termine è diventato rapidamente virale – nonostante l'irrilevanza della fonte dei finanziamenti dello studio – e la discussione è subito virata verso il tipo di "scontro di assoluti" che ha avuto luogo dopo la pubblicazione del primo rapporto al Club di Roma “I Limiti dello Sviluppo” del 1972. Per esempio, una critica piuttosto pesante dello studio si può trovare in un post di Keith Kloor.

    A parte queste reazioni piuttosto prevedibili, cosa possiamo dire veramente dello studio? Dice davvero qualcosa di nuovo o è solo il solito studio che grida “al lupo, al lupo”? Vediamo una breve valutazione.

    Per prima cosa, lo studio di MRK è fermamente radicato nella dinamica dei sistemi (anche se gli autori non usano il termine nel loro saggio), il metodo di modellazione creato negli anni 60 da Jay Forrester. Ha anche molti elementi in comune coi modelli usati per lo studio originale de “I Limiti dello Sviluppo” del 1972 e dei successivi aggiornamenti. Tuttavia, è un modello più semplice che non fa alcun tentativo di confrontare i risultati coi dati storici. In questo senso, è simile ai modelli “a dimensione di mente” che ho discusso in un mio saggio sulla rivista "Sustainability".

    Andando nei dettagli, vediamo che il modello MRK è un modello semplice con 4 stock. Uno è le “Risorse Naturali”, che viene gradualmente trasformato nello stock che gli autori chiamano “Ricchezza” (che in altri modelli viene chiamata “capitale”). Gli altri stock sono due classi di popolazione: “la gente comune” e le “élite”. Entrambe ricavano la propria sussistenza dalla riserva “Ricchezza”, ma solo la gente comune la reintegra. Le élite, invece, non producono niente.

    I risultati non sono inaspettati. A seconda dei differenti assunti iniziali possibili, il sistema raggiunge uno stato stazionario, oscilla, o mostra una serie di picchi e un collasso. La figura sotto, proveniente dal saggio, è il risultato che somiglia di più allo scenario “caso base” de “I Limiti dello Sviluppo” - eccetto per il fatto che la riserva di popolazione collassa in due fasi, piuttosto che in una singola fase.

    Qui il modello MRK non ci dice nulla di più di quanto già sappiamo da studi precedenti: modelli qualitativi (per esempio quello del “Overshoot” di Catton e della “Tragedia dei beni comuni” di Hardin) e quantitativi come “I Limiti dello Sviluppo”. Nella maggior parte dei casi, la suddivisione della popolazione in due classi non cambia granché i risultati del modello rispetto a quelli con una sola classe (riportati anche quelli nel saggio di MRK). Ma in alcuni casi gli autori osservano risultati piuttosto sorprendenti, come questo: 

    Come vedete, qui la società si suicida letteralmente avendo le élite prelevato così tanta ricchezza dalle risorse accumulate che non resta niente alla gente comune – che scompaiono. Ma, visto che le élite non producono niente, la riserva della ricchezza scompare e il risultato finale che che anch'esse scompaiono. Le élite sono così spietate che distruggono sé stesse.

    Notate che in questo scenario, le riserve naturali ritornano al loro livello iniziale: il collasso non è il risultato della mancanza di risorse, ma dell'incapacità della società di accedervi. E' un risultato che ricorda stranamente una possibile interpretazione del collasso dell'Impero Romano. I Romani potrebbero aver diretto così tanta ricchezza ai non produttori (l'esercito) che i produttori (gli schiavi) sono quasi scomparsi. Visto che a malapena c'era rimasto qualcuno che coltivava la terra, alla fine l'intera società è collassata. 

    Naturalmente, questa è un'interpretazione da prendere con cautela. Una ragione è che nel modello MRK la gente comune non può diventare élite e l'élite non può diventare gente comune; le due classi sono completamente separate ed impermeabili l'una dall'altra. Questa è di certo una semplificazione eccessiva: prima di scomparire completamente, le élite proverebbero almeno ad imparare a produrre qualcosa. D'altra parte, tuttavia, è vero che – per esempio – i burocrati statali sono dei pessimi contadini.  

    Probabilmente il problema più importante del modello MRK è che manca il parametro critico dell'inquinamento persistente – presente invece nel modello de “I Limiti dello Sviluppo”. L'inquinamento, se venisse considerato, giocherebbe probabilmente un ruolo fondamentale in questo scenario di “carenza di lavoro”. Mostrerebbe probabilmente che la scomparsa dell'Impero Romano era principalmente collegata, invece, all'erosione del suolo – una descrizione degli eventi di quel tempo probabilmente più realistica. 

    In ogni caso, queste considerazioni illustrano il potere dei modelli di stimolare le capacità interpretative della mente umana. Non ci serve alcun modello formale per descrivere il destino finale dei sistemi economici che crescono sul sfruttamento eccessivo delle risorse che usano. Col tempo, devono tornare a una condizione compatibile con le risorse disponibili (rimaste). Gran parte dei modelli ci dicono che questo “ritorno” accade come risultato di un ciclo si superamento ("overshoot") e collasso, che infatti è uno schema caratteristico di quelle strutture socioeconomiche che chiamiamo “imperi”. 

    Il modello MRK ha evidenziato un fattore che è stato scarsamente esplorato finora: il modo in cui una distribuzione iniqua della ricchezza condiziona la traiettoria di un sistema economico. Questo è un parametro importante perché, in questo periodo, stiamo assistendo ad un trasferimento epocale di ricchezza dalle classi inferiori della società alle élite. Se questo fenomeno accelererà il collasso o lo rallenterà, non possiamo dirlo. Ma di sicuro è qualcosa che dobbiamo studiare e capire.





    mercoledì 26 febbraio 2014

    La questione minerale: come energia e tecnologia determineranno il futuro dell'estrazione mineraria





    Questa è una traduzione di un articolo di Ugo Bardi recentemente apparso sulla rivista "Frontiers in Energy Systems and Policy". L'articolo originale e di libero accesso è si può scaricare a questo link.


    Da “Frontiers in energy research”. Traduzione di MR

    Ugo Bardi*
    *Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Firenze.

    Circa 150 anni fa, dopo che Jevons (1866) ha pubblicato il suo saggio “La questione del Carbone”, è in corso un dibattito sull'esaurimento fra due scuole di pensiero principali: una che vede l'esaurimento come un problema importante per il prossimo futuro e un'altra che vede la tecnologia e l'ingegno umano in grado di rendere quello dell'esaurimento un problema per un futuro remoto. Oggi, tuttavia, abbiamo creato strumenti intellettuali che ci permettono di inquadrare il problema sulla base di fattori fisici, in particolare sulla base della termodinamica. Il presente saggio esamina il problema dell'esaurimento di minerali da un punto di vista allargato, con una visione specifica sul ruolo dell'energia nei processi di estrazione e produzione. La conclusione è che l'energia è un fattore fondamentale nel determinare per quanto tempo possiamo aspettarci che duri la fornitura di risorse minerali coi prezzi e i livelli di produzione attuali. Il rapido esaurimento delle nostre risorse energetiche principali, i combustibili fossili, sta creando un grave problema di approvvigionamento che è già percepito in termini di alti costi dei beni minerali. La tecnologia può mitigare il problema, ma non risolverlo. In un futuro non lontano, il sistema industriale mondiale dovrà subire cambiamenti fondamentali per adattarsi ad una ridotta disponibilità di beni minerali.

    Introduzione

    La questione di quanto possa durare la fornitura di risorse minerali è stata sollevata a metà del diciannovesimo secolo (Jevons, 1866). Negli anni, si sono sviluppati due poli di pensiero. Uno enfatizza la limitata quantità di risorse minerali disponibili e propone che l'esaurimento porterà ad una riduzione della fornitura in tempi sufficientemente brevi da essere già oggi oggetto di preoccupazione (vedi per esempio Jevons, 1866; Meadows et al., 1972; Bardi e Pagani, 2007; Bardi, 2011; Mason et al., 2011). L'altro enfatizza la tecnologia e l'ingegno umano, sostenendo che l'esaurimento non è un problema fondamentale, almeno per il prossimo futuro (vedi per esempio Zimmermann, 1933; Lambert, 2001; Bradley, 2004, 2007). In questo secondo campo, alcuni autori sono giunti a dichiarazioni estremamente ottimiste, proponendo che le risorse minerali non si esauriranno mai o che dureranno per miliardi di anni (Simon, 1981).

    Gran parte del dibattito è stato basato su stime contrastanti delle quantità di risorse minerali definite “estraibili”. Ma il dibattito spesso ignora un elemento cruciale: l'estrazione mineraria richiede energia. Tutti i processi che trasformano risorse minerali in beni minerali, dalla prospezione all'arricchimento, richiedono un costante apporto di energia abbondante e a buon mercato. Quindi, il problema dell'esaurimento minerale è strettamente collegato alla disponibilità di energia ed è qui che sta il problema. Per prima cosa, le principali fonti mondiali di energia primaria sono di origine minerale (combustibili fossili) e il loro graduale esaurimento sta rendendo l'energia più cara (vedi per esempio Odum, 1998; Jakobsson et al., 2012). Di conseguenza, l'estrazione mineraria diventa a sua volta più cara. Inoltre, l'estrazione mineraria richiede sempre più energia man mano che il graduale esaurimento dei minerali ad alta densità spingono l'industria a passare a risorse di sempre minore densità. Questi due effetti si uniscono e generano il problema: per quanto tempo possiamo continuare a produrre a costi ragionevoli le grandi quantità di beni minerali richiesti dall'economia industriale?

    In linea di principio, se potessimo aumentare la fornitura di energia senza limiti, non ci sarebbero limiti all'estrazione mineraria, in quanto potremmo riciclare tutto ciò che usiamo (Bianciardi et al., 1993). Questo è il concetto della “macchina mineraria universale”, un termine che indica un ipotetico modo di lavorare la roccia della crosta o gli scarti industriali che, in linea di principio, renderebbe tutti gli elementi chimici necessari nelle quantità richieste (Bardi, 2008). Un concetto collegato è stato definito “Modello della Terra Thanatia” da Valero e Valero (2012) o il “Pianeta Crepuscolare” (Valero et al., 2011) in riferimento ad una Terra futura dove estrazione mineraria umana ha disperso tutti gli elementi chimici dalla concentrazione che avevano nei minerali ad una concentrazione media in tutta la crosta terrestre. Ma, ovviamente, estrarre dalla crosta indifferenziata richiederebbe quantità enormi di energia, ben al di sopra di qualsiasi cosa che possiamo permetterci oggi, per tacere della enorme devastazione del pianeta, già considerevolmente compromesso dalle attuali pratiche di estrazione mineraria (Prior et al., 2012). Quindi, i limiti dell'estrazione mineraria derivano principalmente dai limiti della quantità di energia che possiamo ipotizzare che sia disponibile in futuro. Visto sotto questa luce, il problema dell'esaurimento diventerà grave molto prima di “finire” realmente qualsiasi minerale, come già notato nei primi studi sull'esaurimento (Jevons, 1866Meadows et al., 1972).

    Tuttavia, è anche vero che l'estrazione mineraria non è solo una questione di applicare energia ad una qualche parte della crosta terrestre. E' un processo complesso che dipende da molti fattori; tecnologici, economici ed ambientali. Quindi, come verrà condizionata la produzione nel futuro a breve e medio termine dall'aumento del fabbisogno di energia causato dall'esaurimento? Che ruolo ha il miglioramento tecnologico nella riduzione del fabbisogno energetico per rendere accessibili depositi altrimenti inaccessibili? In che modo l'inquinamento limiterà l'estrazione e quale ruolo può giocare la tecnologia nel ridurlo? Il presente saggio esamina questi interrogativi sulla base di dati e modelli teorici. La conclusione è che il problema energetico è un fattore fondamentale nel limitare la disponibilità di beni minerali per il sistema economico mondiale. La tecnologia certamente può giocare un ruolo nella mitigazione del problema, ma non può, da sola, sostituire l'energia. Al momento, il problema dell'esaurimento si sta già manifestando sotto forma prezzi alti dei beni minerali. E' probabile che questo problema diventi più grave in futuro.