mercoledì 26 febbraio 2014

La questione minerale: come energia e tecnologia determineranno il futuro dell'estrazione mineraria





Questa è una traduzione di un articolo di Ugo Bardi recentemente apparso sulla rivista "Frontiers in Energy Systems and Policy". L'articolo originale e di libero accesso è si può scaricare a questo link.


Da “Frontiers in energy research”. Traduzione di MR

Ugo Bardi*
*Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Firenze.

Circa 150 anni fa, dopo che Jevons (1866) ha pubblicato il suo saggio “La questione del Carbone”, è in corso un dibattito sull'esaurimento fra due scuole di pensiero principali: una che vede l'esaurimento come un problema importante per il prossimo futuro e un'altra che vede la tecnologia e l'ingegno umano in grado di rendere quello dell'esaurimento un problema per un futuro remoto. Oggi, tuttavia, abbiamo creato strumenti intellettuali che ci permettono di inquadrare il problema sulla base di fattori fisici, in particolare sulla base della termodinamica. Il presente saggio esamina il problema dell'esaurimento di minerali da un punto di vista allargato, con una visione specifica sul ruolo dell'energia nei processi di estrazione e produzione. La conclusione è che l'energia è un fattore fondamentale nel determinare per quanto tempo possiamo aspettarci che duri la fornitura di risorse minerali coi prezzi e i livelli di produzione attuali. Il rapido esaurimento delle nostre risorse energetiche principali, i combustibili fossili, sta creando un grave problema di approvvigionamento che è già percepito in termini di alti costi dei beni minerali. La tecnologia può mitigare il problema, ma non risolverlo. In un futuro non lontano, il sistema industriale mondiale dovrà subire cambiamenti fondamentali per adattarsi ad una ridotta disponibilità di beni minerali.

Introduzione

La questione di quanto possa durare la fornitura di risorse minerali è stata sollevata a metà del diciannovesimo secolo (Jevons, 1866). Negli anni, si sono sviluppati due poli di pensiero. Uno enfatizza la limitata quantità di risorse minerali disponibili e propone che l'esaurimento porterà ad una riduzione della fornitura in tempi sufficientemente brevi da essere già oggi oggetto di preoccupazione (vedi per esempio Jevons, 1866; Meadows et al., 1972; Bardi e Pagani, 2007; Bardi, 2011; Mason et al., 2011). L'altro enfatizza la tecnologia e l'ingegno umano, sostenendo che l'esaurimento non è un problema fondamentale, almeno per il prossimo futuro (vedi per esempio Zimmermann, 1933; Lambert, 2001; Bradley, 2004, 2007). In questo secondo campo, alcuni autori sono giunti a dichiarazioni estremamente ottimiste, proponendo che le risorse minerali non si esauriranno mai o che dureranno per miliardi di anni (Simon, 1981).

Gran parte del dibattito è stato basato su stime contrastanti delle quantità di risorse minerali definite “estraibili”. Ma il dibattito spesso ignora un elemento cruciale: l'estrazione mineraria richiede energia. Tutti i processi che trasformano risorse minerali in beni minerali, dalla prospezione all'arricchimento, richiedono un costante apporto di energia abbondante e a buon mercato. Quindi, il problema dell'esaurimento minerale è strettamente collegato alla disponibilità di energia ed è qui che sta il problema. Per prima cosa, le principali fonti mondiali di energia primaria sono di origine minerale (combustibili fossili) e il loro graduale esaurimento sta rendendo l'energia più cara (vedi per esempio Odum, 1998; Jakobsson et al., 2012). Di conseguenza, l'estrazione mineraria diventa a sua volta più cara. Inoltre, l'estrazione mineraria richiede sempre più energia man mano che il graduale esaurimento dei minerali ad alta densità spingono l'industria a passare a risorse di sempre minore densità. Questi due effetti si uniscono e generano il problema: per quanto tempo possiamo continuare a produrre a costi ragionevoli le grandi quantità di beni minerali richiesti dall'economia industriale?

In linea di principio, se potessimo aumentare la fornitura di energia senza limiti, non ci sarebbero limiti all'estrazione mineraria, in quanto potremmo riciclare tutto ciò che usiamo (Bianciardi et al., 1993). Questo è il concetto della “macchina mineraria universale”, un termine che indica un ipotetico modo di lavorare la roccia della crosta o gli scarti industriali che, in linea di principio, renderebbe tutti gli elementi chimici necessari nelle quantità richieste (Bardi, 2008). Un concetto collegato è stato definito “Modello della Terra Thanatia” da Valero e Valero (2012) o il “Pianeta Crepuscolare” (Valero et al., 2011) in riferimento ad una Terra futura dove estrazione mineraria umana ha disperso tutti gli elementi chimici dalla concentrazione che avevano nei minerali ad una concentrazione media in tutta la crosta terrestre. Ma, ovviamente, estrarre dalla crosta indifferenziata richiederebbe quantità enormi di energia, ben al di sopra di qualsiasi cosa che possiamo permetterci oggi, per tacere della enorme devastazione del pianeta, già considerevolmente compromesso dalle attuali pratiche di estrazione mineraria (Prior et al., 2012). Quindi, i limiti dell'estrazione mineraria derivano principalmente dai limiti della quantità di energia che possiamo ipotizzare che sia disponibile in futuro. Visto sotto questa luce, il problema dell'esaurimento diventerà grave molto prima di “finire” realmente qualsiasi minerale, come già notato nei primi studi sull'esaurimento (Jevons, 1866Meadows et al., 1972).

Tuttavia, è anche vero che l'estrazione mineraria non è solo una questione di applicare energia ad una qualche parte della crosta terrestre. E' un processo complesso che dipende da molti fattori; tecnologici, economici ed ambientali. Quindi, come verrà condizionata la produzione nel futuro a breve e medio termine dall'aumento del fabbisogno di energia causato dall'esaurimento? Che ruolo ha il miglioramento tecnologico nella riduzione del fabbisogno energetico per rendere accessibili depositi altrimenti inaccessibili? In che modo l'inquinamento limiterà l'estrazione e quale ruolo può giocare la tecnologia nel ridurlo? Il presente saggio esamina questi interrogativi sulla base di dati e modelli teorici. La conclusione è che il problema energetico è un fattore fondamentale nel limitare la disponibilità di beni minerali per il sistema economico mondiale. La tecnologia certamente può giocare un ruolo nella mitigazione del problema, ma non può, da sola, sostituire l'energia. Al momento, il problema dell'esaurimento si sta già manifestando sotto forma prezzi alti dei beni minerali. E' probabile che questo problema diventi più grave in futuro.



Energia nella produzione di beni minerali

Il termine “deposito minerale” descrive il verificarsi di un composto chimico nella crosta terrestre in concentrazioni più alte della media. Quando un deposito è sufficientemente grande e concentrato da essere economicamente sfruttabile, viene chiamato "vena" o "risorsa" ("ore" in inglese). Per risorse specifiche vengono usati altri termini (per esempio, “pozzi” per il petrolio greggio e per il gas e “strati” per il carbone), ma sono tutti parte del concetto generale che le risorse minerali possono essere sfruttate solo quando si possono trovare in forme sufficientemente concentrate (o ad “alta densità”).

Trasformare le risorse minerali in materie prime consiste in una seria di processi che separano il minerale dalla matrice di roccia che lo contiene e lo trasformano in composti di purezza e composizione chimica specifici. Potremmo dire che l'estrazione mineraria è una reazione chimica a più stadi e, come tale, comporta la rottura e la creazione di legami chimici in tutti gli stadi del processo. Tutte le reazioni chimiche sono caratterizzate da un potenziale chimico che descrive l'equilibrio dell'energia guadagnata e persa nella riorganizzazione dei legami chimici. La funzione chiamata “L'energia di Gibbs” viene spesso usata in chimica per descrivere la tendenza di un sistema a reagire e formare una specie chimica specifica. Una misura più generale di quanto il sistema sia lontano dall'equilibrio può essere ottenuta col concetto di “exergia” (vedi per esempio Szargut et al., 1988; Dincer e Cengel, 2001; Sciubba e Wall, 2010).

L'exergia dei depositi minerali può essere riferita a uno stato di “livello zero” che corrisponde alla concentrazione media degli elementi del minerale nella crosta (Stanek et al., 2010). L'exergia dei depositi minerali è più grande di quella dello stato di livello zero come risultato dell'energia fornita in un remoto passato da complessi processi geologici che sono stati generati dall'energia solare o geotermica, o da entrambe (Dill, 2010). Più un deposito è concentrato e puro, più grande è la sua exergia. I beni minerali di solito sono più concentrati e puri dei minerali d'origine, quindi hanno un'exergia ancora più grande. Perché un deposito si qualifichi come “minerale”, la differenza di exergia fra il deposito e il bene minerale da produrre deve essere fornita a spese di una qualche fonte di energia, normalmente combustibili fossili. Ovviamente, maggiore è l'exergia del minerale, minore è la quantità di energia necessaria e quindi minore sarà il costo di produzione del bene minerale.

Nella maggior parte dei casi, produrre beni minerali  (per esempio trasformare minerali di solfuro di rame in rame metallico) richiede una spesa energetica. Tuttavia, alcune risorse minerali hanno accumulato una tale quantità di exergia come risultato dei processi passati che riportarli allo stato di livello zero genera energia utilizzabile. E' il caso dei combustibili fossili (petrolio, gas e carbone) che vengono estratti per la loro capacità di produrre energia quando vengono ritrasformati in biossido di carbonio e dispersi nell'atmosfera. Questo vale anche per l'isotopo 235 dell'uranio, il solo nucleo fissile presente naturalmente in quantità significative nella crosta terrestre.

Idealmente, un conteggio completo del costo della produzione di beni minerali dovrebbe tenere conto dell'exergia e dei costi delle risorse coinvolte nell'intero processo (Sciubba, 2004). Tuttavia, questo viene fatto raramente nel mondo reale e, in gran parte della letteratura sul tema, vengono considerati solo i costi monetari ed energetici. Una tale pratica ha degli ovvi problemi: I costi monetari cambiano in funzione dei capricci del mercato ed anche quando vengono usate unità di energia , il problema è che diversi tipi di energie (per esempio termica, meccanica, ecc.) non vengono scomposte. Per esempio, il combustibile diesel usato nell'estrazione può essere caratterizzato nei termini della sua energia chimica. Tuttavia, quando il combustibile viene usato per generare energia meccanica, l'efficienza limitata del motore termico deve essere considerata. Non tenere in considerazione questa differenza potrebbe creare problemi considerevoli nel descrivere i reali processi industriali. In diversi casi, tuttavia, le differenze fra “energia” ed “exergia” potrebbe essere trascurata come, per esempio, quando si discute l'effetto della variazione della densità del minerale nelle spese per l'estrazione; ipotizzando che venga usata la stessa tecnologia estrattiva. Quindi, nel saggio presente, il termine “energia” sarà normalmente usato in riferimento alle quantità di energia che possono essere quantificate in termini di prezzi e costi. Quando è possibile, tuttavia, le diverse qualità di energia coinvolte verranno specificate.

Detto questo, possiamo dire che diversi fattori condizionano l'energia richiesta per estrarre una risorsa minerale. Come prima approssimazione, possiamo aspettarci che quest'energia sia inversamente proporzionale alla concentrazione dello specifico elemento o composto desiderato. In altre parole dimezzare la densità del minerale dovrebbe portare al raddoppio dell'energia necessaria per l'estrazione della stessa quantità di minerale. I dati dei minerali reali confermano questa interpretazione, per esempio per quanto riguarda oro (Mudd, 2007; Prior et al., 2012), rame (Harmsen et al., 2013)e diverse altre risorse (Valero et al., 2013). Aumenti rapidi in funzione del declino della densità sono osservati anche in altre risorse usate nell'estrazione: acqua, sostanze chimiche ed altro (Prior et al., 2012).

Quanto rapidamente l'energia necessaria aumenti con l'esaurimento dipende dalla reale distribuzione dei minerali nella crosta terrestre. Qui la l'empirica “Legge di Lasky” dice che esiste una relazione inversa fra la densità del minerale e la dimensione dei depositi (Lasky, 1950), un'approssimazione che può essere considerata valida in molti casi. In alcuni casi, e in particolare per le risorse petrolifere, la relazione segue una legge di potenza, per esempio è frattale (Turcotte, 1986). E' stato anche suggerito che le concentrazioni intermedie fra i depositi minerali e la crosta indifferenziata potrebbero essere rare o anche non esistere; un concetto definito come la “barriera mineralogica” (Skinner, 1976, 1979). Una tale barriera fornirebbe un ostracolo considerevole all'estrazione di minerali a bassa concentrazione, ma sembra essere ancora molto lontana dalle capacità pratiche di estrazione mineraria esistenti oggi. In ogni caso, entro la gamma di minerali estratti oggi, la variazione della densità del minerale estratto come funzione del tempo sembra essere definita principalmente da fattori di mercato piuttosto che da quelli geologici.

Ora possiamo esaminare i vari passaggi coinvolti nella produzione di beni minerali. Nonostante le molte variazioni sul tema, possono essere elencate ed esaminate alcune caratteristiche comuni fondamentali. Come prima suddivisione, le operazioni di estrazione mineraria possono essere raggruppate in tre categorie principali: (1) estrazione, (2) movimentazione dei materiali e (3) lavorazione. Alcuni dati sui costi energetici relativi sono riportati, per quanto riguarda l'estrazione mineraria negli Stati Uniti, dalla EERE (agenzia per l'efficienza energetica e l'energia rinnovabile) (Panoramica dell'Estrazione Mineraria, 2002). La movimentazione risulta essere il costo energetico maggiore, in quanto vale per il 42% del totale consumato, di cui l'87% sotto forma di combustibile diesel. Da questo dato, possiamo concludere che il combustibile diesel conta per almeno il 35% del costo energetico medio dell'estrazione mineraria, almeno per gli Stati Uniti. La lavorazione consuma il 39% dell'energia, di cui le attività di frantumazione e macinazione contano per il 75% del totale. Il rimanente 19% dell'energia dell'estrazione mineraria viene consumato dalle attività estrattive.

Esaminiamo ora più in dettaglio i vari passaggi della produzione di beni minerali con l'obbiettivo di determinare in che modo l'uso di energia è condizionato dall'esaurimento. Per lo scopo di questa esposizione, possiamo tenere conto dei seguenti cinque passaggi:

1. Esplorazione/prospezione (individuare risorse minerali
2. Trivellazione/scavo (accedere alle risorse minerali sotterranee)
3. Sollevamento/movimentazione (trasportare i minerali agli impianti di trasformazione)
4. Lavorazione/arricchimento (separare minerale utile dalla matrice rocciosa)
5. Fusione/raffinazione (trasformazione in metalli o composti chimici specifici)

Ora descriviamo come ogni passaggio è collegato all'energia.

Esplorazione/prospezione

I depositi minerali sono distribuiti in modo irregolare sulla superficie terrestre in conseguenza di processi geologici e bio-geologici. “Esplorazione” e “prospezione” si riferiscono entrambi all'azione di localizzare la presenza di minerali e depositi. L'esplorazione minerale (Hronsky e Groves, 2008) normalmente si riferisce all'ispezione sistematica e su larga scala di intere regioni. La prospezione, invece, normalmente si riferisce in realtà all'individuazione di depositi sfruttabili. L'arte di trovare depositi minerali è complessa e basata su una profonda conoscenza delle caratteristiche geologiche dei depositi ricercati e sul processo che ha portato alla loro formazione in tempi remoti. In alcuni casi, le caratteristiche fisiche del minerale può rendere la prospezione relativamente semplice, come per l'uranio, la cui presenza può essere mappata attraverso la sua radioattività naturale. In altri casi, i depositi possono essere identificati da manifestazioni in superficie, come quando i depositi di petrolio e gas vengono rivelati dalla presenza di pozze di bitume o di esalazioni di gas infiammabile. In molti casi, tuttavia, la prospezione si affida nel ritrovamento di formazioni geologiche specifiche dove si sa che è possibile che possa esistere uno specifico minerale. Per esempio, nel caso del petrolio e del gas, è possibile rilevare la presenza di formazioni sotterranee adatte che fungono da “trappola”. In generale, esplorazione e prospezione richiedono energia per tutte le infrastrutture necessarie, per il trasporto delle persone e delle attrezzature in aree promettenti e per eseguire tutta una serie di test fisici, comprese, per esempio, trivellazioni esplorative. In sé e per sé, l'energia richiesta per esplorazione e prospezione probabilmente è un fattore minore nel costo energetico della produzione di beni minerali (Mining Overview, 2002). Tuttavia, l'efficacia della prospezione ha un effetto importante in relazione all'energie spesa per l'esplorazione di aree promettenti che, tuttavia, risultano essere non interessanti economicamente (nell'esplorazione petrolifera, vengono chiamati “dry holes”, buchi secchi).

Trivellazione, scavo e/o brillamento

Questi termini si riferiscono alle operazioni necessarie per ottenere un minerale, che normalmente richiedono la rimozione di grandi quantità di roccia, visto che il minerale raramente si trova in quantità significative in prossimità della superficie del terreno o proprio al livello del terreno. Tuttavia, è anche vero che molti tipi di minerali tendono a formarsi in conseguenza di processi di superficie o vicini alla superficie, per esempio quelli idrotermali, cosicché le grandi profondità spesso non sono interessanti per l'estrazione mineraria. Quindi, c'è una gamma ben definita di profondità dove si possono trovare i minerali. Questa gamma non è fissata rigidamente e il concetto di “esplorazione dello spazio di seconda mineralizzazione” si riferisce a depositi situati a profondità maggiori di quelle convenzionali. A questo proposito, è stato stimato che, durante gli ultimi decenni, la profondità di esplorazione è aumentata di circa 50 metri all'anno in media (Pengda et al., 2008). In pratica, gran parte delle miniere convenzionali non vanno oltre 1-2 chilometri di profondità. Nel caso degli idrocarburi (petrolio e gas) le trivellazioni possono raggiungere profondità fino a 10 chilometri, ma di solito vengono eseguite a profondità molto minori. Trivellare tunnel o, più comunemente oggigiorno, lavorare col concetto l'estrazione di superficie (o di “striscia”) richiede grandi quantità di energia, usata per rimuovere enormi volumi di roccia. Questo viene spesso realizzato con esplosivi e in seguito dalla rimozione meccanica dei detriti. In generale, ci si aspetta che i costi energetici di queste operazioni mostrino un aumento inversamente proporzionale alla densità del minerale se la profondità di estrazione rimane costante. Ma siccome è probabile che l'accesso a risorse di minore densità richieda anche scendere a maggiore profondità, è possibile che il rapporto sia più accentuato. I dati del rame indicano che l'energia richiesta per l'estrazione a cielo aperto di rame aumenta di un fattore di 2,9MJ/kg Cu per 100 metri di profondità per una profondità media di circa 500 metri (Harmsen et al., 2013). Tuttavia, il rapporto dipende dal volume dello strato di copertura che dev'essere rimosso e, visto che le miniere a cielo aperto hanno forma conica, la quantità di energia necessaria è probabile che aumenti più rapidamente in proporzione alla profondità.

Sollevamento/movimentazione

Questi termini si riferiscono al trasporto del minerale dalla miniera al livello del terreno e quindi agli impianti di lavorazione, tipicamente con l'uso di camion speciali alimentati da motori diesel (Mining Overview, 2002). Il costo energetico di trasporto e movimentazione spesso è il più grande in tutta l'operazione mineraria (Norgate e Rankin, 2002). Solo in alcuni casi può essere può essere piccolo, per esempio quando la produzione di una miniera di carbone viene usata per alimentare una centrale elettrica posizionata molto vicino alla miniera stessa. In questo caso è meno costoso trasportare energia sotto forma di energia elettrica usando la rete che non trasportare carbone su strada o ferrovia. Ancora una volta, ci si aspetta che il costo di questa operazione sia proporzionale al volume di minerale estratto e, quindi, inversamente proporzionale alla densità del minerale.

Lavorazione e arricchimento

Questi termini indicano la separazione dei minerali utili da una matrice normalmente denominata “ganga”. Questa operazione di solito richiede grandi quantità di energia per frantumare e polverizzare la pietra (“comminuzione”) (Wills, 1990) e per processi chimici o fisici necessari per far fuoriuscire il minerale (Valero e Valero, 2012). Solo in casi molto particolari questa operazione non è necessaria. Agli albori dell'estrazione mineraria, si potevano trovare i minerali già separato dalla matrice che li aveva contenuti, come nel caso delle pepite d'oro trovate nei fiumi. Anche nel caso degli idrocarburi come petrolio e gas, la diversa fluidità del minerale (gassosa o liquida) e della sua matrice (solida) spesso permette la separazione senza la necessità di ulteriore energia, sfruttando la pressione interna del pozzo. Tuttavia, una volta che la pressione interna non è più sufficientemente alta, diventa necessario il pompaggio, e questo è un costo energetico. A seconda della viscosità del fluido e della permeabilità della roccia, l'estrazione potrebbe anche richiedere operazioni complesse e costose come la fratturazione idraulica della roccia (“Fracking”) per iniezione di fluidi ad alta pressione nel pozzo. In altri casi, un minerale solido può essere separato dalla matrice da processi di solubilizzazione “in situ”, per esempio per mezzo della lisciviazione acida. E' un metodo di estrazione usato, per esempio, per l'uranio (Eligwe et al., 1982) e l'oro (Martens et al., 2012). Parlando in generale, ci si aspetta che il costo energetico di tutte queste operazioni sia inversamente proporzionale al volume che deve essere trasformato e, pertanto, è inversamente proporzionale alla densità della risorsa. Spesso, questi processi creano anche problemi di inquinamento considerevoli, che si aggiungono al costo generale dell'operazione.

Fusione/raffinazione

In molti casi, il minerale ottenuto dai processi descritti sopra si trova in una forma chimica che richiede un'ulteriore elaborazione. Per gran parte dei metalli questa fase prende il nome di “fusione” che consiste nel trasformare i minerali sotto forma di ossidi o solfuri in metalli puri. Questa operazione di solito richiede agenti riducenti come il carbone per fondere minerali di ferro. Alcuni solfuri possono essere trasformati in metalli puri per torrefazione in aria, mentre diversi metalli sono ottenuti oggigiorno con metodi elettrochimici, per esempio nel caso dell'alluminio metallico ottenibile dagli ossidi. Tutti questi processi richiedono energia e quelli più moderni – quelli elettrochimici – richiedono più energia. Notate in questo contesto che l'energia elettrica è l'energia di più alta qualità disponibile e pertanto quello col livello di exergia più alto. Di conseguenza, bisognerebbe fare attenzione quando si confrontano diversi processi di fusione che usano diverse forme di energia. Molti metalli o altri composti chimici richiedono un'ulteriore lavorazione prima di poter essere venduti come beni. C'è una grande varietà di tali processi che di solito tendono a purificare i materiali o ad aggiungere componenti per produrre leghe di interesse commerciale – un esempio è l'aggiunta di cromo e carbonio al ferro (così come altri elementi) per trasformarlo in acciaio inossidabile. Alcuni minerali richiedono metodi di purificazione altamente sofisticati (ed energeticamente costosi). Un esempio è il silicio, che è presente nel mercato in diversi gradi di purezza: come “classe metallurgica” (puro al 99,7% circa), come “classe solare” (tipicamente puro al 99,999%) e come “classe elettronica” (puro al 99,9999% o anche di più). In alcuni casi è necessario il frazionamento isotopico per produrre beni commerciabili, come quando l'uranio viene arricchito nell'isotopo fissile U(235) in modo da poter essere utilizzato nell'attuale tecnologia energetica  nucleare (o per produrre armi nucleari). Tutte queste operazioni vengono eseguite su materiali già arricchiti, pertanto l'energia necessaria non dipende dalla densità originaria del minerale.

Da questa discussione, possiamo concludere che l'energia necessaria per estrarre e produrre una risorsa minerale dipende dalla somma di due fattori: uno è collegato alla densità del minerale (per esempio, sollevamento, movimentazione, frantumazione, ecc.) ed è di solito inversamente proporzionale ad essa. L'altro è collegato principalmente all'energia chimica del composto che viene estratto (per esempio, la fusione) e non direttamente alla densità del minerale. In pratica, estrarre una risorsa e trasformarla in un bene minerale spesso significa minimizzare l'energia necessaria come funzione di questi due termini. Questa quantità di energia può essere quantificata dal metodo conosciuto come Valutazione del Ciclo di vita (life-cycle assessment – LCA). Diverse valutazioni del genere sono state eseguite per diversi minerali (per esempio, Norgate e Haque, 2010). I risultati indicano che, per alcuni metalli come il rame, l'energia richiesta per l'estrazione e l'arricchimento è prevalente. Per altri, come l'alluminio, il processo di riduzione che trasforma l'ossido in metallo è l'operazione più cara energeticamente. Considerando il rame come esempio, al momento l'energia necessaria per produrre rame metallico dai suoi minerali è nella gamma di 30-65 MJ/kg (Norgate et al., 2007) con un valore medio di 59 MJ/kg riportato da Ayres (2007). Usando il secondo valore, troviamo che ci servono circa 0,75 EJ per la produzione mondiale di rame (15 milioni di tonnellate all'anno).

La Tavola 1 elenca l'energia specifica necessaria per la produzione di alcuni metalli comuni, insieme al fabbisogno di energia totale per la produzione mondiale in tempi recenti (adattato da Bardi, 2011).


Tavola 1. Energia totale e specifica per la produzione di alcuni metalli. 

La somma delle energie riportate nella tavola sopra fa un totale di oltre 30 EJ. Considerando che nel mondo vengono prodotti molti altri beni minerali e che la produzione globale annuale di energia primaria è di circa 500 EJ (Revisione Statistica dell'Energia, 2013), potremmo concludere che l'energia usata dall'industria mineraria rientra nella gamma del 5-10% del totale dell'energia primaria prodotta nel mondo, un valore coerente con altre stime (Goeller e Weinberg, 1976; Rábago et al., 2001).

Chiaramente, l'estrazione mineraria consuma molta energia e l'analisi riportata finora indica che la necessità di energia è profondamente integrato col concetto stesso di estrazione. Tutte le operazioni minerarie sono termodinamicamente in salita (ad alta intensità di exergia) come risultato della necessità di combattere contro la dispersione dei materiali estratti in una matrice rocciosa e della fusione di metalli utili dalla loro forma minerale di, tipicamente, ossidi e solfuri. In questa serie di operazioni, i miliardi di anni di storia geologica della Terra hanno fornito un vantaggio sostanziale concentrando i minerali sotto forma di depositi, riducendo così grandemente la necessità di energia. Ma i depositi ad alta intensità sono stati gradualmente esauriti e la necessità di energia per l'estrazione aumenta. La seguente sezione esaminerà come questo fenomeno sta condizionando l'economia oggi e come potrebbe condizionarla in futuro.

L'estrazione dei minerali e l'economia

Le teorie economiche relative all'estrazione minerale risalgono a Ricardo et al. (1819) che ha esaminato per la prima volta il comportamento previsto del prezzo delle risorse minerali come funzione dell'esaurimento. Una teoria più dettagliata è stata sviluppata in seguito da Jevons (1866). Sia Ricardo sia Jevons hanno lavorato all'interno del paradigma dell'economia come la “scienza triste”, sotto l'influenza dei lavori precedenti di Thomas Malthus; cioè, nell'ipotesi di scarsità di risorse. Entrambi sono giunti alla conclusione che il graduale esaurimento dei depositi minerali renderebbe lo sfruttamento più costoso.

In un filone simile, in tempi successivi, Harold Hotelling ha sviluppato il modello oggi conosciuto come la “Regola di Hotelling” (Hotelling, 1931). Questo modello è estremamente semplificato, per esempio ipotizza che il costo di estrazione della risorsa sia zero e che non sia condizionato dall'esaurimento. Inoltre, il modello ipotizza che l'azienda che estrae il minerale abbia il monopolio completo dell'estrazione, la perfetta conoscenza delle quantità disponibili e che voglia massimizzare i suoi ritorni a lungo termine. Per mezzo di queste ipotesi, Hotelling ha potuto mostrare che l'azienda può mantenere un reddito costante durante un tempo finito se il prezzo della risorsa aumenta ad un tasso determinato dall'attuale tasso di sconto (ipotizzato come costante) e se la produzione declina esponenzialmente.

Il modello di Hotelling si è dimostrato popolare negli anni. E' ancora ben conosciuto oggi e sembra essere la base di molti modelli di previsione dei prezzi utilizzati. Tuttavia è sempre stato difficile usare il modello per descrivere tendenze storiche. In molti casi, i prezzi dei beni minerali non hanno mostrato una crescita graduale, ma piuttosto una tendenza “a forma di U” (Slade, 1982). Inoltre, la produzione di gran parte delle risorse minerali non seguono il declino graduale previsto dal modello ma un aumento che è stato scoperto essere approssimativamente esponenziale. Piuttosto che attribuire queste discrepanze ai limiti del modello, diversi autori hanno concluso che la risorse è stata sfruttata solo di una percentuale minima della quantità disponibile (per esempio, Houthakker, 2002). Altri hanno concluso che i prezzi in picchiata mostravano che il progresso tecnologico ha reso il concetto di “risorsa limitata” privo di significato. In questo senso è esemplare Julian Simon, che nel suo libro “L'ultima risorsa” (Simon, 1981), è arrivato alla conclusione che le risorse minerarie mondiali sono “infinite” sulla base delle tendenze dei prezzi di cinque beni in un paio di decenni. In pratica, tuttavia, è più probabile che il modello di Hotelling non fornisca una buona descrizione delle tendenze del mondo reale, dove le aziende non hanno una conoscenza perfetta della quantità di risorse disponibile, non sono “monopoliste perfette” e di solito non lavorano con l'obbiettivo della massimizzazione del profitto a lungo termine (vedi Reynolds, 1999; Hart e Spiro, 2011; Reynolds e Baek, 2012).

Altri modelli di produzione minerale assumono approcci diversi. Uno dei più comuni è il “modello funzionale”, conosciuto anche come la “piramide della risorsa” che forse è stato descritto per la prima volta da Erich Zimmermann in un libro intitolato “Risorse Mondiali e Industria” (Zimmermann, 1933). Questo modello è parte di una scuola di pensiero economico più ampia conosciuta come la “scuola austriaca” che, quando ha a che fare con le risorse minerali, tendeva a minimizzare gli effetti dell'esaurimento, enfatizzando invece l'ingegno umano e la creatività (Bradley, 2007). Così, il modello funzionale comincia con la definizione di “risorsa minerale”, notando che non può essere considerata come una quantità fissa ma come qualcosa che dipende dalle necessità umane  e dalle risorse umane. In particolare, il modello comincia dalla osservazione geologica che ni ndepositi di minerale tendono ad esistere in quantità che sono inversamente proporzionali alla densità [legge di Lasky (Lasky, 1950)]. In altre parole, le risorse di bassa densità sono più comuni e più abbondanti di quelle di alta densità. Viene quindi ipotizzato che la tecnologia può contrastare efficacemente gli alti costi dell'accesso a minerale di bassa densità, un fenomeno chiamato anche risultato del “Fattore X” (Petrie, 2007). il risultato finale è che non esiste il concetto di “finire” qualsiasi cosa; al contrario, una migliore tecnologia rende possibile accedere riserve sempre più grandi di risorse. Quindi, il modello propone l'effetto controintuitivo secondo il quale mentre estraiamo le risorse, esse diventano più abbondanti. Cioè, potremmo che potremmo imbatterci nelle risorse piuttosto che finirle (Odell, 2008). Questo fenomeno viene comunemente chiamato anche “creazione della risorsa”.

Il modello funzionale è la spina dorsale di un certo modo di vedere il futuro dell'industria mineraria che, infatti, ha visto negli ultimi decenni sia l'aumento di produzione, sia l'aumento delle quantità elencate di risorse recuperabili. Il secondo fenomeno è dovuto a due fattori distinti: il progresso dell'esplorazione e l'aumento dei prezzi di mercato. I prezzi più alti “creano risorse” non in senso fisico, ma nel senso che diventa redditizio estrarre da risorse di minore densità. Tuttavia, c'è un problema: i prezzi più alti possono anche ridurre la domanda e, di conseguenza, sconfiggere l'apparente abbondanza creata dall'aumento. Per contrastare questa obiezione, il modello funzionale di solito ipotizza che in tutti i casi la migliore tecnologia abbasserà la necessità di energia. Sfortunatamente, questo punto non è mai stato dimostrato, eccetto in termini di generiche dichiarazioni sull'ingegno umano (vedi, per esempio, Simon, 1981; Bradley, 2004).

Un tentativo diverso è più quantitativo di modellare l'estrazione mineraria è basato sull'approccio chiamato “economia neoclassica”. Questa linea di modellazione è cominciata con un saggio piuttosto famoso di Solow (1956). Il concetto dell'idea di Solow è che l'economia mondiale può essere descritta in termini di una “funzione di produzione” che tiene conto dei parametri principali che condizionano la produzione del sistema economico. Una funzione di produzione comunemente impiegata ha una forma denominata “Cobb–Douglas” e, nella sua forma più semplice, può essere scritta come Ayres (1998).

dove “Y” è la produzione economica del sistema, “L” è il lavoro e “K” è il capitale. “a” e “b” sono esponenti regolabili; a volte chiamati “elasticità”. Questi esponenti devono essere più piccoli di uno in modo da assicurare i ritorni decrescenti su scala; una caratteristica desiderabile se la funzione deve descrivere il mondo reale. In questo saggio del 1956, Solow (1956) ha scoperto che era impossibile combinare i dati storici con questa funzione per misurare la produzione reale dell'economia statunitense. Pertanto, ha aggiunto alla funzione un parametro regolabile come un moltiplicatore che, più tardi, ha preso il nome di “Residuo di Solow”. Questo fattore è chiamato anche “fattore di produttività totale” (FPT) e viene spesso equiparato col “progresso tecnologico”. Viene quindi dichiarato, pertanto,  che il modello di Solow descriva come la tecnologia possa superare le limitazioni materiali ed assicurare la crescita dell'economia nonostante l'esaurimento minerario. Infatti, Solow (1974) stesso ha dichiarato che “Il mondo può, di fatto, tirare avanti senza risorse naturali”, sulla base dell'assunto che, nella funzione di produzione, un declino in uno dei fattori può essere compensato da un aumento in un altro, per esempio il FPT. A partire dalle idee di Solow, è stato sviluppato un modello più dettagliato da Stiglitz (1974ab) e più tardi discusso da Nordhaus (1992). Secondo Nordhaus, la funzione di produzione può essere scritta come:



I simboli L, K, e Y sono parametri regolabili definiti come “elasticità”. Notate che la funzione ora contiene un parametro che sta per “terra” (T), uno per “flusso di risorse minerali” R ed uno per “capitale umano” o “livello di tecnologia” (H). E' chiaro dalla trattazione del saggio di Nordhaus che il fattore “H” ha anche un parametro variabile come esponente (Nordhaus, 1992).

Per il parametro R, Nordhaus ha proposto una forma di decadimento esponenziale come R = μS*e−μt, dove S* è la dotazione iniziale della risorsa e μ un parametro regolabile, ipotizzato maggiore di zero. Una tale scelta sembra essere influenzata dai risultati della regola di Hotelling, come descritto prima in questa sezione. Sul lungo periodo questa scelta genera un declino graduale della produzione economica mondiale. Ovviamente, c'è un problema qui: questo comportamento è l'opposto di ciò che è stato osservato nel mondo reale per almeno un secolo. Così, il modello contrasta il declino con la crescita del fattore “H” (tecnologia). Questo fattore è ipotizzato in crescita esponenziale come eht con “h” come parametro regolabile proporzionale al “progresso”. In questo saggio, Nordhaus (1992) mostra che se h è maggiore di 0,0025 (un quarto del 1%), allora il suo effetto è sufficiente a mantenere la produzione in crescita anche in presenza di risorse minerali in declino ed altre limitazioni. Può, pertanto, adattarsi alle tendenze in crescita osservate dell'economia mondiale fino ai giorni nostri.

Il modello di Solow e i suoi successivi affinamenti sono tentativi interessanti di quantificare come la tecnologia condiziona la produzione e come può superare l'esaurimento. Tuttavia, ci sono problemi seri in questo approccio. Uno è che nessuno dei fattori R e h sono realmente misurabili da soli, solo la loro combinazione può essere dedotta dai dati storici. Quindi non abbiamo nessuna prova diretta che il fattore h esista veramente, né che possa essere equiparato al “progresso tecnologico”. Infatti, è stato dimostrato che se l'aumento dell'uso di energia nel sistema mondiale è fattorizzato nella funzione di produzione, allora non c'è necessità dell'entità astratta chiamata FPT per giustificare la crescita della produzione minerale nel mondo (Hall et al., 2001; Ayres, 2007; Warr e Ayres, 2010; Ayres e Voudouris, 2013); vedi anche la critica Binswanger (1998) e  Bastianoni et al. (2009). Senza energia e risorse naturali, non può esserci crescita e la tecnologia, da sola, non può creare le risorse che non esistono (Daly, 1997).

Infine possiamo discutere in questa sezione la famiglia di modelli basati sulla “dinamica dei sistemi” e che tenta di descrivere l'evoluzione del sistema economico come risultato di diversi fattori collegati che comprendono risorse rinnovabili e non rinnovabili, ma anche popolazione, inquinamento ed altro. Qualitativamente, l'origine di questi modelli può essere trovata nel lavoro di Jevons (1866) e nel suo “La questione del carbone”. Jevons non ha esplicitamente collegato il costo di estrazione all'energia, ma le sue considerazioni possono essere lette in questo senso. I limiti dell'estrazione di carbone, secondo Jevons, sono determinati dai ritorni decrescenti. Col graduale esaurimento delle risorse di carbone meno costose (poca profondità, grande spessore della vena ed altri fattori), l'industria è costretta a passare a risorse più costose, dovendo scavare più in profondità o estrarre vene più sottili. Jevons ha concluso che questo effetto alla fine renderebbe il carbone troppo costoso per l'industria inglese. A quel punto, Jevons ha supposto che la produzione declinerebbe; una previsione fatta in Inghilterra circa nel 1915 (Bardi, 2010).

Jevons non ha usato il termine “progresso” in senso moderno, ma si è riferito ai miglioramenti tecnologici come a “invenzioni” ed ha discusso a lungo il loro effetto. La sua conclusione a questo proposito è conosciuta come il “Paradosso di Jevons” che afferma che i miglioramenti tecnologici non portano ad un minore consumo di risorse. Al contrario, i costi ridotti derivati da una migliore tecnologia portano a ad un maggiore consumo e ad un più rapido esaurimento. La versioni moderne del paradosso di Jevons vengono denominate “l'effetto rimbalzo” o il “postulato di Khazzoom–Brookes” (Saunders, 2000).

In tempi moderni, i modelli quantitativi basati sugli stessi concetti sono stati proposti, per esempio, da Jay Forrester e dal gruppo di ricercatori che hanno eseguito lo studio del 1972 intitolato “I Limiti dello Sviluppo (Crescita)” (Forrester, 1971; Meadows et al., 1972). Questi modelli non hanno tenuto conto dell'energia come parametro disgregato; piuttosto, l'energia è stata incorporata nella riserva più generale delle “risorse non rinnovabili”, ipotizzate come risorse finite. Ciononostante, il ruolo dell'energia nel modello è chiaro, anche se implicito. Questi modelli possono essere visti come sistemi termodinamici che descrivono la degradazione di una riserva di energia in diversi stadi. Le risorse sono la riserva al potenziale termodinamico più alto, che si trasformano gradualmente in riserve dal potenziale più basso: prima il capitale industriale e popolazione e, alla fine, inquinamento – il potenziale più basso di tutti (Bardi, 2013b). Questa evoluzione può essere vista come guidata dal “EROEI” (Energy Returned on Energy Invested) progressivamente più basso dello sfruttamento dei combustibili fossili (Bardi et al., 2011; Murphy e Hall, 2011). In generale, questi modelli generano curve “a campana” (anche se non necessariamente simmetriche) per l'evoluzione delle varie riserve e flussi (per esempio, la produzione industriale) in accordo col primo modello empirico proposto da Hubbert (1956). Questi modelli sono notevoli anche perché sono i soli fra quelli discussi finora che tengono esplicitamente conto dell'effetto dell'inquinamento, un problema che non può più essere trascurato oggi e che sta già causando problemi seri, specialmente in relazione al cambiamento climatico. Nell'approccio della dinamica dei sistemi, l'inquinamento è una riserva che cresce proporzionalmente alla riserva di capitale ma che drena anche risorse dalla riserva di capitale come risultato della necessità di investimenti per combattere l'inquinamento. Il risultato finale è che l'inquinamento accelera il declino della produzione delle risorse minerali.

Questi modelli normalmente non presumono l'esistenza di un parametro endogeno di “progresso tecnologico” e questo ha generato alcune critiche (come discusso in Bardi, 2011). Tuttavia, non è vero che questi modelli non possono tenere conto dell'effetto del cambiamento tecnologico. Proprio il contrario, questi effetti sono stati presi inconsiderazione fin dalla prima versione dello studio de “I Limiti dello Sviluppo” (Meadows et al., 1972). Maggiore disponibilità di risorse a maggiore capacità di combattere l'inquinamento sono stati considerati nei calcoli come fattori esogeni e possono essere visti entrambi come effetto del progresso tecnologico. I risultati delle serie basate su questi assunti sono che la disponibilità di maggiori quantità di risorse porta ad una crescita più rapida della produzione e dell'inquinamento e, alla fine, ad un collasso più rapido delle riserve. Per allestire i modelli in modo da evitare il collasso, ci servono assunti estremamente ottimistici che equivalgono – in pratica – alla “macchina mineraria universale” discussa in precedenza nel presente saggio.

Questa descrizione di diversi decenni di sforzi di modellazione dell'esaurimento delle risorse non può essere considerato esauriente, ma dovrebbe fornire almeno un riassunto dei punti di vista più comuni in questo campo. Sembra che esistano diversi modelli che affrontano gli effetti dell'esaurimento minerale sull'economia mondiale, in gran parte incompatibili fra loro. Molti di questi modelli sono fortemente astratti, alcuni non sono quantitativi, diversi non tengono conto parametri fisici fondamentali come l'energia. Finora, non sembra esserci accordo su come l'esaurimento e la disponibilità di energia condizioneranno il mondo reale e sembra improbabile che un tale accordo possa essere raggiunto sulla base di discussioni sui modelli teorici. In quello che segue, la questione verrà esaminata più in dettaglio esaminando come, in pratica, l'energia e la tecnologia condizionano la produzione mineraria.

Tecnologia ed energia nell'estrazione mineraria

Il concetto di “progresso tecnologico è relativamente moderno, proprio come è moderno il concetto che il progresso debba crescere sempre e portarci un mondo sempre migliore. La prima dichiarazione esplicita secondo la quale il progresso avrebbe dovuto continuare ad avanzare secondo una crescente tendenza continua risale probabilmente all'era d'oro della fantascienza Heinlein (1966) . La fede nel progresso tecnologico non sembra essersi ridotta da allora. Ciononostante, il concetto di “tecnologia” è complesso e difficilmente definibile in termini di semplici parametri che possono essere inseriti in un modello teorico. Per ciò che qui ci interessa, l'esaurimento minerale, possiamo elencare alcune forme fondamentali di tecnologia che possono influenzare la situazione.

1. Tecnologia per aumentare l'efficienza di estrazione.
2. Tecnologia per aumentare l'efficienza del consumo (compresi riciclo e riuso).
3. Tecnologia per sostituire risorse scarse con risorse abbondanti (sostituzione).
4. Tecnologia sotto forma di passi avanti improvvisi (“cambiare le regole del gioco”).

Questi casi ora possono essere esaminati uno ad uno.

Tecnologia per aumentare l'efficienza di estrazione

Questo tipo di progresso tecnologico è una pietra angolare del “modello funzionale” descritto in una sezione precedente. In quest'area, possiamo identificare diversi esempi di nuove tecnologie applicate all'estrazione. In numerosi casi, la nuova tecnologia comporta cambiamenti radicali nel modo in cui viene estratta la risorsa. Un esempio è l'uso di soluzioni di cianuro per recuperare l'oro (Logsdon et al., 1999). Questa tecnologia ha iniziato ad essere usata nel ventesimo secolo, sostituendo metodi più vecchi basati sulla separazione manuale e sull'uso del mercurio per formare un amalgama. Il metodo di cianurazione risulta essere più efficace nello sfruttamento di minerali di oro di densità molto bassa, permettendo di recuperare l'oro anche quando le sua particelle non sono visibili ad occhio nudo. Tuttavia, l'efficacia del metodo non significa che sia energeticamente efficiente. I calcoli LCA mostrano che la cianurazione dell'oro è più costosa energeticamente e più inquinante a parità di peso recuperato di gran parte degli altri processi per recuperare metalli dai minerali (Norgate e Haque, 2012). E' solo la relativamente piccola quantità di oro prodotto a livello mondiale che rende il danno complessivo della cianurazione sull'ambiente non così grande come quello degli altri metalli: Anche così, vengono attivamente ricercate alternative alla cianurazione (Hilson et al., 2006), anche se finora senza successo. Il caso dell'oro illustra una situazione tipica delle nuove tecnologie estrattive. La nuova tecnologia permette di accedere a risorse di minore densità, ma non necessariamente porta alla riduzione della quantità di energia necessaria.

Un diverso tipo di progresso tecnologico consiste nella conservazione degli attuali processi, ma modificandoli in modo da usare meno energia. Questo risultato può essere ottenuto da azioni come la riduzione dell'illuminazione, la riduzione dell'energia usata nel condizionamento dell'aria, passare alla guida con cambio manuale porta a ridurre il consumo energetico, la riduzione dell'energia relativa alle perdite di aria compressa. Si dice che possano essere ottenuti risparmi dell'ordine del 20-30%  (Mining Industry Energy Bandwidth Study, 2007). In alcuni casi, operazioni specifiche come la macinazione dei minerali possono essere migliorate fino a far risparmiare più del 50% dell'energia (Wills, 1990; Sterling, 2008). La tecnologia ovviamente gioca un ruolo importante in questi tentativi come, per esempio, nello sviluppo di motori più efficienti per pompe, l'uso di lampade LED al posto di quelle convenzionali ed altro. Tuttavia, queste sono tutte tecnologie basate su miglioramenti incrementali che sono soggetti ai ritorni decrescenti. Cioè, grandi miglioramenti sono possibili nel caso di sistemi di produzione inefficienti, ma una volta che il processo è stato ottimizzato, un ulteriore miglioramento è difficile e costoso.

Tecnologia per aumentare l'efficienza del consumo (compresi riciclo e riuso)

Ci sono diverse procedure proposte e in uso per ridurre il bisogni di minerali nella società industriale. In generale, queste procedure comprendono usare minori quantità di materiali, fare prodotti più duraturi e riusabili e riciclare i materiali contenuti nei prodotti di scarto. E' stato detto, per esempio, che in molti casi si può ottenere una riduzione di un fattore 5 nelle quantità di materiali richiesti (Von Weizsäcker et al., 2009) mentre altre proposte comprendono la “chiusura del ciclo” dei materiali usati per mezzo della riprogettazione dell'intero processo di produzione e di uso [vedi per esempio la proposta “dalla culla alla culla” (Schnitzer et al., 2007)].

Recuperare minerali dai rifiuti è una procedura ben consolidata, anche se non sempre possibile e mai efficiente al 100%. Per esempio, recuperare metalli dai rifiuti urbani inceneriti è di solito difficile e costoso, anche se possibile in alcuni casi (Zhang e Itoh, 2006). L'idea delle discariche come “miniere” è stata proposta spesso, ma non è facilmente  attuabile anche se, di recente, è stato fatto un passo avanti in questo campo (Krook et al., 2013). E' più facile sviluppare procedure specifiche per separare i rifiuti all'origine e lavorare un rifiuto relativamente omogeneo. Per esempio, i materiali contenuti nei circuiti stampati vengono spesso recuperati e riciclati (Xiu et al., 2013). Esistono anche linee specifiche di riciclaggio per i materiali più comuni, tipicamente metalli. Secondo i dati del USGS (United States Geological Survey), negli Stati Uniti il tasso medio di riciclaggio è nella gamma del 30-50% in peso dei principali metalli prodotti (Papp, 2010). Il tasso massimo di riciclaggio riportato da Papp è per il piombo: 80,5% nel 2009, in seguito leggermente diminuito al 79% nel 2010. Alcuni metalli come ferro, alluminio e magnesio vengono riciclati a livelli vicini al 50%. Diversi altri come il rame vengono riciclati al 30%. I metalli meno comuni presentano dei tassi di riciclaggio più bassi e diversi non vengono affatto riciclati (Graedel et al., 2011). In questo campo, le nuove tecnologie possono sicuramente giocare ruoli importanti, ma principalmente un ruolo incrementale, soggetto ai ritorni decrescenti.

In generale, tutte le forme di riciclaggio soffrono del problema dei ritorni decrescenti: recuperare materiali di scarto diventa più costoso (in termini energetici) come ci avviciniamo alla chiusura del ciclo. Ciò non significa che il riciclaggio al 100% non sia possibile. Dopo tutto, le piante terrestri hanno “estratto” dalla crosta terrestre per centinaia di milioni di anni e non hanno mai finito i minerali di cui avevano bisogno. Significa, tuttavia, che chiudere il ciclo senza cambiare gli attuali metodi di produzione sarebbe estremamente costoso energeticamente. In pratica impossibile, oggi. Se si persegue un tale risultato, le tecnologie produttive dovrebbero essere riprogettare in modo tale da usare meno materiali e lavorazioni compatibili con una quantità ragionevole di energia usata per chiudere il ciclo.

Tecnologia per sostituire risorse scarse con risorse abbondanti (sostituzione)

Il concetto di “sostituibilità” nei processi industriali è stato analizzato per la prima volta da Goeller e Weinberg (1976) come un modo per superare il problema dell'esaurimento minerale. Questo saggio è stato probabilmente il primo ad affrontare in modo complessivo la possibilità di sostituire risorse minerali rare ed esauribili con risorse comuni sulla crosta terrestre che, in linea di principio, non si esaurirebbero nemmeno sul lungo termine. Proponeva, per esempio, di sostituire cavi di rame con cavi d'alluminio. Visto che l'alluminio è un elemento comune nella crosta terrestre, sembrava impossibile che sarebbe mai finito. Le proposte di Goeller e Weinberg sono state rivisitate, fra gli altri, da Ayres (2007) e Bardi (2011). La conclusione generale è che la sostituzione è spesso – ma non sempre – possibile, ma è anche costosa in termini di energia richiesta. Per esempio, sostituire il rame con l'alluminio richiede più di quattro volte tanto di energia per lo stesso peso. Anche tenendo conto che la densità dell'alluminio è inferiore, e pertanto può passare più corrente per lo stesso peso, lo svantaggio dell'alluminio è ancora di un fattore di due in termini di energia necessaria per produrre un cavo che abbia le stessa proprietà elettriche. In alcuni casi, la sostituzione sembra essere una strategia particolarmente promettente, quando le nuove tecnologie permettono  di rinunciare del tutto ad alcuni materiali. Un esempio interessante è lo sviluppo della fotografia digitale che ha portato ad una scomparsa quasi totale dell'argento contenuto nelle pellicole. Ciò, tuttavia, non ha portato ad alcun rallentamento riconoscibile della produzione d'argento dalle miniere (Kramer, 2013). Sembra che l'argento che è stato reso disponibile sul mercato dal declino del suo uso in fotografia si stato usato per altri scopi. Una buona illustrazione che il cosiddetto “paradosso di Jevons” non è un paradosso, ma un evento comune (Jevons, 1866).

Tecnologia sotto forma di passi avanti improvvisi 

Il concetto di “svolta tecnologica” è famigliare a tutti, ma come dovrebbe essere interpretato in applicazione alla produzione minerale? Come menzionato nella sezione precedente, il processo di estrazione può essere visto come una reazione chimica in più fasi. Riorganizzare i legami chimici richiede energia e i principi fondamentali della termodinamica assicurano che c'è una quantità minima di energia che dev'essere spesa per trasformare i minerali in beni minerali. Qualsiasi sia la svolta che possiamo immaginare in questo campo, deve comunque obbedire alle leggi della fisica e, in particolare, alle leggi di conservazione dell'energia. I minerali non si possono ottenere gratuitamente.

Le svolte dell'estrazione mineraria potrebbero comportare il cambiamento radicale della fonte dei minerali, lontane dai minerali tradizionali. Alcune proposte in questo senso sono discusse in Bardi (2013a), ma risultano essere sempre costose in termini energetici. Tale è il caso, per esempio, dell'estrazione di ioni dagli oceani, dell'estrazione da asteroidi e della creazione di elementi pesanti da elementi leggeri tramite reazioni nucleari. Pertanto, la sola svolta che possa sconfiggere l'esaurimento per sempre sarebbe qualcosa che potrebbe produrre grandi quantità di energia a basso costo: questo sarebbe l'equivalente della creazione della “macchina mineraria universale” che sarebbe capace di recuperare beni minerali dalla normale pietra. La possibilità di un tale sviluppo viene spesso associata alle nuove forme di energia nucleare e, infatti, nel loro saggio del 1976 sulla sostenibilità, Goeller e Weinberg (1976) hanno preso come assunto il fatto che in tempi relativamente brevi il sistema energetico mondiale si sarebbe basato sul plutonio prodotto da reattori “autofertilizzanti” (fast breeding). Tuttavia, l'economia basata sul plutonio non si è mai materializzata e, oggi, la produzione di energia nucleare sta declinando, una condizione che può essere attribuita, almeno in parte, all'esaurimento delle risorse minerali di uranio (Zittel et al., 2013). Anche se l'energia rinnovabile può ampiamente sostituire i combustibili fossili in futuro (Jacobson e Delucchi, 2011), difficilmente si può immaginare che le rinnovabili possano fornire il “salto quantico” che ci porterebbe ad essere in grado di estrarre dalla crosta terrestre indifferenziata o da altri corpi del sistema solare. Non è possibile escludere che le promesse degli anni 50 in termini di energia abbondante e a buon mercato un giorno si materializzerà, ma è sicuro dire che scommettere su questo non sembra promettente (Dittmar, 2012). La tecnologia non produce miracoli, nonostante i più validi tentativi (Turiel, 2011).

Questa discussione non può essere esaustiva, ma ha evidenziato come la tecnologia dovrebbe essere discussa alla luce di casi reali e non come semplice fattore non indipendentemente misurabile che inserisce modelli altamente aggregati. Se scomponiamo il processo di produzione dei beni minerali nei suoi dettagli, vediamo che ci sono molti passaggi in cui il miglioramento della tecnologia può ridurre la necessità di energia o genera nuovi processi che necessitano di di minori quantità di minerali preziosi. Tuttavia, tutti questi sono approcci che sono governati dal principio dei ritorni decrescenti. Il progresso tecnologico stesso sembra essere condizionato dai ritorni decrescenti, come riportato, per esempio, da Ayres (1998) e Tainter (2006). Così, la tecnologia può sicuramente mitigare il problema dell'esaurimento, ma non può, di per sé sostituire l'energia.

Conclusione

Le varie operazioni per produrre beni minerali sono energeticamente costosi a causa delle leggi della fisica: ci serve energia per spezzare i legami chimici che tengono insieme la roccia, che legano gli atomi insieme, per sollevare e movimentare i materiali e per altre forme di lavorazione. Il fatto che possiamo farlo con la quantità di produzione primaria che siamo in grado di gestire oggi è dovuto al “prestito energetico” fornito dai processi geofisici che hanno usato energia solare o geotermica per tempi molto lunghi in passato per sollevare i minerali che usiamo oggi ad un livello di exergia sufficientemente alto. Ma, sul lungo termine, dobbiamo ripagare il prestito in un modo o nell'altro. L'esaurimento del minerale sta gradualmente trasformando la Terra nel mondo di “Thanatia” in cui tutti i minerali sono dispersi nella loro concentrazione media sulla crosta terrestre (Valero e Valero, 2012). Siamo ancora molto lontani da un mondo simile, ma sul lungo periodo è inevitabile se continuiamo ad estrarre nel modo in cui abbiamo fatto finora.

In aggiunta al problema dell'esaurimento, dobbiamo tenere conto anche che l'inquinamento prodotto dall'estrazione tende ad aumentare quando vengono sfruttati i minerali con minore concentrazione. Questo tipo di inquinamento è spesso cumulativo e persiste nell'ambiente per lungo tempo, come, per esempio, è il caso dei metalli pesanti e del biossido di carbonio (CO2). Mentre continuiamo ad estrarre, anche a tassi ridotti, questo inquinamento cumulativo diventerà sempre di più un fardello in termini di danni fatti all'ambiente e alla società in generale. In alcuni casi, l'inquinamento potrebbe essere un fattore più importante dell'esaurimento nel costringere l'industria a ridurre la produzione di un bene minerale, questo è stato il caso, per esempio, del mercurio, che è stato parzialmente eliminato dal sistema industriale mondiale a causa dei suoi effetti velenosi (Bardi e Pagani, 2007). Circa i combustibili fossili, il dibattito sul se la produzione declinerà a causa dell'esaurimento e, pertanto, allevierà o risolverà il problema del cambiamento climatico, o piuttosto sarà il cambiamento climatico che genererà limitazioni economiche e politiche che imporranno un declino della produzione è ancora in corso. Diversi studi sono stati eseguiti su questo tema (per esempio, Brecha, 2008; Kharecha e Hansen, 2008; Penuelas e Carnicer, 2010; Verbruggen e Marchohi Al, 2010; Zecca e Chiari, 2010; Schaltegger et al., 2012) senza arrivare ad una conclusione definitiva. Ciononostante, l'aumento in corso della concentrazione di CO2 nell'atmosfera indica che dovremmo vedere i limiti climatici come più importanti dell'esaurimento nello spingere un rallentamento della produzione di combustibili fossili.

In questo contesto, il termine “tecnologia” viene spesso usato come soluzione miracolosa che eliminerà per sempre tutte le paure dell'esaurimento e, allo stesso tempo, risolverà i problemi di inquinamento. Infatti, alcune teorie attuali cercano di quantificare il modo in cui la tecnologia può aumentare la produzione di risorse minerali in declino e alcuni sostengono che l'esaurimento può essere sempre superato in questo modo. In pratica, quando il processo di estrazione e produzione viene esaminato in dettaglio, vediamo che non ci sono semplici scorciatoie che possano aggirare i fattori fisici fondamentali coinvolti. A meno che non assistiamo ad una vera svolta che possa aumentare sostanzialmente e rapidamente la produzione mondiale di energia (senza aumentare l'inquinamento!), dobbiamo rassegnarci al fatto che la produzione di beni minerali è destinata a declinare in futuro o – che è la stessa cosa – i beni minerali continueranno nella loro tendenza di aumento del prezzo. In futuro, la società industriale dovrà imparare come funzionare con una ridotta fornitura di risorse minerali: può essere fatto diventando molto più efficienti e usando materiali rinnovabili e fonti di energia rinnovabile. Dovrà anche imparare a riciclare le risorse efficientemente in modo tale da chiudere – per quanto possibile – il ciclo di produzione.

Dichiarazione sul conflitto di interessi

L'autore dichiara che la ricerca è stata condotta in assenza di relazioni commerciali o finanziarie che possano essere intese come un potenziale conflitto di interesse.

Riconoscimenti

L'autore è grato al signor Stefano Caporali per i suoi suggerimenti e commenti su questo saggio.