mercoledì 4 gennaio 2023

2023: Quando è che finiamo il gas?

 



Da "Il Fatto Quotidiano"

di Ugo Bardi


In Francia è uscito qualche giorno fa un rapporto interessantissimo dello “Shift Project” sull’approvvigionamento di gas naturale in Europa (lo trovate a questo link, al momento disponibile solo in francese). In Italia, mi sa che nessuno abbia gran voglia di accorgersene, ma ignorare certe notizie è una cosa che facciamo a nostro rischio e pericolo. Lo “Shift Project” è un think tank francese ben noto e rispettato che lavora da anni in campo energetico. Il loro rapporto è molto dettagliato perché ci da un quadro della situazione ben più approfondito e utile di quello che ci arriva da quelli che ci raccontano che il problema si risolve con una nuova ricetta per cucinare gli spaghetti.

Allora, come siamo messi? Decisamente non bene e la situazione potrebbe farsi drammatica in un futuro non lontano. Il rapporto richiede una lettura attenta, ma la sostanza la trovate nell’introduzione dove dice che “L’Unione Europea (Ue) rischia di essere esposta a una severa competizione di approvvigionamenti fra paesi importatori di gas naturale, ovvero a dei deficit cronici sul mercato mondiale di Gas Naturale Liquefatto (gnl) a corto, medio, e lungo termine”. Dice anche che: “La situazione del mercato mondiale del gas naturale liquido (gnl) sarà molto precaria entro il 2025, con un possibile evidente disallineamento tra l’offerta disponibile e la domanda prevista oggi. Nell’eventualità di un arresto prolungato delle forniture russe all’Ue, la domanda globale di gnl potrebbe portare a carenze di approvvigionamento endemiche e gravi”. In altre parole, rischiamo di finire al buio a breve.

E l’Italia? Trovate nel rapporto una sezione specificamente dedicata al nostro paese a pagina 55. In sostanza, anche per noi la situazione è delicata, per non dire di peggio. Anche ammesso che riusciamo a mettere in campo i nuovi impianti di rigassificazione in tempi brevi, siamo comunque di fronte a un deficit di forniture. E, notate, che i consumi di gas in Italia NON sono diminuiti nel 2022, nonostante i vari provvedimenti del governo Draghi.

Guardando i dati dello Shift Project, il deficit italiano di gas può non sembrare molto grande. Ma non è una questione che si risolve mettendosi al tavolino con un pallottoliere e sommando il gas che in teoria ci potrebbe arrivare da questa o quell’altra sorgente. Il problema è che, avendo rimosso il gas russo dal mercato (o pianificando di rimuoverlo), entriamo in competizione diretta con gli altri paesi consumatori di gas sul mercato mondiale. Il che vuol dire che, se lo vogliamo, lo dovremo pagare caro, probabilmente più di quanto ci possiamo permettere. Questo in aggiunta al fatto che il gas naturale liquido ha costi di trasporto e gestione che lo rendono comunque più caro di quello portato via gasdotto. I costi del gas si riflettono poi sui costi dell’energia elettrica e il tutto rende l’industria italiana meno competitiva sul mercato mondiale. Il risultato? Recessione, come minimo. Ancora non abbiamo capito esattamente cosa sta succedendo, ma i nodi potrebbero arrivare al pettine già la prossima primavera. E le cose non miglioreranno negli anni a seguire.

Come ci siamo messi in questo pasticcio? Beh, è una lunga storia che non è certamente cominciata con il conflitto in Ucraina. In sostanza, abbiamo traccheggiato con il discorso che il gas naturale doveva essere un “combustibile ponte” che ci aiutava a ridurre le emissioni di gas serra. Ma non è vero: il gas naturale ha “emissioni fuggitive” che lo rendono forse anche più dannoso del carbone in termini di effetto serra. Questo ve lo dicono quelli dello Shift Project, ma se volete uno studio dettagliato su questo argomento, lo potete trovare a questo link che vi porta al gruppo tedesco “Energy Watch”. Avremmo dovuto investire di più e molto prima sulle rinnovabili, ma non l’abbiamo fatto.

Cosa possiamo fare, allora? A breve scadenza, fare tutto il possibile per far finire la guerra in Ucraina e ripristinare le forniture di gas dalla Russia. Se non facciamo così, non ne usciamo fuori. A media e lunga scadenza, dobbiamo potenziare il più possibile le rinnovabili, come minimo eliminando la burocrazia che le frena. Dai dati dello Shift Project si vede chiaramente che quasi tutti i produttori mondiali di gas sono in difficoltà a mantenere la produzione attuale, e molti sono già in declino – succede lo stesso anche con il petrolio. Dovremo abituarci a un mondo in cui i combustibili fossili saranno sia rari che cari. E prima ce ne rendiamo conto, meglio sarà.

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Roma, 4 Gennaio 2023

BOLLETTE IMPAZZITE - COSA C'E' DIETRO LE NUOVE IMPENNATE TRA FEBBRAIO E MARZO

Febbraio e marzo saranno mesi decisivi per i prezzi energetici. Nuove impennate possono mettere in forte crisi soprattutto le imprese

Come ci spiega Michele Marsiglia, Presidente di FederPetroli Italia, infatti, «negli ultimi mesi il costo industriale dei carburanti si è ridotto per via di una diminuzione delle quotazioni del greggio, ma ci sono elementi che fanno pensare che ci sarà un’inversione di tendenza».

Per parlare di emergenza finita bisognerebbe avere una stabilità del prezzo, con oscillazioni contenute in un range di 5-10 punti percentuali, per un periodo di almeno tre mesi.

Il Gas non solo rischiamo di perderlo a favore di altri Paesi europei, ma renderemmo evidente al mercato un gap infrastrutturale che porterà l’Italia a nuove difficoltà di approvvigionamento.

E per il riempimento degli stoccaggi la questione chiave è reperire il prodotto. Il fatto è che nei prossimi mesi non ci sarà maggior quantità di gas disponibile. Anzi, con quello che sta succedendo con il Qatargate potrebbe essercene di meno

Diciamolo chiaramente, il mercato è ben lontano dal temere il price cap sul gas.

Leggi l'intervista: https://www.ilsussidiario.net/news/gas-petrolio-cosa-ce-dietro-le-nuove-impennate-tra-febbraio-e-marzo/2466191/

 

 

 

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venerdì 30 dicembre 2022

Il popolo ha fame? Che faccia una dieta dimagrante!


Il movimento ambientalista, in particolare quello Italiano, è rimasto legato a concetti ormai obsoleti, come quello della "decrescita," vista come una cosa buona, addirittura "felice".  Non si rendono conto che, al momento, "decrescita" significa semplicemente un impoverimento generalizzato che colpisce i più poveri. È una cosa ormai probabilmente inevitabile ma, perlomeno, non dovremmo far finta di essere contenti. 

Negli anni 1970, un giornalista intervistò Aurelio Peccei, il fondatore del "Club di Roma" e lo sponsor del rapporto sui "Limiti dello Sviluppo" del 1972. Gli chiese se era favorevole al concetto di "crescita zero." Peccei rispose, indignato, "nemmeno per idea!" La crescita zero, spiegava Peccei, voleva dire semplicemente lasciare i poveri del pianeta alla loro povertà. Invece, i poveri dovevano avere la possibilità di crescere fino a raggiungere un livello di vita decente. Solo allora si sarebbe potuto parlare di stabilizzare il sistema economico. 

Peccei era un illuminato in molti sensi. Era anche un ingegnere: si rendeva conto che i problemi concreti hanno bisogno di soluzioni concrete. Ovvero, che non è il caso di parlare agli affamati dei benefici delle diete dimagranti. All'epoca, il problema energetico non si poneva ancora con chiarezza, ma Peccei si sarebbe sicuramente reso conto che bisogna dare energia a chi ne ha bisogno. Non possiamo mangiare l'energia, ma senza energia non possiamo mangiare. E non ne abbiamo affatto in abbondanza. 

Nella situazione attuale, stiamo andando verso il disastro, fra i blocchi commerciali, la mancanza di fertilizzanti, il cambiamento climatico, le guerre, e tutto il resto. E i dati della FAO ci dicono che la fame ha ripreso ad aumentare dopo aver raggiunto un minimo, intorno al 2015. Al momento, siamo a circa il 10% di persone affamate nel mondo, vicino a un miliardo di persone. Cosa gli dici a questi? Di decrescere? Non vi sembrano già magri abbastanza?

Purtroppo, il movimento ambientalista si trova completamente spiazzato di fronte agli ultimi sviluppi della crisi economica e ecologica. Una buona frazione degli ambientalisti nostrani (per fortuna non tutti) sono rimasti legati al concetto di "decrescita" come se fosse una cosa buona e virtuosa. Certe volte accoppiandola con l'aggettivo "felice." Non si rendono conto di quanto questa idea sia obsoleta. 

Forse, negli anni del boom economico, poteva aver senso parlare di ridurre gli sprechi ma, oggi, c'è rimasto ben poco da ridurre. Quello che chiamiamo "decrescita" è ormai un termine in "newspeak" di stampo orwelliano ("guerra è pace") che indica la distruzione della classe media in Occidente. Come è tipico del newspeak, indica un certo concetto con il suo esatto contrario. Non solo i cittadini occidentali vengono spogliati dei loro averi dalle élite ("decrescita"), ma ne dovrebbero anche essere contenti ("decrescita felice"). Un vero trionfo della propaganda moderna. 

La caratteristica principale della propaganda è la sua capacità di convincere la gente ad agire in modi che danneggiano loro stessi. Nelle sue forme più ingenue vuol dire, per esempio, fare la doccia fredda per "colpire Putin." Ma in forme molto più distruttive vuol dire, per esempio, spingere gli ambientalisti a opporsi a opere di cui abbiamo disperatamente bisogno. Un esempio è quello dei 30 MW dell'impianto eolico di Villore, nel Mugello. È un progetto che dovrebbe finalmente partire, ma che è rimasto a lungo bloccato dall'opposizione di molti gruppi (pseudo) ambientalisti. 

Pensateci un attimo: nella storia dell'impianto di Villore stiamo vedendo persone che sostengono che dobbiamo arrivare a "emissioni zero" e che allo stesso tempo manifestano in piazza contro gli strumenti che lo renderebbero possibile. Come facciano a non vedere la contraddizione è uno dei tanti misteri dell'universo. Ma è il miracolo della propaganda: non si preoccupa delle sue stesse contraddizioni. Alla fine, la realtà vince sempre, ma può essere una storia lunga e molta gente è destinata a soffrire nel processo. 

Su questa faccenda ho descritto la mia opinione in un articolo sul Fatto Quotidiano. Devo aver colpito un punto sensibile, perché mi sono avuto diversi commenti piuttosto piccati sui social. Come succede sempre, quando qualcuno è a corto di argomenti non trova altra via di uscita che prendersela con la persona. Ed è stato questo che è successo: a parte l'accusa di essere venduto ai poteri forti, qualcuno mi ha addirittura paragonato a Roberto Burioni (!). Era inteso come un insulto, ma è anche vero che Burioni è un genio della comunicazione (genio del male, ovviamente!). Quindi, lo prendo perlomeno come una lode parziale.

Per concludere, accennavo all'inizio dell'opinione di Aurelio Peccei, molto simile alla mia. Anche lui, fra le altre cose, si ebbe insulti e accidenti da parte del famoso "cornucopiano" Julian Simon, che lo accusò di mentire e di essere anche lui venduto ai poteri forti. La storia la racconta Simon nel suo libro "The Ultimate Resource" del 1981. E io la racconto di nuovo nel mio libro "The Limits to Growth Revisited" del 2014.


mercoledì 21 dicembre 2022

Il Miracolo delle Rinnovabili: Buon Natale a Tutti


Questo è un post che avevo pubblicato qualche giorno fa sul Fatto Quotidiano". E' un po' ottimista, ma abbiamo bisogno di ottimismo. Ce la possiamo fare: andiamo avanti verso un mondo migliore. E Buon Natale! UB


Si sa che i miracoli non sono una cosa tanto frequente e, se uno ha grossi problemi di salute, non è probabile che basti una nuotatina nella piscina di Lourdes per risolverli. Però, è anche vero che alle volte le cose cambiano rapidamente, aprendo nuove possibilità. È quello che sta succedendo con l’energia rinnovabile. Parlare di “miracolo” è un po’ troppo, lo so, ma gli sviluppi recenti della tecnologia ci hanno messo a disposizione uno strumento che fino a pochi anni fa non ci sognavamo nemmeno di avere. E questo potrebbe risolvere certi problemi che una volta sembravano irrisolvibili.

Per anni, sono andato in giro facendo conferenze sul cambiamento climatico e altri guai in vista, come l’esaurimento del petrolio. Di solito, quelli che venivano a sentire erano persone preparate a un messaggio non proprio tranquillizzante, ma il problema era cosa fare in proposito. Alla fine della conferenza, seguiva un dibattito in cui si dicevano sempre le stesse cose: andare in bicicletta, abbassare il termostato di casa, mettere doppi vetri alle finestre, lampadine a basso consumo, cose del genere.

Era un piccolo rituale tranquillizzante ma, in realtà, tutti sapevano che queste non erano vere soluzioni. Non che non servano a niente, ma sono spennellatine di verde su un sistema che continua a dipendere dai combustibili fossili per funzionare. Così, sono almeno vent’anni che si parla di doppi vetri e biciclette, ma le emissioni di CO2 continuano ad aumentare come prima, anzi, più rapidamente di prima. Se non andiamo al cuore del problema, ovvero a eliminare i fossili, non arriviamo a niente. Ma come fare? Fino a pochi anni fa, sembrava che non ci fosse nessun modo eccetto tornare a zappare i campi come nel Medioevo.

Ma oggi le cose sono cambiate radicalmente. Probabilmente non ve ne siete accorti, presi dal dibattito sulle elezioni. Ma che vinca la destra o la sinistra, cambia poco: il cambiamento, quello vero, sta arrivando con le tecnologie rinnovabili. Gli impianti eolici e fotovoltaici sono stati ottimizzati e i fattori di scala hanno generato massicci risparmi sui costi di produzione. Oggi, un chilowattora prodotto da un pannello fotovoltaico costa forse un fattore dieci di meno del chilowattora da gas naturale (e anche un quinto del chilowattora nucleare). Una volta, chiamavamo l’energia rinnovabile “alternativa,” ma oggi tutte le altre sono “alternative”.

Inoltre, produrre energia con impianti rinnovabili non inquina, non richiede materiali non riciclabili, non genera gas serra, non è suscettibile di sanzioni, e nessuno può bombardare il sole per lasciarci senza energia. Ora, non mi fate dire che le rinnovabili hanno risolto automaticamente tutti i problemi. È vero che oggi costano poco, ma è vero anche che non sono gratis. Poi, ci vogliono investimenti per adattare le infrastrutture energetiche di tutto il paese, per creare dei sistemi di stoccaggio dell’energia, e molto altro. Non sono cose che si possano fare in un mese, e nemmeno in pochi anni. Si parla di un decennio, come minimo, per arrivare a un sistema energetico basato principalmente sulle rinnovabili.

Ma è anche vero che ogni viaggio comincia dal primo passo. E adesso vediamo davanti a noi una strada da percorrere. Una strada che ci porta verso un mondo più pulito, più prospero e, sperabilmente, meno violento. Non ho smesso di andare in giro a fare conferenze ma, adesso, posso proporre delle soluzioni reali. E non sono solo io a essermi reso conto del cambiamento. Nel dibattito, oggi si sente l’entusiasmo di poter fare qualcosa di concreto. Molta gente chiede se possono installare pannelli fotovoltaici a casa loro. Altri raccontano di averlo già fatto. Alcuni sono arrabbiati neri (giustamente) con la burocrazia che gli impedisce di installare sul loro tetto o nel loro giardino. Lo vedete anche nelle discussioni sui social media.

C’è sempre qualcuno che parla contro le rinnovabili ragionando come i flagellanti medievali che andavano in giro gridando “ricordati che devi morire”. Ma c’è anche chi gli risponde per le rime, tipo, “e allora andate pure a vivere felici nella vostra grotta insieme agli altri cavernicoli.” (o anche, come Massimo Troisi, “mo’ me lo segno”). Se avete un balcone esposto a sud (e se il vostro comune non vi mette i bastoni fra le ruote), potete già installare dei pannelli fotovoltaici appesi alla ringhiera che vi aiuteranno a ridurre la bolletta dell’elettricità. Un pezzetto per volta, ci riusciremo!



sabato 17 dicembre 2022

La fine dell'Europa: La conclusione di un lungo ciclo storico.

Il fallimento dell'Unione Europea potrebbe essere iniziato con la scelta della bandiera. Non che le bandiere nazionali debbano essere opere d'arte, ma almeno possono essere fonte di ispirazione. Ma questa bandiera è completamente piatta, non è originale ed è solo deprimente. Sembra una pizza al gorgonzola andata a male. E questa è solo una delle tante cose che non vanno bene dell'Unione Europea. (itentativi di renderla più attraente sono falliti completamente). È la conclusione di un ciclo millenario che sta per finire. Probabilmente era inevitabile, ma questo non lo rende meno doloroso.



L'Europa ha una lunga storia che risale a quando le calotte glaciali si ritirarono alla fine dell'ultima era glaciale, circa 10.000 anni fa. A quel tempo, i nostri remoti antenati si trasferirono in una terra incontaminata, la coltivarono, costruirono villaggi, strade e città. Viaggiarono, migrarono, combatterono tra loro, crearono culture, costruirono templi, fortezze e palazzi. Sulla costa meridionale dell'Europa emerse una vivace rete di scambi commerciali, resa possibile dal trasporto marittimo sul Mar Mediterraneo. Da questa rete nacque la civiltà greca e poi, verso la fine del primo millennio a.C., l'Impero romano. Esso comprendeva la maggior parte dell'Europa occidentale.(immagine dall'ESA)


Come tutti gli imperi, anche l'Impero Romano ha attraversato il suo ciclo di gloria e declino. Nel V secolo d.C., quando l'Europa entrò nel Medioevo, l'Impero era scomparso se non come ricordo della passata grandezza. Nei secoli successivi, la popolazione dell'Europa occidentale diminuì fino al minimo storico, forse meno di 20 milioni di persone. L'Europa divenne una terra di fitte foreste, rovine gigantesche, piccoli villaggi e signori della guerra in lotta tra loro. Nessuno poteva immaginare che, secoli dopo, gli europei sarebbero diventati i dominatori del mondo.

A volte i crolli portano con sé il seme della ripresa. È quello che ho chiamato il"Seneca Rebound". Per qualche motivo, noi moderni denigriamo il Medioevo, chiamandolo "Età Oscura". Ma non c'era nulla di oscuro durante il Medioevo europeo: l 'Europa era povera in termini materiali, ma gli europei riuscirono a creare una cultura fatta di letteratura raffinata, splendide cattedrali, musica sofisticata, tecnologie avanzate e molto altro. Uno dei motivi della prosperità della cultura europea era la presenza di strumenti che mancavano ad altre regioni del mondo. Uno di questi era la lingua latina, utilizzata per mantenere viva l'antica cultura classica e le sue conquiste. Inoltre, favorì gli scambi commerciali e creò forti legami culturali in tutto il continente. Gli europei ereditarono anche la maggior parte del diritto e della cultura romana e le tecnologie romane in campi come la metallurgia e la costruzione di armi.

Quando l'Europa si riprese dal crollo del V secolo, nuove miniere di metalli preziosi nell'Europa orientale iniziarono a riversare ricchezza nel continente. Il risultato fu esplosivo. Già nell'800 d.C. Carlo Magno, re dei Franchi, riuscì a mettere insieme un esercito abbastanza potente da creare un nuovo impero europeo, il "Sacro Romano Impero". Con l'inizio del millennio, la popolazione europea cresceva rapidamente e aveva bisogno di spazio per espandersi. L'Europa era una molla caricata, pronta a scattare. Nel 1095, un'ondata di eserciti uscì dall'Europa e si riversò nel Vicino Oriente. Era l'epoca delle Crociate.

Inizialmente, l'invasione del Medio Oriente fu un successo spettacolare: gli eserciti cristiani sconfissero i governanti locali, fondarono nuovi regni e ricrearono un collegamento commerciale diretto con l'Asia orientale, lungo la Via della Seta. Ma il compito era troppo grande per un'Europa ancora giovane. Dopo due secoli di lotta, gli eserciti europei furono costretti ad abbandonare la Terra Santa, sconfitti e allo sbando. A questo punto, l'Europa si trovò ad affrontare nuovamente il problema che aveva cercato di risolvere con le Crociate: la sovrappopolazione. 

Il problema si risolse da solo con un rapido crollo della popolazione, prima con la grande carestia (1315-1317), poi con la peste nera. L'Europa del XIV secolo era così indebolita che rischiò seriamente di essere sopraffatta dagli eserciti mongoli provenienti dall'Asia. Fortunatamente per gli europei, i mongoli non potevano sostenere un attacco su larga scala così lontano dal centro del loro impero.


Nonostante le devastazioni della peste nera, l'Europa riemerse con la sua cultura, la sua struttura sociale e le sue conoscenze tecnologiche ancora intatte. L'Europa non si limitò a riprendersi, ma si entrò in uno spettacolare ciclo di crescita. Le tecnologie di costruzione navale furono migliorate, permettendo agli europei di navigare attraverso gli oceani. Durante le loro dispute interne, gli europei avevano anche trasformato le armi da fuoco in armi terribilmente efficaci. Durante il XVI e il XVII secolo, respinsero i tentativi dell'Impero Ottomano di espandersi in Europa. Gli Ottomani ricevettero un duro colpo sul mare a Lepanto, nel 1571. Poi, furono sconfitti in modo decisivo sulla terraferma all'assedio di Vienna, nel 1683. Con i confini orientali ormai al sicuro, gli europei ebbero mano libera per espandersi oltreoceano.

Il XVI secolo vide la nascita di un modello che sarebbe durato per diversi secoli. Gli eserciti europei invadevano regni stranieri, schiacciavano ogni resistenza militare e sostituivano i leader locali con quelli europei. A volte usavano gli abitanti locali come schiavi, altre volte li spazzavano via e li sostituivano con coloni europei. Le nuove terre furono un'incredibile fonte di ricchezza. L'Europa importava metalli preziosi, legname, spezie e persino cibo sotto forma di zucchero prodotto dalla canna da zucchero. L'afflusso di oro e argento da oltreoceano stimolò l'economia europea, mentre il legname permise agli europei di costruire più navi. Le importazioni di cibo permisero alla popolazione europea di crescere e di mettere in campo nuovi eserciti in grado di conquistare nuove terre che producevano ancora più cibo.

Tuttavia, l'espansione europea iniziò a rallentare nel XVII secolo. La guerra dei 30 anni, dal 1618 al 1648, fu un terribile disastro che potrebbe aver sterminato il 10% della popolazione europea, o forse molto di più. Poi, come sempre accade con le guerre, seguì un'altra epidemia di peste. L'Europa sembrava aver raggiunto un nuovo limite alla sua espansione. Lo zucchero proveniente dalle colonie d'oltremare non era sufficiente, da solo, a sostenere il bisogno di materiali per mantenere ed espandere ulteriormente l'impero europeo. Il legno era necessario per produrre navi e, allo stesso tempo, per essere trasformato in carbone di legna necessario per fondere i metalli. Ma gli alberi si stavano esaurendo in Europa e l'importazione di legname da oltreoceano era costosa. La maggior parte dei Paesi dell'Europa meridionale vide le proprie foreste ridursi e la propria crescita arrestarsi.

(immagine tratta da Foquet e Bradberry). (La Francia non è mostrata nella figura, ma presenta un andamento simile a quello dell'Inghilterra).

Nonostante i problemi, le economie del Nord Europa (soprattutto l'Inghilterra) ripresero rapidamente a crescere dopo la crisi del XVII secolo. Il trucco era un nuovo sviluppo tecnologico: il carbone. Il carbone era già stato utilizzato come combustibile in epoca romana, ma nessuno nella storia lo aveva mai usato su così larga scala. Con il carbone, gli europei non avevano più bisogno di distruggere le loro foreste per produrre ferro e acciaio. Fu l'inizio di una nuova, fortunata ripresa. All'inizio del XX secolo, l'Europa dominava il mondo intero, direttamente o indirettamente.

La popolazione europea secondo Zinkina et al. (2017). I due cali del XIV e del XVII secolo sono chiaramente visibili, anche se meno drammatici su questa scala rispetto al precedente lavoro di Langer.

Come tipico degli imperi, una volta completate le conquiste arrivò il momento del consolidamento. Non più le rischiose avventure dei singoli Stati, ma un governo centrale che gestisse l'impero e lo tenesse unito. Per gli antichi Romani, era stato compito di Giulio Cesare creare uno Stato forte e centralizzato. Per l'Europa moderna, la storia era molto più difficile: come domare un gruppo di stati litigiosi che sembravano passare la maggior parte del tempo a farsi la guerra tra loro?

L'imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo V (1500-1558), fu tra i primi a provarci, senza successo. Il suo successore, Filippo II di Spagna (1527-1598), tentò di sottomettere la Gran Bretagna con la sua "invincibile armata" nel 1588, ma anche lui fallì. Il declino della Spagna lasciò spazio ad altre potenze europee per tentare di nuovo. Napoleone Bonaparte (1769-1821) ci era quasi riuscito, ma i suoi sogni imperiali naufragarono a Trafalgar e poi morirono di freddo nelle pianure russe. Poi, fu la volta della Germania. Il tentativo iniziò nel 1914 e di nuovo nel 1939. In entrambi i casi, fu un tragico fallimento. Anche la debole Italia aveva sogni imperiali. Negli anni '40, Benito Mussolini tentò di ricreare una nuova versione dell'antico Impero Romano nel Mar Mediterraneo. Un fallimento totale, ancora una volta.

Più volte, le aspiranti potenze imperiali europee si trovarono di fronte a una sfida impossibile. A Occidente, la Gran Bretagna non aveva alcun interesse a veder sorgere un Impero europeo dall'altra parte della Manica. Lo stesso valeva per l'Oriente, con la Russia che non voleva vedere una grande potenza sorgere vicino ai suoi confini. Il risultato fu che gli eserciti europei si trovarono spesso a combattere su due fronti contemporaneamente. Inoltre, il Mar Mediterraneo era nella ferrea morsa della marina britannica: le potenze continentali non potevano espandersi a sud. Con la fine della Seconda Guerra Mondiale, l 'Europa uscì dalla lotta distrutta, impoverita e umiliata.

L'ultimo (e forse l'ultimo) tentativo di unificare l'Europa è stata l'Unione Europea. I creatori dell'Unione capirono che era impossibile unificare l'Europa con mezzi militari, quindi cercarono di farlo sotto forma di una zona franca economica e di un parlamento eletto. È stato un tentativo coraggioso, ma non ha funzionato. Non avrebbe potuto funzionare. L'Unione doveva affrontare enormi forze ostili, sia interne che esterne. Gran Bretagna e Francia avrebbero dovuto bilanciare la potenza tedesca, ma quando la Gran Bretagna se ne andò con la "Brexit", nel 2020, l'Unione subì una sconfitta equivalente a quella militare subita dalla Germania nella Battaglia d'Inghilterra, nel 1940. In entrambi i casi, era il fallimento del tentativo di assorbire la Gran Bretagna nel sistema economico dell'Europa continentale.

La defezione della Gran Bretagna ha lasciato l'Unione Europea dominata dalla Germania. Proprio come durante la Seconda Guerra Mondiale, il governo tedesco non ha mai compreso che fare il gradasso non era il modo per farsi apprezzare dagli Stati vicini. Il risultato è stato la crescita di forze antieuropee in tutto il continente. Il movimento chiamato "sovranismo" mira a ripristinare il potere degli Stati nazionali e a sbarazzarsi dei burocrati dell'UE. Finora questo movimento ha giocato solo un ruolo marginale nella politica, ma è riuscito a rendere l'UE profondamente odiata da tutti coloro che non ricevono uno stipendio da Bruxelles.

Proprio come era accaduto nel 1941, l'Europa è ora impegnata in una battaglia disperata su due fronti diversi, ma la lotta è ora principalmente economica e culturale, non militare: è una guerra di "dominio a tutto spettro". La lotta è ancora in corso, ma sembra già chiaro che l'Europa è stata sconfitta. Proprio come la Germania si era autodistrutta con un attacco militare alla Russia nel 1941, l'Unione Europea si sta autodistruggendo con le sue sanzioni economiche contro la Russia. Di fatto, l'Europa sta commettendo un lento e doloroso suicidio. Ma è così che funziona il dominio a tutto spettro: distrugge i nemici dall'interno.

E ora? Era inevitabile che l'Europa cessasse di essere un Impero. Le risorse umane e materiali che avevano reso possibile il dominio europeo non ci sono più. Ma non era inevitabile che l'Europa si autodistruggesse. L 'Europa avrebbe potuto sopravvivere e mantenere la sua indipendenza rimanendo in buoni rapporti con le altre potenze eurasiatiche, Cina, Russia e India, ma scegliere di rompere le relazioni commerciali, culturali e umane con il resto dell'Eurasia non è stato solo un suicidio economico. È stato un suicidio culturale e morale.

Quindi, cosa succederà alla povera Europa? La storia, come al solito, fa rima: non dimenticate che nel 1945 il piano ufficiale degli Stati Uniti prevedeva la distruzione dell'economia tedesca e lo sterminio della maggior parte della popolazione tedesca. Fortunatamente il piano è stato accantonato, ma questa idea potrebbe tornare di moda? Non possiamo escludere che stati più potenti della debole coalizione Europea decidano che la distruzione dell'economia Europea sia una cosa conveniente per loro. E che quelli che non sopravviveranno al crollo economico, non sono un loro problema. Un'Europa impoverita potrebbe tornare a essere qualcosa di non dissimile da ciò che era nell'Alto Medioevo: spopolata, povera, primitiva, una mera appendice del grande continente eurasiatico.

Eppure, l'Europa si è ripresa più di una volta da terribili disastri. Potrebbe accadere di nuovo. Ma non a breve termine.


Altrettanto attraente di una pizza al gorgonzola andata a male