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martedì 20 giugno 2023

Energia: uno che ha capito qualcosa fra i molti che non hanno capito nulla.

 


Mauro Romanelli parte subito bene con il titolo del suo libro, "La Risposta". C'è una sottile, ma non tanto sottile, differenza tra "risposta" e "soluzione." Normalmente, quando si parla di "problema energetico", oppure "problema climatico", oppure "problema ecologico" si parla di soluzione, ma la soluzione a un problema vuol dire che il problema non esiste più dopo che lo hai risolto. Se hai un equazione, la risolvi, trovi la soluzione, e poi la cosa finisce lì. Allo stesso modo, nel caso, del problema energetico, la soluzione vuol dire far sparire il problema sostituendo i combustibili fossili con qualche altra cosa che brucia, tipo idrogeno o biocombustibili, ma che non cambia niente altro. Non funziona così.

La risposta non è la stessa cosa di una soluzione. La risposta vuol dire affrontare il problema. Vuol dire capirlo e viverci in qualche modo insieme. Dare una risposta è un concetto politico, non puramente tecnico. E se non capiamo bene questo punto, saremo condannati a rincorrere soluzioni che non esistono.  E che non possono nemmeno esistere.

Un altro punto che Romanelli azzecca in pieno è quando parla di "borghesia innovativa delle energie rinnovabili", Finché le rinnovabili sono viste soltanto come una tecnologia, non ci porteranno in nessun posto. Ma una volta che abbiamo capito che sono un concetto profondamente politico, vuol dire che c'è una sezione del corpo sociale che ne fa una propria bandiera. 

Politica dell'energia, l'energia come politica. Era Lenin che diceva che "il comunismo è i soviet più l'elettrificazione". Non aveva torto: la parola "Soviet" in Russo vuol dire semplicemente "cooperativa" e l'idea era di mettere in mano alle cooperative i mezzi di produzione -- quello dell'elettricità era il principale, alla base di tutti gli altri. 

E ora siamo davanti a qualcosa di simile, ma più vicino alla rivoluzione francese che a quella del comunismo sovietico. Chi controllerà i futuri mezzi di produzione dell'energia? Chiaramente, le elite attuali hanno tutto l'interesse di mantenere il controllo della produzione di fossili, o al massimo di muoversi verso il nucleare, il cui controllo può essere militarizzato e centralizzato. Viceversa, sta nascendo una nuova classe politica che vede la propria prosperità economica basata sulle energie distribuite sul territorio. Se cresce a sufficienza, potrà sostituire la vecchia nobiltà fossile; sperabilmente senza l'uso della ghigliottina. E' questa una possibile strada per il futuro. 

Ma se uno ha capito più o meno tutto, tanti altri non han capito proprio niente, specialmente fra i "verdi" e gli ecologisti che dovrebbero essere quelli che spingono in questa direzione. Anche alla presentazione del libro di Romanelli, l'altro giorno a Firenze, abbiamo visto intervenire una delegazione di quelli che fanno i cortei contro le pale eoliche perché "deturpano il paesaggio." E non si rendono conto di quanto sia cruciale in questo momento lasciare aperta la strada all'energia rinnovabile, prima che la propaganda nuclearista la schiacci, come sta per succedere se lo lasciamo succedere. 

Anche su questo, Romanelli ha capito più o meno tutto quando dice: non c'è niente da fare, un certo impatto sul territorio le rinnovabili lo devono avere per forza. Se non volete questo impatto, avrete altri impatti sulla vostra vita che probabilmente non vi piaceranno affatto. E il libro spiega molto bene e in termini semplici come funzionano le rinnovabili e che impatto e quale effetti avranno se ci lavoreremo sopra.  


Mauro Romanelli lo conosco da almeno una trentina d'anni, dai tempi in cui la "Lista Verde" era un gruppo di persone speranzose di poter fare qualcosa di buono e di utile. Su tante cose ci siamo anche litigati a morte, ma mi fa piacere  vedere che è ancora sulla breccia e che ha imparato le cose giuste. Bravo Mauro, continua così!





venerdì 30 dicembre 2022

Il popolo ha fame? Che faccia una dieta dimagrante!


Il movimento ambientalista, in particolare quello Italiano, è rimasto legato a concetti ormai obsoleti, come quello della "decrescita," vista come una cosa buona, addirittura "felice".  Non si rendono conto che, al momento, "decrescita" significa semplicemente un impoverimento generalizzato che colpisce i più poveri. È una cosa ormai probabilmente inevitabile ma, perlomeno, non dovremmo far finta di essere contenti. 

Negli anni 1970, un giornalista intervistò Aurelio Peccei, il fondatore del "Club di Roma" e lo sponsor del rapporto sui "Limiti dello Sviluppo" del 1972. Gli chiese se era favorevole al concetto di "crescita zero." Peccei rispose, indignato, "nemmeno per idea!" La crescita zero, spiegava Peccei, voleva dire semplicemente lasciare i poveri del pianeta alla loro povertà. Invece, i poveri dovevano avere la possibilità di crescere fino a raggiungere un livello di vita decente. Solo allora si sarebbe potuto parlare di stabilizzare il sistema economico. 

Peccei era un illuminato in molti sensi. Era anche un ingegnere: si rendeva conto che i problemi concreti hanno bisogno di soluzioni concrete. Ovvero, che non è il caso di parlare agli affamati dei benefici delle diete dimagranti. All'epoca, il problema energetico non si poneva ancora con chiarezza, ma Peccei si sarebbe sicuramente reso conto che bisogna dare energia a chi ne ha bisogno. Non possiamo mangiare l'energia, ma senza energia non possiamo mangiare. E non ne abbiamo affatto in abbondanza. 

Nella situazione attuale, stiamo andando verso il disastro, fra i blocchi commerciali, la mancanza di fertilizzanti, il cambiamento climatico, le guerre, e tutto il resto. E i dati della FAO ci dicono che la fame ha ripreso ad aumentare dopo aver raggiunto un minimo, intorno al 2015. Al momento, siamo a circa il 10% di persone affamate nel mondo, vicino a un miliardo di persone. Cosa gli dici a questi? Di decrescere? Non vi sembrano già magri abbastanza?

Purtroppo, il movimento ambientalista si trova completamente spiazzato di fronte agli ultimi sviluppi della crisi economica e ecologica. Una buona frazione degli ambientalisti nostrani (per fortuna non tutti) sono rimasti legati al concetto di "decrescita" come se fosse una cosa buona e virtuosa. Certe volte accoppiandola con l'aggettivo "felice." Non si rendono conto di quanto questa idea sia obsoleta. 

Forse, negli anni del boom economico, poteva aver senso parlare di ridurre gli sprechi ma, oggi, c'è rimasto ben poco da ridurre. Quello che chiamiamo "decrescita" è ormai un termine in "newspeak" di stampo orwelliano ("guerra è pace") che indica la distruzione della classe media in Occidente. Come è tipico del newspeak, indica un certo concetto con il suo esatto contrario. Non solo i cittadini occidentali vengono spogliati dei loro averi dalle élite ("decrescita"), ma ne dovrebbero anche essere contenti ("decrescita felice"). Un vero trionfo della propaganda moderna. 

La caratteristica principale della propaganda è la sua capacità di convincere la gente ad agire in modi che danneggiano loro stessi. Nelle sue forme più ingenue vuol dire, per esempio, fare la doccia fredda per "colpire Putin." Ma in forme molto più distruttive vuol dire, per esempio, spingere gli ambientalisti a opporsi a opere di cui abbiamo disperatamente bisogno. Un esempio è quello dei 30 MW dell'impianto eolico di Villore, nel Mugello. È un progetto che dovrebbe finalmente partire, ma che è rimasto a lungo bloccato dall'opposizione di molti gruppi (pseudo) ambientalisti. 

Pensateci un attimo: nella storia dell'impianto di Villore stiamo vedendo persone che sostengono che dobbiamo arrivare a "emissioni zero" e che allo stesso tempo manifestano in piazza contro gli strumenti che lo renderebbero possibile. Come facciano a non vedere la contraddizione è uno dei tanti misteri dell'universo. Ma è il miracolo della propaganda: non si preoccupa delle sue stesse contraddizioni. Alla fine, la realtà vince sempre, ma può essere una storia lunga e molta gente è destinata a soffrire nel processo. 

Su questa faccenda ho descritto la mia opinione in un articolo sul Fatto Quotidiano. Devo aver colpito un punto sensibile, perché mi sono avuto diversi commenti piuttosto piccati sui social. Come succede sempre, quando qualcuno è a corto di argomenti non trova altra via di uscita che prendersela con la persona. Ed è stato questo che è successo: a parte l'accusa di essere venduto ai poteri forti, qualcuno mi ha addirittura paragonato a Roberto Burioni (!). Era inteso come un insulto, ma è anche vero che Burioni è un genio della comunicazione (genio del male, ovviamente!). Quindi, lo prendo perlomeno come una lode parziale.

Per concludere, accennavo all'inizio dell'opinione di Aurelio Peccei, molto simile alla mia. Anche lui, fra le altre cose, si ebbe insulti e accidenti da parte del famoso "cornucopiano" Julian Simon, che lo accusò di mentire e di essere anche lui venduto ai poteri forti. La storia la racconta Simon nel suo libro "The Ultimate Resource" del 1981. E io la racconto di nuovo nel mio libro "The Limits to Growth Revisited" del 2014.