domenica 3 febbraio 2019

Guerra e sovrappopolazione.

di Jacopo Simonetta

La guerra sta tornando d’attualità. Molti ne parlano e si chiedono se dove scoppierà la prossima "Grande Guerra".  Ovviamente, non è possibile fare previsioni, ma si possono valutare i livelli di rischio, tenuto conto di una serie di parametri fra cui la demografia che, però, viene spesso trattata con superficialità.  Il "numero" non sempre "è potenza" e può anzi essere una fatale debolezza; dipende non tanto da quanta gente c'è, bensì da come la crescita demografica si interseca con quella economica, oltre che con i parametri politici, tecnologici e militari.   Vediamo di fare un poco di chiarezza, cominciando a capire che cos'è la "sovrappopolazione", perché non è così banale come potrebbe sembrare.

La sovrappopolazione negli altri animali.

Negli altri animali le cose sono relativamente semplici, almeno sul piano concettuale.  La sovrappopolazione è il fenomeno che si verifica quando il numero di capi supera la capacità di carico del territorio; vale a dire la locale disponibilità di risorse (cibo, acqua, rifugio, tranquillità, ecc.).  Normalmente negli ecosistemi naturali non ci sono problemi con i rifiuti che sono risorse per altri elementi della biocenosi.

Di solito, le popolazioni non superano la soglia della propria sostenibilità perché ne sono impedite dalla crescente efficacia di una serie di retroazioni negative (peggiore alimentazione, peggiori rifugi, maggiore predazione, epidemie, ecc.).
Se la popolazione si mantiene a lungo vicino alla capacità di carico, una parte dei giovani emigra, in cerca di nuovi territori.  Di solito muoiono presto, ma alle volte fondano nuovi nuclei vitali e l’areale della popolazione si espande.   Il ritorno del lupo in gran parte d’Europa ha seguito questo schema, grazie alla presenza di vaste superfici boschive ed all'abbondanza di ungulati selvatici.

Talvolta però, inconsuete combinazioni di eventi, o la particolare biologia di alcune specie, portano a superare la fatidica soglia, causando un degrado dell’ecosistema.   La conseguenza è sempre una morìa che è tanto più grave quanto più è ritardata.   Anche le leggendarie “migrazioni” dei lemming sono in realtà delle ecatombe perché quasi nessuno degli individui che partono sopravvive abbastanza da riprodursi.   Nelle locuste migratrici poi, lo sciame migrante è addirittura composto da individui sterili.

Il punto importante è che, per ogni giorno in cui la popolazione rimane al di sopra della propria capacità di carico, l’ambiente si degrada riducendo la capacità di carico stessa. Spostando cioè al ribasso il livello di equilibrio che si dovrà necessariamente raggiungere.

Come dire che più precoce e più rapido è il colpo di falce, minore è il numero dei morti necessario per salvare la popolazione.

Questo lo sanno tutti ed è per questo che parlare di sovrappopolazione umana è così allergenico.

La sovrappopolazione umana.

Nella nostra specie la dinamica ecologica accennata sopra rimane valida, ma ad essa si sommano molte altre variabili che complicano notevolmente il quadro.  Vediamo i principali ordini di fattori coinvolti.

Risorse.  Lo abbiamo in comune con le altre specie, ma per noi è molto più complesso in quanto la nostra vita dipende da un economia e da una tecnologia senza precedenti che richiedono un flusso continuo di praticamente qualunque cosa esista ed in particolare di energia.   Cioè la nostra specie è l’unica ad essere letteralmente “onnivora” e questo ci rende una vera e propria “mina vagante” all'interno della Biosfera.

Discariche.  Al contrario degli altri animali, molto spesso per noi il principale fattore limitante non è la carenza di risorse, bensì l’inquinamento provocato dal loro consumo.  Il Global Warming ed il buco nello ozono sono dei casi ben noti, ma certamente non i soli.

Cultura e religione.  Le credenze considerate identitarie hanno un forte impatto sulle scelte umane, compresi il comportamento riproduttivo e la predisposizione alla violenza.  Possono cambiare, ma solo se vengono sostituite con una diversa fede (anche laica) altrettanto profondamente sentita.   Diversamente dagli altri animali, fra la propria vita e la propria identità culturale, spesso l’uomo sceglie la seconda, magari senza rendersene conto.

Struttura sociale.  In particolare, il grado di autonomia delle donne nel decidere di se stesse ha un forte impatto sulla natalità che risulta minore nelle società meno discriminatorie nei confronti delle femmine.   Invece, la longevità degli anziani dipende soprattutto da fattori economici e ambientali.  La possibilità di migrare dipende, infine, da un complesso di fattori politici e militari; tutti fattori che hanno molto a che fare anche con la predisposizione alla violenza.

Dinamica e struttura demografica.  Rispetto alle altre grandi scimmie, l’uomo è potenzialmente molto longevo, cosa che gli consente di avere tassi di crescita demografica molto rapidi malgrado la relativamente bassa natalità e la lunghezza del periodo prepuberale.   Un’altra caratteristica, questa, che contribuisce a rendere la nostra specie particolarmente destabilizzante.

Il punto qui fondamentale è però che, quando la popolazione comprende una maggioranza di giovani, la società è strutturalmente turbolenta e facilmente vira alla violenza anche estrema.   Secondo Gaston Bouthoul (padre della "polemologia") il cosiddetto “bubbone giovanile” è l’unico ingrediente comune a tutte le guerre conosciute.  Diciamo che costituisce una condizione necessaria, ma non sufficiente allo scoppio di conflitti che abbiano impatti demografici significativi.

Economia. La crescita economica scatena la crescita demografica, fra le due si attiva quindi una retroazione positiva che dura finquando gli altri fattori lo consentono.  Prima o poi la crescita economica però rallenta e finisce, mentre la crescita demografica continua ancora per qualche tempo, erodendo il benessere acquisito nella fase precedente e generando quindi miseria, paura e rabbia. Cioè creando i presupposti per scoppi di violenza di vario genere.  Esattamente quello che sta accadendo a noi proprio adesso.

Tecnologia.  La tecnologia non consente di ricreare le risorse distrutte, ma consente di usarne di nuove e/o di sfruttare con maggiore efficienza quello che resta.  Il suo effetto è quindi quello di aumentare la capacità di carico umana, ma a costo di erodere lo spazio ecologico delle altre specie.   Migliore è la tecnologia disponibile, più ampia è la nostra nicchia ecologica, a scapito di tutte le altre.
Inoltre, la tecnologia evolve in tempi inimmaginabilmente più rapidi di quelli dell’evoluzione biologica, col risultato di fare della nostra specie un’entità sempre e comunque aliena e sovversiva di biocenosi che, al contrario, sono di solito costituite da popolazioni coevolutesi le une in funzione delle altre per tempi lunghissimi.

Finora, il progresso tecnologico è proceduto a passo di carica grazie alla sinergia fra esso ed un flusso crescente di energia netta per alimentare la tecnologia stessa.  Una sinergia che però sta entrando in crisi con l’irreversibile degrado quali-quantitativo delle fonti energetiche.  Questo apre scenari nuovi e preoccupanti circa la competizione per le risorse rimaste e, in una prospettiva leggermente più lunga, per il livello tecnologico delle società del prossimo futuro.

Comunque, il punto fondamentale  è che se cresciamo tanto da far collassare i servizi ecosistemici vitali (tutti dipendenti da specie non umane), ci condanniamo da soli all'estinzione. Quale che sia la tecnologia di cui disponiamo.

Tutti questi ordini di fattori sono interdipendenti ed è perciò che non è possibile stabilire a priori quanta gente può vivere pacificamente in una determinata regione o sulla Terra intera.  Si può però capire quando il nostro impatto è eccessivo osservando una serie di indicatori.  Peggioramento delle condizioni ambientali, aumento della turbolenza sociale e dei flussi migratori, peggioramento dell’economia, governi più autoritari, minore natalità e/o maggiore mortalità, disoccupazione, tendenza alla disgregazione delle società complesse in strutture più semplici, miseria, ecc.  sono tutti sintomi di sovrappopolazione.

Attenzione che nessuno di questi è specifico della sovrappopolazione e non necessariamente tutti sono presenti, ma quando alcuni di questi si manifestano, sarebbe doveroso drizzare le antenne.  Anche perché, se si supera la soglia, si rientra necessariamente in quella dinamica di rincorsa al ribasso fra popolazione e capacità di carico, già vista per le specie non umane.

E la guerra in tutto ciò?

Dunque la sovrappopolazione è uno stato patologico ricorrente in cui la quantità di individui x consumi x tecnologia (la leggendaria formula I=PAT) inizia a produrre dei cambiamenti ambientali avversi tipo erosione, estinzioni, inquinamento, turbolenza sociale, estrema povertà, ecc.   Di solito questo avviene al termine di una fase di rapida crescita demografica, quindi con un gran numero di giovani che hanno ben poche prospettive, cosa che rende la società particolarmente soggetta alla violenza.  Non tutte le guerre sono state provocate dalla sovrappopolazione e non tutte le crisi demografiche si sono risolte con una carneficina, ma di solito una fase di violenza estrema è la valvola di sfogo di queste situazioni.

Anche le migrazioni sono sempre state connesse con guerre (in senso lato), tranne nei pochi casi in cui le società d’arrivo si trovavano ad avere il problema opposto: una popolazione insufficiente a sfruttare pienamente le opportunità di crescita del momento.   Ed una cosa non esclude l’altra.  Ad esempio, in passato i governi di alcuni stati hanno incoraggiato l’arrivo di grandi masse di migranti che sono stati utilizzati per sviluppare le opportunità economiche del momento e, contemporaneamente, eliminare le popolazioni indigene che facevano ostacolo.  La colonizzazione degli USA è il caso più celebre, ma la colonizzazione della Siberia, di vaste regioni del Sud-america, dell’Australia e di molte altre zone hanno seguito uno schema analogo.  Diciamo che la storia delle civiltà è anche la storia dell’eliminazione delle civiltà precedenti. In questo, la civiltà industriale non ha inventato assolutamente nulla, ma ha accelerato ed ampliato gli effetti di questo tipo di dinamica.

Questo, in soldoni, il quadro, solo che oggi ci troviamo di fronte ad una crisi di sovrappopolazione molto atipica per due peculiarità:

1 – Per la prima (e probabilmente ultima) volta nella storia la crisi riguarda l’intero pianeta contemporaneamente e non esistono oramai degli spazi relativamente liberi.  Né spazi geografici, né politici, né economici (se non in misura minimale).

2 – Una parte dei paesi sta vivendo una situazione classica di impatto fra popolazione in rapida crescita e capacità del territorio.   Altri stanno ugualmente impattando contro i propri limiti, ma con una natalità ridotta da tempo ed un’età media assai superiore.  Insomma, mentre alcuni paesi soffrono per un classico “bubbone giovanile”, altri soffrono per un “bubbone senile”, ma in entrambi i casi vi è più gente e più consumo di quanto le condizioni ambientali possano reggere.

Il “bubbone senile”sembra più gestibile in quanto destinato a risolversi da solo in tempi non lunghissimi, specialmente se, come di solito accade, il declino economico provoca una riduzione dell’aspettativa di vita.  In ogni caso, le società con un'età media più avanzata sono meno portate alla violenza,a parità di altre condizioni.

Viceversa, il “bubbone giovanile” rappresenta un pericolo molto grave per tutti.  In assenza di una rapida crescita economica, analoga a quella che ha permesso di gestire il “baby boom” occidentale e cinese degli anni ’60, una qualche forma di violenza estrema è inevitabile.  Quello che sta accadendo in tutti i paesi arabi ed in molti di quelli africani è emblematico.  Certo, come sempre ci sono anche altri ingredienti specifici di ogni particolare conflitto: interessi economici, ingerenze straniere, inimicizie storiche e molti altri, ma lo ”stato di sovrappopolazione” è l’ingrediente che costituisce la massa critica che altri fattori fanno poi detonare.

Se questo approccio è corretto, è molto improbabile che le grandi potenze scatenino la tanto temuta nuova guerra mondiale.  Presumibilmente, continueranno, ad usare la guerra come strumento per perseguire i loro scopi , ma sempre in un'ottica di conflitto locale, come del resto stanno facendo.  Sommosse e tumulti ci sono e ci saranno, specie a seguito di bruschi peggioramenti economici, ma porteranno a governi più repressivi e ad uno stretto controllo della popolazione, piuttosto che a vere rivoluzioni o guerre civili.

Certo, è possibile uno scontro diretto USA – Cina per il predominio sul mondo, ma lo ritengo assai improbabile sia per ragioni demografiche, sia perché il livello di rischio sarebbe troppo elevato per entrambi.

Viceversa, ci sono due potenze nucleari, India e Pakistan, che hanno tutte le caratteristiche per essere molto pericolose: estrema sovrappopolazione, bubbone giovanile, crisi economica, grande potere politico delle forze armate, forti tensioni interne, storica inimicizia e confini contesi.    Certo, è possibile che questi paesi tornino a scontrarsi senza coinvolgerne altri, oppure che la tensione sfoci in guerre interne, ma il rischio di un’ennesima carneficina in questo settore è comunque molto alto ed avrebbe conseguenze globali, anche se, speriamo, solo economiche.

Il secondo “hot spot”  di livello globale è naturalmente il Medio Oriente.   I motivi sono abbastanza analoghi a quelli visti sopra e uno stato di guerra per procura fra Iran ed Arabia Saudita è già in corso da molti anni.  Ultimamente sta vincendo l’Iran, ma i giochi sono aperti e c’è la possibilità di un coinvolgimento delle grandi potenze l’una contro l’altra.   Inoltre, in zona si trovano altre due potenze regionali pesantemente sovrappopolate, con un vistoso bubbone giovanile ed una politica sempre più aggressiva: Israele e Turchia.  Accanto c'è l'Egitto che coniuga una situazione demografica esplosiva, un'economia disastrata ed una forza armata di tutto rispetto. In pratica, un "gioco dei 5 cantoni" che può sfuggire di mano in qualunque momento scatenando una carneficina.

Esistono ancora una moltitudine di focolai di guerra, attuali e potenziali, specialmente in Africa, nonché in America centrale e meridionale, ma nessuno di questi ha, credo, la potenzialità per svilupparsi in una nuova guerra globale, anche se la certezza del futuro si può avere solo dopo che questo è diventato il passato.  E neanche sempre.

Concludendo

La sovrappopolazione è uno stato patologico che deriva da uno squilibrio tra crescita demografica ed altri fattori, principalmente economici ed ecologici.  Non può durare a lungo e prima si risolve, migliore è la vita di coloro che sopravvivono alla crisi.  Esistono molti modi per rientrare entro la capacità di carico, ma una certa dose di violenza è inevitabile.   Quanto lunga ed intensa sia però questa fase dipende da una moltitudine di fattori ed ogni crisi ha la sua esclusiva combinazione di "ingredienti". Tuttavia quando si è in presenza di un pronunciato "bubbone giovanile" la probabilità di giungere a conflitti sanguinosi e distruttivi è molto elevata.

L'analisi dei dati demografici degli ultimi decenni suggerisce però un moderato ottimismo. Finora, infatti, in tutti i paesi in cui la percezione del futuro si è fatta fosca, la natalità diminuisce.  Parallelamente, dove la crisi economica arriva ad intaccare i servizi sanitari e le pensioni, la mortalità torna ad aumentare.  Ne consegue una riduzione della popolazione che può diventare relativamente rapida, anche in assenza di grandi catastrofi.  Anzi, specialmente in assenza di grandi catastrofi che, finora, hanno sempre innescato dei “baby boom” di reazione, appena le condizioni lo consentono.

E' quindi legittima la speranza di poter evitare il collasso della biosfera e l’estinzione della nostra specie, soprattutto se i governi si adoperassero per salvaguardare i presupposti per la vita nel futuro: biodiversità, suoli, acqua.

Non potremo però evitare la violenza, specie nei paesi con popolazioni molto giovani.  Dobbiamo quindi lavorare per evitare che maturino i presupposti per essere coinvolti in rivolte e guerre particolarmente sanguinose, ma anche attrezzarsi per vincere quelle che risultassero inevitabili.

lunedì 28 gennaio 2019

Saluti dalle Balenottere.



Ugo Bardi come il Capitano Ahab and Mihaela Sima (coordinatrice del convegno) come Moby Dick in un piccolo pezzo teatrale per il "II simposio sulla sostenibilità nei campus universitari", tenuto a Firenze il 12 Dicembre 2018. Notate il "sonar" sulla testa di Mihaela -- è così che le balene si orientano!




Un raccontino un po' natalizio segnalato da Elena Corna. Ne approfitto anche per segnalarvi anche che  mio nuovo libro "Il Mare Svuotato,"  che stiamo scrivendo in collaborazione io e Ilaria Perissi. Dovrebbe uscire a fine anno con Editori Riuniti.


UB


Lezione sotto il mare


Stefano Benni, Lezione sotto il mare, in La grammatica di Dio, 2007.

A un miglio di profondità, nell'Oceano Pacifico, nella fossa di Buenas Umbras, era in corso uno strano assembramento di balene. Un capodoglio enorme, più di venti metri, pinneggiava in surplace.

Almeno una ventina di giovani balenottere gli stavano di fronte, in fila per quattro. Qual era il mistero di questo anomalo branco? Nessun mistero: era una scuola, il capodoglio era il maestro e le venti balenottere le allieve. La lezione si teneva in ultrasuoni e il titolo era: Capolavori della letteratura cetacea.

- Care scolare,- disse il maestro - parleremo oggi di quello che è ritenuto il libro più importante della nostra storia. E cioè Il diavolo zoppo. Voi lo conoscete bene, vero?

Le balenottere annuirono scodando, senza molta convinzione.

- Come sapete, il libro è stato scritto nell'anno dei sette iceberg, da un capodoglio albino di nome Mobius Benedick. Egli fu perseguitato tutta la vita da un baleniere al quale, in leale duello marino, aveva staccato una gamba. Ovviamente a provocare, come sempre, era stato l'umano. Ma costui, gonfio d'odio, si mise a perseguitare Mobius per tutti gli oceani.... Qualcuno sa come si chiamava questo baleniere?

- Crab? - suggerì una balenottera rotonda.

- No - sospirò il maestro.

- Lo so...Calab... no, anzi, Akab - disse una balenotta tigrata

- Brava Rigutina, così suona il suo nome nella lingua degli uomini. Ebbene, il racconto di Mobius Benedick inseguito da Akab, le sue riflessioni sulla morte e sulla caducità dell'esistenza, le avventure e i colpi di scena, fino al tragico finale, fanno di questo libro un capolavoro pelagico che non può mancare nell'archivio ultrasonico di nessuna balena. Ora, sapete dirmi come gli umani chiamavano Mobius Benedick, il nostro niveo, grande scrittore? Tu, Pinnamozza, là in fondo, mi stai ascoltando o fai merenda di meduse? Sai rispondere?

- Ehm...ecco...

- Cosa stavo dicendo?

- Dunque...parlava di iceberg... e di un marinaio con un occhio solo.

- Uffa Pinnamozza, come al solito non sei stata attenta...e io so perchè...La tua membrana sta ascoltando un altro ultrasuono... dimmi cos'è.

- Ma veramente, signor maestro...

- Dimmelo!

- Stavo ascoltando Ventimila baci sotto il mare, ovvero la storia di Balenonzolo e Balenadia, una bella storia d'amore...

- E tu Pinnablù?

- Io... stavo ascoltando una raccolta di barzellette sui trichechi.

- E tu Codaforata?

- Io ascoltavo musica, i Killerwhales, un gruppo di heavy-ocean molto tosto...

Vuol sentire anche lei, professore?

Il maestro sospirò con grandi bolle, poi disse: - Va bene, intervallo, tutte in superficie.

E mentre le balenottere gioiose correvano verso l'aria per schizzarsi e giocare, pensava: Ma che senso ha ancora studiare Mobius Benedick? E' sempre più difficile far leggere queste giovani bestie. E soprattutto, ne vale la pena?

Poi emerse, e guardando un'isola lontana pensò: Che solitaria fatica insegnare i classici! Chissà se gli umani stanno meglio...

martedì 22 gennaio 2019

Agricoltura: progetti per l'acqua non per i tubi


di Silvano Molfese




Fig. n. 1 - Nevosità media annua in Italia (1921-1960) (*)

Una trentina di anni addietro Vandana Shiva riportava l’imperativo “fa progetti per l’acqua non per i tubi”; l’Autrice richiamava l’attenzione sul ciclo dell’acqua e sui principi del prelievo idrico sostenibile:
“La falda acquifera si abbassa quando il tasso di prelievo dell’acqua sotterranea è superiore al tasso di ricostituzione dei depositi di acqua sotterranea per percolazione. Per assicurare un’offerta continua di acqua sotterranea, il prelievo dovrebbe essere limitato al tasso netto di approvvigionamento della falda acquifera. Se il prelievo è invece superiore si inizia a estrarre l’acqua delle riserve sotterranee, e si verifica una siccità del sottosuolo anche se non c’è siccità dovuta a cause meteorologiche. “(1)
Se ai prelievi idrici eccessivi si aggiungono gli effetti del cambiamento climatico si arriva ad una miscela dirompente per la società: è quello che è successo in Siria. Nel Medio Oriente sono note le ingerenze delle potenze mondiali e, le drammatiche sofferenze della popolazione siriana, vengono attribuite solo agli scontri in atto per gli interessi strategici nella regione.
Pochi sanno che in Siria, negli anni settanta, i contadini furono stimolati dal regime siriano ad aumentare le produzioni per raggiungere l’autosufficienza agricola; ma non furono valutate le disponibilità di acqua per le crescenti superfici coltivate sicché, per fronteggiare la scarsità idrica, cominciarono a scavare pozzi andando a profondità sempre maggiori, 100-200 metri. 
Tuttavia non bastò: andarono oltre fino a raggiungere i 500 m in profondità, ma, perdurando la siccità, tutto ciò non servì a nulla e a milioni  scapparono dalle terre inaridite per ammassarsi nelle città.
Nel 2010 la Russia bloccò le esportazioni cerealicole dopo l’intensa e prolungata ondata di calore a seguito della quale le produzioni cerealicole calarono di circa  40 milioni di tonnellate (circa il doppio della produzione cerealicola italiana) e il prezzo mondiale del grano subì un forte quanto improvviso rialzo. (2) In quelle condizioni agli inizi del 2011, in Siria, bastò poco per incendiare gli animi di una consistente fetta della popolazione già provata da anni di carestia.  (3) 

Anche in Italia la situazione si sta facendo preoccupante: a metà giugno del 2017 l’associazione degli enti di bonifica (Anbi) lanciò l’allarme sulla situazione delle falde nelle province dell’Emilia-Romagna pubblicando addirittura uno schema eloquente sull’abbassamento delle falde in Emilia-Romagna (http://www.reggioreport.it/2017/06/falde-a-secco-verso-la-catastrofe/)
In precedenza, era il 2010, era stato lanciato un allarme in Sicilia sull’abbassamento delle falde: il livello dell’acqua nei pozzi era sceso di circa un centinaio di metri in una trentina di anni ed il numero di pozzi era aumentato di oltre il 50%: (http://palermo.repubblica.it/cronaca/2010/07/22/news/acqua_l_allarme_degli_esperti_le_falde_sono_scese_di_70_metri-5755814/)  (**)
La penisola italiana è caratterizzata mediamente da precipitazioni elevate, quasi mille mm di pioggia all’anno (4) e, fino a metà del secolo scorso, di queste precipitazioni una parte minore ma significativa era neve: sciogliendosi lentamente, la neve favorisce l’assorbimento dell’acqua da parte del terreno; in altre parole è come avere una cisterna naturale all’aria aperta.
In seguito all’aumento della temperatura media è diminuita la nevosità: su Alpi, pianura Padana e sul restante arco appenninico cade meno neve  rispetto a qualche decennio fa. A tal proposito c’è uno studio http://www.nimbus.it/meteoshop/Estratti/Nimbus/7707_NeviPadane.pdf relativo all’Italia settentrionale, segnalatomi da Luca. Mercalli, che documenta il calo nevoso.
Quelle condizioni vantaggiose che caratterizzavano l’Italia fino a qualche decennio addietro stanno venendo meno: un assaggio di quel che ci aspetta lo abbiamo avuto nel 2017 con un lungo periodo siccitoso.

Nel 2017 per la siccità i fichi sono seccati sulla pianta


Le principali produzioni agricole sono diminuite; mi sono limitato a riportare i dati produttivi del triennio 2015-2017  (tabella n. 1) per alcuni cereali e per la soia: le rese nel 2017, rispetto alle rese medie del biennio precedente sono calate del 5% per il frumento, a ciclo autunno-primaverile; i cali nelle rese sono stati maggiori per i seminativi a ciclo primaverile-estivo.

(Per il mais un calo dell’8% come resa può sembrare quasi insignificante: con un’ ipotetica resa media del biennio 2015-2016 di 102 quintali per ettaro, su una superficie di oltre 660 mila ettari, riferita al 2017, ciò equivale ad una perdita di 5,3 milioni di quintali di granella.)


I dati della tabella n. 2 sono significativi: in un solo anno, il 2017, si è concentrato oltre un quarto del deficit idrico del decennio 2008 – 2017; le rese del mais sono calate notevolmente anche nel 2012 dopo due anni consecutivi di un consistente deficit idrico iniziato nel 2011 e che, sommato a quello del 2012, ha raggiunto  i 547 mm .



Al danno la beffa: dopo la siccità, sono cadute piogge concentrate ed intense nel 2018: in questa situazione si ha l’erosione dei suoli in pendio e l’allagamento dei campi in pianura, prima che l’acqua raggiunga rapidamente il mare. Ovviamente in queste condizioni l’acqua disponibile nel terreno per le piante tende a diminuire con il passare degli anni.

Per il settore agricolo, visto che i prelievi di acqua dalle falde eccedono gli apporti idrici alle falde stesse, è improponibile sia scavare a maggiori profondità che fare altri pozzi; si possono adottare alcuni accorgimenti agronomici, noti da tempo, per favorire l’infiltrazione di acqua nel suolo e limitare le perdite di acqua come: ridurre il numero e la profondità delle lavorazioni, aumentare la sostanza organica nel terreno, mantenere la copertura vegetale.

 Il terreno pacciamato riflettendo la luce riduce un po’ l’evaporazione dell’acqua dal suolo.

Per i terreni in pendio, dove possibile, sarebbero opportuni i terrazzamenti o, in alternativa, la sistemazione a lunette e conche adatta ai fruttiferi; sarebbe necessario conservare delle fasce inerbite tra i seminativi seguendo le curve di livello; tutte le lavorazioni dovrebbero essere fatte possibilmente seguendo le predette curve; per favorire l’infiltrazione di acqua nel terreno, un accorgimento adatto ai prati-pascoli, consiste nel tracciare dei solchetti mentre per i seminativi si può fare la ripuntatura del terreno: queste operazioni vanno eseguite parallelamente alle curve di livello. Nelle zone pianeggianti si dovrà smaltire rapidamente l’acqua in eccesso riducendo le distanze tra i fossi che delimitano i campi per ridurre i rischi di ristagno idrico. 

Siccome il cambiamento climatico si manifesta con effetti che possono aggravarsi inesorabilmente in pochi anni, è condizione necessaria adottare le misure idonee per adattarsi alla nuova realtà ma ciò non è sufficiente. 
Dobbiamo ridurre drasticamente i consumi di combustibili fossili entro pochi anni, e per fare ciò dovremo abbandonare il sistema economico adottato, causa fondamentale del riscaldamento globale: i gas serra sono agenti causali.
Le diverse società umane sparse nel mondo hanno prosperato per secoli senza petrolio ma non possono sopravvivere senza acqua.

Bibliografia
(1) Vandana Shiva, 1988 – Sopravvivere allo sviluppo. ISEDI,  246 e 257
(2) Brown L.R.,  2011 – Un mondo al bivio. Edizioni Ambiente. 31-32  
(3) Wendle J., 2016 – Siria, i rifugiati del clima. Le Scienze, 571, 68-73
(4) Natali F. et al., 2009 - Italian Journal of Agrometeorology 55 (3) 2009



(*) Pubblicazione n. 26 del Servizio Idrografico Italiano, “La nevosità in Italia nel quarantennio 1921-1960” edita dall’Istituto Poligrafico dello Stato nel 1971. Ripresa da  http://www.nimbus.it/liguria/rlm15/neve.htm
Ho riportato la nevosità media italiana riferita al quarantennio 1921 -1960; per fare un confronto con il passato basta osservare la presenza di neve che (non) cade attualmente. 

(**) Stranamente sono disponibili pochi dati sull’abbassamento delle falde.

Avvertenza
La rete delle stazioni agrometeorologiche del MIPAAFT ha il pregio di misurare parametri di interesse agronomico, come l’ evapotraspirazione; le stazioni sono distribuite nelle principali aree agricole di tutte le regioni italiane: tale reticolo copre poco le zone montane e di alta collina e questo spiega la discrepanza di questi valori meteo con quelli presentati da Natali F. et al


Glossario
L’evapotraspirazione è “la perdita di acqua, da parte del terreno con copertura vegetale, attraverso i processi contemporanei di evaporazione dalla superficie del suolo e di traspirazione da parte delle piante.”  (Giardini L.,  1982  Agronomia generale. Patron editore, 18)
La sistemazione a lunette e conche si fa pareggiando la superficie intorno all’albero dando forma semicircolare a valle e pendenza leggermente inclinata verso monte creando una specie di conca con il fianco della parete.


martedì 15 gennaio 2019

Epistemologia di un Impero morente: la crescita può durare per sempre ?

Da "Cassandra's Legacy". Traduzione dall'Inglese di

DI UGO BARDI



Recentemente, Michael Liebreich ha pubblicato un articolo dal titolo “The Secret of Eternal Growth” (Il segreto dell’eterna crescita). Ho pensato e ripensato all’idea se fosse appropriato spendere del tempo a parlare di un altro miscuglio di leggende, inclusa quella che è ormai un classico, gli “errori” che il Club di Roma si dice abbia fatto nel suo rapporto del 1972, “Rapporto sui limiti dello sviluppo”.  Alla fine, ho deciso che valeva la pena fare questo post, non tanto perché il post di Liebreich è sbagliato o ridicolo, ma perché illustra un punto essenziale della nostra civiltà: chi, e come, prende le decisioni ? E su che basi ?

Alla fine, penso che abbiamo un problema di epistemologia, la domanda sulla natura della conoscenza. Per poter prendere decisioni, si deve sapere cosa si sta facendo, almeno in linea di principio. In altre parole, è necessario un “modello” di realtà per essere in grado di agire. Fu Jay Forrester, padre della dinamica dei sistemi e artefice del “Rapporto sui limiti dello sviluppo” , a evidenziarlo. (World Dynamics, 1971, p. 14)

“Tutti utilizzano dei modelli, sempre. Ogni persona nella sua vita pubblica e privata ricorre a dei modelli per prendere decisioni. L’immagine mentale del mondo, che possiede ciascun individuo nella mente, è un modello. Uno non ha una famiglia, un’azienda, una città, un governo o un paese nella sua testa, ma solo idee selezionate e rapporti che usa per rappresentare il sistema reale.”

La grande domanda è da dove vengono queste “idee selezionate”. La mia impressione è che nella mente dei nostri leader ci sia un accozzaglia di idee e concetti innestati dai messaggi casuali che vengono dai media. I nostri leader non usano modelli quantitativi per prendere decisioni, ma solo sensazioni e capricci. È così che nasce un’idea come Make America Great Again.

Il punto è che sembra esistere una certa convergenza di idee e concetti nella mediasfera. In qualche modo, il consenso tende a comparire e ad essere rafforzato dalla ripetizione. Così i capi mondiali tendono a presumere l’esistenza di verità evidenti di per sé, come ad esempio che la crescita economica sia sempre una cosa buona.

L’articolo di Liebreich è un buon esempio di questo processo. Abbiamo un articolo scritto da una persona influente: è collaboratore anziano del Bloomberg, e anche ingegnere. Ciò che è più deprimente è il fatto che sia basato su idee raffazzonate, interpretazioni superficiali, mezze verità e leggende. Per esempio, leggiamo nell’articolo che:

“… un gruppo di ambientalisti preoccupati che si fanno chiamare Club di Roma invitò uno dei decani del nuovo campo della simulazione al computer, Jay Forrester, a creare una simulazione del mondo dell’economia e la sua interazione con l’ambiente. Nel 1972 la sua meravigliosa scatola nera produsse un altro best-seller, “Rapporto sui limiti dello sviluppo”, che si proponeva di dimostrare che quasi ogni combinazione dei parametri economici finisce non solo con un rallentamento della crescita, ma con un fallimento e il collasso. Questa scoperta, così congeniale al modello dei commissari, derivava completamente da errori nella sua struttura, come segnalato da un giovanissimo professore di economia di Yale, William Nordhaus.”

Notare come Leibreich fornisce un riferimento bibliografico al “Rapporto sui limiti dello sviluppo”, ma nessuno agli “errori nella struttura” segnalati dal “giovanissimo” William Nordhaus. La verità è che nel 1973 Nordhaus scrisse un articolo criticando Forrester e Forrester rispose con un altro articolo, difendendo il suo approccio. È assolutamente legittimo pensare che Nordhaus abbia ragione e Forrester torto, ma non che i cosiddetti “errori” nel modello siano un fatto assodato. Ho discusso questa storia nel mio libro, The Limits to Growth Revisited e in un recente post su “Cassandra’s legacy”. In sostanza, Liebreich riporta una leggenda senza troppo preoccuparsi di verificarla.

Ci sono molte altre cose in Liebreich che possono essere criticate in termini di errori, attacchi personali, interpretazioni sbagliate, e altro (si veda anche il giudizio critico da parte di Tim Jackson). Ma il punto è come le idee siano lanciate nella mediasfera e lì galleggino, per essere raccolte dalle menti umane come i virus dell’influenza che fluiscono nell’aria. Qui la tesi di Leibreich sembra avere una certa influenza perché è presentata sapientemente: in pratica ci dice che si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Dice che il genere umano può continuare a crescere e diminuendo anche il suo impatto sull’ambiente. È come dire a qualcuno dipendente dall’eroina che l’eroina fa bene alla salute e va bene continuare ad usarla perché il processo tecnologico renderà possibile avere lo stesso effetto, o addirittura maggiore, con una dose minore. Questo è ciò che un tossicodipendente vuole sentirsi dire, ma non funziona così il mondo.

La stessa cosa è vera per i nostri leader e per tutti noi. Tendiamo a fare scelte sulla base di ciò che ci piace, non in base a come stanno le cose. La malattia dell’Impero, infine, è solo una pessima epistemologia.


giovedì 10 gennaio 2019

Il Lato Positivo del Declino Energetico




Antonio Turiel, fisico, ricercatore presso il Centro Studi di Scienze Marine (CSIC) di Barcellona. Da anni tiene il blog "The Oil Crash," dedicato all'esaurimento delle risorse. uno dei più popolari fra quelli in lingua spagnola.


Le buone notizie
Da The Oil Crash, Lunedì 17 settembre 2018

Traduzione di Marco Sclarandis

 

Di Antonio Turiel

Cari lettori:

In tutto questo blog , i problemi che la società industriale sta causando a causa della riduzione dell'energia disponibile sono stati discussi in numerose occasioni. Spesso ci siamo intrattenuti per analizzare fino a che punto la discesa energetica può compromettere la stessa continuità della nostra società, e se alla fine collasseremo o meno. Tutto il discorso che abbiamo fatto finora è che la graduale perdita di energia disponibile è un problema molto serio e che saremo solo rattristati e delusi, permettendoci di chiarire se questi saranno più o meno profondi, più difficili o più sopportabili. Il fatto è che, dopo più di otto anni da quando ho aperto questo blog, non abbiamo ancora analizzato la parte positiva del declino energetico.

Eppure c'è davvero un lato positivo associato al declino dell'energia. Il fatto che nei prossimi decenni dobbiamo vivere con meno energia implica che, per certi aspetti, si verificheranno una serie di miglioramenti piuttosto sostanziali rispetto alla situazione attuale. Questi miglioramenti, ovviamente, non annullano o eliminano il deterioramento che subiremo in altre aree; ma avere la prova di questi effetti benefici può aiutarci ad avere una prospettiva più corretta di quale sia lo scenario che dovremo affrontare. Ed è che molte volte crediamo che in futuro tutto sarà molto più difficile perché supponiamo che dovremo continuare ad allocare le stesse risorse per fare le stesse cose che facciamo ora, quando invece è probabile che alcune cose miglioreranno da sole e in tal modo ci alleggeriranno, in parte, il pesante fardello futuro.

Non ne abbiamo mai parlato prima ed è probabilmente un buon momento per affrontare questo problema. È tempo di parlare delle buone notizie. In quanto segue, ne farò un elenco non esaustivo, spiegandoli e contestualizzandoli.


Limiteremo il cambiamento climatico: attualmente l'aumento della concentrazione di CO2 atmosferica continua oltre 2 parti per milione (ppm) all'anno. In recenti dichiarazioni , il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha affermato che "i cambiamenti climatici si stanno muovendo più velocemente di noi" e che le società umane devono essere convocate per evitare il peggio di questa minaccia, e in ogni caso prima del 2020. Naturalmente Non c'è nemmeno la minima indicazione che una decarbonizzazione così drastica e rapida avrà luogo nei prossimi due anni. Tuttavia, l'inevitabile e probabilmente precipitoso declino della produzione petrolifera , proprio con la crisi economica che si scatenerà, avrà un effetto devastante sulla domanda e il consumo di petrolio (sapete, la spirale) e avrà un effetto simile a quello che abbiamo visto nel 2009 e negli anni seguenti: una significativa diminuzione delle emissioni di CO2.

Ma in questo caso, poiché la crisi diventa sistemica e installata, il declino non sarà temporaneo, ma permanente. È vero che, nella disperazione dell'attuale capitalismo per sopravvivere un po 'più a lungo, a breve termine ricorreremo senza dubbio a fonti energetiche più inquinanti con emissioni di CO2 più elevate per Joule di energia prodotta , ma ancora la nostra curva delle emissioni alla fine sarà significativamente inferiore a quella prevista dai modelli climatici.

Ci sono due importanti puntualizzazioni riguardo quest'ultima affermazione.La prima, che tutti i modelli IPCCsulla previsione dell'evoluzione del clima del pianeta contemplano una grande percentuale di assorbimento delle emissioni di CO2 attraverso tecnologie di cattura e sequestro del carbonio, tecnologie che non sono sviluppate e molto meno implementate su scala significativa. Pertanto, il calo delle emissioni associato al declino energetico del petrolio e di altre materie prime non rinnovabili non migliorerà di molto le attuali previsioni climatiche, perché prevedono che la cattura del carbonio non verrà prodotta. Il secondo requisito è che, data l'inerzia del clima, anche se le emissioni cessassero proprio ora, il pianeta continuerebbe a scaldarsi per molti decenni e gli effetti dell'attuale cambiamento climatico non verrebbero compensati fino a che non fosse passato almeno un millennio, che è il tempo di cui la Terra ha bisogno di sbarazzarsi dell'attuale eccesso di CO2 atmosferica.

Nonostante tutto, la discesa energetica implicherà, senza dubbio, che non stiamo destabilizzando il clima tanto quanto faremmo se avessimo a disposizione più combustibili fossili; e questo sicuramente implica che il problema avrà una grandezza più gestibile (pur con la difficoltà di gestirlo in ogni caso).


Stiamo per ridurre (in parte) l'inquinamento: In relazione a quanto sopra, la discesa energetica implicherà una diminuzione del commercio globale, del trasporto di merci, della produzione dello stesso e della generazione di rifiuti. L'attività industriale sarà notevolmente ridotta e dovrà diventare molto più efficiente nell'uso delle materie prime. Pertanto, la quantità di rifiuti generati sarà molto inferiore a quella corrente, probabilmente diversi ordini di grandezza più bassi. Il che sarà molto conveniente, perché l' enorme pressione umana sul pianeta sta creando problemi molto seri , e anche se dovremo affrontare molti dei problemi generati dai nostri rifiuti per molti decenni, forse anche millenni, il fatto di non generarne di più sarà senza dubbio molto utile. Inoltre, smettendo di generare più rifiuti, stiamo dando un'opportunità alla capacità di riciclaggio / rigenerazione del pianeta che non abbiamo ancora danneggiato eliminandoli.

Ridurremo la nostra pressione sugli ecosistemi: Il potenziale distruttivo dell'umanità è notevolmente amplificato dall'abbondanza di energia a prezzi accessibili. L'esaurimento delle attività di pesca, le molestie delle ultime riserve di animali selvatici, la profonda trasformazione della biosfera planetaria per ospitare le massicce attività agro-zootecniche ... tutto questo diminuirà di intensità nei prossimi decenni perché semplicemente non avremo abbastanza energia per continuare con l'attuale ubriachezza estrattiva e distruttiva. Gli ecosistemi più danneggiati, destabilizzati o direttamente distrutti verranno progressivamente sostituiti da nuovi, che potrebbero essere molto diversi da quelli precedenti e non necessariamente molto vantaggiosi per gli esseri umani. L'avvertimento principale è che a breve termine, nell'agonia del capitalismo finanziario globale,Lo scenario più probabile è che alcuni ecosistemi fondamentali saranno sfruttati in modo molto insostenibile (ad esempio, attraverso l'abbattimento incontrollato delle foreste per produrre legna da ardere c sia per il riscaldamento che per la produzione di calore industriale) gas combustibili per veicoli ). Ma a medio e lungo termine, la necessità di adattarsi ai limiti biofisici, che saranno anche più territorializzati, porterà a nuovi equilibri (che in alcuni casi comporteranno l'eradicazione locale della specie umana).

La Singolarità non ci sarà: una delle ricorrenti ossessioni degli specialisti tecnologici ed economici del nostro tempo è che, con il progressivo miglioramento nello sviluppo dell'Intelligenza Artificiale (IA) e con l'estensione di Internet, improvvisamente si verificherà la Singolarità: un momento nel quale l'intelligenza artificiale sarà in grado di migliorarsi in modo esponenziale e questo farà sì che l'intelligenza artificiale superi tutta la capacità intellettuale umana, che naturalmente porterà l'IA a prendere il controllo del pianeta. L'ipotesi della Singolarità tecnologica ha due gravi problemi, oggi. La prima è che i progressi nell'IA, per quanto importanti, sono stati enormemente esagerati dalla stampa generale, e la verità è che siamo ancora lontani dall'essere in grado di fare cose che un umano trova fondamentali (al margine è l'obiezione irrisolta sollevata da Roger Penrose secondo cui l'intelligenza umana non è di natura algoritmica e quindi non è imitabile dalle IA classiche). Il secondo problema, poco studiato in generale, sta nel fatto che i grandi esperti presumono che l'IA sarebbe un'entità con poca carica materiale o virtualmente immateriale, quando è esattamente l'opposto: al momento, le operazioni ordinarie di Internet rappresentano circa il 5% del consumo globale di elettricità e continuando ad aumentare al ritmo attuale diventerebbero già il 20% del consumo di elettricità nel 2025. Ma se si tiene conto del costo energetico della produzione di tutte quelle apparecchiature (dai grandi data center ai miliardi di computer e telefoni cellulari, passando per centinaia di migliaia di chilometri di vari cablaggi), la quantità di energia consumati annualmente sono molte volte maggiori, tanto che oggi le Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione (ICT) implicano il consumo di oltre il 4% di tutta l'energia (non solo l'elettricità) nel mondo, e se questo dovesse continuare, arriverebbe rapidamente oltre il 25% prima di un decennio. In nessun modo le TIC sono immateriali; persino peggio, le tecnologie più avanzate utilizzano elementi chimici di produzione difficile e costosa, le cosiddette terre rare, che non solo portano a importanti guerre commerciali tra paesi, ma che consumano un grande consumo di energia nella sua estrazione e lavorazione. Il fatto è che la Singolarità non si verificherà perché il pianeta non può sostenere la sua immensa energia e l'impronta materiale.

Il lavoro umano non scomparirà a causa della robotizzazione:  Come derivato, su una scala più piccola di quanto sopra, un'altra delle minacce con cui gli esperti ci spaventano non accadrà: quella della massiccia sostituzione di posti di lavoro a causa del progresso tecnologico e della robotizzazione. Intendiamoci: robotizzazione - anzi, l'automazione in molti processi di fabbricazione, non è qualcosa che sta per accadere, ma si è verificato decenni fa , soprattutto in quei compiti che possono essere facilmente automatizzate; questo è il caso, per esempio, di molte linee di assemblaggio di produzione. Eppure, in molti processi la supervisione umana resta cruciale, perché gli attuali sistemi di intelligenza artificiale sono ancora troppo imperfetti, troppo limitati per affrontare l'enorme diversità e la casistica dei problemi che si incontrano nel mondo fisico e reale. Ciò spiega, ad esempio, i problemi che ha trovato il produttore di auto elettriche Tesla, nella promessa di realizzare grandi produzioni di automobili grazie a: L'estrema automazione delle loro fabbriche ha scoperto che l'automazione estrema è meno efficiente dell'uso degli esseri umani a tale scopo - e , naturalmente, gli umani devono essere pagati con un salario. E se la cosa non si limita ad un allarme su una catena di montaggio, puoi farti un'idea di quanto siamo lontani dal sostituire altri lavori più sofisticati in ambienti meno controllabili. Il tema della robotizzazione è molto costoso per gli alti sacerdoti di quella setta religiosa distruttiva conosciuta come liberalismo perché permetterebbe loro di raggiungere una produttività per lavoratore infinito (senza lavoratori), ma è un errore logico completo. E che robottizzare tutte le aree comporta un investimento di ingenti risorse, input per creare l'intelligenza artificiale, ma anche di sviluppare tutti questi programmi che si adattano ad ambienti complessi (e gli ambienti meramente linguistici non sono meno complessi di quelli completamente fisici) e creare quei sistemi fisici che, alla fine, hanno anche una base materiale.


Stiamo per virtualizzare il lavoro: Uno dei grandi problemi del nostro tempo è l'ipermobilità: ci muoviamo continuamente, rapidamente, ovunque. Andiamo in vacanza letteralmente dall'altra parte del mondo (beh, quelli che possono permetterselo), ma anche per andare al lavoro e per il resto delle attività quotidiane ci spostiamo a dozzine, a volte anche a centinaia di chilometri. I lavoratori sono espulsi dal centro delle città a causa degli alti prezzi degli alloggi, specialmente in quelli che soffrono di questo processo chiamato "gentrification".E sono costretti a vivere ai margini e aumentare il loro tempo di pendolarismo (si sa, il ricco paga con i soldi e il povero con il tempo).I lavoratori poco qualificati sono, sopra, perso il lavoro, come le fabbriche si sono trasferiti in manodopera a basso costo in altri paesi del lavoro e dei prodotti pronti vengono portati da lì in grandi navi da carico. È un flusso veloce e costante di persone e materiali.

Tutta questa dissolutezza è stata possibile grazie ai combustibili fossili, all'enorme quantità di energia a basso costo che avevamo. Ma questo è esattamente ciò che sta finendo. Negli anni a venire, nei prossimi decenni, la produzione di qualsiasi bene che si vuole vendere qui dovrà essere localizzata da qualche parte nelle vicinanze, perché il trasporto di merci e persone non sarà così economico - a volte non sarà nemmeno possibile . Ciò implica che i posti di lavoro verranno ricreati a livello locale, lavori che saranno molto meno automatizzati, perché alcuni processi automatici comportano un notevole dispendio energetico. Forse non sono grandi lavori, forse i salari non saranno così grandi, ma quando il rombo del crollo del nostro castello di carte è cessato ci saranno molte opportunità di lavoro per coloro che sanno adattarsi.


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I rischi della discesa energetica rimangono gli stessi di prima: Possiamo cedere all'autoritarismo e guerre, possiamo comprimere ad una misura maggiore o minore , ci può essere carenza di cibo o acqua, che possono distruggere anche molti ecosistemi aggrapparsi a un modello insostenibile, e dovremo affrontare un cambiamento climatico che durerà a lungo. Eppure, sapendo che, nonostante tutti, gli effetti saranno benefici, può aiutare a focalizzare la nostra attenzione su quegli altri aspetti il cui futuro è più incerto o peggio di assicurazione.

Ci concentriamo molto su ciò che perdiamo (o ciò che pensiamo di perdere) che non vediamo ciò che guadagniamo. Tra l'altro perché il guadagno in molti casi avviene attraverso l'eliminazione di qualcosa; qualcosa che è male in realtà, ma qualcosa che è perso, allo stesso modo e per la stessa ragione per cui perderemo le cose buone. La cosa più curiosa è che ci saranno molte persone che interpreteranno questa eliminazione di qualcosa di negativo come una perdita quando in realtà è un guadagno (come se, ad esempio, non ci piacesse l'eliminazione di un tumore perché, dopo tutto, il tumore era "parte del nostro corpo"). Abbiamo valori così sovvertiti che non sappiamo nemmeno cosa abbia senso difendere, cosa dovremmo davvero preservare e cosa dovremmo effettivamente eliminare. Quindi forse la prima cosa da recuperare è il buonsenso.



Saluti.

AMT





Tag: buone notizie , cambiamenti climatici , discendenza energetica , pressione antropica , delocalizzazione.

lunedì 7 gennaio 2019

Presentazione del libro 'Il Secolo Decisivo: storia futura di un'utopia possibile'



Federico Tabellini è l'autore di questa presentazione del suo libro "Il Secolo Decisivo". 
 

In questa età dominata dal qui e ora, è raro si discuta di futuro, e quando lo si fa, il più delle volte è per ricordare quanto male le cose potrebbero andare di qui a qualche decennio. 

Quello di cui vi voglio parlare oggi, invece, è proprio un libro sul futuro. Su un futuro prospero, per la precisione, e sul cammino in divenire che lo collega al nostro presente. Ecco alcune ragioni per cui credo valga la pena leggerlo.

Prima ragione. Si tratta di un contributo alla soluzione di problematiche note e stranote: crisi ambientale (in senso ampio), limiti della crescita, disoccupazione tecnologica, sovra-consumo e via dicendo. Nel libro, tanto l’analisi di tali problematiche quanto la descrizione delle loro soluzioni si basa su approcci accademici consolidati ma per così dire di nicchia. Talvolta persino ritenuti inconciliabili nell’immaginario collettivo. Il risultato più significativo del libro è proprio il tentativo (che credo riuscito, anche se lascio giudicare ai lettori) di integrare questi diversi approcci in un quadro coerente e organico.

Se la prima parte (capitoli 1 e 2) propone un ‘quadro della situazione’, descrivendo la natura profonda di molte delle questioni trattate in questo blog, nella seconda parte (capitoli 3-7) il libro ipotizza scenari plausibili di implementazione di queste soluzioni, descrivendone le interazioni reciproche e le probabili conseguenze sulla società. 


Lo sguardo è fisso sul lungo periodo e il referente è globale – come del resto lo sono le problematiche trattate ­–, benché con un’attenzione privilegiata al caso europeo. Potrei tracciare un paragone con il recente libro di Tim Jackson ‘Prosperità senza crescita’, anche se il mio approccio è probabilmente di più ampio respiro. Come Jackson, descrivo nei dettagli soluzioni macro-economiche e riforme istituzionali, ma approfondisco anche tematiche quali il ruolo dell’educazione e le dinamiche sociali che legano i vari attori del cambiamento.

Seconda ragione. Il Secolo Decisivo va dritto al punto. Adotta un approccio sistematico nei ragionamenti esposti e nelle conclusioni cui quei ragionamenti portano. La premessa è semplice, quasi banale: 
Lo scopo ultimo di ogni società è la maggiore felicità possibile per gli esseri umani sul lungo periodo.
Su quella premessa, opportunamente problematizzata (che cosa significa ‘felicità’? Che cosa vuol dire ‘lungo periodo’?) si innestano una serie di passaggi logici che illustrano come le soluzioni a molte delle grandi crisi contemporanee siano più palesi di quanto un approccio frammentario lascerebbe intendere. Di più: sono fra loro interdipendenti, e possono dare i maggiori risultati solo se implementate in forma parallela e sinergica.

Per terminare, una breve nota conclusiva. Il Secolo Decisivo è un saggio, sì, ma costruito attorno a un espediente di tipo narrativo: le riforme e le proposte in esso descritte sono presentate dalla prospettiva di un autore immaginario che scrive alla fine del nostro secolo. È un po’ come leggere un libro di storia. Credo che questa piccola trovata, oltre a rendere la lettura più piacevole, aggiunga realismo alla trattazione, rendendo forse l’utopia descritta nel libro meno utopica e più possibile

Insomma, credo davvero non vi pentirete di leggerlo. Se lo farete, poi fatemi sapere cosa ne pensate. Sarò felice di rispondervi e discuterne con voi.