venerdì 19 agosto 2016

I combustibili fossili e il dirupo di Seneca

Analisi quantitativa del picco del petrolio e dei combustibili fossili 

di Alessandro Pulvirenti




Si sente spesso parlare del Picco del petrolio (o di tutti i combustibili fossili), ma poche volte si vedono analisi quantitative che permettano di conoscere la situazione anno per anno. Cosciente che con le parole si può dire tutto e il contrario di tutto, ho realizzato un sito (che attualmente è offline per mancanza di fondi) che permette un'analisi in tempo reale e interattiva. Basta cambiare gli opportuni parametri e si ottengono immediatamente le relative curve e tabelle.

Già in passato questo tipo di analisi l’avevo presentata nel mio sito, ma adesso si arricchisce di ulteriori parametri non considerati in passato.

1. Investimenti: è possibile indicare il livello degli investimenti previsti (da 0 a 5 max);
2. Scoperte: è possibile includere una percentuale di riserve che si suppone possano essere scoperte.

Questo permette: sia di spiegare come mai il picco del petrolio sembra stia ritardando, e sia includere le possibili scoperte che ci potrebbero essere. Ci si accorgerà che maggiori sono gli investimenti e più la curva sinusoidale diventa un Dirupo di Seneca.

Iniziamo subito presentando i parametri iniziali:


(Gtep = Miliardi di Tonnellate di Petrolio Equivalenti di energia)

Come si vede, partiamo dal caso in cui gli investimenti siano al livello minimo (zero) e non si prevedono scoperte. La situazione quantitativa iniziale è la seguente:


Da questi dati e parametri, otteniamo i seguenti risultati per il petrolio:


Come si vede, il picco del petrolio dovrebbe essere già quest’anno, ma non lo sarà, in quanto gli investimenti in realtà ci sono e si chiamano: petroli non convenzionali (sabbie bituminose, petrolio di scisto, ...).


Tutti i combustibili fossili dovrebbero raggiungere il picco dell’energia netta disponibile nel 2025 (tra 9 anni).
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Adesso, cambiamo il parametro degli investimenti e mettiamo il livello massimo (potremmo fare più casi, ma per non dilungarci, andiamo subito al massimo).


Così facendo, il picco netto del petrolio si sposta al 2026 (tra 10 anni).


Il picco netto di tutti i combustibili fossili si sposta al 2036 (tra 20 anni).
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Dopo queste analisi, spesso, la prima obiezione che si solleva è quella di dire che: ancora combustibili fossili ce ne sono da scoprire; e noi le aggiungiamo.


Aggiungiamo un 20% di scoperte possibili di combustibili fossili (160 Gtep); se vi sembra poco, sappiate che l’Arabia Saudita ha risorse petrolifere per soli 36 Gtep, quindi, abbiamo aggiunto circa 4,5 volte tanto (però noi li aggiungiamo come combustibili fossili, non solo come risorse petrolifere).


Il picco del petrolio si sposta al 2032, tra 16 anni.



Il picco di tutti i fossili si sposta al 2043 (tra 27 anni).

Quest’ultimo grafico mostra in modo evidente il “Dirupo di Seneca”.

Quindi, nella migliore delle ipotesi: in cui ci siano grandi investimenti e grandi giacimenti da scoprire; si avranno ancora solo 16 anni di petrolio e 27 anni se consideriamo anche gas e carbone.

Cosa avverrà quando si raggiungerà il picco?

Semplice, la nostra società entrerà prima in stagnazione e poi in recessione irreversibile.

Bastano 16 anni per trovare e applicare una soluzione al problema energetico?

Qualcuno potrebbe obiettare dicendo che: "tra 16 anni il flusso di petrolio diminuirà, ma ce ne sarà ancora per andare avanti…"

E voi pensate che: in una società in recessione si possono trovare le risorse per continuare a fare Ricerca e investimenti per molti anni?

Non penso proprio!

(P.S: per chi pensa che la Fusione nucleare ci salverà, spero prossimamente di poter fare un post anche su questo argomento e vedere la vera realtà dietro alle varie illusioni raccontate).

By Alessandro Pulvirenti


martedì 16 agosto 2016

Riscaldamento globale: nuovi provvedimenti del governo!


Secondo  i dati diffusi dalla NASA Lunedì, Luglio 2016 è stato il mese più caldo mai misurato. Il 2016 si avvia a diventare l'anno più caldo della storia delle misure di temperatura globale, polverizzando tutti i record precedenti.


Per fortuna, il governo sta prendendo provvedimenti: per cominciare, ha eliminato dal palinsesto di RAI-3 il programma Scala Mercalli che era l'unico rimasto a discutere di questi argomenti.

Non siete contenti di avere un governo che si preoccupa così tanto del vostro benessere mentale?

Se però pensate che il governo dovrebbe anche preoccuparsi un po' del vostro benessere fisico, potete firmare una petizione per riaprire il programma di Luca Mercalli


sabato 13 agosto 2016

La bella scienziata russa che rivoluziona la scienza del clima


Scusate per questo post un po' "leggero," deve essere l'atmosfera rilassata di ferragosto. Ma questa storia era troppo gustosa per non commentarla.


"New Ice Age" è un blog gestito da un gruppo di dilettanti che continuano da anni a sostenere più o meno quello che hanno scelto come titolo del blog: il prossimo avvento di una nuova era glaciale (non è uno scherzo, ci credono davvero!).

Se per caso vi venisse l'idea di prenderli sul serio, l'ultimo post apparso sul loro blog, pomposamente intitolato "falsi allarmismi sul riscaldamento globale," dovrebbe dirvi qualcosa a proposito del loro livello di competenza e di serietà. Come vedete qui sopra, il post mostra la foto di una persona definita prima "la bella russa" e poi "la giovane, bella donna" che dovrebbe essere la professoressa Valentina Zarkhova dell'università di Northumbria.

Il primo problema è che la "bella russa" mostrata nella foto NON è Valentina Zharkova; la cui foto potete trovare sul sito dell'università di Northumbria, ma un'altra persona. Quelli di New Ice Age hanno fatto copia e incolla da un post di tal "Fernando Arno" apparso su Facebook, senza minimamente preoccuparsi di verificare che riportasse dati corretti - come del resto non ha fatto il sig. Arno. (incidentalmente, ho scoperto poi che la Sig.ra Zharkova non è nemmeno Russa, è Ukraina. Altra bella castroneria del sito)

A parte la cialtronaggine di cui sopra, direi che è ben peggiore il fatto che questi qui insistano sulla bellezza fisica di una ricercatrice come se questo fosse rilevante per il suo valore scientifico. E' una cosa che la dice lunga sull'atteggiamento che hanno nei riguardi non solo della scienza ma anche delle donne. E non capiscono come possa essere fastidioso per una donna essere trattata in questo modo. Pensateci sopra un momento: come dovreste sentirvi se foste la prof. Zharkova e se vi capitasse di leggere il post di New Ice Age? Io, perlomeno, mi posso immaginare come mi sentirei se mi trovassi davanti un post in cui Ugo Bardi viene definito come "il bell'italiano," illustrato con una foto di Leonardo di Caprio.

Allora, se questi qua vogliono essere presi sul serio, non sarebbe il caso, perlomeno ogni tanto, di mostrare un minimo di serietà e di buone maniere?


Credo (e spero) che correggeranno quanto prima il post. Comunque, per il record, ecco un'immagine della pagina come appariva il 13 Agosto - in una cattura dello schermo include l'intestazione del blog





venerdì 12 agosto 2016

Hiroshima e i 71.000 morti in un secondo



Hiroshima: 71 mila morti in un secondo

Di Silvano Molfese




In occasione del 71-esimo anniversario del bombardamento nucleare di Hiroshima, il 6 Agosto 1945, questa foto ritrae di 38 pagine, ciascuna della quale contiene un numero di cerchietti per un totale di 71.000, tanti quante le persone morte al momento dell’esplosione. (*)


La costruzione della bomba atomica fu “la più grande e veloce impresa industriale mono-prodotto della storia dell’uomo, a tutt’oggi. Le persone implicate nel progetto Manhattan erano zero all’inizio del 1942 e furono valutate in seicentomila nell’agosto del 1945. Con Hiroshima e Nagasaki è stato battuto il record delle persone incenerite al secondo, settantunomila. Naturalmente i morti per effetti secondari furono tre o quattro volte tanto.” (Sertorio, "Storia dell'Incertezza", 2013, pag. 6)

Leggendo il libro Storia dell’incertezza, scritto dal fisico Luigi Sertorio da cui ho tratto queste righe, ho pensato di rendere con un colpo d’occhio il numero delle persone che ad Hiroshima perirono all’istante.

Dopo aver impiegato tempo ed energie per visualizzare la potenza distruttiva dell’arma nucleare sono rimasto deluso dalla foto che ho fatto delle trentotto pagine. Al di là delle mediocri abilità fotografiche ed informatiche del sottoscritto, credo che ci sia una grande difficoltà a rendere l’idea dei mortali effetti sull’uomo della bomba atomica con una sola immagine.

Riporto la domanda introduttiva al testo citato di Luigi Sertorio relativa ai comportamenti dell’uomo: “sa quello che fa?”




(*) Ho usatola lettera maiuscola O, carattere Calibri, dimensione 10, grassetto. Ogni pagina contiene 1908 lettere tranne l’ultima che è composta da 404 cerchietti.


giovedì 4 agosto 2016

Alcune riflessioni sul crepuscolo dell'era del petrolio – parte prima

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR




Guest post di Louis Arnoux

Questo post in tre parti è stato ispirato dal recente post di Ugo riguardo a “Un mondo 100% rinnovabile è possibile?” e dalla recente discussione nel gruppo di discussione di Ugo su come mai gli “Economisti ancora non capiscono?” Il post integra anche numerose discussioni e scambi che ho avuto con colleghi e partner d'affari negli ultimi tre anni.

Introduzione
Almeno dalla fine del 2014 c'è stata una confusione crescente su prezzi del petrolio, se il cosiddetto “picco del petrolio” si fosse già verificato o se si verificherà in futuro e quando, per questioni di valori di EROI (o EROEI) delle attuali fonti energetiche e delle alternative, cambiamento climatico e fantasmatico limite di riscaldamento di 2°C e riguardo alla fattibilità del passare rapidamente a fonti di energia rinnovabili o sostenibili. In generale, conta molto se un orizzonte temporale ragionevole per agire è, diciamo, di 50 anni, nel complesso i guai che stiamo contemplando si verificano ben oltre il 2050, o se siamo già in guai seri e il quadro temporale per cercare di tirarci fuori è di circa 10 anni. Rispondere a questo tipo di domanda richiede di fare molta attenzione alle definizioni di limite di sistema ed esaminare tutte le cose date per scontate.

Ci sono voluti oltre 50 anni perché i climatologi venissero ascoltati e che i politici raggiungessero l'Accordo di Parigi sul cambiamento climatico (CC) e la chiusura della COP21 l'anno scorso. Come senza dubbio potere cogliere dal titolo, io sono dell'idea che non abbiamo 50 anni per disperarci per il petrolio. Nelle tre sezioni di questo post per prima cosa esaminerò accuratamente dove ci troviamo in senso petrolifero; poi considererò in che modo questa situazione ci richieda di fare del nostro meglio per districarci dall'attuale confusione prevalente e pensare direttamente al nostro dilemma e nella terza parte offrirò alcune considerazioni a proposito del breve termine, i prossimi 10 anni – come affrontarlo, cosa non funzionerà e cosa potrebbe e l'urgenza di agire, senza ritardi.


Prima parte – Alice guarda il fondo del barile
Nel suo recente post, Ugo ha contrastato il punto di vista dei lettori di Doomstead Diner con quella degli esperti di energia a proposito della fattibilità della sostituzione dei combustibili fossili in un quadro temporale ragionevole. Dal mio punto di vista, gli ospiti di Doomstead avevano una percezione della situazione molto migliore di quella degli “esperti” del sondaggio di Ugo. Ad essere franchi, lungo le attuali linee prevalenti non ce la faremo. Qui non mi riferisco solo ai partiti del BAU (Business As Usual) che sostengono la bella vita basata su combustibili fossili e nucleare. Includo anche tutti gli attuali sforzi per implementare le alternative e combattere i CC. Ecco il perché.

Il costo della sostituzione di sistema
Ciò che un gran numero di specialisti di tecnologie energetiche non colgono sono le sfide della sostituzione di un intero sistema – passare da un basato sui combustibili fossili ad un 100% sostenibile in un dato periodo di tempo. Naturalmente, la prima domanda riguarda la necessità o meno di una sostituzione dell'intero sistema. Per coloro di noi che hanno già concluso che questa è una necessità urgente, se solo dovuta al CC, non c'è bisogno di discuterne qui. Per coloro che non hanno ancora chiarezza su questo punto, spero che la cosa diventerà molto più chiara fra qualche paragrafo.

Quindi tornando per ora alla sostituzione dell'intero sistema, la prima sfida ai quali molti rimangono ciechi è l'enorme costo energetico della sostituzione dell'intero sistema in termini di 1° Principio della Termodinamica (cioè quanta energia netta serve per sviluppare ed dispiegare un intero sistema alternativo, mentre quello vecchio deve essere mantenuto in funzione e progressivamente sostituito) e che riguarda anche il 2° Principio della Termodinamica (cioè, il calore di scarto implicato nel processo di sostituzione dell'intero sistema). I problemi implicati sono per prima cosa capire quanta energia primaria fossile richiede un tale passaggio, in aggiunta a quella richiesta dal BAU in corso e fino al momento in cui una qualsiasi alternativa sostenibile sia riuscita a diventare auto sostenuta, poi accertarsi da dove potrebbe provenire quest'energia addizionale.

La fine dell'era del petrolio è adesso
Se avessimo un intero secolo di fronte a noi per fare la transizione, sarebbe relativamente facile. Sfortunatamente, non abbiamo più quell'agio visto che la seconda sfida chiave è il quadro temporale rimanente per la sostituzione completa del sistema. Ciò che sfugge a molti è che la fine rapida dell'era del petrolio è iniziata nel 2012 e sarà finita entro 10 anni. Al meglio della mia conoscenza, il materiale più avanzato su questo argomento è l'analisi termodinamica dell'industria petrolifera (IP) come sistema complessivo intrapresa da The Hill's Group (THG) più o meno negli ultimi due anni (http://www.thehillsgroup.org). Il THG sono degli ingegneri petroliferi statunitensi con grande esperienza condotti da B.W. Hill. Trovo la sua analisi elegante e dura. Per esempio, una delle sue uscite riguarda i prezzi del petrolio. In un periodo di 56 anni, il suo fattore di correlazione coi dati storici è di 0,995. Di conseguenza, hanno cominciato ad avvertire circa il crollo del prezzo del petrolio che è iniziato nel 2014 già nel 2013 (vedete: http://www.thehillsgroup.org/depletion2_022.htm). In ciò che segue mi baso sul rapporto del THG e sul mio lavoro.

Tre figure che riassumono la situazione in cui ci troviamo piuttosto bene, dal mio punto di vista.



Figura 1 – Fine del gioco

Per ragioni puramente termodinamiche, l'energia netta consegnata al mondo industriale globalizzato (MIG) per barile dall'industria petrolifera (IP) sta rapidamente tendendo a zero. Per energia netta intendiamo qui ciò che la IP consegna al MIG, essenzialmente sotto forma di carburanti per il trasporto, dopo che è stata sottratta l'energia usata dall'IP per esplorazione, produzione, trasporto, raffinazione e consegna dei prodotti finali. Tuttavia, le cose precipitano ben prima di raggiungere “ground zero”, cioè, entro 10 anni l'IP come la conosciamo si sarà disintegrata. In realtà, diversi analisti di enti come Deloitte Chatham House, che fanno vaticini finanziari, stanno progressivamente raggiungendo lo stesso tipo di conclusione. [1] L'era del petroliosta finendo adesso, non in una lenta, dolce e lunga discesa dal “Picco del petrolio”, ma un in rapido esaurimento dell'energia netta. Questo ora si combina con cose come il cambiamento climatico e i problemi di debito pubblico per generare quella che chiamo un “tempesta perfetta”, grande abbastanza da mettere in ginocchio il MIG.


In un mondo come quello di Alice

Al momento, sotto il paradigma prevalente, non esiste alcun modo conosciuto per uscire dalla tempesta perfetta entro i limiti di tempo emergenti (il tempo disponibile si è contratto di un ordine di grandezza, da 100 a 10 anni). E' qui che penso che il lettori di Doomstead Diner prevedono bene. Molti lettori hanno senza dubbio famigliarità col cosiddetto effetto “Regina rossa”, illustrato nella figura 2 – dover correre forte per rimanere nello stesso punto ed ancora più forte per riuscire ad andare avanti. L'IP è pienamente alle prese con questo effetto.






Figura 2 – Bloccati su un binario che va verso il nulla


La parte alta della Figura 2 evidenzia che, a causa del declino dell'energia netta per barile, l'IP deve continuare a correre sempre più veloce (vedi pompare petrolio) per continuare ad alimentare il MIG con l'energia netta di cui necessita. Ciò che a molti sfugge è che a causa dello stesso rapido declino dell'energia netta per barile verso lo zero, l'IP non può continuare a “correre” per più di qualche anno – per esempio B.W. Hill considera che entro 10 anni il numero di pompe di benzina negli Stati Uniti si sarà ridotto del 75%...

Ciò che a sua volta molti trascurano, raffigurato nella parte bassa della Figura 2, è ciò che chiamo l'effetto regina rossa inverso (1/RR). Costruire un intero sistema alternativo richiede energia, che inizialmente deve provenire in larga parte dall'attuale sistema alimentato a combustibili fossili. Se il passaggio avviene troppo rapidamente, il drenaggio di energia netta uccide letteralmente il sistema BAU esistente. [2] Più il tempo della transizione è breve, più duro è l'effetto 1/RR.

Stimo che il tasso di crescita limite di tutto il sistema alternativo sia del 7% di crescita all'anno. In altre parole, gli attuali tassi di crescita del solare e dell'eolico, ben al di sopra del 20% e in alcuni casi oltre il 60, non sono praticabili globalmente. Tuttavia, il tipo di tassi di crescita necessari per una transizione molto breve nel quadro temporale della tempesta perfetta, nell'ordine del 35%, sono ancora meno praticabili – se ci atteniamo al paradigma prevalente, cioè. Come suggerisce la parte finale della Figura 2, c'è una via d'uscita concentrandosi sull'attuale enorme spreco di energia, ma attualmente questa strada non viene presa.

Sulla strada per Olduvai
Dal mio punto di vista, dato che quasi tutto all'interno del MIG richiede trasporto e che detto trasporto dipende ancora per circa il 94% da carburanti derivati dal petrolio, il rapido esaurimento dell'energia netta del petrolio deve essere considerata come l'evento che definisce il XXI secolo – governa la funzionalità di tutte le altre fonti di energia, così come quella dell'intero MIG. A questo proposito, il parametro cruciale da considerare non è la quantità assoluta di petrolio estratto (come fanno persino i “picchisti”), come i milioni di barili prodotti all'anno, ma l'energia netta proveniente dal petrolio pro capite della popolazione globale, visto che quando questa si avvicina troppo allo zero ci dobbiamo attendere un collasso sociale completo, globalmente.

Il quadro complessivo, come descritto nella Figura 3, è quello della “Madre di tutte le curve di Seneca” (per usare l'espressione di Ugo). Presenta l'energia netta pro capite della popolazione globale. [3] La Gola di Olduvai come sfondo è un ammiccamento allo scenario del dottor Richard Duncan (egli ha usato i barili di petrolio equivalenti, che è stato un errore) e utile a sottolineare le terribili conseguenze nel caso raggiungessimo “il fondo della gola” - una specie di destino da “cacciatori-raccoglitori postmoderni”.

Il petrolio è stato usato per migliaia di anni, in modo limitato nelle aree in cui questo sgorgava naturalmente o dove potevano essere scavati piccoli pozzi. Si è iniziato ad estrarre sabbie bituminose in maniera industriale nel 1745 a Merkwiller-Pechelbronn, nel nordest della Francia (il luogo di nascita di Schlumberger). Da tali inizi molto modesti ad un picco all'inizio degli anni 70, l'ascesa ha impiegato oltre 220 anni. La ricaduta verso lo zero impiegherà circa 50 anni. L'incredibile crescita economica nei tre decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale è stata di fatto alimentata da una crescita del 321% dell'energia netta pro capite. Il picco di 18 GJ a testa circa nel 1973 è stato in realtà di circa 40 GJ a testa per coloro che avevano accesso al petrolio in quel momento, cioè la parte industrializzata della popolazione globale.






Figura 3 – La “Madre di tutte le curve di Seneca”


Nel 2012 l'IP ha cominciato ad usare più energia per barile nei suoi processi (dall'esplorazione petrolifera al trasporto dei carburanti alle pompe di benzina) del netto che consegna al MIG. Ora ci troviamo al di sotto dei 4 GJ di energia a testa e diminuisce rapidamente.


In realtà è questo ora che governa i prezzi: dal 2014, tramite milioni di transazioni commerciali (che fungono da “mano invisibile” dei mercati), sta progressivamente filtrando la realtà secondo cui il MIG si può permettere solo prezzi del petrolio in proporzione alla quantità di crescita del PIL che può essere generato da un'energia netta consegnata per barile in rapida contrazione, che non è più molta. Presto sarà zero. Quindi i prezzi del petrolio sono in realtà in una tendenza al ribasso verso lo zero.


Per farvi fronte, l'IP ha cannibalizzato sé stessa dal 2012. Questa tendenza sta accelerando ma non può continuare molto a lungo. Persino gli analisti mainstream hanno cominciato a riconoscere che l'IP non sta più rifondendo le proprie riserve. Siamo entrati in tempi di svendita, come mostrato dai recenti annunci dell'Arabia Saudita (il cui giacimento principale, Ghawar, è probabilmente esaurito per oltre il 90%) per vendere parte della Aramco e fare un rapido passaggio da una dipendenza del 100% dal petrolio verso il “solare”.

Dato ciò che descrivono le Figure da 1 a 3, dovrebbe essere ovvio che riprendere la crescita lungo le linee del BAU non è più fattibile e che affrontare il CC come previsto alla COP21 di Parigi è a sua volta non fattibile e che esporsi ad ancora più debito che non potrà mai essere rimborsato non è più una soluzione, nemmeno sul breve termine.

E' tempo di “quagliare” e ciò richiede un cambiamento di paradigma in grado di evitare entrambi i limiti di gli effetti RR e 1/RR. Dopo quasi 45 anni di ricerca, i miei colleghi ed io pensiamo che questo sia ancora fattibile. A meno di questo, no, non ce la faremo, in termini di sostituzione delle risorse fossili con quelle rinnovabili all'interno del quadro temporale rimanente o in termini di sopravvivenza del MIG.


A seguire:


Parte seconda – Indagare l'appropriatezza della domanda

Parte terza - Trovarsi leggermente oltre il bordo del dirupo


[1] Vedete per esempio, Stevens, Paul, 2016, Società petrolifere internazionali: la morte del vecchio modello di business, Energia, saggio di ricerca, Energia, Ambiente e Risorse, Chatham House; England, John W., 2016, A corto di capitale? Il rischio di mancanza di investimento in petrolio e gas è amplificato dalle priorità di cassa in competizione, Deloitte Center for Energy Solutions, Deloitte LLP. La Banca di Inghilterra ha recentemente commentato: “L'industria del petrolio greggio e del gas naturale assediate hanno tagliato le spese di capitale fino ad un punto al di sotto dei livelli minimi necessari per sostituire le riserve – la sostituzione di riserve provate nel passato ha costituito circa l'80% della spesa dell'industria. Tuttavia, l'industria ha tagliato le sue spese di capitale di un totale del 50% nel 2015 e nel 2016. Secondo il nuovo studio di Deloitte [di cui si è parlato sopra], questa mancanza di investimento esaurirà rapidamente la disponibilità futura di riserve e di produzione”.

[2] Questo effetto viene anche definito “cannibalizzazione”. Vedete per esempio, J. M. Pearce, 2009, Strategie di mitigazione dei gas serra per sopprimere il cannibalismo energetico, Seconda conferenza sulla tecnologia del cambiamento climatico, 12-15, Hamilton, Ontario, Canada. Tuttavia, nell'industria petrolifere e più in generale nell'industria estrattiva, il cannibalismo di solito si riferisce a ciò che fanno le società quando stanno raggiungendo la fine delle riserve estraibili e tagliano sulla manutenzione, svendono beni o ne acquisiscono alcuni da società fallite per cercare di sopravvivere un po' più a lungo. Attualmente sono in corso molte cessioni di beni per rattoppare il petrolio e il gas di scisto, stessa cosa fra le major, Lukoil, BP, Shell, Chevron, etc… Fra i tagli di spesa e le cessioni di beni le quantità coinvolte sono nell'ordine di 1-2 trilioni di dollari.

[3] Questo grafico è basato sui dati di energia netta di THG, sui dati di produzione della BP e sui dati demografici dell'ONU.

lunedì 1 agosto 2016

Quanto effetto serra genera un bambino in più?



Da“OSU”.Traduzione di MR (via Bodhi Paul Chefurka)
31/07/2009


CORVALLIS, Oregon. – Alcune persone che sono serie riguardo al voler ridurre la propria “impronta di carbonio” sulla Terra hanno a disposizione una scelta che potrebbe fruttare un beneficio a lungo termine – avere un figlio di meno.

Uno studio degli statistici dell'Università di Stato dell'Oregon (USO) ha concluso che negli Stati Uniti, l'impatto e l'eredità di carbonio e gas serra di un figlio in più è quasi 20 volte più importante di alcune delle altre pratiche ambientali sensibili che le persone potrebbero impiegare per tutta la loro vita – cose come guidare una macchina che consuma poco, riciclare, o usare elettrodomestici energeticamente efficienti e lampadine a basso consumo.
La ricerca chiarisce anche che gli impatti potenziali del carbonio variano drammaticamente di paese in paese. L'impatto a lungo termine del carbonio di un bambino nato negli Stati uniti – insieme a tutti i suoi discendenti – è più di 160 colte l'impatto di un bambino nato in Bangladesh.
Nelle discussioni sul cambiamento climatico tendiamo a concentrarci sulle emissioni di carbonio individuali durante il suo ciclo di vita”, ha detto Paul Murtaugh, un professore di statistica della USO. “Quelli sono problemi importanti ed è essenziale che debbano essere considerate. Ma una sfida aggiuntiva di fronte a noi è la continua crescita della popolazione e l'aumento del consumo globale di risorse”.
In questo dibattito è stata prestata pochissima attenzione all'enorme importanza della scelta riproduttiva, ha detto Murtaugh said. Quando un individuo mette al mondo un bambino – e quel bambino potenzialmente metterà al mondo altri discendenti in futuro – l'effetto sull'ambiente può essere di molte volte l'impatto prodotto da una persona durante il proprio ciclo di vita.
Nelle condizioni attuali degli Stati uniti, per esempio, ogni bambino alla fine aggiunge 9.441 tonnellate di biossido di carbonio all'eredità di carbonio di un genitore medio – circa 5,7 volte le emissioni di un ciclo di vita di cui è responsabile, in media, una persona.

Ed anche se alcune nazioni in via di sviluppo hanno popolazioni molto maggiori e i tassi di crescita della popolazione maggiori di quelli degli Stati Uniti, il loro impatto complessivo sull'equazione globale viene spesso ridotto da aspettative di vita minori e da minore consumo. L'impatto a lungo termine di un bambino nato in una famiglia in Cina è meno di un quinto dell'impatto di un bambino nato negli Stati Uniti, ha scoperto lo studio.
Man mano che il mondo in via di sviluppo aumenta la sua popolazione e i suoi livelli di consumo, questo potrebbe cambiare.
La Cina e l'India ora stanno aumentando costantemente le loro emissioni di carbonio e lo sviluppo industriale ed altre nazioni in via di sviluppo potrebbero a loro volta continuare ad aumentare alla ricerca di standard di vita più alti”, ha detto Murtaugh.
Lo studio ha esaminato diversi scenari di cambiamento dei tassi di emissione, il più aggressivo dei quali è stato di una riduzione del 85% delle emissioni globali di carbonio da adesso al 2100. Ma le emissioni in Africa, che comprendono 34 dei 50 paesi meno sviluppati del mondo, stanno già più del doppio di quel livello.

I ricercatori chiariscono che non stanno sostenendo controlli governativi o l'intervento sui problemi della popolazione, ma dicono che vogliono semplicemente rendere le persone consapevoli delle conseguenze ambientali delle loro scelte riproduttive.
Molte persone sono inconsapevoli del potere della crescita esponenziale della popolazione”, ha detto Murtaugh. “La crescita futura amplifica le conseguenze delle scelte riproduttive dei oggi delle persone, allo stesso modo in cui l'interesse composto amplifica un saldo bancario”.
Murtaugh ha osservato che i loro calcoli sono rilevanti per altri impatti ambientali oltre alle emissioni di carbonio – per esempio, il consumo di acqua potabile, che molti credono stia già scarseggiando.


sabato 30 luglio 2016

Il confronto fra scienziati del clima e i loro detrattori: non c'è proprio partita



La società chimica italiana ha preso una netta posizione in favore della scienza del clima


Ho raccontato in un post precedente della figuraccia che ha fatto la società italiana di fisica rifiutandosi di firmare un documento condiviso da 14 società scientifiche italiane a sostegno della scienza del clima. Poi, hanno fatto anche di peggio con le giustificazioni che hanno dato. Non certamente una bella figura per la fisica italiana, il cui prestigio era già scosso dall'appoggio che il Dipartimento di Fisica dell'Università di Bologna aveva inizialmente dato alla storia del'E-Cat.

Al contrario, la società di chimica italiana ha preso una netta posizione in favore della scienza del clima. Nell'articolo riportato qui di seguito, "Saperescienza" racconta la storia, sfortunatamente dandone un'interpretazione un tantino semplificata, come se fosse una partita di calcio fra la società di chimica e quella di fisica. In realtà, nel campo della scienza del clima, se si mettono a confronto i veri scienziati e i loro detrattori, non c'è proprio partita. Per fortuna, l'articolo termina in modo corretto dicendo che " astensioni come quelle della Società Italiana di Fisica rischiano di alimentare lo scetticismo con gravi effetti sulle politiche ambientali di contenimento di un fenomeno che è tutt'altro che sottovalutabile."

(U.B.)

I cambiamenti climatici e l' "astensione" della Società Italiana di Fisica

13 Luglio 2016

I cambiamenti climatici sono un'emergenza da fronteggiare, determinata dall'attività umana? "Sì", per i chimici italiani, "ni" per i fisici. Almeno questo è quello che sembra emergere dalle prese di posizione della Società Chimica Italiana (SCI) e della Società Italiana di Fisica (SIF). O meglio, dalla non presa di posizione di quest'ultima.

Mentre la SCI, in un documento, riconosce infatti nei cambiamenti climatici una delle "principali minacce per lo sviluppo sostenibile" e si associa alla necessità, globalmente percepita, di ridurre le emissioni di gas serra e di adottare adeguati piani di adattamento agli impatti negativi previsti dagli attuali modelli climatici, la SIF preferisce non esprimersi in modo così netto.

Alla fine dell'anno scorso, dodici associazioni scientifiche italiane hanno sottoscritto la "Dichiarazione sui cambiamenti climatici" approvata alla vigilia della COP21 di Parigi, con la vistosa eccezione della SIF, che ha fatto togliere il suo logo. Pomo della discordia, una parola: "inequivocabile".

Nella dichiarazione, presentata in occasione dello "Science Symposium on Climate" che si è tenuto a Roma nella sede FAO, infatti, si trova questo passaggio: "l'influenza umana sul sistema climatico è inequivocabile ed è estremamente probabile che le attività umane siano la causa dominante del riscaldamento verificatosi a partire dalla metà del XX secolo". Ma, secondo la SIF, "alcune certezze non sono certezze, occorre fare attenzione" ha dichiarato la presidentessa Luisa Cifarelli, che continua: "non esistono le equazioni del clima. E io non mi trovo d'accordo con l'affermazione che il ruolo dell'uomo nel riscaldamento sia inequivocabile". La SIF avrebbe preferito parole come "verosimiglianza" o "probabilità", ma la proposta non è stata accolta dagli altri scienziati, anzi Cifarelli è stata, come riferisce lei stessa, "trattata male".

L'IPCC (Intergovernmental panel on climate change) organo ufficiale dell'ONU e autorità di riferimento in fatto di cambiamenti climatici, sostiene essere "molto probabile che l'influenza umana sia la causa dominante del riscaldamento osservato nel XX secolo", dove "molto probabile" corrisponde a una probabilità del 95 per cento. E' sufficiente per usare la parola "inequivocabile"?

Al di là della terminologia, la posizione della SIF è stata molto criticata ed è stata in alcuni casi definita "irresponsabile", per esempio da Ferdinando Boero, professore di biologia dell'università del Salento e dell'Istituto di scienze marine del Cnr. Quello che è sicuro è che i negazionismi sui cambiamenti climatici non sono certo stati superati e hanno un discreto peso, a livello scientifico e politico, e astensioni come quelle della Società Italiana di Fisica rischiano di alimentare lo scetticismo con gravi effetti sulle politiche ambientali di contenimento di un fenomeno che è tutt'altro che sottovalutabile.