giovedì 21 gennaio 2016

Non possiamo più fare niente.


Intervista rilasciata da Dennis Meadows  a Rainer
Himmelfreundpointer pubblicata dalla rivista Format il 6 marzo 2013.

40 anni fa uscì uno dei libri più importanti del XX secolo: "I limiti della crescita", patrocinato dal Club di Roma.   Nel libro non si previde la data del collasso della nostra civiltà, ma i 30 ricercatori coordinati dai coniugi Medaows dimostrarono che la crescita demografica e la crescita economica avrebbero condotto l'umanità al disastro qualunque fosse risultata essere la disponibilità di risorse.   Solo una rapida stabilizzazione della popolazione mondiale molto vicino ai tre miliardi di allora ed il passaggio ad un'economia stazionaria avrebbero potuto evitare la catastrofe.    Uno degli scenari pubblicati era definito "business as usual", vale a dire cose probabilmente sarebbe accaduto se niente fosse cambiato nell'impostazione politico-economica globale.
In realtà, da allora, molte cose sono cambiate, ma la verifica di questo scenario sulla base dei dati reali ne ha confermato la validità con un grado di affidabilità stupefacente.

FORMAT: Signor Meadows, secondo il Club di Roma, stiamo adesso fronteggiando una crisi legata alla disoccupazione, una crisi da carenza di cibo, una crisi economica e finanziaria globale ed una crisi ecologica globale. Ognuno di queste è un segnale che qualcosa sta andando per il verso sbagliato. Cosa esattamente?

MEADOWS: Quello che sottolineavamo nel 1972 ne "I limiti della crescita"- e che è tutt'ora valido- è il semplice fatto che non è possibile una crescita fisica infinita in un pianeta finito. Arrivati ad un certo punto la crescita si ferma.  O la fermiamo noi, cambiando i nostri comportamenti, oppure sarà il pianeta a fermarla. 40 anni dopo, ci dispiace dirlo, non è stato ancora fatto niente.

FORMAT: Nei vostri 13 scenari la fine della crescita fisica - cioè dell'aumento della popolazione mondiale, della produzione di cibo e di qualsiasi altra cosa venga prodotta o consumata - inizia tra il 2010 ed il 2050.  La crisi finanziaria è parte di tutto ciò?

MEADOWS: Non sono situazioni paragonabili. Supponiamo di avere il cancro e che questo cancro causi febbre, mal di testa ed altri dolori. Non sono questi il problema reale, è il cancro il problema! Comunque, proviamo a curarne i sintomi. Nessuno spera di sconfiggere il cancro con quelle cure. I fenomeni come il cambiamento climatico o le carestie sono semplicemente sintomi della malattia di questo pianeta, il che ci riporta inevitabilmente alla fine della crescita.

FORMAT: Il cancro come metafora della crescita incontrollata?

MEADOWS: Sì. Le cellule sane ad un certo punto smettono di crescere. Le cellule cancerose proliferano finché non uccidono l'organismo. La popolazione e la crescita economica si comportano nello stesso modo. Ci sono solo due modi di ridurre la crescita dell'umanità: ridurre il tasso delle nascite od aumentare quello delle morti. Quale preferisci?

FORMAT: Nessuno vorrebbe dover scegliere.

MEADOWS: Neanch'io. In ogni caso abbiamo perso l'opportunità di scegliere. Lo farà il pianeta.

FORMAT: Come?

MEADOWS: Consideriamo il cibo. Facciamo i conti, valutiamo la quantità di cibo pro capite a partire dagli anni '90. La produzione cresce, ma la popolazione cresce più rapidamente. Dietro ad ogni caloria di cibo che arriva sul piatto, ci sono dieci calorie di combustibili fossili utilizzate per produrlo, trasportarlo, immagazzinarlo, prepararlo e servirlo. Più diminuiscono le scorte di combustibili, più cresce il prezzo del cibo.

FORMAT: Dunque non è solo un problema distributivo?

MEADOWS: Certamente no. Se condividessimo tutto equamente, nessuno soffrirebbe la fame. Ma resta il fatto che abbiamo bisogno di fonti fossili come petrolio, gas o carbone per produrre cibo. E queste fonti si stanno esaurendo.  Nonostante vengano sfruttate nuove fonti come il gas o il petrolio da scisto, i picchi di petrolio e gas sono già superati. Questo pone una tremenda pressione sull'intero
sistema.

FORMAT: Secondo i vostri modelli sulla popolazione, nel 2050 saremmo all'incirca 9,5 miliardi, nonostante una stagnazione della produzione di cibo per i prossimi 30-40 anni.

MEADOWS: E questo significa che ci sarà una gran massa di persone povere.  Certamente più di metà dell'umanità. Oggi non possiamo nutrire a sufficienza una larga parte della popolazione mondiale. Tutte le risorse che conosciamo stanno calando. Ci si può immaginare dove porterà questa situazione. Ci sono troppi "se" nel futuro: "se" la gente diventerà più intelligente, "se" non ci saranno guerre, "se" faremo progressi tecnologici.
Siamo già al punto in cui non riusciamo a risolvere i problemi attuali, come potremo farcela tra 50 anni quando saranno più gravi?

FORMAT: E’ colpa del nostro modo di fare affari?

MEADOWS: Il nostro sistema economico e finanziario non è solo un mezzo per ottenere qualcosa. E' uno strumento che abbiamo sviluppato e che riflette i nostri scopi e valori. La gente non si preoccupa del futuro, ma solo dei problemi contingenti. E' per questo che abbiamo una crisi del debito così grave. Creare debito è l'opposto del preoccuparsi per il futuro.   Chiunque prenda un debito dice: non mi preoccupo di quello che avverrà. Quando per troppa gente il futuro non conta, si crea un sistema economico e finanziario che distrugge il futuro.  Puoi far pressione su questo sistema quanto vuoi ma finché non cambieranno i valori della gente, si andrà avanti nello stesso modo. Se dai un martello a qualcuno e questo lo utilizza per uccidere il suo vicino, non serve a niente cambiare il martello. Persino se gli riprendi il martello, quello rimane un potenziale assassino.

FORMAT: I sistemi che organizzano le modalità di coesistenza delle persone vanno e vengono.

MEADOWS: Ma l'uomo rimane lo stesso. Negli Stati Uniti, abbiamo un sistema nel quale è giusto che pochi siano immensamente ricchi e molti siano terribilmente poveri, fino alla fame. Se riteniamo che ciò sia accettabile, è difficile cambiare il sistema. I valori dominanti sono sempre gli stessi. Questi valori si riflettono enormemente nei cambiamenti climatici. A chi interessano?

FORMAT: All'Europa?

MEADOWS: Cina, Svezia, Germania, Russia e Stati Uniti hanno sistemi sociali differenti ma in ognuna di queste nazioni aumenta l'emissione di CO2, perché in realtà alla gente non importa. Il 2011 è stato l'anno record (l'intervista è del 2012, n.d.t.): lo scorso anno è stata prodotta più anidride
carbonica che nell'intera storia umana precedente, nonostante che si voglia che la produzione diminuisca.

FORMAT: Cos'è che va per il verso sbagliato?

MEADOWS: Scordatevi i dettagli. La formula base dell'inquinamento da CO2 è composta da quatto elementi. Primo: il numero di persone sulla Terra. Queste devono essere moltiplicate per i beni pro capite, ovvero quante automobili, case e mucche esistono a persona, ed abbiamo così lo "standard" di vita sulla Terra.    Questo va poi moltiplicato per il fattore d’energia consumata per unità di capitale,
per esempio quanta energia necessaria per produrre automobili, costruire case e per rifornire e nutrire le mucche. Ed infine, il tutto va moltiplicato per l'ammontare d’energia derivata da fonti fossili.

FORMAT: Approssimativamente tra l'80 e il 90%.

MEADOWS: Approssimativamente. Se vuoi che il carico di CO2 cali, l'intero risultato di questa moltiplicazione deve calare. Ma noi cosa facciamo?   Proviamo a ridurre la quantità d’energia fossile usando maggiormente fonti alternative come vento e sole. E lavoriamo per rendere più efficiente l'utilizzo d’energia, isolando meglio le case, rendendo i motori più efficienti e tutto il resto. Lavoriamo solo sugli aspetti tecnici ma trascuriamo del tutto il fattore relativo alla popolazione
e crediamo che il nostro standard di vita migliorerà o almeno rimarrà invariato. Ignoriamo la popolazione e gli elementi sociali dell'equazione, e ci focalizziamo totalmente sulla soluzione degli aspetti tecnici del problema. Falliremo, perché la crescita della popolazione e gli standard di vita sono molto più rilevanti di tutto quanto possiamo risparmiare con una migliore efficienza o con le energie alternative. Pertanto, le emissioni di CO2 continueranno a salire. Non ci sarà soluzione al problema dei cambiamenti climatici se non affronteremo i fattori sociali che ne sono alla base.

FORMAT: Vuoi dire che la Terra risolverà la situazione di propria iniziativa?

MEADOWS: I disastri sono il metodo del pianeta per risolvere i problemi. A causa del cambiamento climatico, i livelli del mare cresceranno perché si stanno sciogliendo i ghiacci polari. Specie dannose si diffonderanno in aree dove non hanno nemici naturali a sufficienza. L'aumento della temperatura comporta l'aumento di venti forti e tempeste, che a loro volta influenzano le precipitazioni: avremo più alluvioni e più siccità.

FORMAT: Per esempio?

MEADOWS: La terra dove ora è coltivato il 60% del frumento cinese, sarà troppo secca per l'agricoltura. Nello stesso momento, pioverà, ma in Siberia, e la terra sarà più fertile lì. Dunque ci sarà una grande migrazione dalla Cina alla Siberia. Quante volte l'ho già detto alla gente nelle mie conferenze in Russia! I più anziani sono interessati ma la élite giovane ha semplicemente detto "Che m’importa? Voglio soltanto esser ricco."

FORMAT: Cosa fare?

MEADOWS: Se solo lo sapessi... Entriamo in un periodo che richiede enormi cambiamenti praticamente in tutto. Sfortunatamente, cambiare le nostre società o i sistemi di governo non è un processo rapido. Il sistema attuale non funziona comunque. Non ferma i cambiamenti climatici né previene le crisi finanziarie. I governi provano a risolvere i loro problemi stampando moneta, il che
quasi certamente porterà entro qualche anno ad un elevato tasso d’inflazione. E' una fase molto pericolosa. So soltanto che la gente, soprattutto in periodi di incertezza, se deve scegliere tra libertà ed ordine, sceglie l'ordine. L'ordine non significa necessariamente giustizia o rispetto della legge, ma vita ragionevolmente sicura e treni in orario.

FORMAT: Hai paura della fine della democrazia?

MEADOWS: Vedo due trend. Da una parte, lo smembramento degli stati in unità più piccole, ad esempio in regioni come la Catalogna.  Da un'altra parte la creazione di un superpotere forte e centralizzato. Non uno stato ma una combinazione fascistoide di industria, polizia e militari. Forse in futuro avremo persino le due soluzioni in contemporanea. La democrazia è in effetti un esperimento socio-politico molto giovane. Ed attualmente non esiste. Produce soltanto crisi che non è in grado di risolvere. La democrazia non contribuisce attualmente alla nostra sopravvivenza. Il sistema collasserà dall'interno, non a causa di un nemico esterno.

FORMAT: Stai parlando del "Dramma dei beni comuni"

MEADOWS: E' il problema fondamentale. Se in un villaggio chiunque può pascolare il suo gregge su un prato rigoglioso (aperto a tutti, N.d.T.) - chiamato in inglese arcaico "Commons" - entro poco tempo ne beneficeranno soprattutto quelli che scelgono di avere più bestiame. Ma se si va avanti in quel modo troppo a lungo, l'erba finisce e con quella tutto il bestiame.

FORMAT: Dunque si deve arrivare ad un accordo, per utilizzare al meglio il prato.   Questo potrebbe rappresentare il lato migliore della democrazia.

MEADOWS: Forse. Se il sistema democratico non riesce a risolvere il problema su scala globale, probabilmente potrebbe provarci una dittatura. Dopotutto, si tratta di questioni come il controllo della popolazione globale. Siamo da 300.000 anni sul pianeta e ci siamo organizzati in molti modi differenti. Quelli di maggior successo e più efficaci sono stati i sistemi tribali o di clan, non le dittature o le democrazie.

FORMAT: Un importante passo avanti tecnologico potrebbe salvare la Terra?

MEADOWS: Sì. Ma le tecnologie hanno bisogno di leggi, vendite, addestramento, persone che ci lavorano - vale quello che ho già detto poco fa.  Soprattutto, la tecnologia è solo un attrezzo come un martello o come il sistema finanziario neoliberista. Se i nostri valori sono sempre gli stessi, continueremo a sviluppare tecnologie che li soddisfano.

FORMAT: Tutto il mondo attualmente vede una possibile salvezza in una tecnologia verde e sostenibile.

MEADOWS: E' una fantasia. Anche se ci impegnassimo per aumentare l'efficienza nell'utilizzo dell'energia in modo enorme, ancor più nell'uso di fonti rinnovabili e facessimo grandi sacrifici per limitare i nostri consumi, non avremmo virtualmente possibilità di allungare la vita al nostro sistema attuale. La produzione di petrolio si ridurrà di circa la metà nei prossimi 20 anni, nonostante
lo sfruttamento dell'olio da scisti o da sabbie bituminose. Tutto accade troppo rapidamente. Al di là del fatto si può guadagnare anche di più grazie alle energie alternative. Le turbine eoliche possono funzionare, senza aeroplani.
Il direttore della Banca Mondiale (più recentemente responsabile dell'industria aerea complessiva) mi ha spiegato che il problema del picco del petrolio non è discusso in quell'istituzione, è semplicemente tabù.   Chiunque ci provi in qualche modo o viene licenziato o trasferito. Dopotutto, il picco del petrolio distrugge la fiducia nella crescita. Dovresti cambiare tutto.

FORMAT: Specialmente nelle compagnie aeree dove la quota di combustibili fossili è molto alta.

MEADOWS: Esattamente. E' per questo che l'era del trasporto aereo di massa a basso costo finirà presto. Se lo potranno permettere solo in grandi stati o imperi. Con molti soldi si potrà comprare energia - e causare mancanze di cibo, ma non si può sfuggire al cambiamento climatico, che colpisce i ricchi ed i poveri.

FORMAT: Hai qualche soluzione per queste terribili miserie?

MEADOWS: Dovrebbe cambiare la natura dell'uomo. Siamo tuttora programmati come 10.000 anni fa. Visto che uno dei nostri antenati poteva essere attaccato da una tigre, non si poteva preoccupare del futuro ma solo della propria sopravvivenza. La mia preoccupazione è che, per motivi genetici, non siamo adatti a fare i conti con problemi di lungo termine come i cambiamenti climatici. Fino a
che non impareremo a farlo, non ci sarà modo di risolvere problemi simili. Non c'è niente che possiamo fare. La gente dice sempre: "Dobbiamo salvare il pianeta". No, non dobbiamo. Il pianeta si salverà in ogni modo da solo. L'ha già fatto. Talvolta gli ci vogliono milioni di anni, ma comunque ce la fa. Non dobbiamo preoccuparci del pianeta ma della razza umana.


Articolo già apparso sul n. 7 delle rivista online "Overshoot". 







mercoledì 20 gennaio 2016

Che ne è stato del 'picco del petrolio'?

Da “Yale Climate Connections”. Traduzione di MR (via Luca Pardi)

La speculazione che una volta era onnipresente sull'imminenza del picco del petrolio è svanita. Ma per molti non è questione di se, ma di quando. 

San Francisco, California, 18 dicembre 2015 – Che ne è stato dell'idea del “picco del petrolio”? Dieci anni fa non si riusciva ad evitarlo nemmeno a provarci. Libri di James Howard Kunstler, Richard Heinberg, Kenneth Deffeyes ed altri avvertivano che la produzione mondiale di petrolio avrebbe inevitabilmente raggiunto il picco presto, sulla base di analisi simili a quelle del celebrato geologo M. King Hubbert, che ha previsto, nel 1956, che la produzione di petrolio statunitense avrebbe raggiunto il picco fra il 1965 e il 1970. Accidenti se non aveva ragione. Col presunto picco di produzione mondiale del petrolio, le economie nazionali si sono attaccate all'iniezione di petrolio direttamente nelle loro grandi arterie, poi hanno iniziato a declinare. Picco del petrolio non significa che il petrolio scompaia – ne rimarrebbe ancora la metà – solo che ne verrebbe prodotto di meno ogni anno andando avanti e le economie traumatizzate cadrebbero in uno stato permanente di recessione mentre i consumatori combatterebbero, tipo in Mad Max, per gli ultimi barili.


martedì 19 gennaio 2016

Gli scienziati dicono che secoli di fusione del ghiaccio polare sono ormai inevitabili

Da “Inside Climate News”. Traduzione di MR (via Skeptical Science/Climate Central)

“Se abbiamo un periodo di tempo prolungato a 2°C, probabilmente perderemo la Groenlandia e questo significa 7 metri di innalzamento del livello del mare”




Il villaggio di Ilulissat visto vicino agli iceberg che si sono staccati dal ghiacciaio Jakobshavn il 24 luglio 2013 a  Ilulissat, in Groenlandia. Un aumento del livello del mare significativamente maggiore si verificherà con la fusione delle calotte glaciali dell'Antartide Occidentale e della Groenlandia, gigantesche masse di ghiaccio che sono vulnerabili anche al minimo aumento della temperatura, dice un nuovo studio. Foto: Joe Raedle/Getty Images

Di Phil Mckenna

La fusione delle calotte di ghiaccio polare e dei ghiacciai di montagna probabilmente continuerà per migliaia di anni, causando un irreversibile innalzamento del livello del mare, anche se il riscaldamento globale venisse limitato a 2°C, secondo un nuovo rapporto pubblicato la scorsa settimana durante i negoziati sul clima di Parigi. I livelli del mare potrebbe salire da 4 a 10 metri o più a meno che non vengano intrapresi rapidamente passi di gran lunga più ambiziosi per ridurre le emissioni di gas serra, secondo il rapporto pubblicato dall'International Cryosphere Climate Initiative (ICCI), un'organizzazione di ricerca e politiche no profit con base a Burlington, nel Vermont. “Anche se fermassimo tutto il riscaldamento oggi e restassimo a questo livello, stiamo parlando di circa 1 metro  di innalzamento del livello del mare entro il 2300”, ha detto Pam Pearson, autrice principale del rapporto e direttrice del ICCI, che ha presentato le sue scoperte nelle attività collaterali dei colloqui di Parigi. “Le temperature che stiamo raggiungendo anche oggi, lasciando perdere ciò che accadrebbe fra due,tre o quattro decenni, potrebbero comportare cambiamenti che non saranno reversibili su una scala temporale umana”.

lunedì 18 gennaio 2016

Il tramonto del petrolio: edizione del 2015

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR

Cari lettori,

nell'ultimo rapporto annuale della IEA, il World Energy Outlook (WEO), edizione del 2015 (rapporto che abbiamo già commentato per esteso in questo blog) abbiamo avuto la fortuna che la IEA ci lasciasse una tavola numerica sull'evoluzione della produzione di idrocarburi liquidi (quelli che, con un abuso semantico da anni viene chiamato “petrolio” o “tutti i liquidi del petrolio”) prevista per i prossimi 25 anni secondo il suo scenario centrale. E' la tavola 3.5, che riproduco qui sotto:


domenica 17 gennaio 2016

Picco del petrolio: è quello vero?

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR



Art Berman riporta nel suo blog gli ultimi dati della IEA. Questi dati rivelano una grande quantità di informazioni su quanto è successo nei mercati petroliferi durante gli ultimi due anni circa. Tutta la cosa sembra essere finita fuori controllo, con tutti che pompano il più possibile, preoccupandosi solo di danneggiare i concorrenti e senza troppa preoccupazione circa il disastro generale causato dalla sovrapproduzione. L'eccesso ha stimolato la domanda, ma solo debolmente. Il risultato è stato il collasso del prezzo del petrolio, che osserviamo ancora oggi.

sabato 16 gennaio 2016

Il collasso dalla produzione di petrolio di scisto

Da “srsroccoreport.com”. Traduzione di MR (via Maurizio Tron)

Non dobbiamo più aspettare il collasso del petrolio di scisto statunitense, è già iniziato. Sfortunatamente, è una cattiva notizia per il governo statunitense e per l'economia interna. Il crollo della produzione petrolifera interna metterà a dura prova il sistema finanziario fortemente basato sul debito nei prossimi anni.

Secondo il recente Rapporto sulla Produttività delle Trivellazioni della Energy Information Agency (EIA), la produzione di petrolio di scisto dei principali giacimenti è prevista in declino di 116.000 barili al giorno nel gennaio 2016. Anche se la produzione di petrolio di scisto complessiva statunitense è prevista in calo del 12% dal suo picco del marzo 2015, uno dei giacimenti più grandi in Texas è in calo di un esorbitante 30%:

giovedì 14 gennaio 2016

LA SOVRAPPOPOLAZIONE È UN PROBLEMA ?


di Jacopo Simonetta

Articolo tratto da  "Overshoot n. 7", Bollettino dell'Associazione Rientrodolce. 

Le parole hanno un significato e da come si usano si può capire come funziona la mente di chi parla o scrive.

Prendiamone una che oggi si incontra spessissimo: problema.

In pratica, quando una determinata situazione viene definita “un problema” s’intende dire che è una cosa più o meno spiacevole, magari anche pericolosa, ma che opportune azioni possono, almeno in teoria, ricondurre il tutto entro l’alveo della normalità (altro termine su cui ci sarebbe molto da dire).
Dunque è questo che intendiamo quando diciamo che la sovrappopolazione è un problema?  Se si, vuol dire che ci devono essere delle azioni atte a risolverlo, questo problema; altrimenti utilizzeremmo altri termini come, ad esempio, “catastrofe”.

Ma che vuol dire “catastrofe”? Comunemente, lo sappiamo, indica un evento improvviso, tale da provocare danni molto elevati, anche irreparabili.
In un contesto scientifico, indica più genericamente un cambiamento molto rapido e consistente nell'andamento di una funzione. Un modo molto asettico di indicare eventi che, spesso, hannoconseguenze devastanti, perlomeno alla scala dimensionale cui ci si sta riferendo.

Insomma, riferito alla realtà quotidiana di tutti noi, vogliono dire la stessa cosa, ma il significato scientifico ci interessa perché si porta dietro la spiegazione di come avviene la formazione di una catastrofe. Impariamo così che se gli effetti sono repentini, le cause, al contrario, si accumulano silenziosamente per un periodo anche molto lungo, senza che succeda praticamente niente.  Ed è proprio questa dilazione degli effetti rispetto alle cause che impedisce un tempestivo adattamento, provocando quindi effetti dirompenti.

Ad esempio, se, un poco per volta, si accumula un carico eccessivo su una trave di legno, un osservatore accorto avrà modo di vedere che pian piano si flette, vi compaiono fenditure caratteristiche e nel silenzio si udirà scricchiolare.  Ci sarà quindi il tempo per spostare i mobili. Viceversa, se si eccede nel caricare una trave di cemento armato, non si vedranno segni di sorta finché un giorno, all'improvviso, la trave cederà di schianto.  E se vi capita di sentire scricchiolare una trave di questo tipo, non pensate ai mobili, ma a scappare perché è già troppo tardi.

Considerando che i principali effetti della sovrappopolazione sono l’aumento della disoccupazione, l’incremento dei flussi migratori, lo sgretolamento delle strutture sociali, la distruzione di ecosistemi, la perdita di biomassa e di biodiversità, l’erosione dei suoli ed altri simili, non credo che ci sia molto bisogno di dilungarsi sul fatto che la trave stia scricchiolando molto forte e non da adesso.

Ma potremmo forse fare qualcosa per evitare il peggio che incombe?

In effetti, fin dagli anni ’60 del ‘900, quando la tendenza demografica è diventata evidente, c’è stato un fiorire di proposte, perlopiù concentrate sulla riduzione delle nascite, ma non hanno funzionato.  A livello globale, la curva demografica reale ha ricalcato quasi perfettamente quella prevista negli scenari “business as usual”.

In parte perché solo alcuni paesi hanno ridotto sufficientemente la natalità ed anche questi troppo lentamente. Ma soprattutto perché l’aumento vertiginoso della popolazione è dipeso prevalentemente dalla riduzione della mortalità, un fatto direttamente correlato con l’aumento delle produzioni agricole ed al miglioramento dei servizi sanitari più o meno in tutto il mondo.

Sicuramente le due conquiste della modernità più universalmente apprezzate. Ma conquiste direttamente dipendenti dal tipo di sviluppo economico che abbiamo avuto, poiché solo questo tipo e questo livello di crescita economica poteva mettere a disposizione le immani risorse necessarie ad un tale sviluppo della scienza e dell’industria medico-farmaceutica, così come per l’industrializzazione dell’agricoltura, lo sviluppo dei trasporti ecc.

Sappiamo per esperienza che crescita economica significa maggiori opportunità di guadagno, oltre che più beni e più servizi da acquistare. E’ intuitivo che ciò favorisca sia la natalità che la longevità; dunque la crescita demografica.   E’ invece molto meno evidente che, alle lunghe, proprio il perdurare della crescita demografica finisca con l’erodere l’economia. Eppure tutti sanno ( o dovrebbero sapere) che una famiglia deve scegliere se pagare l’università al figlio, acquistare una macchina nuova, andare in vacanza in un albergo di lusso o mettere al mondo un altro bambino. Semplicemente perché non ci sono risorse sufficienti per fare tutte queste cose contemporaneamente, a meno che non si guadagni di più.   Ma guadagnare di più significa per l'appunto crescita economica.

E, malgrado la frenesia di governi, banche, imprenditori ecc. la semplice verità è che i presupposti per la crescita economica non ci sono più. Al di la dei trucchi contabili, l’occidente è in recessione da quasi 20 anni oramai; ed il resto del mondo, alla spicciolata, ci segue.

Andamento di PIL, debito federale e borsa negli USA. I dati del PIL,
 corretto 
dalle manipolazioni contabili, sono tratti da John Williams,
”Shadow Government 
Statistics”)
In estrema sintesi, crescita demografica e crescita economica si rinforzano vicendevolmente, ma fra le due è la crescita economica che fa aggio sull'altra perché, se l’economia si contrae, la mortalità inevitabilmente sale,  mentre la natalità può sia aumentare che diminuire a seconda di molti fattori,
principalmente il livello d’autonomia decisionale delle donne in seno alla società.

Dunque: esiste una soluzione del problema? Secondo me, dipende da cosa chiamiamo “soluzione”. Se intendiamo dire che esiste un modo per riportare l’umanità in equilibrio con le superstiti risorse del pianeta in maniera non traumatica, direi certamente: NO.

Qualunque intervento anche solo teoricamente adottabile dalle pubbliche autorità non sortirebbe effetti sensibili prima di alcuni decenni, mentre gli effetti della contrazione economica si stanno già facendo sentire in alcuni paesi e, con ogni probabilità, cominceranno a farsi sentire su scala globale nel giro di 10-20 anni da adesso.   Dunque molto prima ed in modo, purtroppo, molto più rapido.

Insomma, per una volta è vero il detto “il problema è la soluzione”, ma ciò non significa che siamo eticamente autorizzati a stare a guardare la fine della nostra civiltà con le mani in mano, magari sogghignando “io l’avevo detto”.  Al contrario, è proprio quando la barca affonda che bisogna darsi maggiormente da fare.

Per cominciare, ridurre la natalità non sarà certamente sufficiente a riportare la situazione entro i limiti di sostenibilità, ma può fare moltissimo per ridurre il carico di sofferenza collettiva nel prossimo futuro.   Soprattutto, può dare un contributo cruciale nel flettere la curva della popolazione abbastanza in fretta da permettere agli ecosistemi di recuperare abbastanza da poter assicurare una vita decente ai discendenti dei superstiti.

Del pari, studiare ogni possibile modo per ridurre i propri impatti personali e collettivi sul pianeta, ben lungi dall'essere inutile, aiuterà a guadagnare tempo, lenire almeno un poco le situazioni più disperate e, soprattutto, elaborare i presupposti per la nascita di una civiltà futura molto diversa da quella attuale.

Per non parlare dell’urgenza di elaborare e sperimentare forme di aggregazione sociale e forme di economia di sussistenza preadattati, entro i limiti del possibile, alle condizioni socio-economiche e politiche probabili nel futuro a medio termine.

Un altro campo d’azione sterminato è occuparsi di trasmettere ai posteri almeno una parte dell’immenso patrimonio d’arte e scienza che abbiamo generato e accumulato attraverso secoli. E’ estremamente improbabile che le civiltà del futuro abbiano a disposizione i mezzi che abbiamo avuto noi, semplicemente perché le risorse necessarie non esistono più. Ma proprio per questo dovremmo preoccuparci, forse ancor più che di qualunque altra cosa, di proteggere questo nostro straordinario prezioso patrimonio dalla distruzione dei decenni venturi. Abbiamo ben visto di quali danni siano capaci gruppi di fanatici: quali saranno le conseguenze degli inevitabili e drastici tagli ai bilanci di università, musei, biblioteche, eccetera?

Infine, non dobbiamo dimenticare mai che se poco può essere fatto per lenire la durezza dei tempi a venire, moltissimo possiamo invece fare per rendere tali tempi molto, ma molto peggiori.  Il dilagare di nazionalismi e fanatismi di ogni sorta, il diffondersi di pensieri del tipo “ci vorrebbe un uomo forte” o “si stava meglio quando si stava peggio” e simili, sono tutti dei “dejà vu” in altre epoche di profonda crisi, che dovrebbero metterci all'erta.

Mantenersi impermeabili a questi richiami e cercare di contrastarli dovrebbe essere una delle occupazioni quotidiane di chi desidera dare il suo piccolo contributo ad una decrescita che, se non sarà felice, si può sperare che sia almeno “passabile”.  Evitando di farne l’incubo che, apparentemente, sempre più persone stanno cercando di materializzare.   Perlopiù per lo spasmodico desiderio di evitare l’inevitabile, quasi che fosse possibile riportare indietro l’orologio delle storia ad epoche in cui, è vero, si viveva meglio di oggi.   Ma è proprio in quelle epoche che abbiamo stoltamente sovraccaricato le strutture vitali del pianeta. Tornare indietro non servirebbe quindi a nulla; meno male che non è possibile.