mercoledì 20 gennaio 2016

Che ne è stato del 'picco del petrolio'?

Da “Yale Climate Connections”. Traduzione di MR (via Luca Pardi)

La speculazione che una volta era onnipresente sull'imminenza del picco del petrolio è svanita. Ma per molti non è questione di se, ma di quando. 

San Francisco, California, 18 dicembre 2015 – Che ne è stato dell'idea del “picco del petrolio”? Dieci anni fa non si riusciva ad evitarlo nemmeno a provarci. Libri di James Howard Kunstler, Richard Heinberg, Kenneth Deffeyes ed altri avvertivano che la produzione mondiale di petrolio avrebbe inevitabilmente raggiunto il picco presto, sulla base di analisi simili a quelle del celebrato geologo M. King Hubbert, che ha previsto, nel 1956, che la produzione di petrolio statunitense avrebbe raggiunto il picco fra il 1965 e il 1970. Accidenti se non aveva ragione. Col presunto picco di produzione mondiale del petrolio, le economie nazionali si sono attaccate all'iniezione di petrolio direttamente nelle loro grandi arterie, poi hanno iniziato a declinare. Picco del petrolio non significa che il petrolio scompaia – ne rimarrebbe ancora la metà – solo che ne verrebbe prodotto di meno ogni anno andando avanti e le economie traumatizzate cadrebbero in uno stato permanente di recessione mentre i consumatori combatterebbero, tipo in Mad Max, per gli ultimi barili.



A parte che gli “eventi non si svolgono mai come ci si aspetta”, ha detto James Murray, un oratore in una sessione intitolata “Il picco del petrolio è morto e cosa significa per il cambiamento climatico?” all'incontro autunnale di AGU nella Città della Baia. La tecnologia è venuta in soccorso, sotto forma di fracking e della trivellazione direzionale tridimensionale. La produzione petrolifera statunitense è volata verso l'alto del 54% in soli cinque anni, da 3,3 miliardi di barili nel 2009 a 5,1 miliardi di barili nel 2014. Anche se la produzione mondiale di petrolio è aumentata solo del 8,5% in quel periodo, è stato sufficiente per impedirle di raggiungere il picco.

Il picco del petrolio è quindi ora un concetto datato o si trova ancora nel nostro futuro?

La seconda, dicevano gran parte degli esperti all'incontro AGU, mentre ammettevano di non aver previsto la rivoluzione tecnologica che ha permesso alla produzione di petrolio e gas degli Stati Uniti di volare nell'ultimo decennio. Quelle risorse sono comunque in quantità finite e il loro costo di estrazione aumenta una volta che i frutti più bassi vengono raccolti. Il petrolio è sceso a circa 35 dollari al barile a causa dei produttori di petrolio, affamati di petrolio non convenzionale da sabbie bituminose e gas da scisto, prodotti in modo eccessivo. Eppure non fanno ancora soldi, ha detto James Murray dell'Università di Washington. Il petrolio di scisto – ciò che l'industria chiama “thight shale” - “è redditizio per i trivellatori, gli hotel e i ristoranti, ma non per gli investitori”, ha detto. Il flusso di contante in questo settore è stato di 10 miliardi di dollari in rosso nel 2014, anche se ci è stato messo più denaro, pensa Murray, da parte di investitori alla disperata ricerca di investimenti, visto che la Federal Reserve mantiene i tassi di interesse estremamente bassi. Murray ha detto che il prezzo di pareggio del petrolio convenzionale è di 20 dollari a barile, ma di 75 dollari al barile per il petrolio di scisto. Quindi le società petrolifere si stanno tirando indietro: la produzione statunitense di petrolio sembra aver raggiunto il picco nel luglio del 2015 ed anche il bacino di scisto dei Eagle Ford in Texas e il giacimento di Bakken in Nord Dakota stanno riducendo. “Il mondo potrebbe essere vicino al picco della produzione di petrolio”, ha concluso Murray. Se questo è vero – e ad un certo punto in futuro probabilmente lo sarà – cosa implica questo per il cambiamento climatico?

L'impatto sul clima

I cambiamenti di temperatura e le emissioni di combustibili fossili sono inequivocabilmente collegati. Momento per momento, il cambiamento della temperatura globale media della superficie della Terra è proporzionale alla somma di tutte le emissioni di carbonio in quel momento. Questa “risposta del clima al carbonio” è di 1,5°C per trilione di tonnellate di carbonio emesso – equivalente a 0,4°C per trilione di tonnellate di biossido di carbonio emesso. Questa relazione ha consentito ai negoziatori al recente incontro della COP21 di Parigi di redigere un bilancio di carbonio: il mondo nel suo complesso può emettere altri 1.000 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio se il cambiamento di temperatura deve raggiungere il picco a 2°C, ma solo altri 600 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio per un tetto di 1,5°. Con le attuali emissioni mondiali di circa 36 miliardi di tonnellate all'anno, il bilancio di carbonio dà al mondo meno di altri 30 anni di emissioni “business-as-usual” se il riscaldamento deve raggiungere il massimo ad un comunque rischioso +2°C.

“Dobbiamo tenere un sacco di combustibili sottoterra”, ha detto Pete Peterson dell'Università della California di Santa Barbara. David Hughes, presidente del Global Sustainability Research di Calgary, ha evidenziato che “le riserve rimaste [di combustibili fossili] sono ampie, ma di minore qualità e richiedono più energia per essere prodotte”. Hughes ha stimato che più del 90% di quelle che nel settore sono conosciute come “fonti non convenzionali” - gas e petrolio di scisto e sabbie bituminose - “non sono recuperabili”. Hughes ha detto che lo scenario futuro RCP2.6 dell'IPCC – che rappresenta l'uso dei combustibili fossili più strettamente vincolato e che porta al riscaldamento più basso - “ipotizza comunque che  venga bruciato più petrolio di quanto la BP suggerisca che se ne possa recuperare e la stessa cosa vale per il gas naturale, ma non per il carbone”. (La BP pubblica una Statistical Review of World Energy annuale). Infatti, ha detto Hughes, ogni scenario dell'IPCC – che ne sono 4, chiamati Representative Concentration Pathways RCP (Percorsi Rappresentativi di Concentrazione) – ipotizza che siano bruciati più petrolio e gas di quanti la BP suggerisce che se ne possano recuperare. Lo scenario che porta al maggior riscaldamento, il RCP8.5, in realtà ipotizza che si possa bruciare più carbone di quanto se ne possa recuperare. Il RCP2.6 – lo scenario che ha la quantità minore di riscaldamento globale – conta a sua volta su 5,1 volte più riserve di uranio di quanto la BP stimi ce ne siano disponibili. Ma ipotizza anche che il mondo avrà emissioni di carbonio “negative” dal 2040 – il che significa prelevare biossido di carbonio dall'atmosfera e sequestrarlo. “Il solo modo di avere un qualcosa come Parigi”, ha concluso Hughes, “è quello di bruicare molti meno combustibili fossili”.

Lo scrittore Richard Heinberg, l'ultimo relatore del gruppo sul picco del petrolio AGU, ha seguito quella conclusione fino ad un punto che la maggior parte dei teorici del picco del petrolio credono: che il futuro porterà una recessione permanente e che “probabilmente non potremo far crescere l'economia usando meno energia”. “Potremmo dover imparare a tirare avanti senza crescita economica”, qualcosa che nessun politico vorrebbe sentire, figuriamoci di ammettere, ha detto Heinberg. “Il grande problema è che diamo la priorità alla crescita economica su tutto il resto”. Potrebbe essere il momento, ha detto, di misurare il progresso della civiltà in qualche altro modo, forse usando qualcosa sulla falsariga del Genuine Progress Indicator o dell'indicatore  spesso sbeffeggiato di Felicità Interna Lorda del Bhutan. Anche questa potrebbe essere una cosa che pochi politici vorrebbero sentire o ammettere.

15 commenti:

  1. il successo dei politici del petrolitico è basato sul welfare, quello dei precedenti su quanti nemici riuscivano a uccidere. Capisco che tornare indietro non piaccia a nessuno, ma anche ai politici cinesi deve aver dispiaciuto mettere la legge del figlio unico per combattere la fame del loro paese. Se poi abbiamo ancora 30-40 anni di BAU senza eccessivi pericoli per il pianeta, il futuro è scontato.

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  2. Chiaro e cartesiano.
    Scaricato e stampato.
    Grazie.

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  3. Diciamo anche che C. Campbell e J. Laherrère, nel loro famoso articolo del 1998, avevano decisamente sottostimato l'estrazione di oil shale.

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  4. L'estrazione in USA ed in Russia mostra ad oggi due picchi. Ciò dimostra che, in determinati contesti, una massiccia iniezione di nuovi capitali e tecnologie può invertire temporaneamente il declino. La questione è quindi quanto tempo è "temporaneamente" e su cosa succede nel frattempo.
    Su questo richiamerei l'attenzione di tutti sul risultato più importante di LtG. Che non è stato azzeccare al 90% l'effettiva evoluzione del sistema (almeno fino al 2000). Bensì l'avere dimostrato che se la Terra avesse risorse sfruttabili molto maggiori di quelle stimate nel 1970 SAREBBE MOLTO PEGGIO.
    Meditate gente, meditate.

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    1. http://ugobardi.blogspot.it/2016/01/che-ne-e-stato-del-picco-del-petrolio.html#comment-form

      E' un sistema complesso.
      Forse sbagliamo a cercare il picco.

      La nostra economia somiglia a quella di un eroinomane: talvolta raggiunge il picco di consumo e poi scende...
      Più spesso continua a crescere il consumo; pur di ottenere la merce si vende tutto, compreso il fondoschiena.
      Finché arriva il collasso.

      Forse dovremmo "accontentarci" dei tanti altri segnali di sofferenza.

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  5. Il grafico mostrato sulla produzione mondiale di greggio, compresa la parte ipotetica in rosso, è sia qualitativamente che quantitativamente differente dalla curva, quasi simmetrica,di Hubbert. Mentre se mostraste i dati della produzione USA si vedrebbe pure che siamo in un secondo picco.
    Questo vuol dire che non dobbiamo preoccuparci del petrolio perché c e ne sarà sempre?
    Niente affatto, più o meno l' umanità ne ha già consumato metà di quanto immagazzinato nei giacimenti geologici.
    Semplicemente i consumi futuri di petrolio, come pure di carbone e metano 8anch' essi con le loro brave curve stimata da Hubbert ma quasi mai riportate dai picchisti) non seguiranno un andamento facilmente prevedibile. E' pure possibile che il baratro segeunet al picco sia molto più veloce dell' andamento della xderivata della curva logistica. Ma in realtà nessun lavoro para-scientifico alla Hubbert (sempre che ci sia un crollo repentino e non un plateau seguito da discesa più o meno rovinosa), è in grado di individuare con ragionevole margine l' anno del massimo assoluto (o gli anni del plateau), come pure l' evoluzione precisa del calo successivo.
    Ma questo i futurologi fanno fatica a capirlo, anche se potrebbe significare uno scenario peggiore di quello che credono di aver individuato.

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  6. Ancora con 'sta lagna del picco del petrolio???

    http://www.rt.com/business/317906-oil-golan-heights-israel/

    E questo per non parlare dei giacimenti che diventeranno disponibili con lo scioglimento dei ghiacci del CPA.

    Se vogliamo parlare di riscaldamento globale, inquinamento, ecc. allora OK, ma la solfa delle risorse petrolifere in peggioramento qualitativo/quantitativo non è più credibile, sorry...

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    1. Quant'era l'EROEI 50 anni fa?
      Quant'è l'EROEI oggi?

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    2. Scusa, ma, IMO, l'EROEI in questo contesto è secondario. Se anche devi spendere 90 per avere 100 mentre all'inizio bastavano 10 per avere 100 ma ci sono ancora giacimenti non sfruttati di massiccie dimensioni (come quello in Israele/Siria o quelli del CPA, di cui, oltretutto, NON è dato sapere ancora con certezza quale sarà l'EROEI...) il problema non è di picco della disponibilità, ma semmai, quello sì, di "inquinamento" prodotto dai sistemi di produzione/utilizzo.
      Quindi i focus dei problemi dell'era "petrolitica" sono oramai chiaramente i danni ambientali derivanti dall'uso massiccio di risorse energetiche fossili, non la loro "scomparsa" prossima ventura, e continuare a parlarene (della "scomparsa") come se fosse un problema importante/imminente non fa altro che dare argomenti "di massa" a chi vuole screditare TUTTO il discorso su climate change/pollution/biodiversity loss, ecc....

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    3. EROEI = Eneriga resa / energia spesa
      Se è basso vuol dire che devo lavorare/inquinare molto per estrarre la mia energia.

      Ora, soprattutto in america stanno estraendo petrolio a basso eroei e lo stanno vendendo ai prezzi di 10 anni fa... Le compagnie stanno fallendo.

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    4. Il fallimento delle compagnie USA è, IMO, un falso problema per due motivi:
      1) sta per entrare in "circuito", per intanto, la produzione iraniana, poi vedremo quello che faranno saltar fuori a convenienza "loro";
      2) la visione "capitalista pura" nella produzione energetica a livello *mondiale* (al di là quindi degli stravolgimenti nelle economie/politiche locali) è priva di senso: se falliscono troppi produttori privati si provvederà a nazionalizzare/sovvenzionare con denaro fiat l'estrazione di oil e altre fonti di produzione "alternative", e vai col BUA finchè non schiattiamo tutti bolliti!
      Ripeto: concordo col fatto che un basso EROEI sia pernicioso, ma (oltre allla già citata obiezione che l'EROEI è basso PER ORA, vedremo con i giacimenti nel CPA...) solo ("solo" si fa per dire, ovviamente... ;-) per le ricadute *ambientali*...

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    5. Il fallimento delle compagnie USA è solo un indice, non ho certo paura che la fornitura di petroli scarseggi (magari!!)
      Quello su cui insisto è che un EROEI basso comporta costi più alti.
      Direttamente od indirettamente paghiamo questi costi (economici ed ecologici).
      Sottolineo infine che per ovvie "esigenze" di mercato viene estratto prima il petrolio più conveniente e quindi l'EROEI sul lungo periodo può solo peggiorare.

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    6. Mauro disse:
      "non ho certo paura che la fornitura di petroli scarseggi (magari!!)"

      Ecco, questo atteggiamento davvero non lo capisco. Ma hai vermante idea di cosa voglia dire un mondo SENZA risorse energetiche "di massa"? Con tutto il dovuto rispetto, la narrativa di gente come l'Arcidruido o quelli per cui "l'agricoltura è il male" mi gelano il sangue nelle vene. Stiamo molto verosimilmente creando pesante caos a livello globale con il consumo dei combustibili fossili, caos a cui forse saremo in grado di porre rimedio o forse no, ma, in alternativa, la REALTA' CERTA di una vita pre-"petrolitico" (o, in generale, pre-industriale in senso lato) è che è una vita corta e brutale PER TUTTI. E questo ce lo dice la STORIA della specie umana, al di là dei vaneggiamenti su Madre Terra buonina e carina...

      Per quanto riguarda poi lo sfruttamento per primo del petrolio a più alto EROEI: hai certamente ragione in assoluto, ma, ripeto, io ho parlato di NUOVI giacimenti in via di scoperta/esplorazione, e di cui, quindi, l'EROEI iniziale non è ancora dato sapere.

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    7. Appena calato il presso del petrolio è tornato a crescerne il consumo.
      Visto che volontariamente non vogliamo ridurre/smettere con i fossili dovremo farlo con la cattiveria.
      Sarebbe un disastro, per noi, ma sarebbe la salvezza dei nostri nipoti.
      Ma purtroppo sappiamo che non è così: ci sono abbastanza risorse fossili da arrostirci tutti.
      Il costo di queste sarà via via crescente e mettendo in crisi le nostre economie, fornendoci quindi la scusa per non fare altri tipi di investimenti.

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  7. Quello che non possiamo dimenticare, è la visione d'insieme dei
    problemi che affliggono il pianeta. Anche nell'articolo "linkato", pur
    evidenziando la connessione diretta tra uso dei combustibili fossili
    e aumento della temperatura, non si accenna minimamente ad altri
    fattori che potrebbero accelerare ulteriormente le varie crisi del pianeta.
    Ad esempio il rilascio in atmosfera (dovuto al riscaldamento globale) della grande quantità di metano, presente nelle grandi pianure russe, ora intrappolato dal ghiaccio.
    Altro fattore da considerare, è l'aumento esponenziale della popolazione
    e la sua concentrazione nelle grandi metropoli.
    Inoltre, non certo meno importante, è il perseguimento del "nostro" modello di sviluppo, da parte di quei paesi emergenti (India, Russa, Cina), che da
    soli, valgono oltre la metà della popolazione terrestre.
    Insomma... tanta roba!!!
    Un abbraccio
    Silvano
    :-))

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