sabato 8 novembre 2014

Cambiamento climatico: depressione per tutti.

DaSmithsoniamag.com”. Traduzione di MR


L'ansia per il cambiamento dell'ambiente non colpisce solo voi, i professionisti stanno lavorando per capirla

Di Marissa Fesseden

Potrebbe sembrare un lamento ridicolo, ma la scienziata ambientale Nicole Thornton ha vissuto un disagio causato dal cambiamento climatico in prima persona. Al The Sidney Morning Herald ha detto che nel periodo della conferenza sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite del 2009 a Copenhagen, avrebbe voluto soltanto cominciare a piangere quando discuteva di problemi ambientali. Si era sentita così personalmente impegnata nel risultato della conferenza che, quando è finita senza ottenere praticamente niente, “Mi ha distrutto... Il punto di svolta è stato in realtà vedere degli uomini adulti piangere. Si trattava di alti diplomatici di piccole isole che pregavano i paesi più grandi di agire perché le loro nazioni non annegassero con l'aumento dei mari”.

Tutta quell'esperienza è stata strana e frustrante, dice.

Ma se si considera il collegamento che abbiamo con nostro ambiente, gli studi mostrano l'importanza dello spazio verde e le fatiche delle persone che affrontano i disastri naturali, l'idea di essere afflitti dal cambiamento ambientale – che lo si chiami eco-ansia, depressione da clima, stanchezza da apocalisse o solastalgia — comincia a sembrare ben altro che stupida. Madeleine Thomas scrive a Grist:

Dalla depressione all'abuso di sostanze al suicidio e allo stress post traumatico, sempre più enti di ricerca nel campo relativamente nuovo della psicologia del riscaldamento globale suggeriscono che il cambiamento climatico richiederà un pedaggio piuttosto pesante sulla psiche umana mentre le tempeste diventano più distruttive e le siccità più prolungate. Per i vostri ambientalisti quotidiani, lo stress emotivo sofferto per una Terra che cambia rapidamente può dar vita ad alcune ansie molto consistenti.

(Specialmente quando la speranza migliore che il recente rapporto dell'IPCC ci può dare è che “dobbiamo agire immediatamente” - una prospettiva scoraggiante, visto che ci sono politici che rifiutano di riconoscere che il cambiamento climatico stia avvenendo). Gli esperti ora stanno riconoscendo queste esperienze e cominciano a creare delle strategie per affrontarle. “Vivere in un ambiente stabile e prevedibile è ovviamente un contributo importante alla salute mentale ed al benessere delle persone e questo è stato spesso sottostimato”, scrive Susie Burke, una psicologa australiana il cui lavoro mostra che la perdita di biodiversità ed altri effetti del cambiamento climatico assesta dei duri colpi alla felicità umana. L'Associazione Americana di Psicologia ha pubblicato un rapporto a giugno sugli impatti psicologici del cambiamento climatico. “Il benessere è più di una semplice assenza di ferite o malattie; ha a che fare con la prosperità e la resilienza umana”, dice il rapporto.

Lise Van Susteren, una psichiatra, ha dato alcuni suggerimenti su come prendersi cura di sé stessi quando si percepiscono come insopportabili i cambiamenti climatici. Questi comprendono consigli utili sempre – esercizio, passare tempo all'esterno, mangiare sano. I suoi suggerimenti contengono anche alcuni punti specifici per affrontare l'ansia da cambiamento climatico: riconoscere che le proprie paure sono realistiche, ma non mollare. E “state in contatto con i vostri compagni guerrieri del clima per ridere e giocare”. Forse anche semplicemente evitando il clima nella conversazione, in modo da continuare a ridere.


giovedì 6 novembre 2014

Il collasso del petrolio

DaResource Crisis”. Traduzione di MR



di Ugo Bardi - 5 novembre 2014

James Schlesinger una volta ha detto che gli esseri umani hanno solo due modalità di funzionamento: la compiacenza e il panico. Questo tipo di funzionamento bimodale sembra applicabile anche al mercato del petrolio, dove tutto viene giudicato sulla base di una semplice regola binaria: prezzi alti = male; prezzi bassi = bene. Quindi, con i prezzi del petrolio che stanno scendendo rapidamente negli ultimi giorni, l'atteggiamento generale sembra essere in prevalenza di giubilo. Tutte le preoccupazioni riguardo al picco del petrolio vengono messe sotto al tappeto e i possessori di SUV sembrano felici e in attesa della diminuzione dei prezzi della benzina che permetteranno loro di riempire i loro serbatoi a buon mercato.

Sfortunatamente, la percezione bimodale del mondo rende le persone cieche al fatto che niente accade isolatamente nel mondo. E' la legge fondamentale dei sistemi complessi: non si può fare una cosa sola. Se qualcosa cambia in un sistema complesso, è perché qualcos'altro l'ha fatta cambiare. E se qualcosa cambia, allora qualcos'altro dovrà cambiare. I sistemi complessi funzionano così. E i cambiamenti sono inevitabili e non sempre per il bene di chi li vive.

Ciò vale anche per il sistema di produzione del petrolio greggio, che non è un sistema isolato. Cambiare alcune delle caratteristiche si riverbera su tutto il mondo. Così, abbassare i prezzi del petrolio ha un effetto su altri parametri. Guardate questa figura (da un articolo di Hall e Murphy su The Oil Drum).


Naturalmente, questi dati devono essere presi con cautela – sono solo stime. Ma ce ne sono altre simili,  compreso un rapporto del 2012 di Goldman and Sachs dove si può leggere che gran parte dei recenti progetti di sviluppo di campi petroliferi hanno bisogno di almeno 120 dollari al barile per essere redditizi. Quindi, vedete dov'è il problema? I prezzi al di sotto degli 80 dollari al barile distruggono la redditività di circa il 10% del petrolio attualmente prodotto. Se i prezzi dovessero tornare ai valori considerati “normali” solo 10 anni fa, circa 40 dollari al barile, perderemmo la metà della produzione mondiale. Vi viene in mente “picco del petrolio”? Be', sì, questo è il meccanismo che genera il picco del petrolio: un irreversibile declino della produzione mondiale. Ma non è solo una questione di produzione di petrolio ridotta: se la domanda di petrolio collassa, tutto il mondo sprofonda in una profonda recessione, come è già accaduto nel 2009, quando i prezzi sono brevemente collassati a circa 40 dollari al barile.

Forse questa è solo una fluttuazione temporanea; forse le cose torneranno alla “normalità” in pochi mesi. Dopo tutto, il mercato ha fatto una specie di magia negli ultimi 4-5 anni, mantenendo i prezzi del petrolio abbastanza alti da generare profitti sufficientemente alti da rendere l'industria in grado di continuare a produrre ai livelli usuali (e persino ad aumentarli un po'). Ma, sul lungo termine, è un gioco che non si può vincere. L'esaurimento rende l'estrazione progressivamente più costosa e nemmeno il grande mercato può fare la magia di continuare a vendere una cosa che i clienti non possono permettersi di comprare. Il crash del petrolio ha bisogno di tempo per dispiegarsi, ma sta avvenendo. E sta avvenendo adesso.


Ugo Bardi insegna all'Università di Firenze, Italia. E' un membro del Club di Roma e l'autore di “Extracted, come la ricerca della ricchezza minerale sta saccheggiando il pianeta” (Chelsea Green 2014)

martedì 4 novembre 2014

Declino del petrolio: è il prezzo che fa la storia


Diceva James Schlesinger che la maggior parte delle persone hanno soltanto due modi operativi: compiacenza e panico. Qualcosa di simile sembra che avvenga con il petrolio, che viene visto in due sole modalità: prezzi alti, male; prezzi bassi, bene. E' impressionante come la visione del mondo come si legge sulla stampa sia così brutalmente semplificata, con un sacco di gente che sta già sogghignando a pensare che con l'abbassamento dei prezzi del petrolio potranno riempire il serbatoio delle loro SUV a prezzi più bassi. E non si rendono conto che in un sistema complesso, non si può mai cambiare soltanto una cosa (è una delle leggi fondamentali della biologia degli ecosistemi). Se qualcosa cambia, è perché qualcos'altro è cambiato. E se qualcosa è cambiato, molte altre cose cambieranno. L'abbassamento del prezzo del petrolio in corso è segno di grandi cambiamenti che vedremo nel prossimo futuro. Un futuro che non è detto affatto che sia buono, nemmeno per i proprietari di SUV. (U.B.)


DaResource Insights”, via “Resilience”. Traduzione di MR”.

Di Kurt Cobb




Grafico dei prezzi del petrolio di Energy Information Awareness (2004). Fonte: Governo degli Stati Uniti via Wikimedia Commons

Così spesso nelle guerre teologiche,
I contendenti, suppongo
Inveiscono in totale ignoranza
di ciò che gli altri intendono,
E cianciano di un Elefante
Che nessuno di loro ha visto!

I ciechi e l'Elefante di John Godfrey Saxe

Quando gli editori commerciali mondiali hanno inviato i loro giornalisti porta a porta per scoprire cosa c'è dietro al recente crollo del prezzo mondiale del petrolio, stavano facendo ciò che fanno quasi ogni giorno per ogni tipo di mercato: azioni, obbligazioni, valute, beni e beni immobili. Nel giornalismo finanziario è più spesso il prezzo che fa la storia, piuttosto che la storia che fa il prezzo. Se una storia riguarda qualcosa di molto sorprendente che quasi nessuno può sapere in anticipo – un vero scoop – diciamo, una conseguenza inaspettata in un importante caso giudiziario che colpisce il brevetto più redditizio di una società, allora la storia sposterà il prezzo dell'azione della società. Ma molto più spesso i prezzi cambiano e gli editori commerciali inviano i loro giornalisti per scoprire il perché. Di solito, a diversi professionisti finanziari ed industriali viene chiesto: perché pensate che i prezzi siano scesi/saliti? Quindi la storia viene scritta e pubblicata. Tuttavia, quotidianamente, a meno che non ci sia una storia grande ed ovvia come quella sopra, le sole vere risposte sono queste: 


  • C'erano più compratori che venditori (SALE)
  • C'erano più venditori che compratori (SCENDE)

Le risposte, naturalmente, non sono niente di nuovo. Sono più che altro assiomi. Le risposte al recente svenimento del prezzo del petrolio comprendono: 


  1. Il petrolio è venduto in dollari e il dollaro è aumentato, cosa che spinge al ribasso il prezzo del petrolio. 
  2. La domanda sta diminuendo in Asia ed Europa, cosa che lascia un eccesso di petrolio sul mercato e diminuendone il prezzo. 
  3. La crescita della produzione degli Stati Uniti si aggiunge all'offerta mondiale di petrolio abbassandone il prezzo. 
  4. La produzione della Libia è rimbalzata fortemente a seguito del recente periodo di disordini del paese. 
  5. L'Arabia Saudita, il solo produttore OPEC con una significativa capacità di produzione aggiuntiva, sta pompando più petrolio per punire gli altri membri del OPEC con un prezzo basso, una mossa studiata per ripristinare la disciplina fra i membri di modo che rispettino le quote di produzione future.
  6. L'Arabia Saudita sta pompando più petrolio per abbassare il prezzo per aiutare gli Stati Uniti nei loro obbiettivi diplomatici, fare pressione sulla Russia, il più grande produttore di petrolio al mondo. 
  7. L'Arabia Saudita non sta cercando di aiutare gli Stati Uniti; il regno sta in realtà cercando di dar fastidio agli Stati Uniti e ripristinare il dominio sull'esportazione nel mercato del petrolio schiacciando il boom del petrolio di scisto statunitense che richiede prezzi del petrolio alti per essere redditizio. 
  8. No, l'Arabia Saudita, sta in realtà cercando di aiutare gli Stati Uniti nella sua lotta contro l'ISIS mostrando il suo sostegno a Stati Uniti ed Europa abbassando i prezzi del petrolio e rendendo più basso il prezzo che riceve l'ISIS dai prodotti petroliferi che ora controlla. Il prezzo più basso è più duro anche per l'Iran che necessita di prezzi alti per sostenere i propri introiti governativi. 
  9. L'Arabia Saudita sta semplicemente cercando di difendere la propria quota di mercato di fronte ad una domanda in declino continuando a pompare petrolio ai livelli attuali ed offrendo sconti ai clienti. 


Naturalmente, le risposte qui sopra non necessariamente si escludono a vicenda. Le persone ed i paesi possono avere obbiettivi molteplici aiutati dalla stessa azione. Ed alcune o tutte le valutazioni sopra potrebbero essere sbagliate o di scarsissimo valore esplicativo. Ora le soppeserò. Sembra del tutto probabile che i sauditi stiano facendo gli opportunisti. Come molti esportatori di petrolio, hanno bisogno di grandi introiti dall'esportazione di petrolio per pagare le proprie spese governative, gran parte delle quali consistono in sussidi per gli alimenti e il combustibile e programmi di assistenza sociale pensati per mantenere il popolo docile. Di fronte a ciò che sembra un declino della domanda, piuttosto che tagliare la produzione per mantenere i prezzi come hanno fatto in passato, hanno deciso di mantenere la loro quota di mercato mondiale tagliando i prezzi. Ciò ha il beneficio di rendere gran parte del petrolio di scisto americano antieconomico, scoraggiando così nuove trivellazioni. I sauditi sanno una cosa molto importante sui trivellatori di scisto degli Stati Uniti. Gran parte di loro sono società indipendenti cariche di debiti e che non hanno i mezzi finanziari per superare un periodo di prezzi mantenuti al di sotto dei loro costi di produzione. Ridurranno rapidamente le loro trivellazioni alle sole prospezioni che sembra possano essere redditizie con questi nuovi prezzi bassi. Spianeranno la strada a prezzi mondiali sostenuti più alti più tardi, quando la crescita della produzione petrolifera statunitense giungerà ad uno stop. Dopo che il danno è fatto, i sauditi cercheranno di riportare il prezzo del petrolio su. 


E' sempre possibile che la strategia saudita non riuscirà perché ciò che sta realmente accadendo potrebbero essere le prime fasi di un colossale collasso economico e finanziario che porterà l'economia in una recessione prolungata. Ciò porterebbe il prezzo del petrolio giù a livelli mai in un decennio e potrebbe restarci per un periodo considerevole. Non sto predicendo questo. E, di fatto, niente di ciò che ho scritto potrebbe avere validità. Anche se i sauditi hanno dichiarato pubblicamente che stanno difendendo la loro quota di mercato, potrebbero non dirci esattamente quali siano i loro obbiettivi. L'acquiescenza saudita rispetto ai prezzi del petrolio bassi potrebbe semplicemente avere conseguenze che i sauditi non vogliono, ma che non possono evitare. In realtà, tutto il problema dei prezzi del petrolio è troppo complesso e manca troppo di trasparenza per essere discusso intelligentemente quando si tratta di movimenti dei prezzi a breve termine. Mi sono ricordato della storia dei ciechi e dell'elefante, la cui ultima strofa di una versione poetica è citata sopra. Ma, come dicevo, è il prezzo fa la storia. 

lunedì 3 novembre 2014

La guerra dei gasdotti (ovvero: Renziologia applicata)




Riproduco qui di seguito parte di un interessante post di Aldo Giannuli che racconta della "guerra del gas" in corso e di come questa influenzi le decisioni  del governo italiano. Leggendo questo e altri commenti, non finisco mai di stupirmi di quanto il discorso del gas/petrolio sia così platealmente assente dal dibattito politico a tutti i livelli e di come, invece, sia fondamentale nella pratica. Insomma, siamo alla "Renziologia" come una volta si parlava di "Kremnlinologia". Ovvero, a frizionarsi vigorosamente i neuroni per cercare di capire cosa vogliono veramente dirci i nostri governanti nei loro vacui discorsi. Evidentemente, deve essere l'essenza della democrazia.


Renzi fra Gentiloni e la Camusso.

di Aldo Giannuli
Nel giro di una settimana il governo Renzi ha dovuto affrontare tre grane: la manifestazione della Cgil, il pestaggio degli operai di Terni ed il cambio della guardia alla Farnesina. Iniziamo dall’ultima cosa: che significato ha la nomina di Gentiloni? Per capire sino in fondo ci mancano dei passaggi: a quanto pare (ma vatti a fidare delle indiscrezioni giornalistiche!) Gentiloni non faceva parte della prima rosa di nomi offerta al Quirinale e che era composta da sole donne, di cui una sola di qualche autorevolezza internazionale (la Dassù). Non sappiamo per quali motivi Napolitano abbia respinto queste candidature, forse ritenendole troppo “leggere”, in una fase politica di crisi montante come questa presente. Se ne dedurrebbe che il nome di Gentiloni sia stato imposto dal Colle o che sia stato una sorta di compromesso fra i due presidenti. Ma non c’è ragione di pensare che Renzi possa proporre Gentiloni come candidato di “seconda scelta”: viene dalla Margherita, come gran parte dello staff renziano ed è dall’inizio nella cordata del fiorentino, inoltre ci sono ragioni specifiche per pensare che sia l’uomo più adatto ai bisogni di Renzi in questo momento. 

Dunque, non era nella rosa iniziale, solo in omaggio al principio della “parità di genere” nel governo? Renzi è abbastanza fatuo per andare dietro a queste fesserie, ma la cosa non convince del tutto. Di sicuro, se l’esigenza di Napolitano era quella di un nome di maggior peso, Gentiloni risponde a questa esigenza e gli orientamenti del nuovo ministro degli esteri non gli dispiacciono. Ma allora come mai non ci si è pensato subito? Ecco qui c’è un passaggio che ci manca. In compenso la logica politica dell’operazione è abbastanza trasparente e proviamo a spiegarla.

Dopo una breve scapigliatura giovanile, che lo portò a militare nel Movimento Studentesco e nel Pdup per il Comunismo, ed una più matura collaborazione con il Manifesto (dove era ritenuto esperto di mondo cattolico), Gentiloni è andato a sciacquare i suoi panni nel Potomac, diventando uomo assai sensibile alle ragioni a stelle e strisce. Ed ancor più sensibile è diventato, con il tempo alle ragioni di Israele: è interessante constatare come proprio alla vigilia della sua nomina, Gentiloni abbia avuto un caloroso incontro con i maggiori rappresentanti della comunità ebraica italiana.

Prima che saltino su i soliti dietrologi che vedono Israele dietro ogni complotto o i più fanatici sostenitori di Israele ad accusarmi di antisemitismo per aver insinuato chissà cosa, preciso: niente oscuri complotti, ma uno scenario politico che è sotto gli occhi di tutti e che ha una sua logica interna. Non è un mistero che da almeno 5 anni (epoca del “discorso del Cairo” di Obama), Washington e Telaviv vanno in direzioni via via divaricanti e l’intesa non è più quella di un tempo. Israele avrebbe voluto l’intervento in Iran che non c’è stato, Israele non ha visto affatto di buon occhio la primavera araba che gli Usa hanno, in parte, incoraggiato, Washington si è mostrata meno allineata del passato ad Israele sulla questione palestinese. Ma soprattutto, in tempi recenti, è la questione energetica a dividere i due vecchi sodali: gli Usa hanno l’obiettivo strategico di indebolire la Russia ed, in particolare, la sua influenza sull’Europa, determinata dal peso delle sue forniture di gas. A questo scopo, gli Usa hanno cercato in tutti i modi di impedire la nascita del gasdotto Southstream, prima con il progetto concorrenziale di Nabucco, dopo spingendo per l’inserimento del Quatar nella rete metanifera europea. Entrambe le questioni vedono al centro il nostro paese: Southstream avrebbe dovuto essere costruito dall’Eni (ora non sappiamo che fine farà il progetto), mentre la via più semplice per agganciare il Quatar alla rete europea è agganciarlo al gasdotto italo-libico-algerino; cosa tentata nel 2005 e bloccata dal governo Berlusconi, per evidenti preferenze moscovite. Cosa che i quatarioti si legarono al dito, rendendo all’Italia pan per focaccia in occasione della crisi libica. Va da sé che Israele veda il piano di inserimento del Quatar come il fumo negli occhi; ed è ovvio, dato che il Quatar finanzia i Fratelli Musulmani e accentuare la dipendenza dell’Europa dalle forniture di un paese arabo è in palese contrasto con i suoi interessi strategici. Per questo si è determinata una oggettiva convergenza fra Mosca e Telaviv.

La cosa era tornata per un attimo alla ribalta (all’inizio della crisi ucraina) in occasione del viaggio di Letta in Quatar per trattare sul loro ingresso in Alitalia. Poi la tempestiva crisi del governo Letta bloccò sul nascere la ripresa del disegno.

Dopo, con il governo Renzi (sul quale si sa avere molta influenza l’economista Yoram Gutgeld, già ufficiale superiore dell’esercito israeliano), sono venute le nomine Eni con la promozione di De Scalzi al posto che fu di Scaroni e, con essa, la conferma piena degli orientamenti filorussi dell’ente petrolifero di Stato. Insomma nel governo Renzi si è riprodotta in sedicesimo quella convergenza russo-israeliana di cui dicevamo. E gli americani non hanno affatto gradito, riservando al giullare fiorentino più di uno sgarbo. Poi, puntuale come Big Ben è arrivato lo scandalo Nigeria, che ha colpito De Scalzi, oltre che Scaroni. Renzi in un primo momento ha difeso a spada tratta De Scalzi, ma si è molto raffreddato quando questi, per salvarsi, ha buttato a mare Scaroni (“decideva tutto lui”). Ed il gelo è sceso in occasione della visita di Italia di Li Kequiang, quando, alla cerimonia della firma dei contratti d’affari conclusi, tutti hanno notato la clamorosa assenza di De Scalzi, unico a mancare fra i big delle imprese di Stato.

Insomma, mi pare che tutto confermi che sia in atto una nuova puntata della guerra segreta dei gasdotti e che essa passi per il governo italiano.

Di qui la necessità di un ministro degli esteri molto ben accreditato sia presso Washington che presso Telaviv per trovare una mediazione in un conflitto che potenzialmente può travolgere il governo.

E meglio ancora se questo mediatore disponga di buone entrature in Vaticano e sia amico di un personaggio come Stefano Silvestri (altro ex estremista passato al campo a stelle e strisce) che può contare a sua volta su amici a Mosca ed a Washington. Come mai un nome così perfetto non è stato la prima scelta? Forse perché occorreva coprirlo con altre candidature di parata, per non bruciarlo nel partito, dove c’erano altri candidati pure renziani? O per distrarre l’attenzione dal vero senso dell’operazione? Chissà, dovremmo avere più informazioni.



Aldo Giannuli

domenica 2 novembre 2014

Bruciare le foreste in nome della sostenibilità. Ideona!


Dagrist.org”. Traduzione di MR (h/t Nate Hagens)

Di Ben Adler

Se si guida attraverso il Sud e si vede un campo spogliato pieno di nuove piantagioni tozze dove un tempo c'era la foresta lussureggiante, la colpa potrebbe essere di un colpevole improbabile: l'Unione Europea e le sue ben intenzionate regole per l'energia pulita. Nel marzo 2007, l'UE ha adottato obbiettivi climatici ed energetici dal 2010 al 2020. I 27 paesi membri hanno stabilito un obbiettivo di riduzione delle emissioni di carbonio del 20% per il 2020 e di aumento delle rinnovabili fino al 20% del proprio portafoglio energetico. Sfortunatamente, hanno sottostimato l'intensità di carbonio dell'uso della legna (leggi, “biomassa”) per fare elettricità ed hanno categorizzato la legna come combustibile rinnovabile.

Il risultato: i paesi della UE con settori rinnovabili più ridotti si sono rivolti alla legna per sostituire il carbone. I Governi hanno fornito incentivi per gli impianti energetici allo scopo di fare questo passaggio. Ora, con un pugno di nuove centrali europee a legna che sono entrate in funzione, gli europei hanno bisogno di legna per alimentare la bestia. Ma in gran parte dei paesi europei non sono rimaste molte foreste da tagliare a disposizione. Quindi importano le nostre foreste, specialmente dal Sud. Naturalmente, la legna è in un certo senso rinnovabile: gli alberi possono essere ripiantati. Ma in altri sensi è più simile ai combustibili fossili che non al solare e all'eolico. Dopotutto, tutta questa ossessione per le rinnovabili non è solo a causa dell'esaurimento dei combustibili fossili. E' perché bruciare combustibili fossili produce CO2 che causa il riscaldamento globale. La stessa cosa vale bruciando legna, a differenza dell'eolico e del solare.

La legna rappresenta una maggioranza di generazione di energia rinnovabile in Polonia e in Finlandia e quasi il 40% in Germania. E' particolarmente attraente per le utility energetiche britanniche, perché il governo britannico offre sussidi generosi per l'energia rinnovabile e la sua industria solare non è nemmeno lontanamente progredita quanto quella della Germania. Drax, una grande utility britannica, ha annunciato lo scorso anno che convertirà tre centrali a carbone a legna. Questa transizione porterà l'azienda a 550 milioni di sterline britanniche all'anno (912 milioni di dollari) di sussidi governativi per le rinnovabili. The Economist chiama questa politica “demenza ambientale”, osservando seccamente: “Dopo anni in cui i governi europei hanno vantato la loro rivoluzione ad alta tecnologia e a basso tenore di carbonio, il principale beneficiario sembra essere il combustibile preferito delle società preindustriali”.

La logica iniziale della UE non era completamente folle – è solo risultata essere del tutto sbagliata. Citando ricerche che suggerivano che gli alberi giovani consumano più CO2 di quelli vecchi, i decisori politici hanno immaginato che bruciare un albero per l'energia poteva essere neutro dal punto di vista del carbonio, se si fosse piantato un albero sostitutivo. Studi più recenti, tuttavia, hanno mostrato che questo era troppo ottimistico. Non tutti gli alberi giovani consumano più CO2 di quelli vecchi – dipende dalla specie e da varie altre condizioni. Il processo di triturazione degli alberi per farne pellet di legna, di spedirlo oltre Atlantico e l'energia coinvolta nel bruciarlo tutto, si aggiungono all'intensità di carbonio totale. “Bruciando pochissimi combustibili di legna mostra un qualche beneficio rispetto al carbone”, dice Scot Quaranda, un portavoce della Dogwood Alliance, un gruppo anti-deforestazione di Asheville, in Carolina del Nord. “In gran parte dei casi è in realtà peggio del carbone o del gas naturale”.

Dogwood ha lanciato una campagna per fare pressione sulle utility americane e britanniche per fermare la combustione di alberi per produrre elettricità (dice che la segatura che rimane nelle segherie è relativamente innocua). Ci sono alcune variabili cruciali da considerare quando si valutano gli impatti climatici della combustione di legna. Una è: cosa sarebbe successo alla legna se non fosse stata bruciata? Molte operazioni di taglio e segherie bruciano mucchi di ramaglie, scarti e segatura, creando più gas serra di quella che potrebbe generare una centrale bruciando pellet fatto con gli stessi “residui”, secondo un rapporto pubblicato lo scorso mese dal Dipartimento Britannico dell'Energia e del Cambiamento Climatico. Ma da una prospettiva climatica, sarebbe meglio lasciare che quei residui si decompongano nella foresta, dice il rapporto. Dipende anche da quanta energia termica è richiesta per seccare il pellet da bruciare e come quell'energia viene prodotta. In media, dice il rapporto, “E stato scoperto che l'elettricità da biomassa richiede ingressi di energia maggiori di gran parte delle altre tecnologie per generare elettricità”. La legna spedita in Europa dalla costa occidentale ha delle emissioni da combustibile molto più alte per via del trasporto di quella spedita dalla costa orientale. Poi c'è la questione di come sarebbe stata usata la terra se non vi fossero stati coltivati alberi.

La linea di fondo è: mentre in certi scenari bruciare pellet di legna può avere un'impronta di gas serra “molto bassa”, dice il rapporto, “altri scenari possono risultare nelle intensità (di gas serra) maggiori di quelle dell'elettricità prodotta da combustibili fossili, anche dopo 100 anni”. E “in tutti i casi, l'ingresso di energia richiesta per produrre elettricità dal pellet nord americano è maggiore di quello dell'elettricità prodotta da combustibili fossili e da altre rinnovabili (eccetto i sistemi FV più energeticamente intensivi) e il nucleare”. In generale, ciò sembra difficilmente una cosa che dovremmo incentivare. Speriamo che le politiche europee stiano al passo con le scoperte dei loro governi.

giovedì 30 ottobre 2014

I Limiti della Crescita descritti in termini narrativi


“Elaborazione standard” dall'edizione del 1972 de “I Limiti dello Sviluppo”

Di Ugo bardi

Nel 1972, “I Limiti dello Sviluppo” hanno presentato una serie di scenari per il futuro dell'umanità, che comportavano prevalentemente declino e collasso dell'economia mondiale. Questi scenari sono stati il risultato della soluzione di un insieme di equazioni differenziali accoppiate e, per la maggior parte della gente, le ragioni del comportamento dell'economia previsto è rimasto oscuro ed imperscrutabile. Di conseguenza, i risultati dello studio non sono stati né capiti né creduti. 

Come ho sostenuto in un post precedente, tendiamo a capire il mondo in termini narrativi. Pensiamo con parole, non con equazioni. E tendiamo ad usare le parole per adattare i concetti come se fossero attori che recitano in scena. Alla fine, non è un modo meno legittimo di usare equazioni per modellare il mondo. Così, ho trovato una descrizione eccelsa e compatta sul blog di John Michael Greer (“l'Arcidruido”) delle ragioni per le quali la civiltà tende al collasso. Ed ecco qua: nessuna equazione, nessun grafico, ma non poteva essere più chiaro di così.



L'Era Oscura dell'America: la fine del vecchio ordine

Di John Michael Greer

Da “The Archidruid Report”. Traduzione di MR

Ultimamente ho riletto alcuni dei racconti di H.P. Lovecraft. E' praticamente unico fra gli scrittori di horror americani, in questo suo senso del terribile sulla visione del mondo della scienza moderna. Lovecraft era un ateo convinto ed un materialista, ma a differenza di troppi credenti in quel credo, il suo atteggiamento verso il cosmo rivelato dalla scienza non era compiaciuta soddisfazione, ma terrore da brivido. Il primo paragrafo del suo racconto più famoso “Il richiamo di Cthulhu” è tipico:

“La cosa più misericordiosa del mondo è, penso, l’incapacità della mente umana di correlare tutti i suoi componenti. Viviamo in una placida isola di ignoranza in mezzo ai neri mari dell’infinito, e non siamo fatti per navigare lontano. Le scienze, ciascuna tesa nella propria direzione, ci hanno finora danneggiato poco; ma un giorno il mettere insieme di una conoscenza dissociata ci aprirà tali terrificanti visioni della realtà, e della nostra spaventosa posizione al suo interno, che o impazziremo per la rivelazione o fuggiremo dalla luce nella pace e nella sicurezza di un nuovo medioevo”.

E' del tutto possibile che questa intuizione di Lovecraft si rivelerà profetica e che una appassionata rivolta popolare contro le implicazioni – e forse di più, le applicazioni – della scienza contemporanea sarà una delle forze ci spingeranno nel medioevo prossimo. Tuttavia, questo è un tema per un post successivo di questa serie. Il punto che vorrei esprimere qui è che l'immagine di Lovecraft di gente avidamente in cerca di pace e sicurezza, come un'età oscura può loro fornire, non è ironica come potrebbe sembrare. Al di fuori delle élite, che hanno un destino diverso e considerevolmente più macabro degli altri abitanti di una civiltà in declino, è sorprendente raro che la gente debba essere forzata a scambiare la civiltà per la barbarie, che sia per l'azione umana o per la pressione degli eventi. Nell'insieme, per quando quella scelta arriva, la grande maggioranza è più che pronta a fare lo scambio e per una buona ragione.


Cominciamo vedendo alcuni fondamentali. Come ho evidenziato in un saggio pubblicato online nel 2005 - un PDF è disponibile qui — il processo che alimenta il collasso delle civiltà ha una base sorprendentemente semplice: la discrepanza fra costi di capitale per la manutenzione e le risorse disponibili per soddisfare quei costi. Il capitale qui si intende nel senso più ampio del termine e comprende tutto ciò in cui una civiltà investe la propria ricchezza: edifici, strade, espansione imperiale, infrastrutture urbane, risorse di informazione, personale qualificato o quello che volete. Il capitale di ogni tipo deve essere mantenuto e mentre una civiltà aggiunge alla propria riserva di capitale, i costi di manutenzione aumentano costantemente, finché il fardello che pongono sulle risorse disponibili di una civiltà non può essere più sostenuto.

Il solo modo per risolvere il conflitto è di permettere che una parte del capitale sia convertito in rifiuti, di modo che i suoi costi di mantenimento scendano a zero ed ogni risorsa utile racchiusa nel capitale possa essere passata ad altri usi. Essendo gli esseri umani quello che sono, la conversione di capitale in rifiuti generalmente non viene portata avanti in modo calmo e razionale; piuttosto, i regni cadono, le città vengono saccheggiate, le élite dominanti vengono fatte a pezzi da folle urlanti e cose del genere. Se una civiltà dipende da risorse rinnovabili, ogni giro di distruzione di capitale è seguito da un ritorno ad un relativa stabilità e il ciclo ricomincia da capo. La storia della Cina imperiale è un buon esempio di come questo succede nella pratica.

Se una civiltà dipende da risorse non rinnovabili per funzioni essenziali, comunque, distruggere parte del proprio capitale genera soltanto un piccolo rinvio della crisi dei costi di mantenimento. Una volta che la base di risorsa non rinnovabile supera il punto in cui comincia ad esaurirsi, c'è n'è sempre meno disponibile ogni anno a seguire per soddisfare i costi di mantenimento rimasti e il risultato è lo schema a gradini di declino e caduta così familiare nella storia: ogni crisi porta ad un giro di distruzione di capitale, che porta ad una rinnovata stabilità, che apre la strada alla crisi quando la risorsa di base diminuisce ulteriormente. Ancora, essendo gli esseri umani quello che sono, questo processo non viene portato avanti in modo calmo e razionale; la differenza qui è semplicemente che i regni continuano a cadere, le città continuano a venire saccheggiate, le élite dominanti vengono massacrate una dopo l'altra in modi sempre più inventivi e coloriti, finché la contrazione finalmente abbia proceduto sufficientemente che il capitale rimasto possa essere sostenuto dalla riserva disponibile di risorse rinnovabili.

Questa è una descrizione sommaria della teoria del collasso catabolico, il modello di base di declino e caduta delle civiltà che sta alla base del progetto generale di questo blog. Incoraggerei coloro che hanno domande sui dettagli della teoria ad andare avanti e di leggere la versione pubblicata e linkata sopra. Nel cammino, spero di pubblicare una versione della teoria sviluppata molto più accuratamente, ma quel progetto è ancora nelle prime fasi proprio ora. Ciò che voglio fare qui è approfondire un po' di più le implicazioni sociali della teoria.

E' comune oggigiorno sentire la gente insistere che la nostra società è divisa in due e solo due classi, una classe di élite che riceve tutti i benefici del sistema e tutti gli altri, che ne portano tutti i fardelli. La realtà, nella nostra così come in ogni altra società umana, è parecchio più sfumata. E' vero, naturalmente, che i benefici si spostano verso il vertice della scala della ricchezza e del privilegio e i pesi vengono spinti verso il basso, ma in gran parte dei casi – il nostro incluso a pieno titolo – bisogna andare molto in giù sulla scala prima di trovare gente che non ha alcun beneficio.

Bisogna ammettere che ci sono state alcune società umane nelle quali la maggior parte della gente ha tali benefici dal sistema in quanto consentirà loro di continuare a funzionare finché non cadranno. I primi tempi della di schiavitù nelle piantagioni negli Stati Uniti e nelle isole dei Caraibi, quando la vita media di uno schiavo dall'acquisto alla morte era al di sotto dei 10 anni, ricadeva in quella categoria, come alcune altre – per esempio, la Cambogia sotto i Khmer Rossi. Questi sono casi eccezionali. Emergono quando il costo del lavoro non specializzato scende vicino allo zero e sia i profitti abbondanti sia le considerazioni ideologiche rendo il destino dei lavoratori una questione di indifferenza totale ai propri padroni.

Sotto una qualsiasi serie di condizioni, tali accordi sono antieconomici. E' più redditizio, nel complesso, consentire tali benefici aggiuntivi alla classe operaia in quanto permetterà loro di sopravvivere e metter su famiglia e per motivarli a fare più del minimo sindacale che sfuggirà alla frusta del sorvegliante. Questo è ciò che genera l'economia contadina standard, per esempio, in cui il povero contadino paga i proprietari terrieri col lavoro e con una parte della produzione agricola per avere accesso alla terra.

Ci sono moltissimi accordi simili, in cui le classi lavoratrici fanno il lavoro, le classi dominanti permettono loro l'accesso al capitale produttivo e i risultati vengono suddivisi fra le due classi in una proporzione che permette alle classi dominanti di diventare ricche e alle classi lavoratrici di cavarsela. Se ciò suona famigliare, deve. In termini di distribuzione di lavoro, capitale e produzione, le ultime offerte del mercato del lavoro odierno sono indistinguibili dagli accordi fra il proprietario terriero Egiziano e i contadini che piantavano e raccoglievano nei loro campi.

Più una società diventa complessa, più diventa intricato il sistema di caste che la divide e più vari sono i cambiamenti che vengono giocati su questo schema di base. Una società medievale relativamente semplice potrebbe tirare avanti con quattro caste – il modello feudale giapponese, che divideva la società in aristocratici, guerrieri, contadini e una categoria generica di commercianti, artigiani, intrattenitori e cose simili, è un esempio come un altro. Una società stabile prossima alla fine di una lunga era di espansione, per contro, potrebbe avere centinaia o persino migliaia di caste distinte, ognuna con la propria nicchia nell'ecologia sociale ed economica di quella società. In ogni caso, ogni casta rappresenta un equilibrio particolare fra benefici ricevuti e pesi pretesi e data una economia stabile interamente dipendente da risorse rinnovabili, un tale sistema può proseguire intatto per molto tempo.

Includiamo il processo di collasso catabolico, tuttavia, e un sistema altrimenti stabile diventa una fonte di instabilità a cascata. Il punto che deve essere afferrato qui è che le gerarchie sociali sono una forma di capitale, nel senso ampio menzionato sopra. Come le altre forme di capitale incluse nel modello del collasso catabolico, le gerarchie sociali facilitano la produzione e la distribuzione di beni e servizi ed hanno dei costi di manutenzione che devono essere soddisfatti, Se i costi di manutenzione non vengono soddisfatti, come con qualsiasi altra forma di capitale, le gerarchie sociali vengono trasformate in rifiuti; smettono di adempiere alla loro funzione economica e diventano disponibili per il recupero.

Questo suona molto diretto. Ecco come spesso, comunque, è il fattore umano che lo trasforma da semplice equazione alla materia prima della storia. Mentre i costi di manutenzione del capitale di una civiltà cominciano a salire verso il punto di crisi, gli angoli vengono tagliati e la negligenza maligna diventa l'ordine del giorno. Fra le varie forme di capitale, però, alcune danno benefici alla gente sulla scala della gerarchia sociale più che alla gente su altri livelli. Quando il bilancio di manutenzione si restringe, la gente di solito cerca di proteggere le forme di capitale che gli danno benefici diretti e spinge i tagli in forme di capitale che invece danno benefici ad altri. Siccome la capacità di ogni persona di influenzare dove vanno le risorse corrisponde in modo molto preciso alla posizione di quella persona nella gerarchia sociale, ciò significa che le forme di capitale che danno benefici alla gente in fondo alla scala vengono tagliate prima.

Ora naturalmente questo non è quello che sentite dire agli americani oggi e non è ciò che sentite dire dalla gente di una società che si avvicina al collasso catabolico. Quando la contrazione si instaura, come ho osservato qui in un post due settimane fa, la gente tende a prestare più attenzione a qualsiasi cosa sta perdendo che qualsiasi perdita più grande sofferta da altri. Gli americani della classe media che reclamano lo stato sociale per i poveri a pieni polmoni mentre chiedono che i finanziamenti per Medicare e Sicurezza Sociale rimangano intatti, sono all'altezza delle aspettative, così come, del resto, lo sono gli altri americani della classe media che denunciano gli eccessi dichiaratamente assurdi del cosiddetto 1% mentre trascurano con cura di osservare l'immenso differenziale di ricchezza e privilegio che li separano da coloro che si trovano ulteriormente in basso nella scala.

Questa cosa è inevitabile in una lotta per le fette di una torta che si restringe. Mettiamo da parte l'inevitabile retorica, comunque, e una società che si dirige verso il collasso catabolico è una società in cui sempre più persone ricevono sempre meno benefici dall'ordine esistente della società, mentre è previsto che si sostenga una sempre crescente quota dei costi di un sistema barcollante. Per coloro che hanno pochi benefici o nessuno in cambio, i costi di manutenzione del capitale sociale diventano rapidamente un fardello intollerabile e mentre la fornitura di benefici ancora disponibili da un sistema barcollante diventa sempre più appannaggio delle parti alte della gerarchia sociale, quel fardello diventa un fatto politico esplosivo.

Ogni società per la propria sopravvivenza dipende dall'acquiescenza passiva della maggioranza della popolazione e dal sostegno attivo di un'ampia minoranza. Quella minoranza – chiamiamola classe sorvegliante – sono le persone che manovrano i meccanismi della gerarchia sociale: i burocrati, il personale dei media, la polizia, i soldati ed altri funzionari che sono responsabili del mantenimento dell'ordine sociale. Non provengono dalla élite dominante. Nell'insieme, provengono dalle stesse classi che dovrebbero controllare. E se la loro parte di benefici dell'ordine esistente barcolla, se la loro parte di fardelli aumenta in modo troppo visibile, o se trovano altre ragioni per fare causa comune con chi al di fuori della classe sorvegliante contro la élite dominante, allora la élite dominante si può aspettare la scelta brutale fra la fuga in esilio ed una brutta morte. La discrepanza fra i costi di mantenimento e le risorse disponibili, a sua volta, rende alcune di tale svolte degli eventi estremamente difficili da evitare.

Una élite dominante che affronta una crisi di questo tipo ha almeno tre opzioni a disposizione. La prima e di gran lunga la più facile, è quella di ignorare la situazione. Sul breve termine, questa è in realtà l'opzione più economica. Richiede il minore investimento di risorse scarse e non richiede di armeggiare con sistemi sociali e politici potenzialmente pericolosi. Il solo svantaggio è che una volta che finisce il breve termine, questa praticamente garantisce un destino orribile per i membri della élite dominante e, in molti casi, questo è un argomento meno convincente di quanto si possa pensare. E' sempre facile trovare un'ideologia che insista sul fatto che le cose si rivelano diversamente e siccome i membri di una élite dominante sono generalmente ben isolati dalle realtà spiacevoli della vita della società che presiedono, di solito è molto facile per loro convincersi della validità di una qualsiasi ideologia che decidano di scegliere. Vale la pena di dare un'occhiata al comportamento dell'aristocrazia francese negli anni che anno portato alla Rivoluzione Francese, in questo contesto.

La seconda opzione è quella di provare a rimediare alla situazione aumentando la repressione. Questa è l'opzione più costosa e generalmente è anche meno efficace della prima, ma le élite dominanti con una passione per gli stivali militari tendono a cadere nella trappola della repressione piuttosto spesso. Ciò che rende la repressione una cattiva scelta è che questa non fa niente per affrontare le fonti dei problemi che cerca di sopprimere. Inoltre, aumenta i costi di manutenzione della gerarchia sociale in modo drastico – polizia segreta, meccanismi di sorveglianza, campi di prigionia e cose del genere non sono a buon mercato – e impone il minimo comune denominatore di obbedienza passiva mentre fa molto per scoraggiare l'impegno attivo della gente al di fuori della élite nel progetto di salvare la società. Uno studio del destino delle dittature comuniste dell'Europa dell'Est è un buon antidoto all'illusione che una élite con sufficienti spie e soldati possa restare al potere a tempo indeterminato.

Ciò lascia alla terza opzione, che richiede che la élite dominante sacrifichi parte dei propri privilegi e prerogative di modo che coloro che sono più in giù nella scala sociale abbiano ancora una buona ragione per sostenere l'ordine della società esistente. Questo non è comune, ma succede. E' successo negli Stati Uniti negli anni 30, quando Franklin Roosevelt ha condotto i cambiamenti che hanno risparmiato agli Stati Uniti il tipo di conquista fascista o di guerra civile avvenuti in così tante altre democrazie fallite dello stesso periodo. Roosvelt ed i suoi alleati fra i molti ricchi si sono resi conto che riforme piuttosto modeste sarebbero state sufficienti per convincere gran parte degli americani che avevano più da guadagnare nel sostenere il sistema di quanto avessero da guadagnare nel rovesciarlo. Alcuni progetti per creare lavoro e misure di alleggerimento del debito, alcuni programmi di assistenza e alcune visite in carcere ai più palesi dei truffatori dell'era precedente e il ripristino di una senso di unità collettiva abbastanza forte da vedere gli Stati Uniti in una guerra globale per il decennio successivo.

Ora, naturalmente Roosvelt ed i suoi alleati avevano vantaggi enormi che nessun progetto comparabile sarebbe in grado di replicare oggi. Nel 1933, anche se ostacolata da un sistema finanziario collassato e dal declino ripido del commercio internazionale, l'economia degli Stati Uniti aveva ancora l'infrastruttura industriale più produttiva e grande del mondo ed alcuni dei più ricchi depositi di petrolio, carbone e molte altre risorse naturali. Ottanta anni dopo, l'infrastruttura industriale è stata abbandonata decenni fa in un'orgia di delocalizzazioni motivate dalla ricerca del profitto a breve termine e quasi ogni risorsa che la terra americana offriva in abbondanza è stata estratta o pompata fino all'ultima goccia. Questo significa che un tentativo di imitare le imprese di Roosvelt nelle condizioni attuali avrebbe di fronte ostacoli molto più irti e richiederebbe anche che la élite dominante rinuncia ad una parte molto più grande delle proprie attuali prerogative e privilegi di quella necessaria ai giorni di Roosvelt.

Potrei sbagliarmi, ma non penso nemmeno che verrà tentata questa volta. Proprio in questo momento, la consorteria litigiosa dei centri di potere in competizione che costituiscono la élite dominante degli Stati Uniti sembra impegnata in un approccio a metà strada fra le prime due opzioni che ho delineato. La militarizzazione delle forze di polizia interne statunitensi e la spirale in aumento di violazione dei diritti civili portata avanti con entusiasmo da entrambi i partiti politici mainstream ricadono nel lato repressivo della scala. Allo stesso tempo, per tutti questi gesti in direzione della repressione, l'atteggiamento generale dei politici e dei finanzieri americani sembra essere che non possa realmente succedere loro o al sistema che fornisce loro il potere e la ricchezza niente di così brutto.

Si sbagliano, e a questo punto probabilmente è una scommessa sicura che un gran numero di loro morirà per questo errore. Di già, una grande percentuale di americani – probabilmente la maggioranza – accetta la continuazione dell'ordine esistente della società negli Stati Uniti solo perché deve ancora emergere una alternativa praticabile. Mentre gli Stati Uniti si avvicinano al collasso catabolico e il fardello di puntellare uno status quo sempre più disfunzionale preme sempre più intollerabilmente su sempre più persone al di fuori del circolo ristretto di ricchezza e privilegio, l'asta che ogni alternativa deve saltare sarà posta sempre più in basso. Prima o poi, qualcosa farà quel salto e convincerà sufficientemente la gente che c'è una alternativa fattibile allo status quo e l'acquiescenza passiva dalla quale dipende il sistema per la propria sopravvivenza non sarà più qualcosa che si possa dare per scontata.

Per una tale alternativa non è necessario essere più democratica o più umana dell'ordine che cerca di sostituire. Può esserlo considerevolmente di meno, basta che imponga costi minori sulla maggior parte della gente e distribuisca i benefici più ampiamente di quanto non faccia l'ordine esistente. E' per questo che negli ultimi giorni di Roma, così tanta gente dell'impero al collasso ha accettato così prontamente la legge dei signori della guerra barbari al posto del governo imperiale. Quel governo era diventato irrimediabilmente disfunzionale al tempo delle invasioni barbariche, centralizzando l'autorità in centri burocratici lontani non in contatto con la realtà corrente e imponendo fardelli fiscali sui poveri così pesanti che molte persone erano costrette a vendersi come schiavi o a fuggire in zone spopolate di campagna per intraprendere una vita incerta da Bacaudae, mezzi guerriglieri e mezzi banditi, e ricercati dalle truppe imperiali, quando avanzava loro del tempo dalla difesa delle frontiere.

Al contrario, il signore della guerra locale barbaro poteva essere brutale e capriccioso, ma era sulla scena e così era improbabile che mostrasse il sereno distacco dalla realtà così comune negli stati burocratici centralizzati al temine della loro vita. Inoltre, il signore della guerra aveva una buona ragione per proteggere i contadini che mettevano pane e carne sulla sua tavola e il costo del suo sostentamento e del suo seguito nel relativamente modesto stile della monarchia barbara era considerevolmente meno caro del fardello di sostenere le complessità barocche della burocrazia del tardo Impero Romano. Ecco perché i contadini e gli schiavi agricoli del tardo mondo Romano hanno accondisceso così silenziosamente all'implosione di Roma ed alla sua sostituzione con un mosaico di piccoli regni. Non era solo un mero cambiamento di padroni, era che in un gran numero di casi i nuovi padroni erano un peso considerevolmente minore di quanto fossero stati quelli vecchi. .

Possiamo aspettarci che si dispieghi più o meno lo stesso processo in Nord America, in quanto gli Stati Uniti attraversano la propria traiettoria di declino e caduta. Prima di tracciare i modi in cui potrebbe funzionare il processo, comunque, sarà necessario passare in rassegna alcune idee sbagliate comuni  e ciò ci richiede di esaminare i modi in cui le élite dominanti distruggono sé stesse. Ce ne occuperemo la prossima settimana.

mercoledì 29 ottobre 2014

La versione romena di "Extracted"



La presentazione "ufficiale" del libro si terrà oggi a Bucharest. Con la sponsorizzazone della sezione romena del Club di Roma