Riproduco qui di seguito parte di un interessante post di Aldo Giannuli che racconta della "guerra del gas" in corso e di come questa influenzi le decisioni del governo italiano. Leggendo questo e altri commenti, non finisco mai di stupirmi di quanto il discorso del gas/petrolio sia così platealmente assente dal dibattito politico a tutti i livelli e di come, invece, sia fondamentale nella pratica. Insomma, siamo alla "Renziologia" come una volta si parlava di "Kremnlinologia". Ovvero, a frizionarsi vigorosamente i neuroni per cercare di capire cosa vogliono veramente dirci i nostri governanti nei loro vacui discorsi. Evidentemente, deve essere l'essenza della democrazia.
Renzi fra Gentiloni e la Camusso.
di Aldo Giannuli
Nel giro di una settimana il governo
Renzi ha dovuto affrontare tre grane: la manifestazione della Cgil, il
pestaggio degli operai di Terni ed il cambio della guardia alla
Farnesina. Iniziamo dall’ultima cosa: che significato ha la nomina di
Gentiloni? Per capire sino in fondo ci mancano dei passaggi: a quanto
pare (ma vatti a fidare delle indiscrezioni giornalistiche!) Gentiloni
non faceva parte della prima rosa di nomi offerta al Quirinale e che era
composta da sole donne, di cui una sola di qualche autorevolezza
internazionale (la Dassù). Non sappiamo per quali motivi Napolitano
abbia respinto queste candidature, forse ritenendole troppo “leggere”,
in una fase politica di crisi montante come questa presente. Se ne
dedurrebbe che il nome di Gentiloni sia stato imposto dal Colle o che
sia stato una sorta di compromesso fra i due presidenti. Ma non c’è
ragione di pensare che Renzi possa proporre Gentiloni come candidato di
“seconda scelta”: viene dalla Margherita, come gran parte dello staff
renziano ed è dall’inizio nella cordata del fiorentino, inoltre ci sono
ragioni specifiche per pensare che sia l’uomo più adatto ai bisogni di
Renzi in questo momento.
Dunque, non era nella rosa iniziale,
solo in omaggio al principio della “parità di genere” nel governo? Renzi
è abbastanza fatuo per andare dietro a queste fesserie, ma la cosa non
convince del tutto. Di sicuro, se l’esigenza di Napolitano era quella di
un nome di maggior peso, Gentiloni risponde a questa esigenza e gli
orientamenti del nuovo ministro degli esteri non gli dispiacciono. Ma
allora come mai non ci si è pensato subito? Ecco qui c’è un passaggio
che ci manca. In compenso la logica politica dell’operazione è
abbastanza trasparente e proviamo a spiegarla.
Dopo una breve scapigliatura giovanile,
che lo portò a militare nel Movimento Studentesco e nel Pdup per il
Comunismo, ed una più matura collaborazione con il Manifesto (dove era
ritenuto esperto di mondo cattolico), Gentiloni è andato a sciacquare i
suoi panni nel Potomac, diventando uomo assai sensibile alle ragioni a
stelle e strisce. Ed ancor più sensibile è diventato, con il tempo alle
ragioni di Israele: è interessante constatare come proprio alla vigilia
della sua nomina, Gentiloni abbia avuto un caloroso incontro con i
maggiori rappresentanti della comunità ebraica italiana.
Prima che saltino su i soliti dietrologi
che vedono Israele dietro ogni complotto o i più fanatici sostenitori
di Israele ad accusarmi di antisemitismo per aver insinuato chissà cosa,
preciso: niente oscuri complotti, ma uno scenario politico che è sotto
gli occhi di tutti e che ha una sua logica interna. Non è un mistero che
da almeno 5 anni (epoca del “discorso del Cairo” di Obama), Washington e
Telaviv vanno in direzioni via via divaricanti e l’intesa non è più
quella di un tempo. Israele avrebbe voluto l’intervento in Iran che non
c’è stato, Israele non ha visto affatto di buon occhio la primavera
araba che gli Usa hanno, in parte, incoraggiato, Washington si è
mostrata meno allineata del passato ad Israele sulla questione
palestinese. Ma soprattutto, in tempi recenti, è la questione energetica
a dividere i due vecchi sodali: gli Usa hanno l’obiettivo strategico di
indebolire la Russia ed, in particolare, la sua influenza sull’Europa,
determinata dal peso delle sue forniture di gas. A questo scopo, gli Usa
hanno cercato in tutti i modi di impedire la nascita del gasdotto
Southstream, prima con il progetto concorrenziale di Nabucco, dopo
spingendo per l’inserimento del Quatar nella rete metanifera europea.
Entrambe le questioni vedono al centro il nostro paese: Southstream
avrebbe dovuto essere costruito dall’Eni (ora non sappiamo che fine farà
il progetto), mentre la via più semplice per agganciare il Quatar alla
rete europea è agganciarlo al gasdotto italo-libico-algerino; cosa
tentata nel 2005 e bloccata dal governo Berlusconi, per evidenti
preferenze moscovite. Cosa che i quatarioti si legarono al dito,
rendendo all’Italia pan per focaccia in occasione della crisi libica. Va
da sé che Israele veda il piano di inserimento del Quatar come il fumo
negli occhi; ed è ovvio, dato che il Quatar finanzia i Fratelli
Musulmani e accentuare la dipendenza dell’Europa dalle forniture di un
paese arabo è in palese contrasto con i suoi interessi strategici. Per
questo si è determinata una oggettiva convergenza fra Mosca e Telaviv.
La cosa era tornata per un attimo alla
ribalta (all’inizio della crisi ucraina) in occasione del viaggio di
Letta in Quatar per trattare sul loro ingresso in Alitalia. Poi la
tempestiva crisi del governo Letta bloccò sul nascere la ripresa del
disegno.
Dopo, con il governo Renzi (sul quale si
sa avere molta influenza l’economista Yoram Gutgeld, già ufficiale
superiore dell’esercito israeliano), sono venute le nomine Eni con la
promozione di De Scalzi al posto che fu di Scaroni e, con essa, la
conferma piena degli orientamenti filorussi dell’ente petrolifero di
Stato. Insomma nel governo Renzi si è riprodotta in sedicesimo quella
convergenza russo-israeliana di cui dicevamo. E gli americani non hanno
affatto gradito, riservando al giullare fiorentino più di uno sgarbo.
Poi, puntuale come Big Ben è arrivato lo scandalo Nigeria, che ha
colpito De Scalzi, oltre che Scaroni. Renzi in un primo momento ha
difeso a spada tratta De Scalzi, ma si è molto raffreddato quando
questi, per salvarsi, ha buttato a mare Scaroni (“decideva tutto lui”).
Ed il gelo è sceso in occasione della visita di Italia di Li Kequiang,
quando, alla cerimonia della firma dei contratti d’affari conclusi,
tutti hanno notato la clamorosa assenza di De Scalzi, unico a mancare
fra i big delle imprese di Stato.
Insomma, mi pare che tutto confermi che
sia in atto una nuova puntata della guerra segreta dei gasdotti e che
essa passi per il governo italiano.
Di qui la necessità di un ministro degli
esteri molto ben accreditato sia presso Washington che presso Telaviv
per trovare una mediazione in un conflitto che potenzialmente può
travolgere il governo.
E meglio ancora se questo mediatore
disponga di buone entrature in Vaticano e sia amico di un personaggio
come Stefano Silvestri (altro ex estremista passato al campo a stelle e
strisce) che può contare a sua volta su amici a Mosca ed a Washington.
Come mai un nome così perfetto non è stato la prima scelta? Forse perché
occorreva coprirlo con altre candidature di parata, per non bruciarlo
nel partito, dove c’erano altri candidati pure renziani? O per distrarre
l’attenzione dal vero senso dell’operazione? Chissà, dovremmo avere più
informazioni.
Leggi il resto del post a http://www.aldogiannuli.it/2014/11/renzi-fra-gentiloni-e-la-camusso/
Aldo Giannuli