mercoledì 22 ottobre 2014

Barbastro chiama la Terra

Barbastro chiama Terra

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR


di Antonio Turiel

Cari lettori,

gli scorsi 9 e 10 ottobre ha avuto luogo a Barbastro (una piccola località situata vicino ai Pirenei, nella Spagna nordorientale) il Secondo Congresso Internazionale sul Picco del Petrolio. Hanno partecipato come relatori alcune notevoli personalità internazionali del mondo del picco del petrolio, a cominciare dal Presidente dell'Associazione per lo Studio del Picco del Petrolio e del Gas (ASPO), Kjell Aleklett, e mezza dozzina di specialisti del livello più alto. Ci sono stati anche dei relatori di profilo meno tecnico ma che si sono dedicati a fare divulgazione su questo tema, come degli assistenti. Su richiesta di molti lettori ho elaborato questa breve relazione, del tutto soggettiva, sul contenuto delle relazioni che abbiamo potuto ascoltare in questi giorni. Quando saranno disponibili i video, ,metterò il collegamento sui nomi dei relatori.

La prima delle relazioni, la conferenza inaugurale, è stata presentata da un assistente. Un grande onore ed impossibile essere all'altezza di chi lo ha fatto tre anni fa: Mariano Marzo. Io mi sono limitato a fare un ripasso degli eventi che consideravo più significativi nel mondo dell'energia negli anni che sono passati dalla prima edizione e a discutere brevemente le tendenze del futuro più prossimo, abbastanza terribili a mio modo di vedere, finendo con un appello ad agire e ricordando il manifesto “Ultima Chiamata”. Nonostante il suo tono, alla fine la mia presentazione non si è rivelata essere la più pessimista...

Dopo di me ha parlato Mikael Höök. Ha fatto una presentazione didattica e rigorosa sulle diverse risorse, le loro caratteristiche e i loro limiti. Ha evidenziato vari punti interessanti, come per esempio la difficoltà di indicare il picco del petrolio tenendo conto delle definizioni multiple di idrocarburi liquidi, o di come il futuro del carbone verrà determinato da quello che succederà in Cina, la cui produzione sembra stia giungendo al suo zenit. Il suo grafico di come si impila la produzione dei giacimenti a cominciare dai più grandi e proseguendo con quelli più piccoli e di produzione più difficile è stato particolarmente esplicativo.

A seguire è intervenuto in video-conferenza Dave Hughes. La sua presentazione si è riferita agli idrocarburi non convenzionali, principalmente a quelli estratti con la tecnica del fracking, ed è scorsa lungo i percorsi prevedibili per chiunque abbia letto il suo libro “Trivella, ragazza, trivella”. Ha fornito, questo sì, dati aggiornati sui ritmi di declino e sugli scenari di produzione negli Stati Uniti, evidenziando l'allarmante ritmo di declino della produzione di gas di scisto ad Haynesville. Anche una mappa di una piccola area molto sfruttata che mostrava tutte le perforazioni orizzontali che formano una pelle straordinariamente spessa è risultata di grande impatto.

E nel pomeriggio è intervenuto Kjell Aleklett. Questa relazione me la sono persa perché ho dovuto rilasciare due interviste realizzate dalla UNED (con la squadra di Barbastro ed una con un inviato speciale da Madrid). Da come mi hanno raccontato, Kjell ha fatto una presentazione classica e molto didattica degli aspetti chiave del picco del petrolio e del fracking, per evidenziare come il crescente contributo del petrolio leggero di roccia compatta (Light Tight Oil) estratto negli Stati Uniti, essendo inutile per produrre diesel, sta aggravando il picco del diesel

A seguire c'è stata una tavola rotonda sul fracking con due geologi spagnoli, Marcos Aurell e José Luis Simón, e un ingegnere, José Luis Rubio. Mi sono perso anche questa, praticamente tutta, per stavo assistendo i ragazzi del documentario. Così sono giunto a sentire che, nonostante che alcune delle persone sedute lì non si definivano “anti-fracking”, era chiaro per tutti che in Spagna questo tipo di risorsa non aveva grandi prospettive e che difficilmente il suo sfruttamento risulterebbe redditizio.

L'ultima presentazione di giovedì è toccata a Pedro Prieto. Con una dialettica irrefrenabile e alla Cervantes come al solito, incubo dei poveri traduttori, Pedro ci ha fatto ridere amabilmente con un tema tanto serio e tanto grave come la nostra impossibilità di trovare fonti di energia alternative ai combustibili fossili. Ha dedicato un'attenzione speciale (e un intenzione speciale) ad una presentazione dei molti problemi e limiti dell'energia nucleare, ma non si è risparmiato quando è stato il momento di smontare qualsiasi mito rinnovabile, compresa quella del solare a concentrazione. Impagabile e imprescindibile


Il venerdì è cominciato con una presentazione minuziosa e splendida di Alicia Valero sull'uso sempre più intenso della tavola periodica, il picco produttivo delle miniere da dove stiamo estraendo questi materiali e la nostra incorreggibile tendenza a disperderli o a usarli in modo tale da renderli impossibili o molto difficili da riciclare. Il tema è di una serietà e di una gravità difficile da disprezzare ed Alicia ha presentato la sua analisi esaustiva in modo brillante. Oltre al problema dei metalli di uso industriale, merita una menzione particolare il problema del picco del fosforo e il suo impatto sull'agricoltura, del quale abbiamo già parlato in varie occasioni su questo blog. Ha coronato la sua presentazione con un video preparato dal suo centro, il CIRCE, per sensibilizzare sul problema. Non ho potuto evitare di ricordare che tre anni fa dal CIRCE (non da Alicia, questo è certo) è stato mandato un messaggio molto più positivo sulle possibilità di futuro. E' stata forse Alicia la prima relatrice a pronunciare la parola che, ripetuta tante volte, avrebbe segnato la seconda giornata: “collasso”.

A seguire, Gorka Bueno ha presentato la sua analisi sul futuro del trasporto nel Paese Basco, dettagliato e minuzioso, valutando 5 scenari diversi e sempre con evidente l'intento di riuscire ad ottenere obbiettivi di riduzione di emissioni di CO2 e di adattarsi ai problemi di esaurimento dei combustibili fossili, che non erano il centro del suo lavoro ma del quale Gorka era ovviamente ben consapevole. La cattiva notizia è che nessuno scenario riusciva ad ottenere gli obbiettivi fissati per il 2050 e la conclusione di Gorka, che avevano già abbozzato Pedro e Alicia e che si sarebbe ripetuta diverse volte, è che manca di più che la tecnologia per risolvere questo problema e che di fondo ciò di cui stiamo parlando è un cambiamento sociale. Triste, e pessimista, la riflessione di Gorka secondo il quale finché non ci sbatteremo contro, non reagiremo.

Quindi è arrivato Gonzalo Escribano. Questo professore di economia della UNED, direttore anche del programma di energia e cambiamento climatico del politicamente influente Real Instituto Elcano, ha preso la sua agenda ed ha parlato parecchio di più dell'ora che gli era stata assegnata, intessendo temi al volo senza un ordine particolare e senza mostrare grafici o dati coi quali dare fondamento alle sue affermazioni audaci di fronte a un gruppo di specialisti che, da come ho capito, conoscevano molto meglio di lui di cosa stava parlando. Il suo intervento è stata una breve parentesi di BAU e di irrealismo, più una professione di fede religiosa che una presentazione scientifica. Lasciando da parte affermazioni che egli vedeva come del tutto naturali anche se in realtà facevano trapelare una certa ideologia, è stato scioccante sentirgli dire che l'Arabia Saudita ha una capacità inattiva di più di 3 milioni di barili al giorno grazie a Ghawar (quando chiunque si prenda il disturbo di guardare i dati vedrà che oltre alla messa in produzione di Manifa e alla resuscitazione di Khurais e Shaybah all'Arabia Saudita non rimane nulla da aggiungere, mentre a Ghawar esce più acqua che petrolio e probabilmente è già esaurito per un 90%). Altro esempio: secondo Escribano negli Stati Uniti non consumano già quasi più carbone grazie alla rivoluzione dello scisto, nonostante che le statistiche dell'annuario statistico della BP non sembrano dargli ragione (la cosa sbagliata di fare affermazioni esagerate e di non quantificarla: ovviamente il consumo è diminuito, ma non fino a scomparire).


Perlomeno Escribano ha riconosciuto che la febbre del fracking non durerà molto negli Stati uniti e che non c'è da aspettarsi granché da questo tipo di risorsa in Spagna. Non gli è passato per la testa che l'affare fosse una rovina, specialmente con prezzi del gas così bassi (cosa che considerava il risultato della perfetta e meravigliosa competizione in un mercato che crede libero). Terminata la sua presentazione l'ho ringraziato per la sua esposizione, poiché ci aveva mostrato chiaramente come pensano i gestori politici e gli ho chiesto del picco del petrolio, dato che il congresso parlava di questo. Ha risposto che non ne sa niente di questo perché è un economista e non un geologo (!!), ha proseguito col meme ridicolo de “sono 30 anni che ci rimane petrolio per 30 anni” (il vecchio errore P/Q) ed ha ribattuto con la battuta ancora più vecchia e stupida secondo cui l'età della pietra non è finita perché sono finite le pietre. In sostanca, prendendoci per degli emeriti imbecilli per non aver ascoltato e rifiutato mille volte argomenti tanto banali e conosciuti. Mi è sembrato chiaro che a questo signore la prossima ondata recessiva e di forte volatilità del prezzo del petrolio lo coglierà di sorpresa, anche se date le sue capacità oratorie troverà sicuramente la scusa del giorno per cavarsela. Dopo aver svicolato su varie altre domande sé è allontanato senza aspettare la relazione successiva, dalla quale avrebbe potuto apprendere qualcosa su quello di cui crede di essere esperto. Se ne è andato senza essere consapevole della figura ridicola che aveva fatto.

L'ultima relazione della giornata è toccata a Gail Tverberg. Precisa, incisiva, demolitrice, Gail ha dato i dettagli dei suoi già famosi 12 principi della connessione fra energia ed economia, non adatti ad economisti “bautomatici”. Il grafico più terrificante di questa presentazione sicuramente lo conoscete già: la previsione di Gail sulla rapida discesa della disponibilità di tutte le forme di energia nei prossimi anni.






La cattiva notizia è che il ragionamento di Gail sulla forma di questa curva è abbastanza solido, senza altre fonti di energia sostitutive, sarà impossibile mantenere i livelli produttivi massimi teorici una volta che comincia il declino. E questo sarà piuttosto brusco. Una cosa che potremo verificare nei prossimi anni.

La presentazione successiva, nelle prime ore del pomeriggio, è stata fatta da ugo Bardi. Grandissimo comunicatore, Ugo sa conquistare il pubblico nei primi minuti con trucchi da prestigiatore sperimentato, per poi portarli in un viaggio attraverso dei modelli semplificati ma sempre più complessi. Dopo aver mostrato in maniera convincente che la dinamica dei sistemi permette di capire la semplice complessità che soggiace alle nostre due  sfide di sostenibilità proprio adesso, cioè, l'esaurimento delle risorse e il cambiamento climatico, è giunto alle sue conclusioni... cioè nessuna conclusione. Non c'è conclusione, non c'è la sfera di cristallo, non c'è un'uscita semplice. Il suo discorso è finito in modo repentino, un poco triste, senza indicare direzioni concrete, ma aprendo questa discussione per trasformarla in una riflessione collettiva.

Dopo una conclusione così sconfortante, è arrivata Marga Mediavilla che in un certo modo ha finito il lavoro. Marga ha spiegato i dettagli del modello che hanno sviluppato all'Università di Valladolid per fare la diagnosi del futuro dell'energia e dei suoi usi nei prossimi anni. Per alimentare il suo modello hanno preso i migliori valori possibili, non considerano l'EROEI delle fonti di energia, ecc. Ma anche così, si vede che c'è una deviazione considerevole fra gli scenari di crescita e ciò che possono darci le nostre fonti di energia, persino con la sostituzione ideale con le rinnovabili, in un periodo di circa 20 anni. Ma la cosa terribile arriva quando si esaminano i trasporti: le deviazioni sono già insuperabili, in tutti gli scenari considerati, prima del 2020 (proprio per questo in questa edizione i valladolidensi hanno dedicato il loro eccellente corso annuale al tema dei trasporti). Margarita esponeva i suoi risultati quasi scusandosi, come a voler dire: “Non è questo che vorrei proporvi, ma è quello che c'è”. Da lì alla fine della sua presentazione è andata snocciolando una serie di caratteristiche del nostro sistema economico e come siamo caduti in questa trappola. E' stato lì che ho definito il problema col suo nome e, quando è venuto il mio turno per una domanda, ho detto che in realtà il nostro problema più grande per superare la situazione attuale è che quello che diciamo contraddice le tesi fondamentali capitalismo. E non ho chiesto nulla. 

Finalmente c'è stata la tavola rotonda, con tre esposizioni brevi ed un dibattito con i tre relatori. Il primo è stato il mio compagno ed assiduo contributore di questo blog, Antonio García-Olivares, che con la sua voce ferma e la sua abituale solidità intellettuale ha snocciolato le ragioni obbiettive per le quali il capitalismo si trova nella sua fase terminale e quali possano essere le alternative alla sua fine. Relazione breve ma molto tecnica e molto raccomandabile per coloro che ancora credono in un futuro del capitalismo. 




A seguire ha parlato Xoan Ramón Doldán, presidente dell'associazione galiziana Véspera de Nada ed economista ecologico, che con tono da galiziano pacioso è andato assestando colpi dialettici dopo colpi dialettici alle basi concettuali e pratiche del nostro attuale sistema economico, praticamente senza risparmiare nessuno. Forse il tono continuo della voce e la rapidità espositiva non facilitavano un'adeguata digestione di tanta informazione. 

Per ultimo Juan del Río, come rappresentante di Cardedeu in Transizione, ha fatto una presentazione molto leggera, più attivista e meno tecnica rispetto a tutte le precedenti, per spiegare che c'è futuro e speranza se ci crediamo. Le domande del pubblico durante la tavola rotonda erano valide, anche se (o forse esattamente per questo) si trattavano temi poco gradevoli come quello della violenza durante la transizione.

Il riassunto di questa edizione è che il pessimismo è diventato assoluto. Nella prima edizione la maggioranza delle relazioni respirava un certo tecno-ottimismo, con diverse relazioni che discutevano di fonti alternative per ottenere energia e/o di scenari più o meno adattivi. In quella occasione facevo parte di un gruppo ridotto di catastrofisti che vedeva all'orizzonte una difficoltà insormontabile o un'altra. Io non ho modificato molto la mia posizione, forse sono un po' più pessimista ora di allora, ma curiosamente adesso molti di quelli che allora mi prendevano per allarmista mi hanno superato in questa discesa agli inferi. La parola più ripetuta in questi giorni è stata “collasso”, cosa che la maggior parte dei relatori danno per certo. Per ripetere lo scherzo che abbiamo fatto in quei giorni, chi di noi si trovava lì poteva essere raggruppato in tre categorie: :pacos, mocos e cocos (a seconda se eravamo parzialmente, moderatamente o completamente “collassisti” - l'unico escluso da questa classificazione era Gonzalo Escribano, che potremmo definire coquaco: “Collasso? Quale collasso?)

Non vorrei concludere questa relazione senza fare una menzione, breve, alla componente umana del congresso, alle persone che erano lì ad ascoltare il modo in cui i relatori stavano progressivamente minando le loro speranze di futuro. Come nell'edizione passata, molte persone anonime hanno partecipato a Barbastro, facendo un grande sforzo personale, visto che il congresso ha avuto luogo in giorni lavorativi. Alcuni rappresentavano diversi collettivi consapevoli della problematica dell'esaurimento del petrolio e delle conseguenze cui sta portando questa folle corsa in avanti. I più attivi, erano quelli dei collettivi anti-fracking. In particolare mi è sembrato rimarchevole la maturità particolare in questa attività dei ragazzi di Fracking Ez, che anche se non sono intervenuti nei turni di domande, hanno preso contatti e nota di tutto ciò che veniva detto. Dall'ultimo congresso di Barbastro sono passati tre anni e mezzo e la società spagnola è più povera, quindi molti dei partecipanti sono arrivati in modo precario, alcuni dormendo nel furgone col quale sono venuti. La solidarietà e il coordinamento fra i partecipanti ha reso possibile che molti di loro, con più volontà che mezzi, potessero godersi queste giornate. E, addirittura, un piccolo gruppo di entusiasti ha approfittato per girare un breve documentario. Come la volta scorsa, l'organizzazione del congresso è stato un aiuto continuo ed efficace nei mille dettagli che continuavano ad emergere ogni giorno. Grazie di nuovo a Carlos, Marta, Pili e soprattutto a David, che nel suo ruolo molteplice di coordinatore, moderatore e conduttore del congresso, ha dato un volto umano al collegamento istituzionale. 

Tutto indica che il collasso sarà rapido e anche di più, data la cecità di coloro che consigliano i nostri governi credendosi esperti senza esserlo. La cosa preoccupante è che il collasso può essere imminente, come alcuni esperti hanno indicato. Barbastro ha inviato un messaggio, forte e chiaro, alla Terra, una specie di “Ultima Chiamata” dalla collina. Speriamo che stavolta ci sia qualcuno dall'altra parte ad ascoltarla. 

Saluti.
AMT

martedì 21 ottobre 2014

I topi cominciano ad abbandonare la nave del fracking

Da “The Daily Impact”. Traduzione di MR (h/t Maurizio Tron)

Di Tom Lewis

Podcast: Apri in nuova finestra | Scarica

Ecco cosa stanno cominciando a fare le persone al vertice dell'industria
 del petrolio riguardo la rivoluzione del petrolio: abbandonano la nave. 
Il primo segno di una nave condannata si dice sia la fuga improvvisa dei suoi topi. Il primo segno di un incendio in un teatro affollato non è il tipo che grida “al fuoco”, ma diverse persone con un buon olfatto che cominciano ad avviarsi furtivamente ma di proposito verso le uscite. Nel mondo della finta rivoluzione del fracking di petrolio e gas, le narici dei ratti e analogamente coloro che hanno l'olfatto sensibile stanno cominciando a ritirarsi. Vediamo quei nasi. Dobbiamo ancora rivedere qui la propaganda dell'industria? Come la fratturazione idraulica abbia cambiato tutto, come ora l'America abbia gas e petrolio abbondanti, come stiamo superando la Russia e l'Arabia Saudita, come siamo di nuove i numero uno al mondo, come siamo diretti verso l'indipendenza energetica? (Nessuno ha ancora avuto la faccia tosta di prevedere che stiamo per raggiungere l'indipendenza energetica, visto che è matematicamente impossibile, ma non dovrebbero tardare molto ormai, visto che stanno diventando disperati). L'ultima ripetizione della frase dell'industria ggio apparso sul New York Times intitolato “l'abbondanza del petrolio americano”, una canzone di petrolio senza fine, amen. Nel frattempo, uno dei maggiori trader di beni petroliferi del mondo – in altre parole, uno dei grandi topi che hanno giocato nel mercato del petrolio come se fosse un grande casinò, come se nessuno si facesse male con le loro macchinazioni – se ne sta andando in punta di piedi lungo i cavi di ormeggio della rivoluzione del petroli di scisto in cerca di un terreno più sicuro.

Il suo nome è Andrew John Hall e dice che la produzione di petrolio di scisto negli Stati Uniti sta per cadere in un dirupo. Non che gliene freghi granché. E' venerato dai suoi seguaci Masters of the Universe (Sì, venerato – lo chiamano il dio del mercato del petrolio greggio) a causa delle sue capacità all'interno del casinò del petrolio di ottenere 100 milioni di dollari all'anno in bonus dalla City Bank fino all'ultima estinzione di fiamma, quando la Fed li ha sospesi sulla base del fatto che sono stati osceni. Ora, Andrew sta facendo le sue puntate e quelle dei suoi clienti veneranti sul crollo della produzione del fracking negli Stati Uniti entro circa un anno (e sul mancato avvio dello stesso per diverse ragioni in altri paesi) e sul fatto che il petrolio greggio raggiunga quasi immediatamente i 150 dollari al barile.

I trader che possiedono contratti a lungo termine per la consegna di greggio ai prezzi odierni – 100 dollari o poco meno – faranno fortuna. Difficile sapere come li spenderanno, però, visto che i prezzi del petrolio al di sopra dei 100 dollari causano brutte recessioni in tutti i paesi industrializzati. Altri, personaggi del petrolio profondamente coinvolti nell'affare, sembra che si stiano avviando furtivamente verso le uscite, storcendo il naso. La Royal Dutch Shell, uno dei più grandi giocatori nel campo del fracking – ha accumulato almeno 13 miliardi di prestiti in 5 anni, a partire dal 2008 – sembra stia abbandonando l'edificio. Mentre sta rilasciando una cortina di dichiarazioni circa la “ristrutturazione... la ridefinizione... il rinnovato impegno” e cose simili, la compagnia sembra aver abbandonato l'affare dello scisto nordamericano (in cui, cosa interessante, non ha mai messo un soldo). La British Petroleum sembra stia andando similmente in punta di piedi verso la scritta USCITA. Ha arrotolato tutte le sue holding americane dello scisto in una compagnia che non porta neanche il suo nome (quanto si deve scendere in basso prima di essere troppo disonorevoli per essere riconoscibili come BP?) cosa che spesso è una mossa preliminare per un svendita. L'amministratore delegato della BP ora liquida la rivoluzione del fracking come un "affare magro, da margine basso” più adatto ad “operatori indipendenti”, altrimenti conosciuti fra i truffatori come “i più grandi pazzi”. E lui parla con entusiasmo di come farà bene la compagnia coi nuovi pozzi d'alto mare nel Golfo del Messico. Sì, deve andare proprio bene. Difficile vedere cosa potrebbe andare storto in questo.

Fatte molta attenzione ai cavi di ormeggio ed alle uscite nei prossimi mesi. Non vorrete associarvi alle prime persone in fuga (e che lasciano donne e bambini a sé stessi)  ma vorrete seguirne l'esempio. In nome delle vostre donne e bambini.



domenica 19 ottobre 2014

Crescita demografica, povertà e violenza: un commento.

di Jacopo Simonetta

Molti di noi ricorderanno che negli anni ’70 raggiungemmo i 4 miliardi di “bocche da sfamare”, come si diceva allora,  con un tasso di incremento di circa 70 milioni l’anno.    La sovrappopolazione era l’argomento del giorno; perfino nelle scuole se ne parlava come di una minaccia alla sopravvivenza stessa dell’umanità.    Alcuni paesi vararono anche programmi più o meno efficaci per limitare le nascite:  dalla semplice propaganda (come ad es. in Afghanistan), fino alla legge del figlio unico in Cina e le sterilizzazioni obbligatorie che costarono la vita a Sanjay Gandhi.

Poi, gradualmente ed impercettibilmente, il tema è passato nel dimenticatoio, mentre la “teoria della transizione demografica” veniva trasformata da ipotesi scientifica in articolo di fede e, infine, in comodo pretesto per evitare l’argomento; una tendenza proseguita finché dall'oblio siamo passati all'estremo opposto.  

Oggi siamo poco meno del doppio di allora (7,266 miliardi con analogo incremento di circa 70 milioni l’anno), ma da almeno un decennio siamo oggetto di  una campagna perlopiù indiretta, ma martellante a favore di un rilancio della natalità e/o  dell’immigrazione, invocate quale rimedio sovrano per una varietà stravagante di malattie reali e presunte delle nostre società: dalla crisi economica al debito pubblico, con coloriture diverse a seconda della fonte.   Di fatto, se oggi si chiede alla gente per strada quale sia il problema demografico, moltissimi rispondono convinti “che non nascono più bambini!” o “l’invecchiamento della popolazione”.

Solo molto di recente l’argomento sta tornando alla ribalta, ma in ambienti di nicchia e sfidando non pochi fulmini.   Per contribuire in qualche modo a rilanciare questo interessante dibattito, vorrei qui proporre un semplicissimo esercizio che ho personalmente fatto.    Avverto subito che i risultati possono essere inaffidabili se riferiti ai singoli paesi, ognuno dei quali ha una situazione peculiare.   Il mio scopo qui è solamente quello di verificare, a livello globale,  se è possibile che vi sia una correlazione fra natalità, povertà e criminalità.
I parametri che ho utilizzato sono i seguenti:

Povertà.   Ho selezionato i 60 paesi con il PIL pro-capite più basso (dati ONU relativi al 2012). I  limiti di questo parametro economico sono noti ed importanti, ma è l’unico disponibile.

Natalità.  Ho selezionato i 60 paesi con il più alto tasso di natalità  (stima ONU 2010).   Il tasso di crescita demografica può essere anche molto diverso a causa dei movimenti migratori e del diverso tasso di mortalità..

Criminalità.   Ho selezionato i 60 paesi con il più elevato tasso di violenza, valutato con il numero di omicidi per 100.000 abitanti (Dati Geneva declaration on armed violence and development 2011).   Il dato considera solo i morti da criminalità comune, non quelli per cause belliche.   In alcune volte la distinzione è praticamente impossibile, ma anche in questo caso il mio interesse è sulle tendenze generali, non sui casi particolari.






Disegnando i tre insiemi così costituiti risulta evidente che la stragrande maggioranza dei paesi ad elevata natalità sono anche particolarmente poveri ed afflitti da una criminalità particolarmente aggressiva.    Ben 45 stati su 60 ricadono infatti in tutti e tre gli insiemi contemporaneamente.   10 sono particolarmente prolifici e poveri, ma non turbolenti.   8 sono invece turbolenti, ma non particolarmente poveri e prolifici, solo 4 sono poveri e turbolenti, ma non prolifici; 4 sono molto poveri, ma non particolarmente turbolenti e prolifici; 3 sono invece prolifici e turbolenti, ma non poveri  ed, infine, 3 sono molto prolifici, ma né poveri né violenti.

Se riportiamo tutto ciò in una tabella, si evidenzia una gaussiana tipica.   Non sorprende, ma la ripidità della gaussiana suggerisce un grado di correlazione molto stretto fra tutti e tre questi fattori.


Si dovrebbe allora cercare di capire quali sono le relazioni tra di essi.
Tra natalità e violenza la correlazione è sicuramente indiretta, mediata dalla povertà dal momento che gli assassini sono prevalentemente maschi giovani; più raramente padri di famiglia ed eccezionalmente donne, men che meno mamme.    Viceversa, che la povertà sia una concausa importante della criminalità credo che si possa dare per assodato, anche se certamente vi giocano anche altri fattori sociali e culturali.

Dunque la chiave del sistema dovrebbe essere il rapporto fra natalità e povertà, indagare il quale è molto complesso sia per l’ingombrante presenza di teorie probabilmente superate (ma profondamente radicate e politicamente molto comode), sia perché non è affatto detto che tutte le società si comportino allo stesso modo.

Nelle sue linee generali, la “teoria della transizione demografica” fu concepita da  Adolphe Landry,  un economista corso legato agli ideali socialisti e “natalista” convinto.    Negli anni ’60 e ’70 l’effettiva evoluzione demografica dell’”emisfero occidentale” parve confermarne sperimentalmente la validità.   Da allora è divenuta e permane un elemento basilare per la cultura amministrativa ed per buona parte di quella accademica mondiale.   Uno di quei capisaldi che solo mettere in dubbio provoca reazioni variabili dal sorrisetto condiscendente all’ira funesta.

Eppure, se ad esempio, osserviamo quello che è avvenuto in Russia, troviamo una dinamica più complessa.

Fra il 1950 ed il 1970 circa, la natalità è rapidamente diminuita, in linea con quanto contemporaneamente accadeva al di qua dalla cortina di ferro.    Poi è tornata a crescere parallelamente ad un incremento della mortalità, indice di un progressivo peggioramento delle condizioni di vita.

Fin qui dunque la teoria di Landry risulta confermata.   Ma a cavallo del 1990 il collasso dell’economia ha prodotto sia un brusco aumento della mortalità, sia un precipizio della natalità che è poi tornata a crescere, mentre la mortalità diminuiva, man mano che la situazione socio-economica ritrovava un nuovo equilibrio e le condizioni di vita medie tornavano a migliorare.   Una dinamica simile è stata rilevata in tutti i paesi del blocco sovietico e qualcosa di simile, anche se meno traumatico, sta succedendo  in occidente.  Ad esempio, in Italia la natalità ha toccato un minimo alla metà degli anni '90, per poi risalire lievemente, in parte per la crescente presenza di immigrati (più prolifici), in parte in risposta alla citata campagna di propaganda,  Dal 2008, con la progressiva erosione degli standard medi di vita, la natalità avrebbe dovuto teoricamente aumentare, mentre è tornata flettere.

Figli per donna in Italia fra il 1945 ed il 2012.
Se passiamo ad osservare la più semplice dinamica delle popolazioni animali, troviamo che è sostanzialmente quella modellizzata da Lotka e Volterra.   In presenza di abbondanza di risorse la popolazione aumenta; aumentando erode le proprie risorse e degrada il proprio ambiente finché non si genera una situazione di penuria.   A questo punto la popolazione in questione si riduce, permettendo un recupero delle risorse e dell’habitat.    Certamente la demografia umana è più complessa sia per fattori culturali, sia per la possibilità odierna di spostare immani quantità di risorse da una parte all'altra del pianeta, ma le dinamiche storicamente riscontrate sono strutturalmente simili a quelle degli altri animali.

In sintesi dunque, la teoria della transizione demografica descrive bene alcuni fenomeni effettivamente accaduti, ma non altri.   L'idea che suggerisco è che il discrimine fra dinamiche simili a quella descritta da Landry ad alte più vicine al modello di Lotka-Volterra sia la prossimità od il superamento del limite di capacità di carico del territorio di riferimento.

Tornando alla nostra gaussiana, quello che qui suggerisco, senza alcuna pretesa di averlo dimostrato, è che, in prossimità od oltre la capacità di carico del territorio, l’elevata natalità  divenga la causa principale di povertà e, indirettamente, di criminalità.   In prospettiva, contribuisce quindi alla disintegrazione delle strutture sociali ed al collasso degli stati.
Un argomento complesso e criticabile sotto molti aspetti che, a mio avviso, richiederebbe una molto maggiore attenzione da parte di quelle istituzioni che hanno il personale, le informazioni ed i mezzi per affrontarli in modo approfondito.   Ma è improbabile che accada poiché "E' difficile far capire qualcosa ad un uomo il cui stipendio dipende dal fatto che non la capisca" (Upton Sinclair, "La storia segreta della guerra al cancro", 2007).


venerdì 17 ottobre 2014

Il barile costa sempre meno, ma non è una buona notizia

Originariamente pubblicato su "Greenreport"

La grande discesa: Petrolio, il prezzo non è giusto: il barile costa sempre meno, ma non è una buona notizia

Da sola, l'Italia in 5 anni ha perso il 25% dei propri consumi petroliferi

 [14 ottobre 2014]

di Ugo Bardi

Grande fermento nel mondo del petrolio: dopo cinque anni di prezzi relativamente stabili, il mitico “barile” sta scendendo da oltre i 100 dollari a sotto i 90, e la discesa sembra continuare. Cosa sta succedendo? Qualcuno ha trovato nuove grandi risorse? Oppure è l’Arabia Saudita che sta usando “l’arma del petrolio” per far cadere la Russia, l’erede del vecchio “impero del male” sovietico?

In realtà, non è niente di tutto questo. Non ci sono grandi nuove scoperte e le armi petrolifere dell’Arabia Saudita sono molto più spuntate di quanto non si legga sui giornali. Ma allora, perché i prezzi si abbassano? Ci sono delle buone ragioni, ma bisogna spiegarle e, soprattutto, spiegare perché il probabile abbassamento dei prezzi petroliferi che ci aspetta NON sarebbe una cosa buona; anzi sarebbe un disastro planetario.

Il petrolio è una risorsa limitata, ma soggiace anch’esso alle leggi della domanda e dell’offerta, come tutto quello che si compra e si vende su questo pianeta e che si trova sotto il controllo di quell’entità che chiamiamo “il mercato”.

Per il petrolio, ci sono due tendenze in contrasto. Una è il graduale esaurimento delle risorse cosiddette “convenzionali”; ovvero quel petrolio liquido che si estrae a costi relativamente bassi dai pozzi che lo contengono. L’altra è la crescita produttiva del petrolio “non convenzionale”, ovvero liquidi combustibili che si ottengono, per esempio, trattando le sabbie bituminose, oppure biocombustibili, oppure il “petrolio di scisto”, quello che si ottiene mediante il “fracking.” Lo sviluppo rapido e impetuoso della produzione di petrolio non convenzionalesoprattutto petrolio di scisto negli Stati Uniti – ha compensato fino ad oggi il declino mondiale nella produzione del petrolio convenzionale; anzi, ha creato un moderato eccesso di offerta. Allo stesso tempo, molte delle economie più importanti sono in recessione e stanno riducendo i consumi.

L’Italia, per esempio, ha perso il 25% dei suoi consumi petroliferi negli ultimi cinque anni, e la discesa continua. Altre economie, come quella della Germania, sono in difficoltà, anche se non ancora in recessione. Questo causa una diminuzione della domanda. Quindi, i due fattori – aumento dell’offerta e diminuzione della domanda – vanno nella stessa direzione: il mercato vuole che il prezzo del petrolio si abbassi (e in effetti si abbassa). Teniamo conto che questi fenomeni sono spesso fortemente influenzati dalla percezione degli operatori finanziari: se tutti pensano che il prezzo del petrolio debba calare, allora giocheranno al ribasso e questo farà calare sempre di più il prezzo.

In pratica, rischiamo di vedere non soltanto un calo dei prezzi, ma addirittura un tracollo, come quello del 2008-2009. Molta gente pensa che l’abbassamento dei prezzi del petrolio sia una cosa buona. In realtà, non è affatto così e se vedremo ripetersi lo scenario del 2008-2009, sarà un vero disastro (come già lo era stato allora). Il problema è che le risorse petrolifere non sono tutte uguali: produrre certi tipi di petrolio costa molto caro. Tirar fuori petrolio dalle sabbie o dagli scisti bituminosi, per esempio, costa più caro che tirarlo fuori dai pozzi tradizionali.

Allora, cosa succede se i prezzi si abbassano? Beh, succede che estrarre e mettere sul mercato certi tipi di petrolio non è più conveniente. Ne consegue che non lo si produce più. Chi mai vorrebbe produrre in perdita? In pratica, se i prezzi si abbassano, la produzione mondiale diminuisce: avete sentito parlare del “picco del petrolio”? E' proprio questo: il “picco” non vuol dire che il petrolio finisce; assolutamente no. Vuol dire solo che non conviene più produrne tanto come se ne produceva prima – e quindi se ne produce di meno.

Ed è esattamente quello che può succedere nel prossimo futuro. Il petrolio a oltre 100 dollari al barile consentiva all’industria di mantenere la produzione abbastanza costante – anzi, di aumentarla leggermente. Il petrolio a prezzi più bassi non lo consente più, e forza l’industria a ridurre la produzione. Questo porta, fra altre cose, alla chiusura di molte raffinerie, come sta accadendo qui in Italia.

Alla fine dei conti, il petrolio costerà di meno, ma sarà un’abbondanza soltanto apparente perché ma non avremo i soldi per pagarlo. Che ci volete fare? È il mercato! Ma, soprattutto, è la nostra insipienza a farci continuare a credere che il petrolio possa durare per sempre. Non può. Cominciamo a pensarci già ora.


Per approfondire: “Il crollo dei consumi petroliferi in Italia” http://ugobardi.blogspot.it/2014/01/laltro-lato-del-picco-il-collasso-del.html

“Le armi spuntate dell’Arabia Saudita contro la Russia” http://ugobardi.blogspot.it/2014/10/scatenare-larma-del-petrolio-contro-la.html -

See more at: http://www.greenreport.it/news/economia-ecologica/petrolio-prezzo-non-giusto-barile-costa-sempre-meno-non-buona-notizia/#sthash.C8bfApQY.dpuf

giovedì 16 ottobre 2014

Il Picco del Petrolio è qui: il punto di vista di Barbastro

DaResource Crisis”. Traduzione di MR


Antonio Turiel, famoso per il suo blog “The Oil Crash”, parla all'incontro internazionale “Oltre il Picco del Petrolio” organizzato a Barbastro dall'UNED.  Sembra che stiamo fissando proprio la brutta faccia del picco.

Di Ugo Bardi

Quando ho cominciato a lavorare sul picco del petrolio, intorno al 2001, si trattava di un gioco intellettuale che giocavo insieme ad altri interessati allo stesso tema. Abbiamo elencato risorse e riserve, abbiamo fatto modelli, disegnato curve, estrapolato dati ed altre cose del genere. Ma il picco era sempre nel futuro. Alcuni modelli lo prevedevano in pochi anni, altri in un decennio o più, E' vero, non era mai un futuro remoto, ma non era nemmeno nel presente. Sapevamo che il picco avrebbe portato un sacco di problemi, ma non eravamo davvero in grado di visualizzarli.

Poi abbiamo scoperto che il petrolio non era la sola risorse destinata al picco. Abbiamo scoperto che il meccanismo del picco è molto generale e colpisce qualsiasi cosa possa essere sovra-sfruttata. C'era un picco del gas, del carbone, dell'uranio e, col tempo – il “picco dei minerali”, che è stata l'origine del mio libro “Extracted”. In qualche modo, il picco del petrolio è tornato ad essere solo uno dei tanti picchi previsti per il futuro. Ancora importante, certamente, ma non proprio così fondamentale come avevamo pensato all'inizio. Non ho mai perso interesse per il picco del petrolio, ma in qualche modo è passato da una posizione centrale ad una di retrovie fra i miei interessi.

Ma le cose cambiano, e rapidamente. Due giorni di conferenze a Barbastro sono state un duro reminder del fatto che il petrolio è ancora la risorsa più importante del mondo. Alla conferenza, diversi oratori notevoli si sono susseguiti per mostrare i loro dati e i loro modelli sul picco del petrolio Antonio Turiel, Kjell Aleklett, David Hughes, Gail Tverberg, Michael Hook, Pedro Prieto. Da ciò che hanno detto, è chiaro che il futuro non si tratta più di discutere di risorse e riserve, mettendo in fila barili di petrolio come se fossero pedine con cui giocare su una gigantesca scacchiera. Non si tratta più di disegnare curve e di estrapolare dati. No: si tratta di soldi. Non stiamo finendo il petrolio, stiamo finendo le risorse finanziarie necessarie ad estrarlo.

Durante gli anni passati, l'industria petrolifera ha speso enormi quantità di denaro per fare uno sforzo immenso nello sviluppo di nuove risorse. Fino ad ora, queste risorse, in aprticolare il petrolio e il gas di scisto, hanno retto il gioco, crescendo abbastanza velocemente da compensare il declino delle risorse convenzionali. Come ha detto Arthur Berman, “La produzione da scisto non è una rivoluzione; è una festa di pensionamento”. Oggi, non c'è niente all'orizzonte che possa ripetere il piccolo miracolo del petrolio e del gas di scisto, che sono riusciti a posticipare il picco di alcuni anni. La festa potrebbe davvero essere finita.

Ciò che svela il gioco sono i dati che mostrano che le spese di capitale (“capex”) nei nuovi progetti stanno crollando e che l'industria si sta tirando fuori da gran parte dei progetti costosi. E' un gioco in cui non si può vincere: più si estrae, più servono soldi per continuare ad estrarre. Ma di più soldi si ha bisogno, minori sono i profitti. E quando il  grande mercato finanziario si rende conto che i profitti stanno crollando, a quel punto è la fine del gioco: niente soldi, niente petrolio.

Quindi il picco del petrolio è qui, di fronte a noi. Potrebbe essere quest'anno o il prossimo o forse anche un po' più tardi. Ma non è più un gioco intellettuale astratto: sta colpendo direttamente le nostre vite. Guardate il mondo intorno a noi: non pensate che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato nel tessuto stesso di quella che a volte chiamiamo “civiltà”? Quel qualcosa potrebbe proprio essere il picco del petrolio.

Abbiamo cominciato a lavorare sul picco del petrolio pensando che se fossimo riusciti ad avvertire il mondo del pericolo che abbiamo di fronte, qualcosa sarebbe stato fatto per risolvere il problema. Non ci siamo riusciti: qualcosa è stato fatto, ma troppo poco e troppo tardi. Ora stiamo attraversando il picco e guardando l'altro lato. Ciò che vediamo non è bello. Possiamo solo sperare che non sia peggiore di quanto sembri.

Vorrei ringraziare David Lafarga Santorroman e tutto lo staff della UNED per il loro entusiasmo e dedizione nell'organizzazione del secondo incontro sul picco del petrolio a Barbastro. Per una descrizione dettagliata dell'incontro, vedi questo post di Antonio Turiel . 


lunedì 13 ottobre 2014

Scatenare l'arma del petrolio contro la Russia: come distruggere un grande impero

DaResource Crisis”. Traduzione di MR

La Pitonessa dell'oracolo di Delfi  disse al Re Creso che se avesse attaccato la Persia “un grande Impero verrà distrutto”. Creso ha fatto esattamente questo, ma il grande impero che è caduto non è stato quello Persiano, ma il suo. 
di Ugo Bardi


Ricordate la vecchia Unione Sovietica? Denominata “L'impero del male” da Ronald Reagan nel 1983, è scomparsa in uno sbuffo di fumo nel 1991, schiacciata da una montagna di debiti. Le origini del collasso finanziario dell'Unione Sovietica sono piuttosto ben conosciute: erano collegate alla diminuzione dei prezzi del petrolio che, nel 1985, sono scesi dall'equivalente di più di 100 dollari (di oggi) a barile del 1980 a circa 30 dollari (di oggi) e sono rimasti bassi per più di un decennio. L'Unione Sovietica si affidava alle esportazioni di petrolio per la sua economia e, in aggiunta, era appesantita da enormi spese militari. Semplicemente non poteva prendere una goccia di più di un fattore tre dei suoi proventi petroliferi.

Esiste una leggenda persistente secondo la quale la caduta dell'Unione Sovietica era stata progettata da un accordo segreto fra le Potenze Occidentali e il governo saudita che si sono accordati per aprire i rubinetti dei loro giacimenti petroliferi per abbassare i prezzi del petrolio. Questa è, in effetti, nient'altro che una leggenda. Non solo non abbiamo prove che un tale accordo segreto sia mai esistito, ma non è neanche vero che i sauditi abbiano giocato il ruolo attribuito loro. Negli anni 80, l'Arabia Saudita, in realtà, ha fortemente cercato di evitare il crollo dei prezzi del petrolio riducendo (piuttosto che aumentando) la sua produzione di petrolio. Senza molto successo. (Immagine a destra da Wikipedia).


E' vero, tuttavia, che dopo la prima grande crisi petrolifera degli anni 70, la produzione mondiale
di petrolio ha ripreso a crescere intorno al 1985. Le ragioni di questa ripresa non possono essere attribuite al lavoro di un gruppo di cospiratori seduti in una stanza fumosa. Piuttosto, è stata il risultato di diversi giacimenti petroliferi che iniziavano la loro fase di produzione, principalmente in Alaska e nel Mare del Nord. E' stata questa l'origine della diminuzione dei prezzi e, indirettamente, della caduta dell'Unione Sovietica. (Immagine a sinistra daWikipedia).


Oggi, la produzione di petrolio russa si è ripresa dal crollo dei tempi sovietici e l'economia russa dipende fortemente dalle esportazioni di petrolio, proprio come è stato per la vecchia URRS. Data la situazione politica con la crisi ucraina, ci sono speculazioni secondo le quali l'Occidente stia cercando di far cadere la Russia ripetendo lo stesso trucco che è sembrato avere successo nel far cadere il vecchio “Impero del male”. Infatti, stiamo vedendo che i prezzi del petrolio stanno scendendo al di sotto dei 90 dollari al barile dopo anni di stabilità intorno ai 100 dollari. E' una fluttuazione o una tendenza? Difficile a dirsi, ma viene interpretata come lo scatenamento dell'”arma del petrolio” contro la Russia da parte dell'Arabia Saudita.

Tuttavia. Il mondo di oggi non è il mondo degli anni 80. Un problema è che l'Arabia Saudita ha mostrato diverse volte di essere in grado di abbassare la produzione, ma mai di aumentarla significativamente più in alto degli attuali livelli. Si potrebbe anche discutere sul fatto che saranno in grado di mantenerli in futuro. Quindi, non c'è niente oggi che potrebbe giocare il ruolo che i giacimenti dell'Alaska e del Mare del Nord hanno giocato negli anni 80. E' stato detto molte volte che ci servirebbe “una nuova Arabia Saudita” (o più di una) per compensare il declino dei giacimenti petroliferi mondiali, ma non l'abbiamo mai trovata.

Eppure, ci sono buone ragioni per pensare che potremmo assistere ad una diminuzione dei prezzi del petrolio nel prossimo futuro. Un fattore è il crollo di diverse grandi economie mondiali (vedi l'Italia). Questo potrebbe portare ad un crollo della domanda di petrolio e, di conseguenza, a prezzi più bassi (una cosa simile è avvenuta con la crisi finanziaria del 2008). Un altro fattore potrebbe essere la rapida crescita della produzione di petrolio non convenzionale (in gran parte sotto forma di “petrolio di scisto”) rappresentata dagli Stati Uniti. Questo petrolio non viene esportato in grandi quantità, ma ha ridotto la domanda statunitense di petrolio nel mercato mondiale. Mettendo insieme questi due fattori, potremmo facilmente assistere ad una diminuzione considerevole dei prezzi del petrolio nel prossimo futuro, anche se difficilmente duratura. Così, sarebbe questa l'”Arma del petrolio” che metterà in ginocchio la Russia? Forse, ma, come con tutte le armi, ci sono effetti collaterali da considerare.

Come abbiamo detto, il petrolio non convenzionale sta giocando un ruolo importante nel mantenimento della produzione mondiale. Il problema è che il petrolio non convenzionale è spesso una risorsa costosa. Inoltre, nel caso del petrolio di scisto, il tasso di declino dei pozzi è molto rapido: l'arco di vita di un pozzo è solo di pochi anni. Così, l'industria dello scisto necessita di un continuo afflusso di investimenti per continuare a produrre ed è molto sensibile ai prezzi del petrolio. La sua recente ascesa è stata il risultato dei prezzi alti; i prezzi bassi potrebbero causarne la morte. Al contrario, i giacimenti di petrolio convenzionale hanno un arco di vita di decenni e sono relativamente immuni dalle variazioni a breve termine dei prezzi. Se guardiamo la situazione in questi termini, potremmo legittimamente chiederci contro chi è puntata l'arma petrolifera. L'industria non convenzionale statunitense potrebbe esserne la prima vittima.

La storia, come sappiamo tutti, non si ripete mai, ma fa rima. Il re Creso, ai suoi tempi, ha creduto all'oracolo di Delfi quando gli ha detto che avrebbe potuto far crollare un grande impero se avesse attaccato la Persia. Non si è reso conto che stava per distruggere il suo stesso impero. Per noi potrebbe esserci in serbo qualcosa di simile nei prossimi anni: una diminuzione dei prezzi del petrolio potrebbe far cadere un grande impero. Quale, tuttavia, è tutto da vedere.