venerdì 17 ottobre 2014

Il barile costa sempre meno, ma non è una buona notizia

Originariamente pubblicato su "Greenreport"

La grande discesa: Petrolio, il prezzo non è giusto: il barile costa sempre meno, ma non è una buona notizia

Da sola, l'Italia in 5 anni ha perso il 25% dei propri consumi petroliferi

 [14 ottobre 2014]

di Ugo Bardi

Grande fermento nel mondo del petrolio: dopo cinque anni di prezzi relativamente stabili, il mitico “barile” sta scendendo da oltre i 100 dollari a sotto i 90, e la discesa sembra continuare. Cosa sta succedendo? Qualcuno ha trovato nuove grandi risorse? Oppure è l’Arabia Saudita che sta usando “l’arma del petrolio” per far cadere la Russia, l’erede del vecchio “impero del male” sovietico?

In realtà, non è niente di tutto questo. Non ci sono grandi nuove scoperte e le armi petrolifere dell’Arabia Saudita sono molto più spuntate di quanto non si legga sui giornali. Ma allora, perché i prezzi si abbassano? Ci sono delle buone ragioni, ma bisogna spiegarle e, soprattutto, spiegare perché il probabile abbassamento dei prezzi petroliferi che ci aspetta NON sarebbe una cosa buona; anzi sarebbe un disastro planetario.

Il petrolio è una risorsa limitata, ma soggiace anch’esso alle leggi della domanda e dell’offerta, come tutto quello che si compra e si vende su questo pianeta e che si trova sotto il controllo di quell’entità che chiamiamo “il mercato”.

Per il petrolio, ci sono due tendenze in contrasto. Una è il graduale esaurimento delle risorse cosiddette “convenzionali”; ovvero quel petrolio liquido che si estrae a costi relativamente bassi dai pozzi che lo contengono. L’altra è la crescita produttiva del petrolio “non convenzionale”, ovvero liquidi combustibili che si ottengono, per esempio, trattando le sabbie bituminose, oppure biocombustibili, oppure il “petrolio di scisto”, quello che si ottiene mediante il “fracking.” Lo sviluppo rapido e impetuoso della produzione di petrolio non convenzionalesoprattutto petrolio di scisto negli Stati Uniti – ha compensato fino ad oggi il declino mondiale nella produzione del petrolio convenzionale; anzi, ha creato un moderato eccesso di offerta. Allo stesso tempo, molte delle economie più importanti sono in recessione e stanno riducendo i consumi.

L’Italia, per esempio, ha perso il 25% dei suoi consumi petroliferi negli ultimi cinque anni, e la discesa continua. Altre economie, come quella della Germania, sono in difficoltà, anche se non ancora in recessione. Questo causa una diminuzione della domanda. Quindi, i due fattori – aumento dell’offerta e diminuzione della domanda – vanno nella stessa direzione: il mercato vuole che il prezzo del petrolio si abbassi (e in effetti si abbassa). Teniamo conto che questi fenomeni sono spesso fortemente influenzati dalla percezione degli operatori finanziari: se tutti pensano che il prezzo del petrolio debba calare, allora giocheranno al ribasso e questo farà calare sempre di più il prezzo.

In pratica, rischiamo di vedere non soltanto un calo dei prezzi, ma addirittura un tracollo, come quello del 2008-2009. Molta gente pensa che l’abbassamento dei prezzi del petrolio sia una cosa buona. In realtà, non è affatto così e se vedremo ripetersi lo scenario del 2008-2009, sarà un vero disastro (come già lo era stato allora). Il problema è che le risorse petrolifere non sono tutte uguali: produrre certi tipi di petrolio costa molto caro. Tirar fuori petrolio dalle sabbie o dagli scisti bituminosi, per esempio, costa più caro che tirarlo fuori dai pozzi tradizionali.

Allora, cosa succede se i prezzi si abbassano? Beh, succede che estrarre e mettere sul mercato certi tipi di petrolio non è più conveniente. Ne consegue che non lo si produce più. Chi mai vorrebbe produrre in perdita? In pratica, se i prezzi si abbassano, la produzione mondiale diminuisce: avete sentito parlare del “picco del petrolio”? E' proprio questo: il “picco” non vuol dire che il petrolio finisce; assolutamente no. Vuol dire solo che non conviene più produrne tanto come se ne produceva prima – e quindi se ne produce di meno.

Ed è esattamente quello che può succedere nel prossimo futuro. Il petrolio a oltre 100 dollari al barile consentiva all’industria di mantenere la produzione abbastanza costante – anzi, di aumentarla leggermente. Il petrolio a prezzi più bassi non lo consente più, e forza l’industria a ridurre la produzione. Questo porta, fra altre cose, alla chiusura di molte raffinerie, come sta accadendo qui in Italia.

Alla fine dei conti, il petrolio costerà di meno, ma sarà un’abbondanza soltanto apparente perché ma non avremo i soldi per pagarlo. Che ci volete fare? È il mercato! Ma, soprattutto, è la nostra insipienza a farci continuare a credere che il petrolio possa durare per sempre. Non può. Cominciamo a pensarci già ora.


Per approfondire: “Il crollo dei consumi petroliferi in Italia” http://ugobardi.blogspot.it/2014/01/laltro-lato-del-picco-il-collasso-del.html

“Le armi spuntate dell’Arabia Saudita contro la Russia” http://ugobardi.blogspot.it/2014/10/scatenare-larma-del-petrolio-contro-la.html -

See more at: http://www.greenreport.it/news/economia-ecologica/petrolio-prezzo-non-giusto-barile-costa-sempre-meno-non-buona-notizia/#sthash.C8bfApQY.dpuf

giovedì 16 ottobre 2014

Il Picco del Petrolio è qui: il punto di vista di Barbastro

DaResource Crisis”. Traduzione di MR


Antonio Turiel, famoso per il suo blog “The Oil Crash”, parla all'incontro internazionale “Oltre il Picco del Petrolio” organizzato a Barbastro dall'UNED.  Sembra che stiamo fissando proprio la brutta faccia del picco.

Di Ugo Bardi

Quando ho cominciato a lavorare sul picco del petrolio, intorno al 2001, si trattava di un gioco intellettuale che giocavo insieme ad altri interessati allo stesso tema. Abbiamo elencato risorse e riserve, abbiamo fatto modelli, disegnato curve, estrapolato dati ed altre cose del genere. Ma il picco era sempre nel futuro. Alcuni modelli lo prevedevano in pochi anni, altri in un decennio o più, E' vero, non era mai un futuro remoto, ma non era nemmeno nel presente. Sapevamo che il picco avrebbe portato un sacco di problemi, ma non eravamo davvero in grado di visualizzarli.

Poi abbiamo scoperto che il petrolio non era la sola risorse destinata al picco. Abbiamo scoperto che il meccanismo del picco è molto generale e colpisce qualsiasi cosa possa essere sovra-sfruttata. C'era un picco del gas, del carbone, dell'uranio e, col tempo – il “picco dei minerali”, che è stata l'origine del mio libro “Extracted”. In qualche modo, il picco del petrolio è tornato ad essere solo uno dei tanti picchi previsti per il futuro. Ancora importante, certamente, ma non proprio così fondamentale come avevamo pensato all'inizio. Non ho mai perso interesse per il picco del petrolio, ma in qualche modo è passato da una posizione centrale ad una di retrovie fra i miei interessi.

Ma le cose cambiano, e rapidamente. Due giorni di conferenze a Barbastro sono state un duro reminder del fatto che il petrolio è ancora la risorsa più importante del mondo. Alla conferenza, diversi oratori notevoli si sono susseguiti per mostrare i loro dati e i loro modelli sul picco del petrolio Antonio Turiel, Kjell Aleklett, David Hughes, Gail Tverberg, Michael Hook, Pedro Prieto. Da ciò che hanno detto, è chiaro che il futuro non si tratta più di discutere di risorse e riserve, mettendo in fila barili di petrolio come se fossero pedine con cui giocare su una gigantesca scacchiera. Non si tratta più di disegnare curve e di estrapolare dati. No: si tratta di soldi. Non stiamo finendo il petrolio, stiamo finendo le risorse finanziarie necessarie ad estrarlo.

Durante gli anni passati, l'industria petrolifera ha speso enormi quantità di denaro per fare uno sforzo immenso nello sviluppo di nuove risorse. Fino ad ora, queste risorse, in aprticolare il petrolio e il gas di scisto, hanno retto il gioco, crescendo abbastanza velocemente da compensare il declino delle risorse convenzionali. Come ha detto Arthur Berman, “La produzione da scisto non è una rivoluzione; è una festa di pensionamento”. Oggi, non c'è niente all'orizzonte che possa ripetere il piccolo miracolo del petrolio e del gas di scisto, che sono riusciti a posticipare il picco di alcuni anni. La festa potrebbe davvero essere finita.

Ciò che svela il gioco sono i dati che mostrano che le spese di capitale (“capex”) nei nuovi progetti stanno crollando e che l'industria si sta tirando fuori da gran parte dei progetti costosi. E' un gioco in cui non si può vincere: più si estrae, più servono soldi per continuare ad estrarre. Ma di più soldi si ha bisogno, minori sono i profitti. E quando il  grande mercato finanziario si rende conto che i profitti stanno crollando, a quel punto è la fine del gioco: niente soldi, niente petrolio.

Quindi il picco del petrolio è qui, di fronte a noi. Potrebbe essere quest'anno o il prossimo o forse anche un po' più tardi. Ma non è più un gioco intellettuale astratto: sta colpendo direttamente le nostre vite. Guardate il mondo intorno a noi: non pensate che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato nel tessuto stesso di quella che a volte chiamiamo “civiltà”? Quel qualcosa potrebbe proprio essere il picco del petrolio.

Abbiamo cominciato a lavorare sul picco del petrolio pensando che se fossimo riusciti ad avvertire il mondo del pericolo che abbiamo di fronte, qualcosa sarebbe stato fatto per risolvere il problema. Non ci siamo riusciti: qualcosa è stato fatto, ma troppo poco e troppo tardi. Ora stiamo attraversando il picco e guardando l'altro lato. Ciò che vediamo non è bello. Possiamo solo sperare che non sia peggiore di quanto sembri.

Vorrei ringraziare David Lafarga Santorroman e tutto lo staff della UNED per il loro entusiasmo e dedizione nell'organizzazione del secondo incontro sul picco del petrolio a Barbastro. Per una descrizione dettagliata dell'incontro, vedi questo post di Antonio Turiel . 


lunedì 13 ottobre 2014

Scatenare l'arma del petrolio contro la Russia: come distruggere un grande impero

DaResource Crisis”. Traduzione di MR

La Pitonessa dell'oracolo di Delfi  disse al Re Creso che se avesse attaccato la Persia “un grande Impero verrà distrutto”. Creso ha fatto esattamente questo, ma il grande impero che è caduto non è stato quello Persiano, ma il suo. 
di Ugo Bardi


Ricordate la vecchia Unione Sovietica? Denominata “L'impero del male” da Ronald Reagan nel 1983, è scomparsa in uno sbuffo di fumo nel 1991, schiacciata da una montagna di debiti. Le origini del collasso finanziario dell'Unione Sovietica sono piuttosto ben conosciute: erano collegate alla diminuzione dei prezzi del petrolio che, nel 1985, sono scesi dall'equivalente di più di 100 dollari (di oggi) a barile del 1980 a circa 30 dollari (di oggi) e sono rimasti bassi per più di un decennio. L'Unione Sovietica si affidava alle esportazioni di petrolio per la sua economia e, in aggiunta, era appesantita da enormi spese militari. Semplicemente non poteva prendere una goccia di più di un fattore tre dei suoi proventi petroliferi.

Esiste una leggenda persistente secondo la quale la caduta dell'Unione Sovietica era stata progettata da un accordo segreto fra le Potenze Occidentali e il governo saudita che si sono accordati per aprire i rubinetti dei loro giacimenti petroliferi per abbassare i prezzi del petrolio. Questa è, in effetti, nient'altro che una leggenda. Non solo non abbiamo prove che un tale accordo segreto sia mai esistito, ma non è neanche vero che i sauditi abbiano giocato il ruolo attribuito loro. Negli anni 80, l'Arabia Saudita, in realtà, ha fortemente cercato di evitare il crollo dei prezzi del petrolio riducendo (piuttosto che aumentando) la sua produzione di petrolio. Senza molto successo. (Immagine a destra da Wikipedia).


E' vero, tuttavia, che dopo la prima grande crisi petrolifera degli anni 70, la produzione mondiale
di petrolio ha ripreso a crescere intorno al 1985. Le ragioni di questa ripresa non possono essere attribuite al lavoro di un gruppo di cospiratori seduti in una stanza fumosa. Piuttosto, è stata il risultato di diversi giacimenti petroliferi che iniziavano la loro fase di produzione, principalmente in Alaska e nel Mare del Nord. E' stata questa l'origine della diminuzione dei prezzi e, indirettamente, della caduta dell'Unione Sovietica. (Immagine a sinistra daWikipedia).


Oggi, la produzione di petrolio russa si è ripresa dal crollo dei tempi sovietici e l'economia russa dipende fortemente dalle esportazioni di petrolio, proprio come è stato per la vecchia URRS. Data la situazione politica con la crisi ucraina, ci sono speculazioni secondo le quali l'Occidente stia cercando di far cadere la Russia ripetendo lo stesso trucco che è sembrato avere successo nel far cadere il vecchio “Impero del male”. Infatti, stiamo vedendo che i prezzi del petrolio stanno scendendo al di sotto dei 90 dollari al barile dopo anni di stabilità intorno ai 100 dollari. E' una fluttuazione o una tendenza? Difficile a dirsi, ma viene interpretata come lo scatenamento dell'”arma del petrolio” contro la Russia da parte dell'Arabia Saudita.

Tuttavia. Il mondo di oggi non è il mondo degli anni 80. Un problema è che l'Arabia Saudita ha mostrato diverse volte di essere in grado di abbassare la produzione, ma mai di aumentarla significativamente più in alto degli attuali livelli. Si potrebbe anche discutere sul fatto che saranno in grado di mantenerli in futuro. Quindi, non c'è niente oggi che potrebbe giocare il ruolo che i giacimenti dell'Alaska e del Mare del Nord hanno giocato negli anni 80. E' stato detto molte volte che ci servirebbe “una nuova Arabia Saudita” (o più di una) per compensare il declino dei giacimenti petroliferi mondiali, ma non l'abbiamo mai trovata.

Eppure, ci sono buone ragioni per pensare che potremmo assistere ad una diminuzione dei prezzi del petrolio nel prossimo futuro. Un fattore è il crollo di diverse grandi economie mondiali (vedi l'Italia). Questo potrebbe portare ad un crollo della domanda di petrolio e, di conseguenza, a prezzi più bassi (una cosa simile è avvenuta con la crisi finanziaria del 2008). Un altro fattore potrebbe essere la rapida crescita della produzione di petrolio non convenzionale (in gran parte sotto forma di “petrolio di scisto”) rappresentata dagli Stati Uniti. Questo petrolio non viene esportato in grandi quantità, ma ha ridotto la domanda statunitense di petrolio nel mercato mondiale. Mettendo insieme questi due fattori, potremmo facilmente assistere ad una diminuzione considerevole dei prezzi del petrolio nel prossimo futuro, anche se difficilmente duratura. Così, sarebbe questa l'”Arma del petrolio” che metterà in ginocchio la Russia? Forse, ma, come con tutte le armi, ci sono effetti collaterali da considerare.

Come abbiamo detto, il petrolio non convenzionale sta giocando un ruolo importante nel mantenimento della produzione mondiale. Il problema è che il petrolio non convenzionale è spesso una risorsa costosa. Inoltre, nel caso del petrolio di scisto, il tasso di declino dei pozzi è molto rapido: l'arco di vita di un pozzo è solo di pochi anni. Così, l'industria dello scisto necessita di un continuo afflusso di investimenti per continuare a produrre ed è molto sensibile ai prezzi del petrolio. La sua recente ascesa è stata il risultato dei prezzi alti; i prezzi bassi potrebbero causarne la morte. Al contrario, i giacimenti di petrolio convenzionale hanno un arco di vita di decenni e sono relativamente immuni dalle variazioni a breve termine dei prezzi. Se guardiamo la situazione in questi termini, potremmo legittimamente chiederci contro chi è puntata l'arma petrolifera. L'industria non convenzionale statunitense potrebbe esserne la prima vittima.

La storia, come sappiamo tutti, non si ripete mai, ma fa rima. Il re Creso, ai suoi tempi, ha creduto all'oracolo di Delfi quando gli ha detto che avrebbe potuto far crollare un grande impero se avesse attaccato la Persia. Non si è reso conto che stava per distruggere il suo stesso impero. Per noi potrebbe esserci in serbo qualcosa di simile nei prossimi anni: una diminuzione dei prezzi del petrolio potrebbe far cadere un grande impero. Quale, tuttavia, è tutto da vedere.




sabato 11 ottobre 2014

Herman Daly: tre limiti alla crescita.

Di Herman Daly
Articolo pubblicato la prima volta su Center for the Advancement of the Steady State Economy.   
Traduzione e commento di Jacopo Simonetta


Sostanzialmente, quest’articolo riassume gli stessi concetti espressi in un altro, precedentemente tradotto su questo blog.    In un periodo in cui siamo quotidianamente assillati dalla necessità di rilanciare la crescita, forse non è male ricordarsi che la crescita del PIL può generare sia ricchezza che povertà, a seconda del contesto in cui si verifica.

In questo articolo vi è anche un’osservazione circa gli effetti della tecnologia che l’illustre autore discute, ma senza trarne le conclusioni.   Per questo motivo, alla fine dell’articolo mi permetterò un commento alla traduzione.

Man mano che la produzione (PIL) cresce, il suo margine utile declina perché si soddisfano prima i bisogni più importanti.   Allo stesso modo, i costi inflitti dalla crescita aumentano perché, via via che l’economia si espande all’interno dell’ecosfera, sacrifichiamo per primi i meno importanti fra i servizi ecologici (entro i limiti in cui li conosciamo).   L’aumento dei costi e la riduzione dei vantaggi connessi con la crescita è schematizzata nel diagramma seguente.


Nel diagramma possiamo distinguere tre diversi concetti di limite alla crescita.
  
1 – Il “limite della futilità” si raggiunge quando l’utilità marginale della produzione raggiunge lo zero-   Anche in assenza di costi di produzione, c’è un limite a quanto possiamo consumare e goderne.   C’è un limite a quanti beni possiamo utilizzare in un dato tempo così come ci sono limiti al nostro stomaco ed alle capacità sensoriali del nostro sistema nervoso.    In un mondo con molta povertà, ed in cui il povero osserva il ricco che apparentemente gode sempre più della sua ricchezza , il limite della futilità si pensa che sia molto lontano, non solo per i poveri, ma per tutti.   Mediante il postulato di “non sazietà” l’economia neoclassica nega formalmente il concetto di limite della futilità.   Ciò nondimeno, studi dimostrano che al di là di una soglia, la felicità auto-valutata (utilità completa) cessa di crescere con il PIL, rafforzando la rilevanza di questo limite.
  
2 – Il “Limite della catastrofe ecologica”  è rappresentato da una ripida crescita tendente alla verticale della curva dei costi marginali.   Qualche attività umana, o nuova combinazione di attività, può indurre una reazione a catena, od il superamento di un punto critico, ed il collasso della nostra nicchia ecologica.   Il principale candidato per il limite della catastrofe attualmente è il cambiamento climatico indotto dai gas-serra emessi per perseguire la crescita economica.   Dove questo limite si situa lungo l’asse orizzontale rimane incerto, ma devo rimarcare che il presumere un graduale continuo aumento della curva dei costi marginali è assolutamente ottimistico.     Data la nostra scarsa comprensione di come funziona l’ecosistema, non possiamo essere sicuri di avere correttamente sequenziato il sacrificio dei servizi ecologici dai meno ai più importanti.   Perseguendo la crescita, possiamo ignorantemente sacrificare un servizio ecosistemico vitale al posto di uno banale.    Quindi la curva dei costi marginali in realtà cresce zigzagando in modo discontinuo.   Ciò rende difficile separare il limite della catastrofe dal terzo e più importante limite: il limite economico.
  
3 - Il “ Limite economico” è definito dalla parità fra costi e benefici marginali e conseguente massimizzazione del beneficio netto.   La buona notizia con il limite economico è che dovrebbe essere il primo limite che si incontra.    Certamente arriva prima del limite di futilità e facilmente prima del limite della catastrofe anche se ciò, come già osservato, non è certo.   Al peggio, il limite della catastrofe può coincidere con il limite economico.   Perciò è molto importante stimare i rischi di catastrofe ed includerli il più possibile nella curva dei costi.   

Dal grafico risulta evidente che l’incremento di produzione e consumo si può chiamare correttamente “crescita economica” fino al limite economico.   Oltre questo punto diviene crescita anti-economica perché fa crescere i costi più rapidamente dei vantaggi rendendoci sempre più poveri, non sempre più ricchi.   Disgraziatamente pare che perseveriamo a chiamarla “crescita economica”!   Difatti non troverete il termine “Crescita anti-economica” in nessun testo di macroeconomia.   Ogni aumento del PIL è chiamato “crescita economica” anche se fa crescere i costi più rapidamente dei benefici.

Gli economisti noteranno che la logica appena utilizzata è familiare in microeconomia – La parità fra costi marginali e benefici marginali definisce la dimensione ottimale di un’unità microeconomica, sia questa un’azienda od una famiglia.   Questa logica non è tuttavia applicata in macroeconomia il cui obbiettivo è il tutto e non le sue parti.   Quando una parte si espande all'interno di un Tutto delimitato, impone dei costi alle altre Parti che devono stringersi per fargli spazio.   Viceversa, quando il Tutto stesso si espande, si pensa che non imponga costi aggiuntivi in quanto non sposta niente, espandendosi nel vuoto.   Ma il sistema macroeconomico non è il Tutto.    Anch'esso è una parte, una parte di una più grande economia della natura, l’ecosfera, e la sua crescita infligge dei costi al Tutto delimitato che devono essere presi in conto.   Ignorare questo fatto conduce molti economisti a ritenere che la crescita del PIL non possa mai essere antieconomica.
Economisti standard possono accettare questo diagramma come una rappresentazione statica, ma argomentano che in un mondo dinamico la tecnologia sposterà la curva dei benefici marginali verso l’alto e quella dei costi verso il basso, spostando l’intersezione (limite economica) sempre verso destra, cosicché la crescita continua rimane sia desiderabile che possibile.   Tuttavia i sostenitore dello slittamento delle curve macroeconomiche dovrebbero ricordare tre cose.   

Primo, la crescita fisica  della macroeconomica è comunque limitata dalla sua dislocazione di un’ecosfera delimitata e dalla natura entropica della sua produzione.  Secondo, La temporalità delle nuove tecnologie è incerta.   La tecnologia attesa potrebbe non essere inventata o divenire disponibile solo dopo che abbiamo superato il limite economico.   Dobbiamo allora sopportare una crescita antieconomica aspettando e sperando che le curve slittino?    Terzo, ricordiamoci che le curve possono slittare anche in senso contrario, spostando il limite economico verso sinistra.   Lo sviluppo tecnologico del piombo tetraetile e dei clorofluorocarbonati ha spostato la curva dei costi verso l’alto o verso il basso?   E che dire dell’energia nucleare?    

L’adozione di un’economia stazionaria ci consente di evitare di essere spinti al di là del limite economico.   Ci consente di valutare con calma la nuova tecnologia  piuttosto che lasciarla  spingere ciecamente una crescita che potrebbe essere antieconomica.   E la stazionarietà ci assicura contro il rischio di catastrofe ecologica che aumenta con la crescita e l’impazienza tecnologica.


A chiosa dell’articolo di Daly, vorrei osservare che, curiosamente, l'illustre autore non evidenzia il maggiore fra i rischi connessi con lo “slittamento” del limite economico indotto dal progresso tecnologico.   Così facendo, infatti, la tecnologia inevitabilmente avvicina il limite economico a quello di catastrofe, rendendo il superamento di questo sempre più probabile man mano che la tecnologia diviene più potente.

Catastrofi locali indotte da imprese industriali ne sono avvenute e ne stanno avvenendo molte.   Le tar sands canadesi ed il marmo apuano sono due esempi tipici in cui una tecnologia molto avanzata sta mantenendo il limite economico ben oltre il limite della catastrofe.

Catastrofi globali indotte dalla tecnologia non ne abbiamo ancora viste, ma esempi catastrofi di portata regionale in cui intere civiltà sono collassate a cause del superamento dei limiti ecologici ne abbiamo invece a bizzeffe.   Questo è un altro fra i numerosi argomenti che inducono a temere che la tecnologia possa essere in realtà proprio la causa principale delle ricorrenti tragedie che hanno caratterizzato la storia dell’umanità.    Un’ipotesi certamente discutibile, ma che la maggior parte delle persone si rifiuta anche di prendere in considerazione.   

Perfino nel caleidoscopico dell’ambientalismo, del “picchismo” ed affini la fiducia nel potere taumaturgico della tecnologia è profondissimamente radicata. 
Non potrebbe essere altrimenti.    L’uomo, come specie, si è evoluto esattamente sviluppando la capacità di produrre tecnologia.   E’ questa la principale caratteristica distintiva ed identitaria della nostra specie; chiedere ad un umano di diffidare della tecnologia è come dire ad un gatto che i suoi artigli ricurvi potrebbero condurlo in perdizione.   Oppure come diffidare un coniglio dal saltare.   Eppure, se osserviamo i processi che conducono all’estinzione delle specie troviamo che sono proprio le specie più mirabilmente adattate ad una determinata condizione ambientale le prime a scomparire quando l’ambiente cambia.

Che l’ambiente globale stia cambiando molto rapidamente ed irreversibilmente è un fatto su cui non si può che concordare, ma quando si passa a discutere sulla strategia evolutiva da adottare, non esistono due persone che la pensano esattamente allo stesso modo.   Ciò non significa che l’evoluzione non ci sarà.   

Ci sarà, anzi è già in corso, solo che non potremo pianificarla come ci piacerebbe; bensì dovremo procedere per tentativi ed errori, come abbiamo sempre fatto fin dai tempi dei nostri antenati procarioti.


giovedì 9 ottobre 2014

Un grafico: quanti uccelli vengono uccisi dall'eolico, dal solare, dal petrolio e dal carbone?

Da “Climate Progress”. Traduzione di MR

Di Emily Atkin

Foto: Shutterstock

In risposta alle crescenti accuse sia da parte degli ambientalisti sia dei conservatori secondo le quali le fonti rinnovabili di energia come solare ed eolico uccidono troppi uccelli, il U.S. News and World Report ha compilato i dati sulle responsabilità delle industrie energetiche rispetto alla maggior parte delle morti di uccelli ogni anno. Per ogni fonte energetica – eolico, solare, petrolio e gas, nucleare e carbone – i dati sulle morti di uccelli vengono raccolti da diversi gruppi industriali e di pressione, istituzioni accademiche e fonti governative. Siccome le stime varia molto su solare, eolico e petrolio, il U.S. News ha incluso sia la stima minima sia la stima massima di quanti uccelli vengono uccisi da quelle fonti di elettricità.

In entrambi i casi, i risultati mostrano che anche considerando le stime massime delle rinnovabili in confronto alle minime dei combustibili fossili, questi ultimi sono responsabili di molte più morti di uccelli del solare e dell'eolico. Osservate il grafico sotto:



Un grafico del U.S. News and World Report mostra le stime di quanti uccelli vengono uccisi ogni anno dalle diverse fonti energetiche.

I risultati dovrebbero essere presi con beneficio di inventario. Come ha usservato il U.S. News, ogni studio ha usato una diversa metodologia per estrapolare i propri numeri. “Non c'è un modo standard di fare sul quale tutti possano essere d'accordo”, ha detto alla rivista Garry George, il direttore per l'energia rinnovabile di Audubon California. In aggiunta, alcune delle ricerche usate sono datate e non tengono conto che gli impianti di energia rinnovabile stanno aumentando negli Stati Uniti. Per esempio, lo studio usato per stimare le morti degli uccelli provocato dall'eolico statunitense era del 2009 e l'eolico è aumentato in modo sostanziale negli Stati uniti da allora. Secondo l'Associazione per l'Energia Eolica Americana, la capacità eolica totale installata negli Stati uniti era di circa 35.000 megawatt – un numero che è aumentato a fino a circa 61.000 nel 2014. Questi numeri stanno a loro volta aumentando, in quanto più di 12.000 megawatt di capacità eolica erano in costruzione alla fine del 2013, secondo la AWEA. La ricerca cambia anche a seconda delle fonti. Sia le stime minime sia le stime massime delle morti provocate dall'energia eolica provengono da uno studio peer-reviewed della rivista Biological Conservation e sono stati essenzialmente una ricognizione degli studi peer-reviewed sui dati disponibili sulla materia fatti da altri scienziati. Per il petrolio e il gas, sia le stime minime sia le stime massime sono venute da un memoriale dell'Ufficio per la Gestione del Territorio del 2012.

La stima minima di morti di uccelli provocate dall'energia solare provengono dall'azienda solare BrightSource, che è stata recentemente accusata dal Centro per la Diversità Biologica di gestire una fattoria solare che uccide 28.000 uccelli all'anno. Le stime massime provengono dal Centro per la Diversità Biologica, la cui stima provien solo da quella fattoria solare in California. Le morti di uccelli provocate da fattorie solari sono state stimate come relativamente basse, comunque – uno studio del U.S. Fish and Wildlife dell'inizio di quest'anno ha scoperto solo 233 morti di uccelli in tre diverse fattorie solari in California nel corso di due anni. In quanto al carbone, quei numeri sulla morte di uccelli provengono da uno studio peer-reviewed contenuto nella rivista Renewable Energy. Quella stima aveva una metodologia più radicale, comunque, con l'autore che include tutto dall'estrazione del carbone alla produzione – e le morti di uccelli causate dal cambiamento climatico che le emissioni del carbone producono. Insieme, queste ammontavano a circa 5 uccelli per gigawatt/ora di energia prodotta dal carbone, quasi 8 milioni all'anno. In ogni caso, l'U.S. News osserva che nessuno di questi numeri può competere coi gatti, che si stima uccidano da 1,4 a 3,7 miliardi di uccelli ogni anno.

lunedì 6 ottobre 2014

Le Moire.

Di Jacopo Simonetta


Come tutti i miti, anche quello delle Moire (o delle Parche, o delle Norne) è conosciuto in molte versioni.   In genere vengono descritte come entità divine,  di natura profondamente diversa dagli Dei Olimpici, le quali concedono ad ognuno il proprio Fato.

Cosa questo ha a che fare questo con noi oggi?   Molto, secondo me;  malgrado a scuola mi abbiamo insegnato che la mitologia altro non sarebbe che unarappresentazione favolosa di fenomeni  incomprensibili.    Al contrario, la tradizione gnostica ci assicura dell’importanza che l’immagine simbolica aveva nel pensiero classico.   “La verità non è venuta al mondo nuda, ma vestita di immagini e di simboli” (Vangelo di Filippo) è solo una delle tante citazioni possibili a questo proposito.  

Per millenni, si è ritenuto che pensiero intuitivo e pensiero analitico fossero procedimenti diversi e sinergici; e che i miti descrivessero per via intuitiva quelle stesse leggi della Natura che la scienza si sforza di dissuggellare grazie al pensiero analitico.   Oggi la maggior parte delle persone la pensa molto diversamente, ma personalmente, continuo a credere che gli scienziati trarrebbero molto vantaggio dallo studio della mitologia e, viceversa, che gli umanisti farebbero bene a  studiare le scienze naturali.

Facciamo un esempio:   I fisici cercano una “legge del tutto”.   Una legge, cioè, da cui possano essere derivate tutte le leggi fisiche, così come le leggi chimiche possono essere derivate da quelle della fisica; ma finora gli sfugge.   Hanno intuito che deve esistere, ma non sono ancora riusciti a capire come funziona.   Non è una ricerca nuova.   Gli studiosi ed i filosofi cercano questa legge da millenni ed hanno spesso trovato delle risposte, almeno parziali, basate su di un rigore logico che fa ancora scuola, ma soprattutto su di un costante allenamento al pensiero intuitivo e simbolico che noi abbiamo accantonato con la “rivoluzione scientifica”.

Di solito, dati di base diversi e metodi diversi danno risultati diversi.   Ma talvolta danno invece risultati comparabili e quando succede questo, a mio avviso, è un indizio molto forte che siamo sulla buona strada. Senza pretesa di completezza e precisione scientifica, vorrei quindi qui suggerire quello che, secondo me, è un possibile parallelismo fra le leggi fisiche e le tre guardiane del Fato.

1 –  Cloto fila la fibra di cui è fatta la vita.   Fin dall'antichità le trasformazioni dell’energia avevano attratto l’attenzione degli scienziati, ma fu Lavoisier nel XVIII° secolo ad enunciare il famoso principio “Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”.  Lui si riferiva alla materia, ma Einstein ci ha insegnato che materia ed energia sono intercambiabili e la prima legge della termodinamica afferma appunto che l’energia si trasforma, ma non si crea, né si distrugge.   Dunque tutto inizia da qualcosa che non si può né creare né distruggere, ma che fluisce, come un filo dal fuso.

2 - Lakesi   raccoglie il filo in un gomitolo.   Il primo ad intuire che l’evoluzione tende a massimizzare il flusso di energia che attraversa gli organismi fu Lodka nel 1922 e Odum capì che questa tendenza evolutiva doveva dipendere da una legge termodinamica ancora sconosciuta  che battezzò “Principio di massimizzazione della potenza”; ma è stato François Roddier che, nel 2010, ha osato enunciare ufficialmente le terza legge della termodinamica  (peraltro non da tutti accettata).    Questa legge sancisce che ogni volta che esiste un flusso di energia, la materia si auto-organizza per sfruttarlo creando delle strutture dissipative che evolvono in modo da accumulare al proprio interno il massimo possibile di informazione, scaricando di conserva il massimo possibile di entropia.   Il motore universale dell’evoluzione, dalle galassie alle società umane, sarebbe quindi l’incoercibile tendenza a massimizzare lo sfruttamento dell’energia disponibile, sviluppando strutture vieppiù complesse.

3  - Atropo taglia il filo della vita.    La quantità di energia è sempre la stessa, ma non la sua qualità, né la sua distribuzione nello spazio.   L’energia infatti non si produce e non si consuma, ma fluisce e si degrada da forme maggiormente capaci di produrre strutture complesse a forme che lo sono sempre meno, fino a quando si raggiunge uno stato in cui non esistono più gradienti e flussi di sorta; tutte le strutture scompaiono.   Probabilmente è da questa irreversibilità del flusso entropico che deriva l’irreversibilità del tempo (Prigogine, La fine delle certezze  1997).   E’ la famigerata “morte termica” che angustiava Nietzsche; invano perché costantemente Atropo taglia il filo dell’energia degli uni, rendendola così disponibile per altri.   “La morte è l’artificio mediante il quale la Natura mantiene la vita”, diceva Goethe, profondo conoscitore della mitologia greca.   Detto in termini scientifici, l’universo conosciuto è un sistema aperto che, dunque, non tende all'equilibrio (Roddier, Thermodynamique de l’evolution  2012).

Una delle tante eredità che ci hanno lasciato gli antichi è sapere che nessuno può modificare il Fato una volta che sia stato maturato. Perfino gli Dei, al massimo, lo possono accelerare o ritardare, ma non modificare.  Eppure  il fato non è predestinazione perché se l’oggi è determinato dagli eventi del passato, l’oggi è anche il passato del futuro in gestazione; quindi, entro i limiti imposti dagli eventi pregressi, è possibile oggi agire in modo da modificare il corso degli eventi futuri.    In altri termini, il Fato presente non può essere cambiato, ma in una qualche misura può esserlo il Fato futuro; non dagli Dei, bensì dagli uomini che, contemporaneamente, lo creano e  lo subiscono.   Perfino nelle più fosche tragedie esistono dei momenti in cui l’eroe potrebbe compiere una scelta che cambierebbe il corso degli eventi, ma non lo fa.   Ad esempio, quando i troiani irrompono nel campo acheo, alcuni dei principi cercano di convincere Ettore ha trattare e permettere agli invasori di andarsene.   Ma Ettore, ebbro della sua vittoria, si ostina a voler bruciare le navi nemiche.   Vedendo i suoi amici senza speranza, Achille si impietosisce a permette a Patroclo di intervenire, ricacciando i troiani fino alle porte della loro città.    Achille aveva dato preciso ordine al suo luogotenente di non attaccare le mura, ma questi, ebbro della sua vittoria, da l’assalto alla città e viene ucciso.    Come è andata a finire si sa, ma è importante notare che la predizione di Cassandra si avvera solo perché nessuno degli eroi della vicenda riesce ad uscire dalla logica che lo ha condotto nella situazione in cui si trova.    Per dirla con le famose parole di Einstein, nessuno  dei protagonisti riesce ad applicare ad un problema un modo di pensare diverso da quello che ha usato per crearlo.   Sia Ettore che Patroclo hanno l’occasione di fermare la guerra, ma preferiscono distruggere il nemico, provocando l’uno da distruzione di Troia e l’altro la morte del più caro amico.   In altre parole, non è una maligna volontà aliena che condanna gli uomini all'infelicità, ma lo loro ostinata  natura.

Coloro che già seguivano questo blog quando si chiamava “Effetto Cassandra” avranno immediatamente chiara l’analogia con quanto sta accadendo alla nostra civiltà; ennesima dimostrazione del valore di un mito che è indipendente dal tempo e dallo spazio perché radicato nella natura stessa dell’uomo e delle cose.

Tornando alla termodinamica, se la natura intrinseca delle strutture dissipative è la tendenza ad auto-organizzarsi per  produrre il massimo possibile di entropia, è evidente che solo fattori limitanti esterni, in particolare la carenza di energia utilizzabile (cibo, combustibili, ecc.) possono impedire ad un sistema di degradare il proprio ambiente e le proprie risorse fino all'auto-distruzione.     Teoricamente, sarebbe possibile scegliere di razionare il filo di Cloto e farselo durare a tempo indeterminato, ma questo presupporrebbe la capacità di opporsi con la forza della volontà e del pensiero ad una pulsione ben più che atavica: una pulsione intrinseca alla natura stessa della materia di cui siamo fatti.

Qualcuno lo ha fatto o lo sta facendo, ma non si può sperare che questo diventi un modo di pensare e di sentire abbastanza diffuso da cambiare il fato della nostra specie.   Come Ettore e Patrolco, finché potremo sperare di trionfare non fermeremo l’avanzata. Quando vedremo la nostra città in fiamme ed i nostri amici morire vorremmo averlo fatto, ma sarà tardi. Atropo avrà già tagliato il filo di Troia e di Achille, mentre Cloto avrà già cominciato a filare per Roma.   Dipenderà quindi dal coraggio e dalla capacità di Enea avviare un nuovo ciclo che, dopo una conveniente dose di sofferenze, di vittorie e di gloria, finirà alla stessa maniera per mano, stavolta, di Alarico.