martedì 8 aprile 2014

L'assurdità delle esportazioni del gas naturale statunitense

Comunque, sono tutti talmente convinti che con la rivoluzione dello shale il gas sarà abbondante nei secoli dei secoli, che non c'è proprio verso di farli ragionare....  (UB)


Da “Our Finite World”. Traduzione di MR

Di Gail Tverberg

Quiz:

1. Quanto gas naturale stanno attualmente estraendo gli Stati Uniti?

(a) A malapena sufficiente per soddisfare i propri bisogni
(b) Abbastanza da permettere molte esportazioni
(c) Abbastanza da permettere un po' di esportazioni
(d) Gli Stati Uniti sono importatori di gas naturale

Risposta: (d) Gli Stati Uniti sono importatori di gas naturale e lo sono da molti anni. La EIA prevede che per il 2017 saremo finalmente in grado di soddisfare le nostre necessità di gas naturale.


Figura 1. Storia recente del gas naturale statunitense e previsione, basate sulla Panoramica della Prima Pubblicazione della Prospettiva Annuale sull'Energia della EIA del 2014

Infatti, quest'ultimo anno, con un inverno più freddo, abbiamo avuto il problema dell'eccessivo quantità di prelievo dai depositi.


Figura 2. Grafico della EIA che mostra il gas naturale in deposito, confrontato con la media su cinque anni, da Rapporto settimanale sui depositi di gas naturale.

Si discute persino del fatto che al livello basso di deposito e agli attuali tassi di produzione, potrebbe non essere possibile sostituire completamente il gas naturale nei depositi prima del prossimo autunno.

2. Quanto gas naturale pensano di esportare gli Stati Uniti?

(a) Una piccola quantità, meno del 5% di quanto viene attualmente prodotto.
(b) Circa il 20% di quanto viene attualmente prodotto.
(c) Circa il 40% di quanto viene attualmente prodotto.
(d) Oltre il 60% di quanto viene attualmente prodotto.

La risposta esatta è (d). Oltre il 60% di quanto viene attualmente prodotto. Se guardiamo le richieste di esportazioni di gas naturale trovate sul sito Web energy.Gov, scopriamo che le richieste per le esportazioni totalizzano 42 miliardi di piedi cubici al giorno (1 piede cubico = 0.028317 m³), gran parte delle quali sono state già approvate.* Questo in confronto alla produzione di gas naturale degli Stati Uniti del 2013 di 67 miliardi di piedi cubici al giorno. Infatti, se le compagnie che si sono presentate per le esportazioni costruissero gli impianti in, diciamo, 3 anni e venisse aumentata leggermente la produzione di gas naturale, potremmo essere lasciati con meno della metà dell'attuale produzione di gas naturale per il nostro uso interno.

*Questo è il mio calcolo della somma, uguale a 38,51 miliardi di piedi cubici al giorno per le richieste della Free Trade Association (e richieste combinate) e 3,25 per le richieste non a libero mercato.

3. Di quanto è previsto che cresca il fabbisogno di gas naturale degli Stati Uniti per il 2030?

a. Nessuna crescita
b. 12%
c. 50%
d. 150%

Se crediamo che alla EIA, ci si aspetta che il fabbisogno di gas naturale degli Stati Uniti sia crescita di solo il 12% fra il 2013 e il 2030 (risposta (b)). Per il 2040 ci si aspetta che il consumo di gas naturale sarà del 23% più alto che nel 2013. Questo è leggermente sorprendente per diverse ragioni. La prima; stiamo parlando di ridimensionare l'uso del carbone per fare elettricità ed usiamo quasi tanto carbone quanto gas naturale. Il gas naturale è un'alternativa al carbone per questo scopo. Inoltre, la EIA si aspetta che la produzione di petrolio degli Stati Uniti cominci a calare dal 2020 (Figura 3, sotto), quindi logicamente, potremmo volere usare il gas naturale anche come combustibile per il trasporto.


Figura 3. Edizione anticipata della previsione petrolifera della Panoramica Energetica Annuale degli Stati Uniti del 2014.

Attualmente usiamo più petrolio che gas naturale, quindi questo cambiamento potrebbe teoricamente portare ad un aumento dell'uso del gas naturale del 100% o più. Molti impianti nucleari che abbiamo ora in servizio dovranno essere sostituiti nei prossimi 20 anni. Se li sostituiamo col gas naturale anche in questo settore, questo spedirebbe ulteriormente l'uso del gas naturale da parte degli Stati Uniti. Quindi, le previsioni della EIA per il fabbisogno di gas naturale degli Stati Uniti appaiono essere un po' “leggere”.

4. Come si accorda la crescita di produzione di gas naturale con la crescita di altri combustibili degli Stati Uniti secondo la EIA?

(a) Il gas naturale è il solo combustibile che mostra una crescita
(b) Le rinnovabili crescono molto di più del gas naturale
(c) Tutti i combustibili stanno crescendo

La risposta è (a). Il gas naturale è il solo combustibile che mostra una crescita di produzione da adesso al 2040. La figura 4 sotto mostra il grafico della EIA dalla sua edizione anticipata della Panoramica Energetica Annuale che mostra la produzione attesa per tutti i tipi di combustibile.


Figura 4. Previsione di produzione per fonte degli Stati Uniti, dall'edizione anticipata della Panoramica Energetica Annuale della EIA del 2014.

Il gas naturale è praticamente la sola area di crescita, che cresce dal 31% dell'energia totale prodotta nel 2012 al 38% del totale della produzione energetica degli Stati Uniti del 2040. Le rinnovabili sono attese in crescita dal 11% al 12% del totale della produzione energetica degli Stati Uniti (probabilmente perché per la maggioranza è idroelettrico e questo non cresce gran ché). Tutti gli altri combustibili, compreso il petrolio, sono attesi in contrazione come percentuale della produzione totale di energia fra il 2012 e il 2040.

5. Qual è il percorso previsto dei prezzi del gas naturale?

(a) In lieve crescita
(b) In aumento rapido
(c) Dipende a chi chiedete

Dipende a chi chiedete: Risposta (c). Secondo la EIA, i prezzi del gas naturale dovrebbero rimanere molto bassi. La EIA fornisce una previsione dei prezzi del gas naturale per i produttori di elettricità, da cui possiamo stimare i prezzi stimati attesi alla bocca di pozzo (Figura 5).


Figura 5. Previsione della EIA dei prezzi del gas naturale usato per produrre elettricità dall'edizione anticipata della Panoramica Energetica Annuale della EIA del 2014, insieme alle mie previsioni di prezzi alla bocca di pozzo corrispondenti (quelle del 2011 e del 2012 sono le quantità reali, non delle previsioni).

In questa previsione, i prezzi alla bocca di pozzo rimangono al di sotto dei 5, 00 dollari fino al 2028. Le compagnie elettriche guardano a queste previsioni di prezzi bassi e ipotizzano di dover pianificare un aumento della produzione di elettricità da gas naturale.

La trappola – e la ragione di tutte le esportazioni di gas naturale – è che gran parte dei produttori di gas di scisto non possono produrre gas naturale ai recenti livelli di prezzo. Hanno bisogno di livelli di prezzi molto più alti per fare soldi col gas naturale. Vediamo un articolo dopo l'altro su questo tema: da Rivista del petrolio e del gas naturale; da Bloomberg; dal Financial Times. Il Wall Street Journal ha citato Rex Tillerson della Exxon che diceva “Stiamo perdendo tutti anche le mutande oggi. Non facciamo un soldo. E' tutto in rosso”.

Perché tutte queste esportazioni di gas naturale se non abbiamo tanto gas naturale e la parte del gas di scisto (che è la sola parte con molto potenziale di crescita) è così poco redditizia? La ragione di tutte queste esportazioni è quella di spingere in alto i prezzi che i produttori di gas di scisto possono ottenere per il loro gas. Questo deriva in parte dall'idea di alzare i prezzi negli Stati Uniti inviandone una parte eccessiva oltremare) e in parte cercando di avvantaggiarsi dei prezzi più alti in Europa e Giappone.


Figura 6. Confronto dei prezzi del gas naturale basato su dati del “Foglio Rosa” della Banca Mondiale.  Include anche il Foglio Rosa del prezzo mondiale del petrolio su basi analoghe.

Ci sono diversi trucchi in tutto questo. Buttare enormi quantità di gas naturale sul mercato mondiale dell'esportazione è probabile faccia precipitare il prezzo di vendita del gas naturale oltreoceano, proprio come buttare gas di scisto nei mercati statunitensi ha fatto precipitare i prezzi qui (e fuorviato alcune persone, facendo sembrare che la produzione di gas di scisto sia economica). La quantità di capacità di esportazione dl gas naturale che è in via di approvazione è enorme: 42 miliardi di piedi cubici al giorno. L'Unione Europea importa soltanto circa 30 miliardi di piedi cubici al giorno da tutte le fonti. Questa quantità non è aumentata dal 2005, anche se la produzione di gas naturale della UE è diminuita. Le importazioni del Giappone ammontavano a 12 miliardi di piedi cubici al giorno di gas naturale nel 2012, quelle della Cina a circa 4 miliardi di piedi cubici. Quindi, in teoria, se ci proviamo con molta forza, potrebbe esserci posto per dar via i 42 miliardi di piedi cubici al giorno di gas naturale – ma ci vorrebbe uno sforzo enorme.

Ci sono anche altri problemi coinvolti. I paesi che importano enormi quantità di gas naturale costoso non se la passano bene finanziariamente. Non saranno in grado di permettersi di importare molto altro gas naturale costoso. Infatti, una grande parte della ragione per cui non se la passano bene finanziariamente è perché pagano tanto per il gas (e il petrolio) che importano. Se gli Stati Uniti dovesse pagare quei prezzi alti per il gas naturale (anche se se lo produce da sé), non se la passerebbero tanto bene finanziariamente nemmeno loro. In particolare, le aziende che producono beni con l'elettricità da gas naturale costoso troveranno che i beni che producono non sono competitivi coi beni fatti con combustibili più economici (carbone, nucleare o idroelettrico) nel mercato mondiale. Questo è un problema, che il paese produca da solo il gas naturale costoso o che lo importi. Quindi il problema non è un problema di importazione del combustibile; è un problema di combustibile costoso.

Un altro problema è che con il gas di scisto siamo dei produttori cari. C'è molta produzione di gas naturale nel mondo, in particolare in Medio Oriente, che è più economica. Se aggiungiamo il nostro alto costo del gas di scisto all'alto costo dell'inviare via nave a lunga distanza il Gas Naturale Liquefatto (GNL) attraverso l'Atlantico o il Pacifico, saremo sicuramente i produttori più cari. Altri produttori con costi inferiori (anche produttori di gas di scisto locali) possono tagliare i nostri prezzi. Così al massimo quelli che spediranno oltremare il GNL è probabile che facciano profitti mediocri. E sembrerebbe esserci una grande tentazione di creare problemi, di incoraggiare l'Europa a comprare le nostre esportazioni di gas naturale, piuttosto che quelle della Russia. Naturalmente, la nostra capacità di fornire questo gas naturale non è del tutto chiara. Costituisce una bella storia con un bel po' di “se” coinvolti: “Se possiamo realmente estrarre questo gas naturale. Se il prezzo può davvero salire e rimanere alto. Se si può aspettare abbastanza a lungo”. La storia fa sembrare gli Stati Uniti più ricchi e potenti di quanto siano realmente. Possiamo persino fingere di offrire aiuto all'Ucraina. Forse la conseguenza migliore sarebbe se praticamente niente di questa capacità di esportazione del gas naturale venga mai costituita – approvazione o non approvazione. Se è davvero possibile tirar fuori il gas naturale, ne abbiamo bisogno qui, piuttosto. Oppure lasciatelo nel sottosuolo.



lunedì 7 aprile 2014

Il dibattito inutile: la relativizzazione dei fatti.

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


di Antonio Turiel

Cari lettori,

già da qualche tempo mi incontro con una critica ricorrente a questo blog. Ad alcune persone sembra cosa buona che faccia un'analisi tecnica (la parola che usano di solito è “scientifica”) di aspetti concreti della crisi energetica, particolarmente quelli associati alla produzione di materie prime, della redditività energetica ed economica che hanno, ecc. Tuttavia, a queste persone di solito dà fastidio quando tratto altri temi di indole più sociale, nonostante il fatto che io usi le stesse tecniche analitiche quando parlo di esclusione sociale che quando parlo di fornitura di idrocarburi. Credono che un blog tecnico (“scientifico”) non dovrebbe toccare temi che, concettualmente sono più di opinione che di fatto. A volte si dice persino che sono “troppo politici” (vero in particolare se parlo della Catalogna).

Al contrario, credo di essere abbastanza coerente con la mia linea editoriale (che interrompo soltanto quando pubblico articoli di altri, articoli coi quali non sono sicuramente sempre d'accordo, ma che diffondo qui nell'interesse di una pluralità che non sono solito trovare in altri posti). I temi che affronto li tratto (o cerco di trattarli nei limiti delle mie possibilità) da un punto di vista più tecnico ed obbiettivo possibile, inoltre i temi trattati sono pertinenti, persino fondamentali, nella discussione di questo blog. Tuttavia, capisco che mi vengano fatte queste critiche a partire da dove iniziamo, visto che oggigiorno i mezzi di comunicazione in generale, e la stampa scritta in particolare, hanno in assoluto un modo del tutto diverso di discutere queste questioni.

Oggigiorno, nei mezzi di comunicazione si è imposta una sorta di falsa equidistanza: di fronte ad ogni tema di dibattito nella società, che sia la legge sull'aborto o la produzione di idrocarburi, vengono raccolte le opinioni dei diversi settori e presentate tali e quali, lasciando che sia il lettore ad elaborare le proprie conclusioni. Si dice che un tale modo di presentare le discussioni sia imparziale, visto che non si prendono le parti di nessuno dei settori implicati. Tale strategia, che sicuramente potrebbe avere senso (anche se applicato ad alcune eccezioni che illustro più avanti) per la discussione di questioni di opinione, è completamente assurda e nociva quando si discutono questioni di fatto. E' che i fatti non ammettono discussione: possono essere più difficili o più facili da conoscere – ed è legittimo centrare lì il dibattito in alcuni casi – ma una volta conosciuti non sono opinabili. Peggio ancora, nell'interesse di una presunta rappresentatività equilibrata di tutte le opinioni, in realtà si dà un peso eccessivo alle opinioni più ripetute, le quali (grazie ai soldi) sono le più rappresentate. E' da anni che le grandi aziende hanno capito che questa approccio al giornalismo le favoriva, visto che creando fondazioni, centri sudi, ecc., oltre ai propri uffici stampa e mezzi politici affini, potevano far ascoltare l'opinione che favoriva i loro interessi al di sopra di qualsiasi altra, per questo attaccano con fierezza quando in un mezzo di comunicazione non c'è quella che chiamano una “rappresentazione proporzionata di tutte le opinioni” - cioè, che i loro slogan non vengono ripetuti varie volte dalle loro diverse antenne.

Questo tipo di giornalismo che si limita a raccogliere e trascrivere le opinioni, e che abbonda oggigiorno, è indiscutibilmente un segno di negligenza del giornalista rispetto al suo compito principale: informare. Informare non è fare una relazione delle opinioni come se si facesse un inventario; informare è cercare la verità e presentarla correttamente ai lettori. E quella che una volta chiamavano “giornalismo investigativo”; l'altro non è più di una mera cronaca o bollettino, quando non è direttamente uno spot. Ed è possibile che la decadenza dei mezzi di comunicazione tradizionali sia in parte dovuto a questa mancanza di impegno per la verità, a volte per l'influenza diretta dei grandi interessi economici, ma altre volte per la mancanza di ricerca della verità di cui parliamo, che è ciò fa sì che sempre più persone cerchino in rete mezzi alternativi sui quali trovare una vera elaborazione a partire dai fatti, un vero tentativo di giungere alla verità.

La prima cosa da comprendere è che non si può fare allo stesso modo una cronaca della società e la discussione di fatti misurabili e osservabili. Non c'è equidistanza possibile fra fatto ed opinione. E meno ancora se parliamo di fenomeni naturali: la Natura non tratta e se ne frega della nostra opinione. Tuttavia spesso trovi che questa visione di relatività dei fatti, questo mondo dove tutto è relativo impregna tutti i discorsi, al punto che c'è una mancanza totale ed assoluta di pratica nella discussione dei fatti. Molte volte mi sono trovato che, dopo aver fatto un'esposizione di fatti qualcuno mi dica: “Molte grazie per la sua opinione”. La presentazione dei fatti è talmente svilita che la gente non distingue il fatto dall'opinione, perché è abituata al fatto che parlando di un tema concreto i “fatti” dipendano completamente da chi li trasmette. In fondo è un problema di decadenza morale della nostra società: nei dibattiti pubblici si dovrebbe esigere che le parti agiscano con onestà, presentando i fatti in modo non parziale ed obbiettiva, al posto di presentare una visione particolare che favorisca una certa visione. Tuttavia, l'opinione pubblica trova del tutto accettabile che la presentazione dei fatti sia manipolata per favorire interessi privati e a questo punto il fatto è indistinguibile dall'opinione.

Questa manipolazione dei fatti si manifesta in molti modi. Quando un tema colpisce grandi interessi economici e frequente trovarsi di fronte a campagne di confusione deliberate nelle quali si fa una selezione interessata dei fatti – cherry picking – per far vedere le cose con una lente del tutto distorta. A mo' di esempio, è normale trovare fra i portavoce del fracking certi argomenti, come per esempio che la produzione di petrolio di scisto negli Stati Uniti si è moltiplicata per 18 negli ultimi 10 anni (senza dire che 10 anni fa era praticamente insignificante) e scrivere ciò abilmente in una frase in cui si dice che gli Stati Uniti sono già energeticamente indipendenti (cosa radicalmente falsa oggi e che non sarà vera nemmeno in futuro) e senza dirlo esplicitamente, dando da intendere che una cosa abbia portato l'altra. Quando si legge frequentemente ciò che dice questa gente si rileva la frode di mischiare mezze verità e bugie, perché le frasi sono sempre identiche (e il fatto è che l'inganno funziona soltanto con determinate frasi costruite specificamente per questo, che pertanto vanno ripetute in modo praticamente letterale), ma al lettore ignaro possono sembrare cose vere, e questo è proprio l'obbiettivo di tali disinformazioni. Siccome per giunta queste opinioni costruite con la presentazione parziale di fatti scelti è rappresentata in modo diffuso nei mezzi di comunicazione, si ottiene il risultato di offuscare il dibattito e che la verità non venga mai conosciuta.

La verità, quello che crediamo sia la verità oggettiva delle cose, non è, naturalmente, mai completamente oggettiva: le inclinazioni cognitive proprie della persona che la cerca e la trasmette, le sue preferenze, influiscono in ciò che questa considera “la verità”. Ma questa soggettività inevitabile nella presentazione dei fatti non può farci precipitare in uno scetticismo recalcitrante: io dico sempre che una certa dose di scetticismo è conveniente, ma un eccesso dello stesso è puro cinismo. Quello che si deve fare è semplicemente concentrarsi sui fatti. La presentazione degli stessi può essere volontariamente o involontariamente prevenuta, ma almeno si tratta di fatti. Ciò che deve fare il lettore critico è cercare altri fatti che corroborino o integrino nel suo caso la parte della verità che gli era stata presentata. Per questo è importante che il lettore sia parte attiva e critica di ciò che legge. Un'altra grande deficienza del nostro tempo è che i lettori e gli spettatori sono passivi e apatici e fondamentalmente si bevono più o meno acriticamente tutto ciò viene dato loro da bere, senza cercare di ragionare, senza confrontare con informazioni precedenti, senza cercare le incongruenze. Insomma, senza essere critici e responsabili, come dovrebbe essere un buon cittadino.

Il massimo dell'assurdo, i pochi giornalisti che comprendono che bisogna andare oltre ed informare veramente, coloro che realmente cercano la verità e la presentano basata sui fatti e non nelle dichiarazioni degli uni o degli altri, vengono solitamente definiti “attivisti”, come se la loro obbiettività si vedesse offuscata proprio dalla loro ricerca dei fatti e della verità. Questo tipo di giornalista di solito ha problemi coi mezzi di comunicazione per i quali lavora, a prescindere da quale sia il loro orientamento politico formale, visto che alla fine sono tutti in mano al grande capitale.

Una delle cose che accadono quando ci si concentra sui fatti, quando ci si concentra sulla verità, è che si viene accusati di mettersi in discussioni politiche anche se si sta parlando di scienza, che sia di risorse naturali o di clima. E c'è sempre chi ti rimprovera che questo è inadeguato ed improprio per uno che si definisce scienziato, visto che gli scienziati devono rimanere puri, imparziali. Questa critica in particolare è particolarmente assurda. Risulta che gli studi scientifici sull'ambiente e sulle risorse naturali, come in realtà quelli su qualsiasi altra materia, siano essenzialmente ed irrinunciabilmente politici. Poiché per definizione la politica è la discussione degli assunti che interessano i cittadini. Come ho detto molte volte, questo blog, tutto ciò di cui vi si discute, è politico, perché si tratta di cose che interessano i cittadini. Ciò che non è, e non deve essere, è l'essere partitico: non si può, da un punto di vista meramente tecnico, prendere partito per un'opzione o per l'altra, fra le altre cose perché le dinamiche di partito di solito portano presto o tardi a sacrificare certe idee in nome del pragmatismo.

Deve quindi la scienza cercare di dare risposta a questioni politiche? La risposta è sì è in realtà è sempre stato così. La scienza tenta di dare risposta a problemi che preoccupano l'uomo e che spesso condizionano l'organizzazione sociale, cioè gli aspetti politici.

Lo scienziato non è colui che prende le decisioni di come gestire questa conoscenza, ma è colui che deve decidere quello che c'è che può funzionare e quello che non può in base alle proprie conoscenze. Conoscenze incomplete e sempre provvisorie, naturalmente, ma che sono la sola cosa che abbiamo in ogni determinato momento e che costituiscono una guida migliore di interessi molto più falsi in base ai quali si prendono tanto spesso decisioni con conseguenze deplorevoli.

L'opinione pubblica è talmente poco educata al dibattito dei fatti, al dibattito scientifico, che ogni volta che si affronta da un punto di vista scientifico un determinato tema causa sorpresa ciò che viene considerata un'eccessiva rotondità. Succede che il dibattito di opinioni è sempre soggettivo e pertanto le regole di cortesia implicano che gli interlocutori devono essere disposti a concedere un certo beneficio del dubbio al punto di vista contrario: chi non fa così viene considerato un maleducato o un bruto. Tuttavia, nel dibattito dei fatti non ci sono né mezze misure o considerazioni: il dibattito scientifico in questo senso è implacabile visto che è interessato solo alla verità. Non molto tempo fa ho trovato, discutendo con una persona su Internet, che dopo essere andato a presentare fatto dopo fatto, articolo dopo articolo, nonostante essere sempre stato educato nel tono, l'altro mi ha risposto in modo un po' rude: “Hai tutte le risposte”. E' che in un dibattito di opinioni non è ammissibile essere convincenti. Tuttavia, parliamo di fatti. Come gli ho detto, la questione era semplice: leggi i miei fatti e confutameli con dei dati, se credi che non siano corretti. E' così che si discute di scienza. La scienza, diciamocelo ancora una volta, non è opinabile. Non possiamo sottoporre a votazione il risultato di due più due: dovrà fare sempre quattro, e farà sempre quattro, indipendentemente dalle nostre preferenze o opinioni al riguardo.

L'enorme confusione su cosa è un fatto e cosa è un'opinione, il colossale e cinico relativismo morale della nostra epoca , è quello che porta ad alcune aberrazioni logiche, come per esempio quelle che discutiamo in questo blog parlando di precauzione e garanzia. A mo' di aneddoto, ricordo di aver letto tempo fa un articolo sull'infausto e-CAT (che il tempo si incaricato di dimostrare che fosse una truffa). Chi lo scriveva presumeva che ciò che dicevano gli “inventori” fosse sicuro per un “Principio di innocenza scientifica”. Naturalmente nella scienza non esiste tale principio: i fatti si discutono per quelli che sono, implacabilmente; le critiche sono sempre affilate, precise, chirurgiche: si cerca verità, senza concessioni. Non esiste presunzione di innocenza, ci sono fatti da provare, mostrare, confutare. A volte trovo anche, nella discussione della “magufatadi turno, che c'è chi mi dice che “la critica deve sempre essere costruttiva” e di nuovo la affermazione è erronea. La critica alle persone deve essere sempre costruttiva, visto che una persona non la possiamo scartare ed iniziare con un'altra: bisogna tentare di migliorarla a partire da quello che c'è, pertanto la critica deve essere diretta a costruire, non a distruggere. Tuttavia, la critica alle ipotesi, alle idee, deve essere cruda, implacabile, logica, feroce. E se le ipotesi non sono controfirmate da dati, se la teoria risulta falsata, la si butta per intero e se ne cerca una nuova. E' così che progredisce la conoscenza.

La ragione di tale confusione, di mancanza di comprensione degli aspetti fondamentali della scienza e la loro elaborazione, provengono da una parte dall'eccesso di peso di alcuni settori specifici delle scienze umane (concretamente, il Diritto e le Scienze Economiche tradizionali) nella direzione della società, ma in maggior misura dal grande interesse del governo del nostro sistema economico nell'alimentare una confusione che serve meglio i loro interessi. Il primo passo per poter costruire una società più equilibrata e meno cinica è recuperare il rispetto per il dibattito scientifico ed applicare una imparzialità implacabile nella discussione dei fatti. E' necessario per comprendere appieno dove siamo e dove possiamo dirigerci ed è imprescindibile per recuperare la nostra dignità come esseri umani.

Saluti.
AMT

Effetto "Effetto Risorse": il messaggio sembra passare


Vi può incuriosire vedere come aver cambiato nome al blog da "Effetto Cassandra" a "Effetto Risorse" sembra aver dato una notevole spinta alla popolarità del sito. Rispetto a soli pochi mesi fa, abbiamo triplicato il numero di contatti e stiamo continuando a crescere. Il tutto avviene ancora senza uno straccio di SEO o di intervento professionale. (sopra, dati da "statcounter"). Dispiace per la povera Cassandra, che comunque - va detto - pur avendo sempre avuto ragione anche portava un po' di jella.

Ovviamente, comunque, lo scopo di "Effetto Risorse" non è massimizzare il numero di contatti per poi guadagnarci sopra con la pubblicità (che non c'è!). Ma questo incremento di interesse mi fa sperare che ci sia ancora una speranza di dirigere l'attenzione del pubblico e dei decisori politici su quello che è il vero problema del "Sistema Italia": l'esaurimento delle risorse. Meglio detto, il problema sono i ritorni economici decrescenti che derivano dal progressivo esaurimento delle risorse "facili" (e questo include anche la limitata capacità dell'atmosfera di assorbire i prodotti della combustione degli idrocarburi).


Siamo in grado di far passare questo messaggio? Difficile quando tutto il dibattito rimane bloccato su concetti totalmente obsoleti, come quello di "far ripartire la crescita". Ma possiamo almeno provarci e questi risultati con "Effetto Risorse" sono incoraggianti. Stiamo lavorando su una nuova versione del sito, questa volta davvero professionale. Da lì, possiamo cercare di avere un maggiore impatto.

Proseguiamo, e se avete voglia di dare una mano, fatevi vivi. (e notate anche il bottone a destra delle "donazioni"!!)





domenica 6 aprile 2014

NASA: la sensibilità climatica è più alta di quanto non si pensasse

Da “Climate Progress”. Traduzione di MR


Un nuovo studio della NASA suggerisce che le proiezioni del futuro riscaldamento della Terra dovrebbero essere più in linea con le stime precedenti che indicavano una maggiore sensitività ai gas serra in aumento. (Immagine: NASA)

Ancora un altro studio trova che la sensitività climatica all'inquinamento da carbonio è dal lato alto. Ciò significa, in assenza di riduzioni dei gas serra, che il riscaldamento globale è probabile che sia sufficiente a distruggere un clima vivibile. Ciò è coerente con uno studio di Nature di gennaio sulla sensitività climatica, che ha scoperto che siamo diretti verso un “più probabile riscaldamento di circa 5°C al di sopra delle temperature moderne [attuali] o di 6°C al di sopra di quelle preindustriali” in questo secolo. Questa scoperta è coerente anche coi dati paleo-climatici (vedi “L'ultima volta che i livelli di CO2 hanno raggiunto le 400 parti per milione l'Artico era di 14°F più caldo!”). Inoltre, questo studio è coerente con altre analisi recenti basate sulle osservazioni (vedi  “Previsioni di riscaldamento estremo e peggiori siccità basate sulle osservazioni per questo secolo”). E questo studio getta acqua ancora più fredda (acqua calda?) su alcune dichiarazioni secondo le quali la sensitività climatica sia dal lato basso, dichiarazioni che sono state ampiamente sfidate e forse fatalmente minate dagli studi più recenti. Coma spiega la nuova pubblicazione della NASA:

Le temperature globali sono aumentate ad un tasso di 0,22°F (o,12°C) per decennio dal 1951. Ma dal 1998 il tasso di riscaldamento è stato solo di 0,09°F (0,05°C) per decennio – anche se il biossido di carbonio atmosferico continua a salire ad un tasso analogo a quello dei decenni precedenti. Il biossido di carbonio è il gas serra più significativo generato dagli esseri umani. Alcune ricerche recenti, orientate ad una fine messa a punto delle previsioni a lungo termine tenendo conto di questo rallentamento, hanno suggerito che la Terra possa essere meno sensitiva all'aumento del gas serra di quanto si pensasse in precedenza. Il Quinto rapporto di Valutazione del IPCC, che è stato pubblicato nel 2013 e che è stato il rapporto consensuale sullo stato della scienza del cambiamento climatico, ha a sua volta ridotto la gamma bassa del potenziale di riscaldamento globale terrestre. Per mettere un numero al cambiamento climatico, i ricercatori calcolano ciò che viene chiamata la “risposta transiente del clima” della Terra. Questo calcolo determina quanto cambieranno le temperature globali all'aumentare del biossido di carbonio atmosferico – a circa l'1% all'anno – finché la quantità di biossido di carbonio atmosferico non sia raddoppiata. Le stime della risposta transiente del clima vanno da circa 2,3°F (1,4°C) offerti da una ricerca recente alla stima del IPCC di 1,8°F (1,0°C). Lo studio di Shindell stima una risposta transiente del clima di 3,06°F (1,7°C) e ha determinato che è improbabile che i valori saranno al di sotto dei 2,34°F (1,3°C).

Vale la pena notare che l'assenza di forti riduzioni di CO2 ci portano verso una triplicazione dei livelli di CO2 atmosferico in questo secolo, o anche maggiori, cosa che porterà a retroazioni di amplificazione (come le emissioni di carbonio dal permafrost che si scongela) e ad aumenti quasi inimmaginabili della temperatura. Questo studio fornisce più prove a sostegno di un pezzo del 2013 del New York Times sul fatto che l'IPCC “sembra tirarsi indietro per rimanere scientificamente prudente” nella sua più recente valutazione (vedi “Le 'tattiche di intimidazione' dei negazionisti hanno spinto l'IPCC a 'ribassare' l'aumento del livello del mare e la sensitività climatica?”). Michael Mann, uno dei maggiori climatologi del paese (che non ha contribuito al saggio) ha definito lo studio “estremamente importante” e ha detto che contiene due scoperte chiave speciali. La prima è che gli effetti raffreddanti degli aerosol di zolfo nei decenni recenti potrebbero essere stati sottostimati. La seconda è che il concetto di risposta transiente del clima potrebbe essere sbagliato. Entrambe le scoperte indicano il fatto che la minaccia di riscaldamento futuro possa essere stata sottostimata, ha detto Mann. “Come mostrato in questo articolo”, ha detto Mann, “la risposta transiente del clima non distingue adeguatamente fra gli effetti raffrescanti a breve termine degli aerosol di zolfo (che possono sparire rapidamente) e il riscaldamento a lungo termine portato dalle emissioni di biossido di carbonio, che persistono in atmosfera per secoli e anche di più”. Quindi, mentre potremmo aver assistito ad un rallentamento nel recente riscaldamento della temperatura di superficie – anche se non nel riscaldamento dell'oceano o nella fusione dei ghiacci – rimane probabile che il riscaldamento futuro sia dalla parte alta, se rimaniamo sulla strada delle attuali emissioni.  Come l'autore principale Drew Shindell, climatologo della NASA, dice:

“Vorrei che potessimo prendere con sollievo il rallentamento nel tasso di riscaldamento, ma tutte le prove ora concordano sul fatto che il riscaldamento futuro è probabile che sia verso l'estremo alto delle nostre stime, quindi è più chiaro che mai che abbiamo bisogno di grandi e rapide riduzioni delle emissioni per evitare i danni peggiori del cambiamento climatico”.

La scienza è chiara. Le soluzioni ci sono. E' tempo che si presenti la volontà politica.

Tesoro, ho mitigato il cambiamento climatico

Da “Skeptical Science”. Traduzione di MR

Di Ari Jokimäki

Le azioni della specie umana rilasciano gas serra nell'atmosfera. Le concentrazioni di gas serra sono aumentate causando il riscaldamento della Terra, che è stato evidente durante gli ultimi decenni. Questo riscaldamento globale procede così rapidamente che causa problemi sia alla biosfera si alla specie umana. Queste preoccupazioni sono state ampiamente notate e l'atteggiamento generale è che dovremo fare qualcosa per questo problema il prima possibile. Ci sono già alcuni tentativi limitati di fare qualcosa. Anche se le decisioni di politica internazionale non sono state tempestive, c'è stata qualche azione da parte di diverse nazioni, multinazionali, gruppi di cittadini e singoli cittadini.

Il problema è in gran parte nella produzione di energia, Perché per quella al momento usiamo principalmente combustibili fossili, che rilasciano molti gas serra in atmosfera quando vengono bruciati. Stiamo pertanto cercando di sostituire i combustibili fossili con qualcosa che non rilasci così tanti gas serra nell'atmosfera. Esempi di tali metodi di produzione di energia sono l'energia eolica e quella solare. Queste due sono chiaramente delle buone opzioni. Tuttavia, alcune delle opzioni non sembrano essere così buone.


I problemi del gas naturale con perdite ed aerosol

Ci sono alcuni combustibili fossili che rilasciano diverse quantità di gas serra nell'atmosfera. Uno di questi combustibili fossili è il gas naturale, che rilascia chiaramente meno gas serra quando viene bruciato rispetto al carbone e al petrolio. Questa è una delle ragioni per cui sono stati fatti molti sforzi per aumentare l'uso del gas naturale. Sfortunatamente, considerare soltanto la quantità di gas serra rilasciati quando il gas viene bruciato è una visione piuttosto semplicistica. Ultimamente è stato riconosciuto che la produzione di gas naturale rilascia metano nell'atmosfera attraverso le perdite dai siti di raccolta e dalle condutture di trasporto. Questo potrebbe negare i benefici in termini di gas serra ottenuti durante la combustione. Se solo una piccola percentuale di gas naturale viene perso sotto forma di metano nell'atmosfera, allora l'uso del gas naturale non ha affatto benefici in termini di gas serra in confronto al carbone e al petrolio. Alcuni studi hanno riportato perdite molto superiori.  

Da una prospettiva climatica, c'è anche un altro problema nel sostituire il carbone col gas naturale. Bruciando gas naturale si rilasciano meno aerosol nell'atmosfera rispetto al carbone. Gli aerosol hanno un effetto raffreddante sul clima, quindi riducendo le emissioni di aerosol causa un effetto riscaldante. Pertanto, sostituire il carbone col gas naturale ha un effetto riscaldante aggiuntivo (Hayhoeet al. 2002). Questo è un effetto a breve termine, comunque, ma l'effetto ha una tempistica per cui avviene proprio quando pensavamo che avremmo mitigato il riscaldamento globale sostituendo il carbone col gas naturale. Tuttavia, dobbiamo ricordare che gli aerosol hanno effetti pericolosi sulla salute umana, quindi ridurre le emissioni di aerosol potrebbe avere qualche beneficio sulla salute. 

Problemi di uso del territorio della bioenergia

Lo schema di base della bioenergia è imperniata sull'idea che coltiviamo piante e quindi le bruciamo per ottenere energia. La combustione rilascia gas serra, in special modo biossido di carbonio, ma coltiviamo il lotto successivo di piante che prendono biossido di carbonio dall'atmosfera mentre crescono. La quantità di biossido di carbonio preso dall'atmosfera è la stessa che viene rilasciata quando bruciamo le piante. Quindi, idealmente, questa è un'energia a zero emissioni. L'enfasi qui è fortemente sulla parola “idealmente”, perché sappiamo che questa non è davvero un'energia netta pari a zero (anche se qualcuno, persino qualche ricercatore, continua ancora a sostenerlo). Primo, il trasporto della biomassa e la produzione di bioenergia producono un po' di emissioni di gas serra che già la rendono un'energia a emissione maggiore di zero. 

Secondo, durante gli ultimi anni, la ricerca su questo tema ha scoperto che l'uso di territorio collegato alla produzione di bioenergia produce enormi emissioni di gas serra quando le foreste vengono in qualche modo incluse nello scenario di produzione di bioenergia. Le emissioni provenienti dall'uso del terreno sono grandi abbastanza da produrre inizialmente emissioni simili o addirittura maggiori dei combustibili fossili. Le emissioni diventano minori col tempo, ma per molti scenari di produzione di bioenergia i tagli delle emissioni non sono molto grandi, anche dopo un centinaio di anni. Per alcuni scenari, le emissioni di gas serra della bioenergia sono maggiori di quelle dei combustibili fossili, anche dopo cento anni. Ci sono alcuni scenari in cui la bioenergia può essere una buona opzione, però. Un tale scenario è quello di coltivare piante per bioenergia in terreni agricoli degradati. 

Tuttavia, al posto di concentrarsi sugli scenari bioenergetici buoni, tagliamo foreste fuori mano  pluviali per fa spazio alle piantagioni di palma da olio. Bruciamo persino le foreste fuori mano (Suyantoet al. 2004). Tagliamo le foreste per sostituirle con campi di mais per produrre biocombustibili. In casi del genere il carbonio immagazzinato, che la foresta ha sequestrato nel suolo, viene rilasciato nell'atmosfera. Tutto questo risulta in enormi emissioni di biossido di carbonio. 

Scenario peggiore

E se usassimo molto gas naturale e bioenergia collegata alle foreste per sostituire carbone e petrolio e se le emissioni di gas serra da gas naturale e bioenergia sono grandi come abbiamo detto sopra? In un caso del genere avremmo sostituito carbone e petrolio con fonti di energia che hanno emissioni di gas serra maggiori di carbone e petrolio, almeno in una finestra di 100 anni. Ma questa non è ancora tutta la storia. Abbiamo sostituito carbone e petrolio con qualcosa che pensavamo avesse meno emissioni, quindi non abbiamo fatto molto altro per ridurre quelle emissioni. Questo significa che non solo abbiamo aumentato le nostre emissioni, abbiamo anche perso riduzioni potenziali di emissioni – situazione il doppio peggiore di quella che pensavamo di avere. La situazione nella vite reale potrebbe non essere disastrosa come descritto qui, ma potrebbe anche esserlo. Dovremmo rischiare?

Riferimenti

Katharine Hayhoe, Haroon S. Kheshgi, Atul K. Jain, Donald J. Wuebbles, 2002, Sostituzione del carbone col gas naturale: effetti climatici delle emissioni del settore degli impianti, Cambiamento Climatico, luglio 2002, Volume 54, numeri 1-2, pp 107-139, DOI: 10.1023/A:1015737505552.[abstract, testo completo
Suyanto, S., G. Applegate, R. P. Permana, N. Khususiyah e I. Kurniawan. 2004. Il ruolo del fuoco nel cambiamento d'uso del terreno e dei mezzi di sussistenza a Riau-Sumatra. Ecologia e società 9(1): 15..[abstract e testo completo



sabato 5 aprile 2014

Come vi aspettate che sia il mondo post-picco? Leggetelo qui




Lo Yemen è un caso interessante di una curva di produzione petrolifera che è un esempio da manuale di "curva di Hubbert". C'è poco da fare: il petrolio non dura per sempre. Così, la lettura di "Yemen Times"; in inglese, è una scoperta continua di come l'altro lato della curva di Hubbert porti a un'involuzione sociale che fa ripercorrere indietro a un paese tutte le tappe che, un tempo, lo avevano portato a un discreto livello di prosperità salendo sul lato buono della curva. Ma se la prosperità di un paese dipende dal petrolio, quando finisce l'abbondanza petrolifera, addio prosperità! (e questo non vi ricorda qualcosa di molto più vicino a noi dello Yemen?) (U.B.)



Da “Yemen Times”. Traduzione di MR

La mancanza di gasolio e propano costringe a chiudere le stazioni di servizio nella capitale


Di Ali Ibrahim Al-Moshki 

Sana’a, 17 marzo – I distributori intorno alla capitale hanno dovuto chiudere questa settimana a seguito delle maggiori carenze di gasolio e gas propano. L'ultima grave carenza di gasolio era avvenuta nel novembre del 2013, quando migliaia di automobilisti sono stati costretti a mettersi in fila davanti alle pompe di benzina in tutto il paese per comprare diesel e propano. A seguito dell'ultima grave carenza, la gente ha cominciato a parcheggiare le proprie auto in attesa che arrivi il combustibile.

Il tassista Fuad Al-Jaledi ha detto a Yemen Times, “Ho fatto la fila per un'intera giornata per comprare gasolio, ma il distributore l'ha finito e sono tornato a casa a mani vuote”. Senza combustibile, Al-Jaledi dice che è stato senza lavorare per due giorni. “Per due mesi è stato difficile per noi comprare gasolio e questa settimana i distributori l'hanno finito del tutto. Non posso lavorare ora, perché il mio taxi è diesel”, ha detto.

Il gasolio è disponibile al mercato nero – a prezzi più alti, secondo Al-Jaledi. Le forniture di benzina regolare sono anch'esse a singhiozzo, ma più facilmente disponibili del gasolio. Un litro di gasolio costa 100 Riyal (circa 46 centesimi al litro, o 1,76 dollari a gallone). Mohammed Al-Aizari, il proprietario di un distributore a Sana’a, dice che anche dopo l'inizio della carenza di gasolio due mesi fa, il distributore riceveva comunque consegne periodiche. Al-Aizari dice che vendeva 12.000 litri di gasolio in due giorni, ma ora vende la stessa quantità in due o tre ore. “La gente si è messa in coda davanti al distributore ed alcuni hanno persino dormito in macchina ma, siccome non abbiamo ricevuto alcuna consegna, abbiamo deciso di chiudere”, ha detto Al-Aizari said.

Nella sua ultima sessione di giovedì, il Parlamento ha costituito un comitato per studiare le ragioni che stanno dietro alla scarsità di gasolio e per coordinarsi con gli organi di governo interessati per trovare i mezzi appropriati per assicurare una fornitura regolare di gasolio sul mercato. Il comitato riferirà al Parlamento entro una settimana. La Compagnia Petrolifera di Bandiera dello Yemen (Yemen Petroleum Company), in una dichiarazione di sabato, ha negato le voci secondo le quali il governo intende aumentare i prezzi del gasolio, secondo l'agenzia di Stato Saba. La compagnia ha detto che il gasolio viene regolarmente consegnato ai distributori, ma che l'attuale domanda alta ha portato questa carenza. Al-Aizari crede che le voci degli aumenti del gasolio stiano portando alcuni ad accaparrarsi il combustibile. In una dichiarazione finanziaria rilasciata sabato, la Banca Centrale dello Yemen ha detto che il sabotaggio degli oleodotti ha causato un declino della produzione di combustibile non raffinato. La banca ha detto che il governo ha dovuto importare grandi quantità di derivati del petrolio per soddisfare la domanda interna del paese – per una cifra di 258 milioni di dollari nel solo gennaio 2014.

ESSERE RESILIENTI O NON ESSERE RESILIENTI? QUESTO È IL PROBLEMA.

di Jacopo Simonetta



Man mano che il tempo passa, la narrativa e la retorica dello sviluppo sostenibile si diffondono nel mondo politico ed economico, mentre scompaiono da quello della ricerca scientifica.   Oramai, al di la dei tecnicismi e di comprensibili pudori, gli “addetti ai lavori” sono sostanzialmente concordi: è tardi.   L’autobus della sostenibilità è passato, ora cerchiamo di prendere quello della resilienza.   Ma che cos'è la resilienza?    In generale, la capacità di qualcosa a reagire ad uno shock, tornando ad uno stato simile al precedente dopo un tempo più o meno lungo.   Una molla è resiliente.   Un bosco che ricresca dopo un taglio anche, così come una popolazione che recuperi dopo un’epidemia od una carestia.

Parlando di noi stessi, significa che bisogna adattarsi al mutare dei tempi, modificando in modo più o meno radicale la nostra visione del mondo, il nostro modo di vivere, le nostre aspettative, eccetera.   Siamo sicuri di volerlo fare?
Per finalità puramente pratiche, Orlov propone uno schema di valutazione del rischio articolato secondo l’intensità della crisi ed il livello di preparazione alla medesima.    In pratica, vi sono quattro combinazioni possibili:  

A - Non ti prepari ed il collasso economico non avviene: tutto OK, non cambia niente.  
B – Non ti prepari ed avviene il collasso: sei in guai molto, molto grossi.  
C – Ti prepari ed avviene il collasso: sei nei guai, ma molto meno che nel caso precedente.  
D – Ti prepari e non avviene il collasso: hai fatto la figura dello scemo.

In conclusione, il peggio che può succedere preparandosi è passare da stupido e spendere male i propri soldi, mentre il peggio che può accadere a chi è impreparato è morire di fame.  Quindi conviene prepararsi, conclude Orlov.    Inoppugnabile, ma se si pensa seriamente a porre in atto una strategia di resilienza, già a livello di analisi preliminare, emergono immediatamente una serie di problemi.   L’elenco non è completo, è solo un contributo alla discussione.

1 – Innanzitutto, siamo sicuri di intraprendere questa strada?   L’uomo, al pari degli altri animali è tendenzialmente abitudinario e tende a valutare il futuro sulla base dell’esperienza passata, ma quello che sta accadendo non ha precedenti nell'esperienza personale di nessuno.   Il primo scoglio da superare è quindi crederci abbastanza da cambiare in misura sufficiente la propria visione del mondo e le proprie scelte; cosa che genera immediatamente uno stato di stress molto forte.   Da un lato, infatti, tutto il tessuto sociale e culturale in cui siamo inseriti ci dice che sono momenti duri, ma passeranno e tornerà il benessere per noi; prima o poi arriverà anche per quelli che ancora lo aspettano.   Dall'altro, le nostre letture e riflessioni ci dicono che il sistema economico che ha permesso alla popolazione mondiale di passare da circa 2 miliardi a quasi 8 è irreparabilmente condannato, ma nessuno è in grado di dirci esattamente con quali conseguenze.   Evidentemente, è forte il rischio di isolarsi dalla maggior parte delle persone, che vi considereranno dei fissati o degli iettatori, mentre l’assidua frequentazione  di circoli più o meno catastrofisti rischia di generare visioni apocalittiche, finanche maniacali.
 
2 - Quanto e come prepararsi?   Le possibilità sono praticamente infinite, si va dall'abbassare il termostato di casa od iscriversi ad un GAS, fino al costruire una fortezza stivandola con scorte di viveri e munizioni.   Per decidere sarebbe necessario avere delle idee chiare sulle minacce da affrontare, mentre disponiamo solo indizi molto vaghi circa cosa accadrà e quando    Secondo i modelli esistenti, probabilmente il collasso del sistema economico globale inizierà nel giro di 10-20 anni da ora, ma potremo saperlo per certo solo dopo che sarà accaduto.   Quindi, da un lato c’è abbastanza tempo da indurci a non abbandonare una vita ancora comoda per la maggioranza di noi.   D’altro lato, 10 o 20 anni sono pochissimi per prepararsi davvero a quello che potrebbe succedere, soprattutto tenendo conto che, man mano che la situazione si degraderà, saranno meno numerose le opzioni possibili.   La cosa ha dei risvolti pratici immediati e consistenti.   Ad esempio: investire i risparmi in BOT o comprare argenteria da seppellire in giardino?   Mantenere il proprio posto alla poste o andare a fare il volontario presso una fattoria sperduta?   Seguire una formazione da installatore di pannelli fotovoltaici od imparare a sparare?

3 – La parola “collasso” evoca scenari apocalittici che possiamo intravedere in anteprima in varie parti del mondo, ma non è affatto detto che sia un fenomeno repentino, perlomeno non in rapporto ad una scala temporale umana.   In realtà, la “tempesta perfetta” che sta cominciando a scatenarsi sulle nostre teste è composta da un gran numero di fenomeni parzialmente correlati fra loro.   Alcuni di questi tendono ad indurre crisi croniche e graduali (ad es. il degrado dei suoli, il cambiamento climatico, il peggioramento quali-quantitativo delle risorse idriche ed energetiche, ecc.).   Altri, viceversa, possono colpire in qualunque momento in maniera anche molto violenta (tempeste, sommosse, crisi finanziarie, ecc.).   Altri hanno tempi di sviluppo intermedi (come la possibilità di insediamento di governi totalitari, ecc.)    Altri fattori, infine, avranno un ruolo marginale nella fase di collasso, ma saranno invece cruciali per determinare se e quando ci potrà essere una stabilizzazione o, magari, una ripresa (ad es. la biodiversità). Quali fra questi prevarranno?   Vivremo un collasso repentino e violento alla Orlov, oppure uno graduale e deprimente alla Greer?   Anche in questo caso lo potremo sapere solo dopo, ma come prepararsi se non sappiamo quali sono esattamente le minacce?
4 – Il fatto che il sistema socio-economico globale collassi non significa assolutamente che tutto e dovunque collassi allo stesso modo e nello stesso momento.   Al contrario, l’aggravarsi della crisi provocherà una graduale disarticolazione del sistema globale in sotto-sistemi progressivamente meno interdipendenti.   Nel tempo, le traiettorie evolutive delle singole zone potranno quindi divergere anche di molto in rapporto ad un gran numero di fattori locali (popolazione, risorse, guerre, clima, ecc.).   Cosa accadrà nelle zona dove viviamo noi?    Nessuno lo può sapere e, nuovamente, si pone il problema di prepararsi a qualcosa che, in realtà, non si sa cosa sia.

5 – Mentre ci si prepara per il mondo di domani, bisogna continuare a vivere nel mondo di oggi.   Barcamenarsi contemporaneamente fra le leggi della natura, quelle del mercato e quelle dello stato è un arduo esercizio dai risultati molto aleatori.   Ad esempio, è sicuramente possibile creare una fattoria in grado di funzionare senza petrolio e senza denaro, ma si dovranno comunque pagare tasse, assicurazioni, cure per i malati ed altre cose obbligatorie o necessarie. Ci vorranno dunque dei soldi, ma per guadagnarne bisogna essere inseriti efficacemente in quell'economia di mercato cui ci si dorrebbe sottrarre.    

6 – Ultimo, ma forse principale problema, è il fatto che l’unità di sopravvivenza dell’umanità non è l’individuo, ma la comunità.   Questo comporta la necessità di associarsi ad altri per elaborare e realizzare un progetto comune, sia che si tratti di un GAS che di una fortezza..   Una cosa che moltiplica le difficoltà citate in modo molto notevole.

Queste sono solo alcune delle difficoltà che si incontrano in fase di progetto.   Quelle che sorgono nelle fasi di eventuale realizzazione e gestione sono, ovviamente, molto più numerose.   Nell'insieme, le probabilità di successo sono scarse.    Diciamo anzi che un successo pieno è praticamente impossibile; il meglio che si può sperare è un successo parziale. Niente di strano, dunque, se la maggior parte delle persone potenzialmente interessate si scoraggi.

In definitiva, la scelta si gioca sulle probabilità di successo del nostro progetto, ma soprattutto sulla diversa probabilità che i due scenari peggiori (dimostrarsi stupido, oppure morire di fame) si concretizzino davvero.   E questo è qualcosa che tocca le più profonde radici antropologiche dei nostri modi di pensare e di sentire, così come si sono evoluti attraverso le generazioni e le vicissitudini.   Calamità ne sono sempre accadute, ma quello che ci indicano i dati registrati ed i modelli di previsione in materia di popolazione, economia, clima, funzionalità degli ecosistemi ed altro è qualcosa che non ha assolutamente precedenti storici, né per intensità, né per vastità dei fenomeni coinvolti.   Lo studio della preistoria ci insegna, è vero, che mutamenti climatici ed estinzioni di massa anche più importanti e veloci di quelli in corso (o probabili nel prossimo futuro) sono già avvenuti in passato ed il mondo è cambiato, ma non è finito.    Durante i più recenti fra questi avvenimenti la nostra specie era presente ed è sopravvissuta, ma le difficoltà che hanno dovuto superare alcune centinaia di migliaia di cacciatori paleolitici ha poco a che vedere con quelle che dovranno affrontare 8 miliardi di individui post-industriali.

Siamo capaci di credere veramente che qualcosa che non è mai accaduto nella storia stia accadendo sotto i nostri occhi in questo momento?    Molto difficile.   E per coloro che ci riescono, è elevato il rischio di sprofondare in stati depressivi in grado di bloccare qualunque reazione (“Tanto oramai…”).  Ciò che occorre è riuscire ad immaginare una ragionevole via di mezzo fra il “business as usual” e l’apocalisse.  Il che significa mantenersi in funambolico equilibrio fra un ragionevole ottimismo ed un concreto pessimismo: un esercizio per il quale siamo del tutto impreparati.  Eppure riuscirci è ancor più importante del saper seminare gli zucchini o filare la lana.



Jacopo Simonetta