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venerdì 18 novembre 2016

Jay Forrester: l'uomo che ha visto il futuro

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Jay Wright Forrester (1918-2016) potrebbe essere stato la fonte di ispirazione per Hari Seldon, un personaggio inventato della serie della Fondazione di Isaac Asimov. Nei racconti di Asimov, Seldon sviluppa “le equazioni psicostoriche” che gli permettono di prevedere il collasso imminente dell'Impero Galattico. Nel mondo reale, Forrester ha sviluppato le equazioni della dinamica dei sistemi” che gli hanno permesso di prevedere il collasso imminente della moderna civiltà umana. Le previsioni sono state ignorate dai poteri imperiali di entrambi gli universi, quello della finzione e quello reale. 

Jay Forrester, una delle grandi menti del XX secolo, è morto a 98 anni qualche giorno fa. La sua carriera è stata lunga e fruttuosa e possiamo dire che il suo lavoro ha cambiato la storia intelletuale dell'umanità in diversi modi, in particolare per il ruolo che ha avuto nella nascita del rapporto al Club di Roma “I limiti dello sviluppo”.

Nel 1969, Forrester era un membro della facoltà del MIT quando ha incontrato Aurelio Peccei in Italia. A quel tempo, Peccei aveva già fondato il Club di Roma, i cui membri erano preoccupati dai limiti delle risorse naturali che la terra poteva fornire. Stavano cercando di capire quali conseguenze ci sarebbero per l'umanità. Da quello che scriveva Peccei, sembrava chiaro che vedesse la situazione in gran parte in termini malthusiani, pensando che la popolazione umana sarebbe cresciuta fino al raggiungimento dei limiti delle risorse e poi sarebbe rimasta lì, tenuta sotto controllo da carestie ed epidemie. La principale preoccupazione di Peccei e del Club di Roma  era quella di evitare la sofferenza umana assicurando una distribuzione equa di quello che c'era a disposizione.

lunedì 9 novembre 2015

Il Club di Roma; quasi mezzo secolo dopo

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi



Il Club di Roma ha tenuto la sua assemblea generale a Winterthur, in Svizzera, il 16-17 ottobre 2015. Nell'immagine, potete vedere Ugo Bardi (al centro) insieme ai co-presidenti del Club, Anders Wijkman (a destra nella foto) ed Ernst Von Weizsacker (a sinistra).


Quasi mezzo secolo fa, nel 1968, Aurelio Peccei riuniva per la prima volta il gruppo che in seguito sarebbe diventato famoso come il “Club di Roma”. L'obbiettivo del gruppo non era quello per cui il Club è diventato famoso, “I Limiti dello Sviluppo”. A quel tempo, il concetto di limiti era vago e scarsamente compreso e l'interesse dei membri era, piuttosto, verso una distribuzione equa delle risorse della Terra. Ciò che ha spinto Aurelio Peccei era il tentativo di combattere la fame, la povertà e l'ingiustizia.

domenica 1 marzo 2015

Scala Mercalli: i "Limiti" in prima serata




Così, la prima puntata di "Scala Mercalli" è andata in su Rai 3, ieri sera. Credo che sia stata la prima volta che si parlava di nuovo in prima serata di "Limiti alla Crescita" (o anche, come è rimasto in uso in Italia, di "Limiti dello Sviluppo"), forse dai primi anni 1970, quando uscì il rapporto del MIT con quel titolo.

Per il momento, ho avuto solo commenti favorevoli e posso testimoniare direttamente della qualità del team che lavora dietro Mercalli: un gruppo di persone molto professionali, competenti, e motivate. Basta vedere la qualità dei filmati dal Cile e dal Perù, per vedere che siamo su un livello eccellente. Per non parlare di Luca Mercalli stesso, che si è sobbarcato un lavoro massacrante ma che sta dimostrando una professionalità eccezionale. 

D'altra parte, bisogna anche tener conto dei limiti del mezzo televisivo, che è poco adatto a passare messaggi che non siano semplificati ai minimi termini. Ci sarà, sicuramente, chi criticherà la trasmissione; parleranno dei "soliti ambientalisti", di "radical chic", e mi immagino cosa non sarà detto sui "Limiti dello Sviluppo" dalla truppa di quelli che sono rimasti indietro con in testa ancora le critiche degli anni 1980. Non si sono accorti di quanto la visione dell'argomento sia cambiata negli ultimi anni, con nuovi dati che hanno vendicato la visione degli autori del libro del 1972.

Più che critiche dirette, tuttavia, la tattica generalizzata in queste cose è semplicemente di ignorare e/o oscurare i messaggi che non fa comodo diffondere. Vi posso raccontare in proposito che l'ultima volta che mi è capitato di apparire in TV su una rete nazionale è stato nel 2011, al tempo del dibattito sul ritorno al nucleare. Quelli che mi avevano invitato avevano fatto un piccolo errore di valutazione. Avevano letto da qualche parte che io studiavo l'esaurimento del petrolio. Dal che, si erano immaginati che "se questo qui parla di fine del petrolio, allora sarà di sicuro favorevole all'uranio." In trasmissione, era tutto un coro in diretta a favore delle nuove centrali italiane. Quando mi hanno fatto parlare in collegamento da Firenze, ho cominciato a raccontare del "picco dell'uranio." A quel punto, mi hanno immediatamente tolto il collegamento e non me lo hanno più ridato per tutta la trasmissione. E non mi hanno mai più invitato. Niente di male, solo viene voglia di citare le parole attribuite a Groucho Marx "Non vorrei mai far parte di un club che accetta gente come me fra i suoi membri"

Tutti facciamo quello che possiamo per passare il messaggio fondamentale che venne lanciato per la prima volta in forma quantitativa nello studio del 1972 dei "Limiti dello Sviluppo". Il messaggio è che l'origine della difficile situazione in cui ci troviamo è il graduale esaurimento delle risorse naturali. Se ce ne rendiamo conto, possiamo prendere dei provvedimenti: usare le risorse con parsimonia, non sprecare quelle che sono preziose e rare, riusare e riciclare quello che possiamo. Se insistiamo, invece, a gridare che l'unica soluzione a tutti i problemi è "far ripartire la crescita" allora non andremo da nessuna parte. Non è un messaggio facile da passare nel clima del dibattito attuale, ma continuiamo. Senza aspettarci miracoli, ma continuiamo.








venerdì 2 gennaio 2015

La fine dello sviluppo globale come lo abbiamo conosciuto

Da “Engineering for Change”. Traduzione di MR (h/t Maurizio Tron)

Di Josh Kearns

Il petrolio non scorre più così. Questo è il Lakeview Gusher
Number One, un'eruzione di petrolio da un pozzo in pressione
 dal pozzo petrolifero di Midway-Sunset a Kern County,
 in California, nel 1910. 100 anni fa, pozzi come questo
producevano 90.000 barili al giorno, ma ora
sono scesi a 2 soli barili al giorno. Foto di dominio pubblico
Wikimedia Commons 
I professionisti dello sviluppo fanno il loro lavoro assumendo che il mondo in via di sviluppo un giorno somigli molto al mondo sviluppato. Ma ci sono buone possibilità che si sbaglino. Uno sguardo paratico alla fornitura mondiale di energia ed una interessante nuova ricerca sul collegamento fra energia, cultura e qualità della vita, mostra che probabilmente è vero il contrario: il mondo sviluppato presto somiglierà al mondo in via di sviluppo. Ecco perché sta accadendo e cosa possiamo fare per prepararci ora ad un grande cambiamento.

Da contadini a desk jockey

Dai primi anni 90 del secolo scorso il governo statunitense non ha tenuto dei “contadini” come una categoria del censo nazionale e questo è un sintomo di consumo di energia. Gasolio, fertilizzanti chimici e pesticidi sono tutti forme di energia che hanno soppiantato i muscoli umani ed animali nelle fattorie. Questa energia, che proviene da combustibili fossili accessibili e a buon mercato, ha trasformato i servi della gleba medievali negli odierni “servi del cubicolo” degli affari, del governo e delle accademie, nei paesi sviluppati. E i professionisti dello sviluppo globale stanno cercando di guidare il mondo in via di sviluppo lungo lo stesso sentiero.

L'energia rinnovabile dipende pesantemente
dai combustibili fossili, come esemplificato da questo convoglio
 di camion diesel che trasportano un enorme pezzo di turbina eolica.
 Foto: Tom/ Flickr
L'energia fossile ha facilitato tre raddoppi della popolazione globale dal 18° secolo, mentre ha eretto una gerarchi bizantina tecno-sociale nel mondo sviluppato e nei centri di potere del mondo in via di sviluppo.

Ritorno energetico dall'investimento

Guardiamo l'energia dal punto di vista contabile. Non vedremo la quantità totale di energia posseduta dal pianeta Terra – carbon fossile, petrolio e gas, luce solare, vento, maree, nuclei radioattivi o la somma totale dell'energia incorporata nei legami chimici. Guardiamo piuttosto l'energia netta: la quantità di energia utile rimanente dopo aver sottratto l'energia che serve per esplorare le fonti energetiche poi estrarle, raffinarle, trattarle e così via. Un metodo per calcolare questo surplus di energia netta è chiamato Ritorno Energetico dall'Investimento, in breve EROI (più corretto sarebbe EROEI, ndt). Questo concetto è stato introdotto da Charles Hall e dai suoi colleghi all'Università di Stato di New York a Syracuse. Al centro dell'EROEI c'è una semplice equazione: EROEI = energia che torna alla società / energia investita per ottenerla.

Succhiare 500 milioni di anni di luce solare

L'accesso a fonti di energia ad alto EROEI è ciò che permette alle società di sviluppare i sistemi tecnologici avanzati e le gerarchie sociali complesse e fortemente differenziate che vediamo oggi intorno a noi. Al contrario, le persone del medioevo avevano fonti di energia a basso EROEI – solo muscoli umani ed animali, oltre alla biomassa da bruciare e un modesto uso delle correnti di venti ed acqua. In quei giorni, gran parte della popolazione doveva mettere la propria schiena nel proprio lavoro perché non aveva un motore diesel che lo facesse per lei. L'era dei combustibili fossili ha inaugurato una manna di EROEI alto senza precedenti nella storia del pianeta. Gli esseri umani hanno liberato il potere di 500 milioni di anni di luce solare stoccata e concentrata. Ed abbiamo continuato a bruciare questa abbondanza finita ed irripetibile con notevole velocità.

L'EREOI è direttamente collegato allo sviluppo. Per conservare gli attuali stili di vita occidentali, i paesi sviluppati hanno bisogno di un surplus di energia netto. Jessica Lambert e i suoi colleghi alla Next Generation Energy Initiative, Inc. a Marcellus, New York, postula che le società soddisfano prima i bisogni energetici più fondamentali ed importanti poi, se rimane dell'energia, soddisfano bisogni sempre più complessi lungo una scala che chiamano la “gerarchia dei bisogni energetici”. E' simile alla gerarchia (piramide) di Maslow dei bisogni umani. I ricercatori hanno dato voce alle loro idee nell'edizione dell'agosto 2013 della rivista Energy Policy (pdf). Sopra, ho allegato una figura dal loro saggio con frecce che indicano le coordinate dell'EROEI in aumento disponibile per la società e l'aumento della complessità tecno-sociale.

I ricercatori hanno calcolato l'accesso all'energia e l'EROEI dei paesi del mondo , mettendo su grafici i dati rispetto ai comuni indici di sviluppo e qualità della vita, compreso l'Indice di Svuluppo Umano dell'ONU (ISU), percentuale dei bambini sottopeso, spese per la salute pubblica, cultura femminile, uguaglianza fra i sessi ed accesso a forniture “migliorate” d'acqua. Ho riprodotto uno di quei grafici sulla sinistra con una linea sovrapposta che corrisponde all'EROEI che segna il confine approssimativo fra livelli superiori ed inferiori di sviluppo umano. I ricercatori hanno scoperto che i paesi con livelli da moderati ad alti di sviluppo umano, tendevano ad avere EROEI in eccesso di 20:1 o 30:1 (un EROEI di 20:1 significa che per ogni unità investita se ne acquisiscono 19). dall'altro lato, i paesi che hanno accesso ad energia a meno di 20:1 generalmente non sono stati in grado di ottenere alti livelli di sviluppo. Gli autori hanno anche guardato le tendenze dell'EROEI fornito dalle tecnologie energetiche prevalenti, compresi petrolio, gas, carbone, solare fotovoltaico ed eolico, nucleare, idroelettrico e così via.

Le fonti con EROEI più alto sono andate

Le fonti di combustibili fossili del 20° secolo avevano un EROEI di gran lunga maggiore di qualsiasi altra fonte ed ora sono finite. I giacimenti di petrolio e gas convenzionale storici, per esempio, fornivano un EROEI della di una grandezza da 50:1 a 100:1 o oltre. Abbiamo via via bruciato i depositi che erano più facili da estrarre ed ora l'EROEI del petrolio e del gas globale è declinato a qualcosa come 20:1. Per esempio, il costo della trivellazione dei pozzi di petrolio convenzionale di un tempo era di 400.000 dollari e producevano circa 1.000 barili al giorno per alcuni decenni. Le trivellazioni dei pozzi di petrolio da “fracking” di oggi costano 6-12 milioni di dollari e producono al massimo poche centinaia di barili al giorno da uno a tre anni.

E le risorse rinnovabili non hanno un EROEI alto

Ma è comunque un EROEI molto più alto di quanto il combustibili rinnovabile possa fornire. Le tecnologie rinnovabili hanno EROEI più bassi, da circa 5:1 a 15:1 e dipendono da combustibili fossili a buon mercato per lo sviluppo su larga scala. Per esempio, le turbine eoliche contengono grandi quantità di neodimio per fare i magneti che usano per generare elettricità e lo estraiamo con macchinari a gasolio della dimensione di Godzilla. Eolico e solere fotovoltaico costituiscono meno del 1% del portafogli energetico globale. Negli Stati Uniti, il solare FV fornisce meno di un centesimo del 1% della nostra elettricità. Rese zoppe da EROEI relativamente bassi e dipendendo da una piattaforma di combustibili fossili a buon mercato ed alto EROEI per la produzione, l'installazione e la manutenzione, non è fattibile che le rinnovabili siano rapidamente portate su scala per soddisfare le necessità energetiche future se puntiamo a mantenere il business as usual (BAU) con la crescita esponenziale delle economie nazionali, della popolazione e della ricchezza. Sembra quindi che ci troviamo di fronte a carenze di energia netta molto preoccupanti. L'EROEI che ha alimentato il nostro sviluppo sino ad ora se ne andrà presto con l'esaurimento e il declino della qualità dei combustibili fossili e non possiamo compensare la differenza sostituendoli con le rinnovabili. Ciò che preoccupa ancora di più, però, è che l'EROEI non sembra declinare in modo lineare.

Il dirupo energetico

Le implicazioni di questa analisi sono a diro poco preoccupanti. Globalmente, il ritorno netto del nostro petrolio e gas prevalenti è declinato nella gamma di 20:1 – 30:1. Uno sguardo allo stato dello sviluppo globale odierno suggerisce che questo è un EROEI che rende difficile per le società raggiungere un alta qualità della vita. L'EROEI delle tecnologie rinnovabili ricade in questa gamma o al di sotto di essa. Ora vediamo cosa succede in Un EROEI di 10:1 – 20:1. La funzione esponenziale dell'EROEI comincia a scendere nettamente. Ciò viene chiamato il “dirupo dell'energia netta”. Una società che passa in questa gamma di EROEI in declino diventa sempre meno in grado di sostenere alti livelli di complessità tecno-sociale. Noi che viviamo nell'opulento Occidente siamo giunti a dare per scontati i frutti di questa complessità, come la conditio sine qua non per un alto standard di vita così come il nostro diritto di nascita perpetuo.

La fine dello sviluppo globale

Questa analisi ha due messaggi chiave per i lettori di E4C e chiunque sia impegnato nell'ingegneria dello sviluppo globale. Il primo: è improbabile che il mondo in via di sviluppo si “svilupperà” mai tanto. Il secondo: il mondo sviluppato opulento  affronterà un “de-sviluppo” catabolico, in quanto le fonti di energia diminuiscono e alla fine non riescono a sostenere i livelli superiori della gerarchia dei bisogni energetici. Il catabolismo avviene quando una società esaurisce le proprie risorse, quando non può più crescere e comincia a disassemblare la propria infrastruttura per consumarla per l'energia, come spiega John Michael Greer (pdf). Presto, gran parte della struttura dalla moderna vita opulenta data per scontata si spezzerà e verrà dimenticata nei recessi della storia. Sfortunatamente, questo sarà un processo doloroso che coglierà molti di sorpresa. Le ipotesi prevalenti sono che la crescita è infinita e che la prosperità aumenta sempre. Abbiamo una fede quasi utopistica nei proventi benefici senza limiti di tecnologia ed innovazione. Ma uno sguardo pratico all'energia netta suggerisce il contrario.

La risposta degli ingegneri

Dovremmo agire ora per prepararci al declino. La prima priorità dovrebbe essere acquisire più esperienza sviluppando tecnologie che sono in rapporto ai limiti delle risorse del futuro. E dobbiamo far questo non semplicemente per obbligo morale verso i poveri del mondo, ma anche perché, a breve, avremo bisogno di quelle stesse tecnologie anche noi. I calcoli dell'EROEI dovrebbero informare le decisioni sul corso della scienza, della ricerca ingegneristica e dello sviluppo. Dovrebbe essere perseguita l'innovazione per fare un uso migliore delle risorse locali. Ciò che costruiamo ci deve aiutare a vivere con meno energia, enfatizzando la qualità sulla quantità materiale, il tutto mentre diventiamo complessivamente più poveri. E ciò dovrebbe aiutarci a prevedere quali tipi di shock abbiamo di fronte e come possiamo rispondere in modo intelligente e creativo. In breve, la scienza ingegneristica e la tecnologia di ricerca e sviluppo si dovrebbero concentrare su soluzioni che soddisfino i bisogni fondamentali che non dipendono da alti ingressi di EROEI, lunghe e vulnerabili filiere di fornitura o fragili e complessi sistemi tecno-sociali. Per stabilire obbiettivi appropriati per questa innovazione, dobbiamo accettare la probabilità che il mondo sviluppato del futuro assomiglierà molto di più al mondo in via di sviluppo di oggi, non il contrario come è stato tradizionalmente ipotizzato nel settore dello sviluppo. Ci sono moltissime opzioni per l'innovazione, la creatività, la speranza, il miglioramento della nostra qualità di vita e la costruzione della comunità, una volta che la gente comincia a considerare seriamente e ad abbracciare i limiti al BAU. C'è così tanto del BAU che è inefficiente e non salutare, quindi un cambiamento potrebbe davvero essere una vittoria per tutti, anche in un difficile futuro di declino e collasso economico protratto.

Previsioni dolorose, ma pratiche

Quali tipi di speculazioni ragionevoli possiamo fare sul futuro per delineare gli obbiettivi della tecnologia di ricerca e sviluppo? Eccone alcuni; vi invito a sottoporne altri nella sezione dei commenti.

  • Il futuro contemplerà molto di più carriera nelle attività dirette di conversione di energia solare come l'agricoltura e le attività forestali su piccola scala (rimboccatevi le maniche e prendete una zappa!). 
  • Le economie locali guadagneranno importanza mentre le filiere dei trasporti a lunga distanza dipendenti dai combustibili fossili diventano impraticabili (Cominciate a conoscere i vostri vicini e le imprese locali!).
  • Non osiamo ipotizzare che i sistemi complessi, globali, high tech ed energeticamente intensivi come Internet e l'onnipresente connettività wireless cellulare 24/7 siano una caratteristica permanente dell'esistenza umana (chi non darebbe il benvenuto al fatto di passare meno tempo di fronte ad uno schermo luminoso?). 
  • I capi di governo, d'impresa, dei media, delle istituzioni culturali e così via, faranno ogni sforzo per mantenere lo status quo e il BAU  più a lungo possibile, mentre insisteranno che va tutto bene, nonostante le prove crescenti del contrario (dipende da noi – mettiamoci al lavoro!). 

Josh Kearns

Josh è un candidato al dottorato in ingegneria ambientale all'Università del Colorado, a Boulder, ed un ricercatore ospite dell'Università di stato della Carolina del Nord. Le sue ricerche esplorano l'applicabilità di biochar prodotto localmente come assorbente a basso costo per il trattamento dell'acqua potabile nelle comunità in via di sviluppo. Josh ha lavorato nei campi dell'economia ecologica e della scienza sostenibile ed ha fondato Aqueous Solutions, una organizzazione no profit che ricerca e diffonde tecnologie appropriate per l'acqua e l'igiene. 





giovedì 10 marzo 2016

I “Limiti dello Sviluppo” aveva ragione: la popolazione dell'Italia comincia a calare

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR




Lo scenario “caso base” descritto nell'edizione del 2004 de “I Limiti dello Sviluppo”, un aggiornamento dello studio originale sponsorizzato dal Club di Roma e pubblicato nel 1972. Notate come la popolazione mondiale dovrebbe iniziare a declinare qualche anno dopo il picco dell'economia mondiale. Non stiamo ancora vedendo questo declino a livello globale, ma potremmo vederlo in alcune regioni particolari del mondo, in particolare in Italia. 

Di Ugo Bardi

Si stanno accumulando sempre più dati a smentire la leggenda degli “errori” che ha accompagnato lo studio intitolato “I limiti dello Sviluppo” (The Limits to Growth - LTG). Per esempio, Graham Turner ha mostrato come i dati storici dell'economia mondiale hanno seguito piuttosto da vicino le curve dello scenario “caso base” presentato nel 1972. Ma il fatto che questo scenario abbia funzionato bene fino all'inizio del XXI secolo non significa che continuerà a funzionare allo stesso modo in futuro. Lo scenario prevede un collasso economico mondiale che dovrebbe cominciare ad un certo punto durante i primi due-tre decenni del secolo. Chiaramente, l'economia mondiale non è collassata, finora, anche se si potrebbe obbiettare che sta mostrando segnali terribili del fatto che stia cominciando proprio a farlo. Ma non possiamo ancora provare che lo scenario base fosse giusto.

Tuttavia, lo scenario base del collasso di LTG è una media di tutto il mondo e potremmo immaginare che, se l'economia deve collassare in media, alcune parti di essa dovrebbero collassare prima. E, infatti, sembra che alcune economie locali stiano proprio facendo questo. Potrebbe benissimo essere che un paese come l'Italia sia già ben avanti nel processo di collasso economico, quindi non stiamo solo assistendo al declino del suo PIL, ma anche all'inizio di un declino irreversibile della popolazione. Se fosse così, lo scenario caso base di LTG si sta verificando in Italia e probabilmente non solo in Italia.

Così, cerchiamo di fare un confronto qualitativo dello scenario LTG e dei dati reali dell'Italia. Per prima cosa, lo scenario mostra in che modo il consumo di risorse naturali deve raggiungere un massimo e poi declinare, seguito da un traiettoria simile per quanto riguarda la produzione industriale. In Italia abbiamo superato quel punto da un pezzo. Come potete vedere nella figura in basso, proveniente da un precedente post su Cassandra's Legacy, il consumo dell'Italia di idrocarburi fossili (di gran lunga la sua fonte principale di energia) ha raggiunto il picco nel 2005, seguito dal picco del PIL nel 2008. Considerando che il PIL è una misura della produzione economica generale di un paese, possiamo considerarlo come proporzionale ai parametri che erano indicati come produzione industriale ed agricola nello studio LTG (i dati del 2015 indicano un piccolo aumento del PIL per l'Italia, ma questo cambia poco nella tendenza complessiva).


Quindi potremmo dire che, in Italia, lo scenario caso base di LTG si è verificato in termini di comportamento dell'economia del paese. Ma, se così fosse, ad un certo punto dovremmo aspettarci il picco e l'inizio del declino di un'altra curva dello scenario: quella della popolazione. E, infatti, sembra che stiamo assistendo esattamente a questo. Ecco i dati più recenti dell'ISTAT.


Si può vedere il ragguardevole salto verso l'alto del tasso di mortalità del 2015: corrisponde a 16.500 morti in più rispetto alle nascite. Nonostante l'afflusso di immigrati, l'Italia ha perso 139.000 residenti nel 2015. Non si tratta di una grande perdita (0,23%), ma è significativa. E non si era mai verificata durante i decenni passati. Inoltre, l'Italia vede per la prima volta da decenni una riduzione dell'aspettativa di vita alla nascita (da 80,3 a 80,1 anni per i maschi e da 85 a 84,7 anni per le femmine).

Quali sono state le cause di questo declino della popolazione? Ce ne sono diverse e l'estate torrida del 2015 ha sicuramente giocato un ruolo nella morte di più persone anziane  del solito, come potete vedere nella figura sotto (ancora una volta da fonte ISTAT).


Poi sono state proposte altre cause. Il generale invecchiamento della popolazione, la crisi economica, il peggioramento della dieta, l'inquinamento, i costi più alti delle cure mediche ed altro. Ma il punto qui non è discutere queste queste diverse cause, la maggior parte delle quali hanno probabilmente avuto un ruolo nel declino. Il punto è che abbiamo assistito esattamente a quello che ci potevamo aspettare di vedere se gli scenari di LTG avessero descritto la situazione italiana: un declino della popolazione che doveva seguire il declino del PIL.

Naturalmente, abbiamo dati soltanto di un anno e non possiamo dire se quello che stiamo vedendo è una tendenza a lungo termine o solo una fluttuazione statistica. Eppure, è difficile non pensare che il degrado delle condizioni sociali ed economiche in italia, così come il degrado dell'ecosistema, non stiano chiedendo il loro tributo alla popolazione. E che di fatto stiamo vendendo realizzarsi gli scenari di LTG.


domenica 4 ottobre 2015

Una recensione del libro di Ugo Bardi "I limiti dello sviluppo rivisitati"


Dal blog di Badiale e Tringali

Pubblico una recensione ad un libro di Ugo Bardi del 2011, che solo recentemente ho avuto l'occasione di leggere.
(M.B.)



Ugo Bardi. The Limits to Growth Revisited, Springer 2011

Ugo Bardi insegna presso il Dipartimento di Chimica dell'Università di Firenze. Gestisce il blog“effetto risorse” e da tempo si occupa dei problemi del “picco del petrolio”. In questo libro ripercorre la storia del famoso testo commissionato dal Club di Roma a un gruppo di studiosi del MIT e uscito nel 1972 con il titolo “The Limits to Growth” (d'ora in poi LTG; in italiano “I Limiti dello Sviluppo”).
Bardi ricostruisce il percorso intellettuale che ha portato al libro, ma soprattutto fa la storia dei dibattiti successivi alla sua pubblicazione. Si tratta di una storia piuttosto interessante, che si può sostanzialmente dividere in tre fasi: un grande successo iniziale, seguito da aspre critiche che portarono, a partire più o meno dagli anni 90, all'oscuramento delle tematiche e delle impostazioni teoriche sviluppate nel testo, e infine una ripresa di interesse in tempi recenti. 

La rassegna di questi dibattiti, svolta da Bardi in vari capitoli del libro, è assai accurata, ed è finalizzata a far meglio comprendere al lettore, proprio grazie al confronto con i critici di LTG, il senso delle tesi fondamentali del libro. Bardi spazza subito via dal tavolo le critiche basate su fondamentali equivoci. Le più note in questo senso sono quelle che accusano lo studio di grossolani errori di previsione. Bardi risponde facilmente che LTG presentava non “una previsione” ma una serie di “scenari”, cioè differenti insiemi di previsioni dipendenti dalle possibili azioni umane nel futuro.Le cosiddette “previsioni sbagliate” su cui ponevano l'attenzione i critici di LTG erano ottenute semplicemente pescando alcuni dati dentro ad uno di questi scenari, dimenticando che appunto si trattava solo di uno scenario possibile fra i tanti delineati dallo studio stesso. Questa osservazione ci porta ad un altro tipo di discussione critica, più avveduta, che Bardi prende in considerazione. 

L'obiezione potrebbe infatti essere non più quella dell'erroneità di LTG, ma quella della sua inutilità: se in sostanza non fa previsioni precise, perché offre piuttosto una “batteria” di possibili previsioni, dipendenti dalle azioni umane, a che serve? La risposta di Bardi, che mi sembra condivisibile, è che lo studio non intendeva fornire previsioni numeriche precise sull'evoluzione dell'economia mondiale nei prossimi decenni (compito probabilmente impossibile), ma piuttosto individuare alcune linee di tendenza generali, che potessero indicare alle forze politiche e sociali prospettive abbastanza chiare per indirizzare l'azione politica. Bardi rileva infatti che, anche senza offrire previsioni numericamente precise, i vari “scenari” concordano nel mostrare che un certo tipo qualitativo di evoluzione appare sostanzialmente inevitabile, in mancanza di radicali cambiamenti della nostra organizzazione politica ed economica. In (quasi) tutti gli scenari delineati in LTG appare un crollo della produzione e della popolazione dopo un periodo di crescita simile all'attuale. Il “quasi” indica appunto che tale crollo si può evitare solo in uno scenario che preveda un deciso intervento umano di correzione degli attuali squilibri.

Abbiamo detto che in tempi recenti si è notata una ripresa di interesse nei confronti di LTG, collegata fra l'altro alle successive versioni dello studio (l'ultima è del 2004, ed è apparsa in italiano nel 2006 col titolo “I nuovi limiti dello sviluppo”). Naturalmente, questo non significa che le conclusioni dello studio siano accettate da tutti gli studiosi, o anche solo dalla maggioranza. Il dibattito infatti prosegue. Ma almeno, stando al resoconto di Bardi, sembra che siano superate le incomprensioni che hanno segnato, e un po', diciamo, “rovinato” il dibattito nei decenni precedenti. Secondo la ricostruzione di Bardi, oggi si tende a riconoscere che l'andamento effettivo delle variabili considerate in LTG, nei quattro decenni seguiti alla prima pubblicazione, ha seguito nella sostanza l'andamento previsto in uno degli scenari delineati all'epoca. Quindi l'obiezione sul fatto che le previsioni di LTG fossero “sbagliate” sembra per il momento aver perso efficacia. La discussione si è spostata su altri piani, a mio parere più interessanti. Si tratta dei temi discussi nei capitoli 8 e 9 del libro, dedicati allo stato attuale del dibattiti sull'esaurimento delle risorse minerali e sul ruolo della tecnologia. La tesi più significativa, fra coloro che rifiutano le conclusioni di LTG, è infatti quella che sostiene il ruolo centrale dello sviluppo tecnologico, e ritiene che il difetto fondamentale di LTG sia appunto quello di non tenerne conto. Secondo i sostenitori di questa tesi, lo sviluppo tecnologico permetterà di sfruttare altre risorse (energetiche, minerarie) quando le attuali saranno esaurite. In questo senso si può sostenere la tesi, che suona certo paradossale alle orecchie di chi si sia formato su testi come LTG, secondo la quale “le risorse naturali sono infinite”. Essa deve appunto essere intesa nel senso che lo sviluppo scientifico e tecnologico metterà a disposizione sempre nuove risorse quando quelle usuali saranno esaurite. Per capirci, il petrolio non era una risorsa energetica nel primo Ottocento: lo è diventato quando è stata sviluppata la tecnologia che permetteva di sfruttarlo. Allo stesso modo, nuove tecnologie permetteranno di far diventare “risorse” aspetti della realtà naturale che attualmente non lo sono. 

È ragionevole questa prospettiva? Bardi la discute a partire dal problema delle risorse minerarie non energetiche, come i metalli. Come è noto, essi sono diffusi ovunque, ma solo in pochi luoghi hanno la concentrazione sufficiente per rendere redditizia l'estrazione. Una possibile versione della tesi che stiamo discutendo, quella cioè che “le risorse naturali sono infinite”, potrebbe allora consistere nell'argomentare che l'esaurimento delle miniere redditizie porterà all'aumento del prezzo dei metalli, e questo a sviluppi tecnologici che renderanno redditizia l'estrazione del minerale a concentrazioni minori di quelle attualmente necessarie, cosicché la risorsa in questione tornerà ad essere estratta.

Il problema di questo schema, nota però Bardi, è quello dell'energia necessaria per l'estrazione, al diminuire della concentrazione. Il rapporto fra queste due grandezze è grossomodo quello della proporzionalità inversa: cioè, se il minerale da estrarre presenta una concentrazione dimezzata, occorre il doppio dell'energia, se la concentrazione si riduce ad un terzo occorre il triplo dell'energia, e così via. Se questa relazione si mantiene stabile al variare delle tecnologie, appare chiaro che l'estrazione di minerali da depositi sempre più poveri troverà un limite nella disponibilità dell'energia (e nei suoi costi). Il problema si sposta allora, appunto, alla disponibilità dell'energia. Il punto essenziale sta nel fatto che per l'estrazione di risorse energetiche sembrano valere principi analoghi. Il concetto di EROEI (Energy Return On Energy Invested), detto anche EROI, serve appunto a precisare questo punto. Esso è definito come il rapporto fra l'energia ottenuta in un processo di estrazione (di petrolio, per esempio) e l'energia consumata per l'estrazione. Indica cioè il “guadagno energetico” del processo di estrazione. Ovviamente, l'estrazione ha senso solo quando l'EROEI è maggiore di uno. Non è facile il calcolo preciso dell'EROEI, come nota lo stesso Bardi altrove, ma sembra comunque che la tendenza sia verso una sua lenta diminuzione, almeno per quella che è attualmente la principale fonte energetica, il petrolio (a questo proposito di veda anche il capitolo 6, pagg. 77-85, del libro di di Luca Pardi “Il paese degli elefanti”, edizioni LUCE, in particolare a pag.81). Questa lenta diminuzione pare essere avvenuta nonostante gli indubbi progressi tecnologici nelle tecniche di estrazione del petrolio. Tali sviluppi, cioè, possono sì rendere possibile estrarre petrolio “non convenzionale” come lo shale oil, ma non invertono la tendenza alla diminuzione dell'EROEI. In questo modo sembra che ci stiamo avvicinando, indipendentemente dagli sviluppi tecnologici, al punto in cui per estrarre un barile di petrolio occorrerà consumare un barile di petrolio, e a quel punto ovviamente il petrolio, per quanto abbondante possa ancora essere, cesserà di essere una risorsa energetica. 

Se queste tendenze venissero confermate in futuro, sarebbe lecito un certo scetticismo nei confronti della tesi che “le risorse naturali sono infinite”. Verrebbe invece corroborata la tesi generale che la nostra organizzazione sociale sta entrando in una fase di “rendimenti decrescenti”, rendendo quindi necessaria una “grande transizione” ad una diversa organizzazione sociale. Queste tesi sono ormai sostenute da diverse voci: per un inquadramento generale, si veda il libro di Mauro Bonaiuti “La grande transizione”, Bollati Boringhieri 2013. Si tratta di temi rispetto ai quali c'è urgente bisogno di un dibattito razionale serio e approfondito e per chi voglia continuare, anche da posizioni diverse, nella pratica del dibattito razionale, il testo di Bardi è senz'altro di grande aiuto.

mercoledì 12 giugno 2013

"Il pianeta saccheggiato" - una recensione

(da greenreport)

Il saccheggio del Pianeta, il nuovo rapporto del Club di Roma 


Il 6 di giugno sarà presentato ufficialmente a Berlino il nuovo rapporto del prestigioso Club di Roma, stilato questa volta dal prof. Ugo Bardi, docente di chimica presso l’Università di Firenze e, come riporta la sua biografia su wikipedia, “autore di molteplici contributi in vari campi della scienza, divulgatore scientifico, nonché blogger assai attivo in tale ambito: il suo blog (Effetto Cassandra) è uno dei più letti tra la comunità scientifica italiana.

Il rapporto si intitola PLUNDERING THE PLANET, HOW TO MANAGE THE EARTH’S LIMITED MINERAL RESOURCES, in cui il prof. Bardi offre un’indagine unica e affascinante della storia geologica del nostro pianeta. L’ispezione ci fa rabbrividire per le gigantesche forze che muovono le placche tettoniche e come si formano i depositi di minerali, metalli, combustibili fossili.  È in questo contesto geologico che l’umanità deve riflettere  sul modo di trattare i tesori limitati del nostro pianeta.

Nelle prime fasi della storia umana, queste risorse sono apparse senza limiti. Limitata erano piuttosto le capacità umane per accedervi. Si può interpretare la storia umana come la crescente capacità di accedere a queste risorse naturali. Dopo secoli di sempre più successo di prospezione e di sfruttamento dei tesori minerarie, siamo giunti al punto in cui dobbiamo trattenerci perché, ormai è noto, le risorse non sono infinite.

Una pietra miliare in questo dibattito è stata la pubblicazione del primo rapporto del Club di Roma nel 1972, “I limiti dello sviluppo” (è anche noto che la traduzione italiana di questo studio fu errata, in quanto si sarebbe dovuto dire “I limiti della crescita”,  dettaglio non da poco poiché crescita e sviluppo non sono proprio la stessa cosa). Questo studio presentò gli scenari di possibili percorsi di sviluppo tra il 1972 e il 2100. Per la prima volta fu presentato un modello quantitativo del percorso della civiltà industriale mondiale come funzione della ridotta disponibilità di risorse minerali.

Come già affermato in I limiti dello sviluppo, non stiamo andando a “corto” di minerali nel prossimo futuro, ma siamo di fronte a un aumento dei costi per l’estrazione e lo sfruttamento. Anche la quantità di energia necessaria per una tonnellata di metallo puro è in aumento, come dobbiamo fare affidamento sui minerali in concentrazioni minori. Quindi, i limiti reali possono risiedere soprattutto nella disponibilità di energia.

I combustibili fossili (carbone, petrolio e gas naturale) sono le risorse minerarie (di origine biologica), ma anche rappresentano le risorse energetiche che ci permettono di estrarre minerali inorganici. I combustibili fossili sono stati la nostra principale fonte di energia per gli ultimi due secoli e sono stati il ​​fattore principale che ha creato la nascita della rivoluzione industriale e lo sviluppo della nostra attuale civiltà.

Il buon senso suggerirebbe che si dia inizio alla gestione delle risorse naturali in modo sostenibile spostandoci dai combustibili fossili alle fonti energetiche rinnovabili e per dissociare la crescita economica dal consumo di risorse. Faremmo meglio a evitare di essere ingannati dalla campagna pubblicitaria corrente di gas di scisto, scisti e sabbie bituminose. Essi possono rinviare il momento di reale scarsità di una trentina d’anni, ma allo stesso tempo, essi aggravano il problema del riscaldamento globale e rischiano di bloccare sempre più in profondità i processi industriali, infrastrutture e abitudini di consumo insostenibili nel lungo periodo.

Aldo Ferretti

venerdì 28 marzo 2014

Un corollario della legge di Godwin: la “legge delle intenzioni di genocidio”

Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR



Di Ugo Bardi

(immagine da Corellianrun) 

Conoscerete sicuramente la legge di Godwin (conosciuta anche come “reductio ad Hitlerium”), quella che dice che, passato abbastanza tempo, ogni discussione su Internet alla fine porterà qualcuno ad essere paragonato ad Hitler. Questa legge sembra essere forte quasi come i principi della termodinamica e, di recente, l'abbiamo vista applicare al presidente russo - Vladimir Putin – paragonato ad Hitler in un comunicato stampa del segretario di stato americano, Hillary Clinton.

Ma la legge di Godwin sembra avere molte varianti, per esempio la “variante razzista”. Qui vorrei proporre un'altra variante o corollario, una che non nomina necessariamente Hitler o il termine “fascismo”. E la “legge delle intenzioni di genocidio”, che può anche essere chiamata “reductio ad exterminium”. Può essere descritta come segue:

In ogni discussione sulle politiche ambientali prima o poi qualcuno accuserà qualcun altro di intenzioni di genocidio, cioè di pianificare lo sterminio di gran parte della razza umana

Questo sembra si applichi particolarmente quando la politica ambientale discussa ha a che fare con la popolazione. In questa forma, uno dei primi esempi risale alla pubblicazione de “I Limiti dello Sviluppo” nel 1972. Gli sponsor dello studio, il Club di Roma, in seguito sono stati accusati di essere un'organizzazione malvagia dedita allo sterminio di gran parte della popolazione mondiale. E' stato persino accusato di aver creato il virus dell'AIDS proprio a questo scopo. Manco a dirlo, “I Limiti dello Sviluppo” o i membri del Club di Roma non hanno mai raccomandato – o nemmeno lontanamente concepito – niente di simile. Ma la leggenda rimane diffusa come potete vedere digitando per esempio “club di roma” insieme a “sterminio” o “depopolazione” (l'autore intende in inglese, ndt.). Vedete anche un mio post dal titolo “Come sono stati demonizzati I Limiti dello Sviluppo”.

La legge di reductio ad exterminium non si applica solo alla popolazione. Esce fuori più o meno in ogni discussione che coinvolga le politiche ambientali, in particolare quelle collegate al cambiamento climatico. In questo caso, ogno azione progettata per ridurre il danno coinvolto col riscaldamento globale potrebbe essere definito come mirato, in realtà, allo sterminio di gran parte della razza umana. Un recente esempio coinvolge un saggio di Lawrence Torcello, in cui l'autore ha espresso l'opinione secondo la quale:

Abbiamo buone ragioni per considerare il finanziamento di campagne di negazionismo climatico come criminalmente e moralmente colpevoli.

Notate che Torcello ha detto che ciò che andrebbe criminalizzato è solo il finanziamento del negazionismo climatico da parte di coloro che hanno “un interesse finanziario o politico per l'inazione”. Non ha mai detto questo delle persone che esprimono le loro opinioni su questa materia. Ma la “legge delle intenzioni di genocidio” si è immediatamente attivata. Per un rapporto sulla campagna di odio che si è scatenata contro Lawrence Torcello, vedete questo articolo di Graham Redfearn. Ecco un paio di esempi presi dal Web:

Così, cosa accade quando scopriamo che non c'è abbastanza spazio in carcere da nessuna parte per rinchiudere i 2/3 dell'America colpevoli di Blasfemia Climatica? Immagino che saranno necessarie delle esecuzioni, il che quadra con l'intera Agenda 21, una filosofia di ambientalismo come religione proprio bella, visto che questa gente crede che almeno l'80% della popolazione del pianeta debba essere eliminata perché le cose siano sostenibili (link)

e

Qual è l'estensione logica del carcere? Portata al suo estremo, la filosofia di Torcello porta all'esecuzione. Potreste pensare che sia folle, ma sbagliereste. E' così che comincia il fascismo. La filosofia del liberismo evoluto evoluta porta sempre al fascismo. Come si dice, la strada per l'inferno è lastricata di buoni propositi (link

Queste leggi, la legge di Godwin o la reductio ad exterminium, sembrano quasi divertenti, ma ciò che vediamo è la degenerazione totale del dibattito: una vera “reductio ad vituperium”. Saremo mai in grado di mettere in piedi una discussione razionale su un qualsiasi tema importante? Probabilmente no e questa è la vera tragedia in un momento in cui abbiamo un disperato bisogno di trovare un consenso su cosa fare per evitare vari disastri imminenti, compreso il cambiamento climatico.






mercoledì 28 settembre 2011

Cassandra e i limiti dello sviluppo


A volte mi chiedo come mai Cassandra, la profetessa Troiana, ebbe così tanti problemi a convincere i cittadini troiani che non era un'idea così buona demolire le mura della città per far entrare quel grande cavallo di legno.Forse si espresse a indovinelli ed usando un linguaggio oscuro, come si conviene ad una profetessa. Ma nel nostro caso, per affrontare il riscaldamento globale e l'esaurimento delle risorse, credo sia fondamentale oggi elaborare il nostro sapere in modi che possano essere compresi dai cittadini e da coloro che prendono le decisioni. Altrimenti tutto il lavoro che abbiamo fatto sarà perduto e rimarremo solo delle Cassandre.

Traduzione da "Cassandra's Legacy" di Massimiliano Rupalti"



Nel 1992, William Nordhaus scriveva un articolo (1) dove criticava pesantemente lo studio “I Limiti dello Sviluppo” (LDS). Riferendosi alla versione del 1972 diceva che,

"....sembra evidente che il comportamento dinamico degli enormemente complicati Limiti che ho modellato non è stato pienamente compreso (o anche comprensibile) da nessuno, nemmeno dagli autori e dai critici”.

Lo possiamo prendere come corretto almeno sotto un aspetto; ovvero se Nordhaus intendeva includere anche sé stesso fra questi “critici”. Infatti, con questa frase Nordhaus potrebbe aver ammesso che il suo saggio del 1973 (2), dove ha criticato anche più duramente la pratica della modellazione del mondo, era completamente sbagliato. Semplicemente, nel 1973, non aveva capito come funzionava il modello e nemmeno nel 1992. (Ho affrontato nei dettagli questi saggi di Nordhaus nel mio libro “LTG Revisited", per il momento solo in inglese (3).)

E' anche vero che la grande maggioranza di coloro che hanno criticato il primo studio dei LDS dopo la sua pubblicazione nel 1972, lo hanno fatto senza realmente capire la modellazione del mondo. Ma è vero che il modello di “World3” alla base dello studio non era “comprensibile”come conferma Nordhaus? Probabilmente Nordhaus ha basato le sue valutazioni su questo grafico:



Questa è una scannerizzazione della rappresentazione grafica del modello di world 3 preso dalla mia copia personale del 1972 dei LDS (Limiti Dello Sviluppo). I contenitori sono etichettati in italiano ma, che siano in italiano o in inglese, la logica del modello è davvero difficile da afferrare. Sembra solo una raccolta casuale di contenitori e di frecce, non diversa da una mappa della metropolitana di una grande città.

Quello che vedete qui, è un esempio di un “modello spaghetti”, una disastro tipico dei modelli della Dinamica dei Sistemi (DS) (come trattato, per esempio, da Jacques Lefevre). E' possibile che sia questa complessità e lo schema apparentemente casuale che ha confuso i critici ed i sostenitori di LDS allo stesso modo. Potrebbero essere stati una delle ragioni della marea di critiche ricevute dallo studio dei LDS di essere basato su assunti arbitrari, se non una truffa appositamente progettata per fregare il pubblico. La gente non poteva credere che la matassa di spaghetti mostrata nella figura potesse generare un ciclo di crescita e di declino e che questo ciclo doveva essere il destino della nostra economia.
 



Ma il modello di world 3 non era arbitrario. Rappresentando uno dei primi modelli di questo tipo nella storia, non è sorprendente che la sua rappresentazione grafica lasciasse un po' a desiderare. Questo non aveva effetti sull'efficacia del modello, che ha sostenuto molto bene la prova del tempo. I parametri del mondo reale, finora, si sono comportati in maniera molto coerente con lo scenario “caso base” dello studio dei LDS del 1972, come mostra Turner. I critici hanno dovuto lavorare duro per trovare punti deboli nello studio che andassero oltre le semplici dichiarazioni di discredito, come ho trattato in un mio post. Alla fine, hanno dovuto assestarsi su punti davvero marginali che non avevano nessuna rilevanza per il significato dello studio.

Il modello LDS non era impossibile da capire, comunque. Se guardate il testo del libro originale del 1972, vedrete che la figura mostrata sopra arriva solo dopo diverse pagine che descrivevano in dettaglio come il modello lavorasse. Gli autori hanno fatto un lavoro completo nel mostrare i diagrammi dei vari sottoinsiemi del modello. Questo avrebbe potuto rendere il modello comprensibile persino dagli economisti.

Sfortunatamente, questo non è stato sufficiente. Non importa quanto il modello venisse spiegato bene, capire LDS richiedeva uno sforzo che la maggior parte della gente non voleva fare. E' difficile combattere contro la tendenza umana a non credere alle cattive notizie – l'effetto Cassandra, in breve.

Ma noi possiamo imparare qualcosa dall'esperienza dei LDS. Un punto fondamentale è da esaminare in relazione alla percezione che la gente ha dei modelli. Per uno scienziato, il bisogno di modelli è ovvio; ma non è così per un politico o per la gente. In questo senso, fare modelli del mondo e la moderna scienza del clima hanno lo stesso problema. Entrambi i campi sono percepiti come basati su modelli complessi che vanno oltre la capacità di comprensione dei non-specialisti. Così, qual è esattamente il ruolo dei modelli nel dibattito pubblico sui problemi del cambiamento climatico e dell'esaurimento delle risorse?

A volte, la gente sembra credere nei modelli solo perché sono complessi. Oppure vedono la complessità come una prova del fatto che il modello è sbagliato o irrilevante. Il problema dei modelli complessi è che lasciano la gente libera di scegliere un'attitudine o l'altra, a seconda delle proprie sensazioni o delle idee politiche. Così, credo che abbiamo maledettamente bisogno di inquadrare i nostri modelli in “bocconi a portata di mente” di conoscenza – come suggerito da Seymour Papert – che la gente possa afferrare.

Come esempio, ecco come Magne Myrveit ha rappresentato le cinque riserve principali del modello de “I Limiti dello Sviluppo” (da un saggio dal titolo "The World Model Controversy").



Questa figura può essere criticata come un'eccessiva semplificazione, ma è un grande passo avanti nel senso che da un'immediata idea visiva di cosa siano gli elementi principali del modello. Però ha un problema. “A portata di mente” non significa solo ridurre il numero di elementi nel modello. Significa, secondo me, fornire anche una traccia su cosa fa funzionare il modello. In altre parole, una rappresentazione come questa, semplice com'è, soffre ancora della sindrome spaghetti. E' statica; non ti dice niente sul dove il sistema stia andando. E, tuttavia, i risultati dei calcoli mostrano chiaramente che il sistema sta andando da qualche parte; sta subendo un ciclo di crescita e declino. Questo non è affatto chiaro in questa figura.

Così, penso che se vogliamo realizzare modelli a portata di mente che siano utili, dobbiamo chiarire che c'è una tendenza; una forza, il risultato di qualcosa che in termini tecnici è chiamato “potenziale”. I potenziali generano forze e le forze muovono le cose. Penso che sia questo il punto che Jacques Lefevre stava indicando quando usava la metafora delle reazioni chimiche per descrivere i modelli della dinamica dei sistemi. Ma c'è una metafora ancora più semplice: "le dinamiche della vasca da bagno" come spiegato da John Sterman e Linda Sweeney.



Ora, questo è un vero modello a portata di mente, nel senso che è chiaro che è la gravità (o meglio, il potenziale gravitazionale) che muove l'acqua in una certa direzione. Questa rappresentazione del modello non è statica, mostra cosa accade. E' stato con questo esempio in mente che ho proposto l'immagine della “fontana a tre piani” come rappresentazione di un semplice modello del mondo:




Né la vasca da bagno, né la fontana hanno le caratteristiche che chiamiamo “feedback”, che sono cruciali nei modelli del mondo in quanto generano crescita e declino non lineari. Tuttavia, queste sono immagini che chiariscono il fatto che il sistema è guidato da un potenziale. L'acqua deve andare da qualche parte e questo è a causa del potenziale gravitazionale. Poi, è chiaro che se partiamo da un piccolo serbatoio che non viene alimentato ulteriormente, ad un certo punto l'acqua deve finire. 

In un modello del mondo non è la gravità che muove le cose, ma il potenziale termodinamico, a sua volta connesso con l'energia fornita delle risorse naturali che un'economia sfrutta. Dovrebbe anche essere chiaro che se le risorse naturali esistono in quantità limitate, ad un certo punto devono finire. Una volta compresi questi punti, possiamo usare anche modelli molto semplici “a tre stadi” per ottenere un patrimonio di intuizioni su come si comporta un sistema economico. Ho mostrato in un precedente post come certi semplici modelli possono spiegare “l'Effetto Seneca“, che è il motivo per il quale il declino di sistemi economici e sociali è spesso molto più rapido della crescita.

Così, penso che questa sia una linea da seguire se vogliamo che i nostri modelli siano capiti e, più di tutto, che gli venga dato seguito. Questo è vero sia per l'esaurimento delle risorse, sia per il cambiamento climatico, che sono due lati della stessa medaglia. Ma i modelli a portata di mente potrebbero risolvere il problema dello scollamento fra scienziati e persone che prendono le decisioni? Be', questo non sarà facile, naturalmente. A volte quando uso questi modelli, mi vedo davvero come l'antica Cassandra, la profetessa Troiana, mentre disegno diagrammi di riserve e flussi sulla sabbia di fronte ai perplessi cittadini Troiani. Non facile. Tuttavia, penso che dobbiamo provarci.


sabato 8 dicembre 2012

"Limiti dello Sviluppo": una storia alternativa


Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di Massimiliano Rupalti

Nel 1972, il rapporto intitolato “I Limiti dello Sviluppo” aveva discusso una serie di scenari sulle attuali tendenze che predicevano un collasso economico ad un certo punto nel ventunesimo secolo. Il rapporto raccomandava anche azioni progettate per evitare un tale collasso e stabilizzare il sistema economico. Tuttavia, queste raccomandazioni sono state ignorate ed il rapporto è stato demonizzato per mezzo di una campagna propagandistica. In questo post, Max Iacono esamina una “storia alternativa”, in cui il rapporto avrebbe incluso scenari basati sull'accettazione o il rifiuto del rapporto stesso. 


Guest post di Max Iacono

Max Iacono è laureto al MIT in Ingegneria Chimica, ha un dottorato in Psicologia Organizzativa all'Università del Michigan. La sua carriera sì è svolta nel campo delle risorse umane e dello sviluppo istituzionale con diverse multinazionali americane, aziende di consulenza, con la Banca Mondiale e con l'Organizzazione Internazionale del Lavoro. 


Consideriamo che, ipoteticamente, il Club di Roma e la squadra di autori del MIT avessero aggiunto degli “scenari” (che chiamerò scenari di botteghino pessimista ed ottimista) che potrebbero essere considerati come parte del loro lavoro e forse acclusi in una forma appropriata come Appendice. 

Ma questi scenari aggiuntivi NON avrebbero avuto a che fare con nessuno degli Scenari del World Model probabili o improbabili e con le loro variabili collegate che sono stati modellati nel libro (quel lavoro era già ben fatto e di sicuro abbastanza approfonditamente), ma invece con la probabile accettazione o rifiuto del libro stesso da parte della società, per le relative traiettorie di accettazione probabili ed i suoi impatti sociali in termini sia di stimolo per la società in direzione di azioni correttive assortite o preventive (da parte di governi,da parte della società civile o dai vari attori del settore privato o da settore pubblico internazionale o da alcune combinazioni di questi) o nel mancare di fare ciò, o forse (perversamente) persino di avere un effetto opposto. 

Quali variabili aggiuntive avrebbero dovuto essere considerate dagli autori per cercare di modellare ed elaborare i due scenari sopra e come avrebbero più probabilmente interagito queste variabili con le altre trattate ne libro?

E se l'impatto finale sulla società ed il suo indirizzo futuro (economicamente e demograficamente saggio) era di fatto lo scopo del libro, allora forse sarebbe stato meglio considerare non solo lo scenario ottimistico della graduale accettazione del libro seguita da varie azioni positive da parte dei diversi protagonisti, per esempio nuove politiche e così via, per cambiare la rotta di collisione dell'umanità con diversi limiti naturali e fisici, ma anche lo scenario pessimista nel quale il libro sarebbe stato nel migliore dei casi frainteso e, nel peggiore, “naturalmente”, deliberatamente ed intenzionalmente diffamato e discreditato (a che per questo il suo impatto sarebbe stato molto scarso sui 40 anni successivi). 

Sarebbe stata una domanda legittima da porsi nel 1972? E se fosse stata posta correttamente e si fosse risposto correttamente, si sarebbe potuto fare tutto diversamente riguardo sia il contenuto del libro sia la sua spiegazione e promozione o la sua difesa? Se si dà uno sguardo veloce alla più recente formulazione del Club di Roma di “Un Nuovo Percorso verso lo Sviluppo del Mondo”, che può essere visionato qui, si vede subito che il Club ora vede questo Percorso generale come consistente di CINQUE componenti interattivi o “cluster di problemi interconnessi” e cioè:

1. Ambiente e Risorse: Cambiamento Climatico, Sicurezza Energetica, Ecosistema ed Acqua

2. Globalizzazione:  Distribuzione della Ricchezza e del Reddito, Occupazione; Ristrutturazione Economica, Mercato e Finanza

3. Sviluppo Internazionale: Crescita Demografica, Stress Ambientale, Povertà, Produzione di Cibo, Salute  e Occupazione

4. Cambiamento Sociale: Valori, Cultura, Identità e Comportamento

5. Pace e Sicurezza: Giustizia, Democrazia, Governance, Solidarietà, Sicurezza e Pace
Sono molto d'accordo col percorso soprastante a causa della mia esperienza professionale nel campo dell'assistenza allo sviluppo. 

Ma mi chiedo anche se nel caso il Club di Roma avesse provato ad elaborare una tale formulazione del “Nuovo Percorso per lo Sviluppo Mondiale” nel 1972, avrebbe (o avrebbe potuto) elaborare gli stessi cinque gruppi di problemi e variabili interattive ora elencate sopra. Siccome molte idee e pratiche e le loro teorie di base si sono evolute significativamente da allora in ognuna delle cinque aree e domini elencati, per esempio ricordiamo “le altezze dominanti” dell'economia e, più tardi, l'andirivieni fra Stato e Mercato, quale può essere il giusto equilibrio fra i due nei vari e diversi contesti nazionali?  

Ma quello che sembra chiaro è che il primo libro dei Limiti dello Sviluppo (LTG) si concentrava principalmente nel modellare misure di variabili ai punti 1 e 3 e solo secondariamente (o almeno in misura molto minore) ai punti 2,4 e 5. 

E questo nonostante l'obbiettivo del libro (un qualche tipo di impatto positivo sulla direzione dell'umanità) probabilmente sarebbe stato servito meglio o raggiunto ottenendo qualche cambiamento positivo nelle variabili e sub variabili che potrebbero essere più adatte ai punti 2,4 e 5. Perché senza senza alcuni cambiamenti a quelle variabili chiave intermedie o “mediative”, le rimanenti variabili economiche e fisiche trattate nello studio avrebbero potuto non ricevere sufficiente attenzione. Ed infatti questa realtà molto probabilmente indica alcune delle possibili ragioni per le quali al di fuori dei due scenari che ho suggerito sopra... (quello ottimista e quello pessimista) è stato quello pessimista che è risultato essere più corretto. Cioè, il libro NON è stato accolto particolarmente bene, accettato o considerato per l'azione. E molto sfortunatamente l'umanità ha perso 40 anni di tempo prezioso. 

Ugo Bardi ha già descritto molto bene e dettagliatamente le ragioni specifiche per le quali ciò è accaduto e quali sono stati gli attori e le forze “negative” o le influenze nella sua rivisitazione dei Limiti dello Sviluppo. Quindi non c'è alcun bisogno di ripeterle qui. 

Vorrei solo indicare alla considerazione dei lettori di questo blog che se “il cambiamento sociale” era di fatto l'obbiettivo del primo libro LTG, e se il suo contenuto e gli scenari erano orientati per far sì che tale cambiamento sociale alla fine accadesse, sarebbe stato possibile prevedere che il palese o anche solo tacito ed implicito suggerimento che tale cambiamento che sarebbe dovuto venire a discapito di molti valori sociali, molte identità, molti aspetti della cultura e molti aspetti del comportamento umano esistenti.  

Cioè, il contenuto e le implicazioni tacite o implicite del primo libro LTG, anche se non non faceva “raccomandazioni” specifiche ai governi, alla società civile, al settore privato o al settore pubblico internazionale (tipo, per esempio, di fondare un'istituzione come l'IPCC per studiare il cambiamento climatico in profondità e fare raccomandazioni), sarebbe stato in netto conflitto con lo status di allora di molte delle variabili umane, sociali, culturali, politiche, istituzionali ed ideologiche ricondotte al punto 4 sopra. 

Ed ugualmente il libro sarebbe anche entrato in conflitto con l'allora status delle variabili al precedente punto 5, vale a dire: sistemi di governo, sistemi politici democratici esistenti così come una diversa interpretazione della gente di “giustizia e solidarietà” (sia intra-generazionale sia intergenerazionale). Siccome molti aspetti esistenti di queste variabili chiave verrebbero minacciate dal libro e dai suoi argomenti  e prove, sarebbe stato possibile prevedere che il libro sarebbe stato rifiutato ed alla fine attivamente screditato da diversi attori... fino al momento in cui le prove a suo favore osservabili tutt'intorno non diventassero travolgenti, vale a dire il punto che stiamo rapidamente raggiungendo – o abbiamo già raggiunto – proprio ora, 40 anni dopo.  

Quanto sopra non è intesa in nessun modo come una critica al Club di Roma o agli autori di LTG, che credo abbiano fatto un lavoro ammirevole e valido. E naturalmente è anche piuttosto facile per me – o per chiunque altro – indicare “ex post” che il rifiuto del libro “poteva essere anticipato o previsto”. Io stesso NON lo avevo previsto e infatti ero orientato sul campo dello “scenario ottimista”, o “tipo di aspettativa” fino al momento in cui ho cominciato a vedere chiaramente e ad analizzare ciò che stava accadendo tutt'intorno come molto più in linea con lo “scenario pessimista”. 

Ma ora, a cosa fatta sembra piuttosto facile “prevedere” (o “post-vedere”) che i vari attori e forze sarebbero risultati anche più attivamente contro il libro. Ne elencherò solo alcuni generici che mi vengono in mente (ovviamente ce ne potrebbero essere molto di più): 

i) Le identità professionali di economisti sia famose che meno famose e le scuole di economia che potrebbero essersi sentiti minacciati o che potrebbero aver pensato che il libro non dava ai loro campi e ai loro modelli la considerazione e lo status (e la priorità?) che pensavano di meritare. Ma l'economia, le sue teorie ed alcuni dei suoi attori chiave “meritano” di fatto tale considerazione? La “teoria della dinamica dei sistemi” era una “intrusa” in un dominio economico altrimenti privato ed esclusivo?

ii) Vari interessi d'affari o economici e i loro relativi gruppi di appoggio e sotenitori che non volevano sentire (e certamente non volevano che il grande pubblico sentisse) che (la crescita economica perpetua” non avrebbe funzionato e che alcune restrizioni e limiti qualitativi e quantitativi prima o poi devono applicare alle proprie attività

iii) Diversi interessi politici, gruppi, partiti o tendenze che direttamente o indirettamente lavorano per gli stessi interessi del settore privato di cui sopra

iv) Diversi interessi ideologici e culturali in modo più ampio nella società umana ed in diversi fra i paesi più ricchi in particolare (o in paesi meno ricchi materialmente le cui popolazioni aspiravano alla definizione mainstream di “sviluppo” visto come ricchezza materiale) riguardo ogni modifica agli “stili di vita” attuali o futuri che l'accettazione delle idee e delle scoperte del libro potrebbero alla fine comportare

v) Vari interessi religiosi che potrebbero aver pensato che il libro potesse implicare di dover frenare la crescita della popolazione per questo finire in conflitto sia con la dottrina religiosa sia con le sue pratiche relative o norme (di tutte le principali religioni monoteistiche e dei loro vari sottogruppi)

vi) Vari interessi accademici e dei media che potrebbero risultare attivamente in favore o sotenitori di un qualsiasi altro interesse già elencato sopra

vii) E una volta che i media o l'accademia mainstream (o almeno alcune parti selezionate di queste) si sono rese conto è chiaro che l'attuale “sistema di propaganda” sarebbero a loro volta entrati in gioco per fare ciò che i sistemi propagandistici sanno fare così bene. Vale a dire fare molto di più di mentire e ingannare semplicemente sui singoli fatti, ma di, direttamente  o indirettamente, subdolamente o non tanto subdolamente disinformare, travisare, fuorviare, gettare discredito, avanzare idee  e valori sbagliati o comunque non propriamente costruttivi, o identità culturali, o conclusioni generali o specifiche, o linee d'azione, semplicemente perché favoriscono certi gruppi specifici o “clienti”, o interessi politici, economici e culturali del sistema della propaganda stesso; e, allo stesso tempo svilire e sminuire idee, valori, identità conclusioni o linee d'azione più corretti o scientifici, o più costruttive ed accurati, o più sensibili o plausibili.

Chiunque abbia dubbi su quest'ultimo punto e su come funzioni un componente del sistema propaganda deve solo guardare le “News” della Fox per qualche giorno per osservare come i suoi anchormen e commentatori trattano l'idea del cambiamento climatico, l'industria del petrolio e del gas, il fracking per i gas di scisti, lo sviluppo delle sabbie bituminose, il “drill, baby, drill” e tutti quei “fuorviati”, “abbraccia-alberi” e “sinistroidi” assortiti. E siccome, parlando in generale, l'ultima preoccupazione dei propagandisti è quella dei fatti o della verità, argomenti corretti e prove scientifiche sempre più evidenti non sono d'aiuto; i più capaci fra loro sono in grado di far satira e screditare, nella mente delle persone, anni di lavoro scientifico minuzioso e attento con una sola insinuazione culturale o di identità, o una calunnia contro una presunta ideologia o persino l'identità nazionale o regionale dello scienziato o dei suoi sostenitori. 

A questo propoasito, nella testa di certi segmenti delle audience americane, il solo termine “Club di Roma” potrebbe già essere sospetto, il che è probabilmente perché viene spesso enfatizzata dai propagandisti e dagli ideologi la difficoltà di attaccare e screditare il “MIT”, che è famoso negli Stati Uniti per il suo lavoro scientifico e tecnico e per vari contributi anche al complesso militare-industriale degli Stati Uniti. Mentre è molto meno difficile per gli O'Reilly di questo mondo dipingere a tinte fosche istituzioni come il Club di Roma come “un mucchio di socialisti europei a favore dell'ONU” (che per un parte significativa dell'audience televisiva americana è gradualmente diventato un puro anatema ancora grazie agli stessi tipi di propaganda). 

Quindi, anche se ora non si può fare molto per il fatto che il primo tentativo di LTG non è riuscito a prevedere o affrontare le reazioni facilmente prevedibili di cui sopra di almeno una parte significativa dei sistemi umani politici, ideologici e culturali e dei loro sottosistemi (ad esempio parti dei media ed anche parti del mondo accademico) è certamente indispensabile fare qualcosa su questo adesso. E penso che l'ultimo libro collegato, “2052” (di Jorgen Randers, ndt.) è molto più realistico nel tenere conto di tutto quanto detto sopra nella sua narrativa. 

Non voglio provare ad approfondire più di quanto abbia già fatto Jorgen Randers gli scenari futuri possibili. Penso che faccia già un lavoro eccellente ed avrei molto poco da aggiungere, quindi accetto semplicemente i suoi attuali punti di vista (e quelli degli autori dei suoi “scorci”) come le più probabili e le più qualificate in questo momento. Vale a dire, per “riassumere” in termini riduzionistici, che abbiamo un'opportunità del 50% di andare oltre i 2,3 gradi al di sopra delle temperature dell'era preindustriale ad un certo punto di questo secolo e a quel punto innescare il cambiamento climatico autosostenuto. Ma questo non significa che ulteriori, raffinati e migliori argomenti e modelli scientifici  (e la ricerca che permetterebbe di realizzarli) in favore o contro certi scenari non potrebbero o non dovrebbero essere svolti. E le previsioni più recenti sono infinitamente meno favorevoli e prevedono almeno 3,6°C di aumento, se non molto di più, se non vengono superati i punti di non ritorno chiave (come di recente sembra sempre più probabile). 

Per esempio, quanto è probabile (e quando è più probabile che accada) che il metano dell'Artico comincerà a contribuire significativamente al cosiddetto “auto-sostentamento” dell'aumento delle temperature ed ai suoi anelli di retroazioni auto amplificanti? Molto è stato studiato e scritto anche su questo tema e probabilmente abbiamo ancora bisogno di sapere molto di più anche se, probabilmente, sappiamo già abbastanza da sapere che c'è una forte possibilità che avvenga, o almeno sappiamo tanto quanto non abbiamo mai sperato di sapere entro margini realistici di errore empirico o concettuale. Dopo che sarà successo (se succede) lo sapremo con certezza. E nel frattempo un po' di prevenzione non vale solo una sterlina, ma circa 1000 sterline di cura (visto che è probabile che nessuna cura ex-post esista o che non funzioni affatto). 

Quindi, secondo me, anche se è molto importante continuare a fare sempre di più e sempre meglio, la ricerca scientifica e l'analisi in tutte le aree e le variabili e le loro relazioni che sono collegate ai LTG (ed alle variabili del cambiamento climatico in particolare) a questo punto potrebbe essere più importante lavorare proprio su quelle altre variabili che non sono state sufficientemente affrontate nel e dal primo libro. Vale a dire come raggiungere quella parte dell'umanità che rimane in gran parte per lo più ignorante e/o addirittura attivamente recalcitrante (non dovremmo considerare solo coloro che sono stati convinti, vale a dire i vare gruppi e componenti della cosiddetta massa o movimento della “sostenibilità”, ma la stragrande maggioranza dei nostri 7 miliardi di abitanti terrestri umani che ancora o non sanno o non se ne interessano abbastanza, o che non sanno cosa fare o come poterlo fare) da prendere a bordo per cominciare ad agire sulla minaccia all'esistenza stessa che, molto probabilmente, affronta l'intera umanità. Anche se la portata esatta, la tempistica e l'evoluzione specifica della minaccia continuano ad essere studiate scientificamente. 

In altre parole potrebbe essere più importante ora portare a sopportare quello che sappiamo o che possiamo ancora imparare nelle scienze geofisiche, fisiche, naturali, biologiche, ecologiche e demografiche riguardo le sorgenti e i pozzi, la “capacità di carico” e i LTG, ma ANCHE quello che sappiamo sulla società umana e come giungere a cambiarla in termini di scienza politica, economia politica, cultura, vari componenti dell'identità umana, psicologia, ideologia, governance e tutte le loro istituzioni collegate ed i vari mezzi e metodi disponibili per tentare di modificare o cambiarle sufficientemente in modo da portare cambiamenti sociali, economici, politici e sistemici necessari a raggiungere una autentica sostenibilità prima che possa essere troppo tardi. 40 anni sono andati perduti dal primo avvertimento del tutto cristallino e non dovremmo perderne altri 40. Dovrebbe essere scritto un nuovo LTG focalizzato su “come cambiare e riconfigurare praticamente la società umana” e i suoi attuali paradigmi sistemici in modo che questa si conformerà molto meglio ai limiti fisici, ecologici e/o demografici?