Di Richard Heinberg
Questo post è un estratto dal libro
The End of Growth di Richard Heinberg da poco uscito ma non ancora disponibile in italiano. Potete trovare qui il post originale.Traduzione di Massimiliano Rupalti.
Introduzione: la nuova normalità
L'asserzione centrale di questo libro è allo stesso tempo semplice e sorprendente: la crescita economica così come la conosciamo è finita.
La “crescita” di cui parliamo consiste nell'espansione delle dimensioni totali dell'economia (con più persone raggiunte e più soldi che girano) e delle quantità di energia e beni materiali che fluiscono attraverso di essa.
La crisi economica iniziata nel 2007-2008 era prevedibile ed evitabile e costituisce un punto di rottura permanente e fondamentale rispetto ai decenni precedenti, un periodo in cui la maggior parte degli economisti adottava la visione irrealistica per cui la crescita economica perpetua è necessaria ed anche possibile da ottenere. Ora ci sono barriere fondamentali alla continua espansione economica e il mondo è in collisione con queste barriere.
Con questo non voglio dire che gli Stati Uniti o il mondo nel suo complesso non vedrà mai più un altro trimestre o un anno di crescita relativa al trimestre o anno precedente. Tuttavia, se si fa una media delle variazioni, la tendenza generale dell'economia (misurata in termini di produzione e consumo di beni reali) sarà stabile o in discesa piuttosto che in crescita, da adesso in poi.
Neppure sarà impossibile per ciascuna regione, nazione o impresa continuare a crescere per un po'. Alcuni lo faranno. In ultima analisi, tuttavia, questa crescita sarà raggiunta a spese di altre regioni, nazioni o imprese. Da ora in poi, solo la crescita relativa è possibile; l'economia mondiale sta giocando un gioco a somma zero, con a disposizione una torta sempre più piccola da dividere fra i vincitori.
Perché la crescita sta terminando?
Molti esperti finanziari indicano problemi profondi interni all'economia - compresi opprimenti, impagabili livelli di debito pubblico e privato e lo scoppio della bolla dei beni immobili – come minacce immediate al recupero della crescita economica. Il presupposto generalmente è che, alla fine, una volta che ci si siano fatti i conti, la crescita possa e voglia riprendere. Ma gli esperti generalmente tralasciano fattori esterni all'economia finanziaria che rendono un recupero della crescita economica convenzionale praticamente impossibile. Questa non è una condizione temporanea; è essenzialmente permanente.
Tutto considerato, come vedremo nei prossimi capitoli, ci sono tre fattori primari che si presentano come ostacoli sulla strada di un'ulteriore crescita economica:
•L'
esaurimento di importanti risorse inclusi i combustibili fossili ed i minerali;
•La proliferazione di impatti ambientali derivati sia dall'uso, sia dall'estrazione di risorse
(incluso bruciare combustibili fossili) che portano a costi in continua crescita a causa di
entrambi questi impatti e dagli sforzi per evitarli e per ripulirli;
•la spaccatura finanziaria dovuta all'incapacità del nostro sistema monetario, bancario e di
investimento di sistemare sia la scarsità delle risorse, sia l'impennata dei costi ambientali.
E la loro incapacità (nel contesto di un'economia in contrazione) di risolvere l'enorme cumulo
di debito privato e pubblico che è stato generato durante i due decenni passati.
Nonostante la tendenza dei commentatori finanziari a focalizzarsi sugli ultimi due fattori, è possibile indicare letteralmente migliaia di eventi, negli anni recenti, che illustrano come tutti e tre interagiscano e stiano colpendo con sempre più forza.
Considerate un solo esempio: la catastrofe petrolifera della Deepwater Horizon del 2010 nella parte statunitense del Golfo del Messico.
Il fatto che la BP stesse perforando per il petrolio nel Golfo del Messico, illustra una tendenza generale: mentre, si dice, il mondo non corre il pericolo di
esaurire il petrolio, c'è veramente poco nuovo petrolio da trovare sulla terraferma, dove perforare è economico. Queste aree sono già state esplorate ed i loro ricchi bacini di idrocarburi sono stati esauriti. Secondo l'International Energy Agency (IEA) dal 2020 quasi il 40% della produzione di petrolio mondiale proverrà da regioni dalle acque profonde. Così anche se è difficile, pericoloso e costoso mettere in opera una trivellazione in un miglio o due di acqua dell'oceano, questo è quello che l'industria del petrolio dovrà fare se vuole continuare a fornire il suo prodotto. Ciò significa petrolio più caro.
Ovviamente, i costi ambientali dell'esplosione e della fuoriuscita di petrolio dalla Deepwater Horizon sono state rovinose. Né gli Stati Uniti, né l'industria petrolifera possono permettersi un altro incidente di quella grandezza. Così, nel 2010 l'amministrazione Obama ha istituito una moratoria sulle perforazioni in alto mare nel Golfo del Messico mentre prepara nuove regole per le perforazioni. Queste regole renderanno senza dubbio le future esplosioni disastrose meno probabili, ma si aggiungeranno ai costi delle compagnie e per questo ai già alti costi del petrolio.
L'incidente della Deepwater Horizon illustra anche, in un certo senso, gli effetti a catena dell'esaurimento e del danno ambientale sulle istituzioni finanziarie. Le compagnie di assicurazione sono state costrette ad alzare i loro premi relativi alle operazioni di perforazione in alto mare e gli impatti sulla pesca della regione hanno colpito l'economia della costa del golfo multo duramente. Siccome i costi economici per la regione del Golfo sono stati in parte sostenuti dalla BP, questi pagamenti hanno costretto la compagnia a riorganizzarsi ed hanno come risultati il minor valore degli stock ed il minor ritorno agli investitori. I guai finanziari della BP a loro volta hanno avuto un impatto sui fondi pensione britannici che erano investiti nella compagnia.
Questo è solo un evento – anche se spettacolare. Se fosse un problema isolato, l'economia potrebbe recuperare ed andare avanti. Ma stiamo, e staremo, assistendo ad una cavalcata di disastri economici, non legati fra loro in maniera evidente, che ostacoleranno la crescita economica in più e più modi. Questi comprenderanno, ma non saranno limitati a:
•I cambiamenti climatici che ci porteranno a siccità locali, alluvioni ed anche alla carestia.
•Carenze di acqua ed energia;
•Ondate di fallimenti bancari, compagnie in bancarotta e pignoramenti di case.
Tutti saranno trattati come casi speciali, un problema da risolvere per poter “tornare alla normalità”. Ma in ultima analisi, sono tutte collegate dal fatto che sono conseguenze della crescita della popolazione umana che si sforza per avere un maggior consumo pro-capite di risorse limitate (incluse le non rinnovabili, combustibili fossili climalteranti), tutto su un pianeta finito e fragile.
Nel frattempo, il passaggio di decenni di accumulo del debito ha creato le condizioni per il crash finanziario del secolo – che si sta dispiegando intorno a noi e che in sé ha il potenziale di generare agitazione politica e miseria umana.
Il risultato: stiamo assistendo ad una tempesta perfetta di crisi convergenti che insieme rappresentano uno spartiacque nella storia della nostra specie. Noi siamo testimoni di una transizione, e vi partecipiamo, da decenni di crescita economica a decenni di contrazione economica.
Perché la crescita è così importante?
Durante gli ultimi due secoli, la crescita divenne virtualmente il solo indice di benessere economico. Quando un'economia cresceva, il lavoro arrivava e gli investimenti producevano ritorni alti. Quando l'economia smetteva temporaneamente di crescere, come fece durante la Grande Depressione, seguivano salassi finanziari.
Durante questo periodo la popolazione mondiale aumentava – da meno di due miliardi di esseri umani sul pianeta Terra nel 1900 ai quasi 7 miliardi di oggi; stiamo aggiungendo circa 70 milioni di nuovi “consumatori” ogni anno. Questo rende un'ulteriore crescita ancora più cruciale: se l'economia stagnasse ci sarebbero meno merci e servizi
pro-capite in giro.
Ci siamo affidati alla crescita economica per lo “sviluppo” delle economie più povere del mondo; senza crescita, dobbiamo seriamente prendere in considerazione la possibilità che centinaia di milioni, forse miliardi, di persone non raggiungeranno nemmeno una versione rudimentale dello stile di vita del consumatore adottato dalla gente nelle nazioni industrializzate del mondo.
Infine, abbiamo creato sistemi monetari e finanziari che richiedono
crescita. Finché l'economia è in crescita, vale a dire più credito e più soldi sono disponibili, le aspettative sono alte, la gente acquista più merci, le imprese ottengono più prestiti e gli interessi sui prestiti esistenti possono essere facilmente ripagati. Ma se non entra più denaro nuovo nel sistema, gli interessi sui prestiti esistenti non possono essere pagati.; come risultato, aumento dei default, perdita di lavoro, crollo delle entrate e contrazione delle spese nei consumi – che porta le imprese a sottoscrivere meno prestiti, causando l'entrata di ancor meno denaro nell'economia. Questo è un loop di feedback autodistruttivo che si alimenta da solo che è molto difficile da fermare una volta partito.
In altre parole, l'economia non ha nessuna situazione “stabile” né “neutrale”: c'è solo crescita o contrazione. E “contrazione” è un nome più carino per dire Depressione – un lungo periodo di perdite di lavoro, pignoramenti, fallimenti e bancarotta.
Ci siamo così abituati alla crescita che è difficile ricordare che è un fenomeno abbastanza recente. Durante i millenni passati, mentre gli imperi ascendevano e cadevano, le economie locali avanzavano e recedevano – ma l'attività economica mondiale si espandeva solo lentamente e periodicamente decresceva. Tuttavia, con la rivoluzione dei combustibili fossili degli ultimi due secoli abbiamo sperimentato la crescita ad una velocità e scala senza precedenti in tutta la storia umana. Abbiamo sfruttato le energie del carbone, del petrolio e del gas naturale per costruire e usare automobili, camion, autostrade, aeroporti, aeroplani e reti elettriche –
tutte caratteristiche essenziali della moderna società industriale. Attraverso il processo irripetibile di estrarre e bruciare luce solare immagazzinata chimicamente in un processo durato milioni di anni, abbiamo costruito ciò che è sembrato essere (per un breve e splendente momento) una macchina della crescita perpetua. Abbiamo imparato a dare per scontata una situazione che è straordinaria. E' diventata normale.
Ma siccome l'era dei combustibili fossili a buon mercato sta giungendo al termine, i nostri presupposti su una continua espansione sono stati scossi nel profondo. La fine della crescita è un affare molto grande davvero. Significa la fine di un'era e dei nostri attuali modi di organizzare l'economia, la politica e la vita quotidiana. Senza crescita, dovremo virtualmente reinventare la vita umana sulla Terra.
E' essenziale che noi
riconosciamo e capiamo il significato di questo momento storico: se di fatto avessimo raggiunto la fine dell'era della espansione economica alimentata dai combustibili fossili, gli sforzi dei politici di continuare a perseguire una crescita inafferrabile costituisce una vera e propria fuga dalla realtà. I leaders mondiali, se sono delusi dalla nostra attuale situazione, sono suscettibili di ritardare la messa in atto di servizi di supporto che possono rendere la vita in un'economia non in crescita vivibile. E loro quasi certamente falliranno nel fare cambiamenti necessari e fondamentali cambi ai sistemi monetari, finanziari, alimentari e dei trasporti.
Il risultato sarebbe che ciò che poteva essere un doloroso ma sopportabile processo di adattamento potrebbe diventare la più grande tragedia della storia. Possiamo sopravvivere alla fine della crescita economica, ma solo se ci rendiamo conto per quale motivo stia accadendo e se ci comportiamo di conseguenza.
Ma la crescita non è normale?
Le economie sono sistemi, e come tali (fino a certe estensione almeno) seguono regole analoghe a quelle che governano i sistemi biologici. Piante ed animali tendono a crescere velocemente quando sono giovani, ma poi raggiungono una più o meno stabile dimensione matura. Negli organismi, i tassi di crescita sono prevalentemente controllati dai geni, ma anche dalla disponibilità di cibo.
Nelle economie, la crescita sembra legata alla pianificazione economica e anche alla disponibilità di risorse – principalmente risorse di energia (“cibo” per il sistema industriale), così come il credito (“ossigeno” per l'economia).
Durante i 19° ed il 20° secolo, l'accesso in espansione a combustibili fossili abbondanti ed a buon mercato rese possibile una rapida espansione economica; i pianificatori economici cominciarono a prendere questa situazione come assodata. I sistemi finanziari interiorizzarono l'aspettativa di crescita come una speranza dei ritorni dagli investimenti.
Ma proprio come gli organismi cessano di crescere, le economie devono fare lo stesso. Anche se i pianificatori (i regolatori della società equivalenti al DNA) dettassero più crescita, ad un certo punto l'aumento delle quantità di “cibo” ed “ossigeno” potrebbero venir meno. E' anche possibile, per i rifiuti industriali, di essere accumulati al punto che i sistemi biologici che sono alla base dell'attività economica (come le foreste, le colture ed i corpi umani) vengano soffocati ed avvelenati.
Ma molti economisti non vedono le cose in questo modo. Probabilmente perché le attuali teorie economiche sono state formulate durante l'anomalo periodo storico della crescita sostenuta, che ora sta finendo. Gli economisti stanno meramente generalizzando la loro esperienza: possono far riferimento a decenni di crescita stabile nel passato recente e progettano semplicemente questa esperienza nel futuro. Inoltre utilizzano alcuni modi per spiegare il perché le moderne economie di mercato sono immuni dal tipo di limiti cui sono sottoposti i sistemi naturali: i due principali hanno a che fare con la
sostituzione e l'efficienza.
Se una risorsa utile diventa scarsa, il suo prezzo salirà e questo creerà un incentivo per chi usa la risorsa a trovare un sostituto. Per esempio, se il petrolio diventa abbastanza caro, le compagnie energetiche potrebbero cominciare a produrre combustibili liquidi dal carbone. Oppure potrebbero sviluppare altre fonti energetiche impensate fino ad oggi. Molti economisti teorizzano che questo processo di sostituzione può continuare per sempre. E' parte della magia del libero mercato.
Aumentare l'efficienza significa fare di più con meno. Negli Stati Uniti, il numero di dollari al netto dell'inflazione generati nell'economia per ogni unità di energia consumata è cresciuto stabilmente durante i decenni passati (
la quantità di energia, in Unità Termiche Britanniche, richieste per produrre un dollaro di PIL è crollato da circa 20,000 BTU per dollaro nel 1949 a 8,500 BTU nel 2008). Parte di questa aumentata efficienza è giunta come risultato dell'esternalizzazione della produzione in altri paesi – che bruciano carbone, petrolio o gas naturale per produrre merci (se facessimo da soli le nostre scarpe o le TV LCD, per esempio, dovremmo bruciare quell'energia nei nostri paesi). Gli economisti indicano anche un'altra relativa forma di efficienza che ha meno a che fare con l'energia (in modo diretto, perlomeno): il processo di identificazione delle sorgenti di materiali più economiche e dei luoghi dove i lavoratori saranno più produttivi e lavoreranno per i salari più bassi. Incrementando l'efficienza, noi usiamo di meno – energia, risorse, lavoro e denaro – per fare di più. Questo facilita una maggiore crescita.
Trovare sostituti per risorse in esaurimento ed incrementare l'efficienza sono innegabilmente strategie adattive valide delle economie di mercato. Ciononostante la questione di quanto a lungo queste strategie possano continuare a funzionare nel mondo reale, rimane aperta, visto che il mondo reale è governato più dalle leggi della fisica che dalle teorie economiche. Nel mondo reale, alcune cose non hanno sostituti, o i sostituti sono troppo costosi, o non funzionano ugualmente bene, o non possono essere prodotti in modo sufficientemente rapido. E l'efficienza segue una legge di diminuzione del ritorno: i primi guadagni in efficienza sono generalmente economici, ma ogni ulteriore aumento di guadagno tende a costare di più, fino a che ulteriori guadagni diventano cari in modo proibitivo.
Alla fine, non possiamo esternalizzare più del 100% della produzione, non possiamo trasportare merci con zero energia e non possiamo contare sugli sforzi dei lavoratori o contare sul fatto che comprino i nostri prodotti se li retribuiamo con nulla. A differenza di molti economisti, la maggior parte dei fisici riconosce che la crescita all'interno di qualsiasi sistema confinato e funzionante deve prima o poi fermarsi.
La matematica semplice della crescita composta
In linea di principio, l'argomentazione per un eventuale fine della crescita è un colpo di teatro. Se ogni quantità cresce costantemente di una certa percentuale fissata ogni anno, questo implica che questa raddoppierà la sua dimensione in un certo numero di anni; più alto è il tasso di crescita in percentuale, più veloce è il raddoppio. Un metodo approssimativo per capire i tempi di raddoppio è conosciuto come la regola del 70: dividere il tasso di crescita percentuale per 70 dà il tempo approssimativo richiesto perché la quantità iniziale raddoppi. Se una quantità cresce dell'1% all'anno, raddoppierà in 70 anni; al 2% di crescita annuale raddoppierà in 35 anni; al 5%di crescita, raddoppierà in soli 14 anni e così via. Se volete essere più precisi potete usare il tasto Y^x di una calcolatrice scientifica, ma la regola del 70 funziona bene per la maggior parte degli scopi.
Ecco un esempio dal mondo reale: nel corso degli ultimi due secoli, la popolazione umana è cresciuta a ritmi che vanno da meno dell'1% a più del 2% all'anno. Nel 1800, la popolazione mondiale era di circa un miliardo; nel 1930 è raddoppiata a due miliardi. Solo 30 anni più tardi (nel 1960) è raddoppiata nuovamente a 4 miliardi; attualmente siamo sulla buona strada per realizzare il terzo raddoppio a 8 miliardi di umani, circa nel 2025. Nessuno si aspetta seriamente che la popolazione mondiale continui a crescere per secoli in futuro. Ma immaginate se lo facesse – ad un tasso di solo 1,3% all'anno (il suo tasso di crescita del 2000). Nel 2780 ci sarebbero 148.000 miliardi di umani sulla Terra – una persona per ogni metro quadrato circa di terra sulla superficie del pianeta.
Non succederà, ovviamente.
In natura, la crescita si scontra con limiti non negoziabili, prima o poi. Se una specie scopre che la sua fonte di cibo si è ingrandita, aumenterà di numero per sfruttare quel surplus di calorie – ma poi la sua fonte di cibo si esaurirà poiché ci sono più bocche che la consumano ed i suoi predatori diventeranno allo stesso modo più numerosi (più pasti gustosi a loro disposizione!). Le “fioriture” di popolazione (o periodi di rapida crescita) sono sempre seguiti da crolli e morie. Sempre.
Ecco un altro esempio dal mondo reale. Negli ultimi anni l'economia cinese è cresciuta dell'8% o più ogni anno; questo significa che sta raddoppiando la sue dimensione ogni 10 anni: Infatti, la Cina consuma più del doppio di carbone di quanto facesse un decennio fa – analogamente a petrolio e minerali di ferro. La nazione adesso ha il quadruplo delle autostrade che aveva e quasi il quintuplo delle automobili. Quanto potrà durare? Quanti ulteriori raddoppi possono verificarsi prima che la Cina abbia esaurito le sue risorse chiave – o prima che decida che possa bastare ed abbia smesso di crescere? Non è facile rispondere a questa domanda con una data specifica, ma si può rispondere.
Questo dibattito ha implicazioni molto reali, perché l'economia non è solo un concetto astratto; è ciò che determina se viviamo nel lusso o nella povertà, se mangiamo o siamo affamati. Se la crescita economica finisce, tutti ne subiremo un impatto e la società impiegherà anni per adattarsi alle nuove condizioni. Quindi è importante sapere se quel momento è a portata di mano o lontano nel tempo.
La fine della crescita dovrebbe arrivare senza sorprese
L'idea che la crescita arriverà allo stallo ad un certo momento di questo secolo non è affatto nuova. Nel 1972, un libro intitolato “I limiti dello sviluppo” ha fatto notizia ed è diventato il miglior best seller ambientalista di tutti i tempi.
Quel libro, che ha riferito sui primi tentativi di usare il computer per modellare le interazioni possibili fra tendenze nel campo delle risorse, del consumo e della popolazione, fu anche il primo importante studio scientifico che metteva in discussione l'assunto che la crescita economica può continuare e continuerà più o meno ininterrottamente nel prossimo futuro.
L'idea era eretica allora – e lo è ancora. La nozione per cui la crescita
non può continuare e non continuerà oltre un certo punto si è dimostrato profondamente sconvolgente in alcuni ambienti, e presto I Limiti dello Sviluppo furono visibilmente “smentiti” da interessi commerciali pro-crescita. Nella realtà questa “demistificazione” consisteva semplicemente nel prendere pochi numeri nel libro completamente fuori contesto, citandoli come “predizioni” (cosa che esplicitamente non erano) e poi sostenendo che queste predizioni erano sbagliate. L'inganno fu presto svelato, ma le smentite spesso non ottengono lo stesso spazio delle accuse e così oggi milioni di persone credono, sbagliandosi, che il libro è stato screditato molto tempo fa. Di fatto, gli scenari della versione originale de “I limiti dello sviluppo” hanno retto abbastanza bene. (
Uno studio recente dell' Australian Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization (CSIRO) conclude:
“[La nostra] analisi mostra che 30 anni di dati storici risultano compatibili con le caratteristiche chiave dello scenario “business-as-usual” [de “I limiti dello sviluppo”]...)
Gli autori inserirono dati sulla crescita della popolazione mondiale, le tendenze di consumo e l'abbondanza di varie importanti risorse, fecero partire il loro programma e conclusero che la fine della crescita sarebbe arrivata probabilmente fra il 2010 ed il 2050. La produzione industriale e di cibo sarebbe poi crollata, portando ad un declino della popolazione.
Gli scenari dello studio
I Limiti dello Sviluppo sono stati riprodotti ripetutamente negli anni dai tempi della prima pubblicazione, usando software più sofisticati e dati in ingresso aggiornati. I risultati sono sempre stati simili ogni volta. (Vedi Limits to Growth: The 30-Year Update).
Lo scenario del Picco del Petrolio
Come menzionato, questo libro sosterrà che la crescita è finita per la convergenza di tre fattori – esaurimento delle risorse, impatto ambientale e sistematici fallimenti finanziari e monetari. Tuttavia, un singolo fattore potrebbe giocare un ruolo chiave nel portare l'età dell'espansione ad una chiusura. Questo fattore è il Petrolio.
Il petrolio occupa una posizione centrale nel mondo moderno – nei trasporti, nell'agricoltura e nell'industria chimica e dei materiali. La Rivoluzione Industriale è stata nei fatti la Rivoluzione dei Combustibili Fossili e l'intero fenomeno della continua crescita economica – compreso lo sviluppo delle istituzioni finanziarie che facilitano la crescita, come la riserva frazionaria bancaria – è, in ultima analisi, basata sulle sempre crescenti forniture di energia a buon mercato. La crescita richiede più produzione, più scambio e più trasporti e tutto questo in cambio richiede più energia. Questo significa che se le forniture energetiche non possono aumentare, e di conseguenza l'energia dovesse diventare significativamente più cara, la crescita economica vacillerà ed il sistema finanziario costruito sull'aspettativa di una crescita perpetua fallirà.
Non più tardi del 1998, i geologi petroliferi Colin Campbell e Jean Laherrère parlavano dell'impatto dello scenario del Picco del Petrolio in questo modo. Ad un certo momento intorno all'anno 2010, teorizzavano, forniture di petrolio in stagnazione o in declino avrebbero portato ad un'impennata del prezzo del petrolio ed alla sua volatilità, che avrebbe fatto precipitare un crollo economico globale. Questa rapida contrazione economica potrebbe a sua volta portare ad una domanda drasticamente ridimensionata, così che i prezzi del petrolio potrebbero crollare di conseguenza; ma nel momento in cui l'economia riguadagnasse forza, la domanda di petrolio recupererebbe, i prezzi salirebbero ancora e come risultato di questo l'economia ricadrebbe. Questo ciclo continuerebbe, con le fasi di recupero che si rivelerebbero sempre più brevi e deboli, ed ogni crollo più profondo e più pesante, fino a che l'economia si ritroverebbe in rovina. I sistemi finanziari basati sull'assunto della crescita continua imploderebbero, causando più devastazione sociale di quanto i picchi del prezzo del petrolio stessi genererebbero.
Nel frattempo i prezzi volatili del petrolio frustrerebbero gli investimenti in energie alternative: un anno, i prezzi del petrolio sarebbero così alti che quasi ogni altra fonte di energia sembrerebbe economica in confronto; l'anno successivo, i prezzi del petrolio sarebbero caduti quanto basta per far sì che chi usa energia ci tornasse, così da rendere folli gli investimenti in altre fonti energetiche. Ma bassi prezzi del petrolio scoraggiano le nuove esplorazioni petrolifere, portandoci a carenze di combustibile ancora peggiori subito dopo. I capitali di investimento sarebbero scarsi comunque a perché le banche sarebbero insolventi a causa del crollo, ed i governi sarebbero a pezzi a causa delle ridotte entrate tributarie. Nel frattempo, la competizione internazionale per la diminuzione delle forniture petrolifere potrebbe portare a guerre fra nazioni importatrici di petrolio, fra importatori ed esportatori e fra fazioni rivali all'interno delle nazioni esportatrici.
Negli anni seguenti alla prima pubblicazione di Campbell e Laherrère, molti esperti dichiaravano che le nuove tecnologie per l'estrazione del petrolio greggio avrebbero aumentato la quantità di petrolio ottenibile da ciascun pozzo scavato e che le enormi riserve di idrocarburi alternativi (principalmente sabbie bituminose e scisti petroliferi) sarebbero stati sviluppati per sostituire il petrolio convenzionale senza soluzione di continuità, posticipando così l'inevitabile picco per decenni. C'erano anche coloro che dicevano che il Picco del Petrolio non sarebbe stato un grande problema anche se fosse arrivato presto, perché il mercato avrebbe trovato altre fonti di energia o possibilità di trasporto con la necessaria rapidità – auto elettriche, idrogeno o combustibili liquidi fatti col carbone.
Negli anni successivi, gli eventi sembravano supportare la tesi del Picco del petrolio e ridimensionare il punto di vista degli ottimisti del petrolio. I prezzi del petrolio tendevano rapidamente a crescere , e per ragioni del tutto prevedibili: le scoperte di nuovi giacimenti petroliferi continuavano a diminuire, con la maggior parte dei nuovi giacimenti sempre più difficili e cari da sviluppare di quelli scoperti negli anni precedenti. Più nazioni produttrici di petrolio vedevano i loro tassi di estrazione raggiungere il picco e cominciare a declinare nonostante gli sforzi per mantenere la crescita della produzione usando alta tecnologia, costosi metodi di estrazione secondaria e terziaria come l'iniezione di acqua, azoto o co2 per spingere maggior petrolio fuori dalla terra. I tassi di declino della produzione nei vecchi giacimenti di petrolio super giganti, che giocavano la parte del leone nella fornitura mondiale di petrolio, acceleravano. La produzione di combustibili liquidi dalle sabbie bituminose si espandeva molto lentamente , mentre lo sviluppo degli scisti bituminosi rimaneva una vacua promessa per un lontano futuro.
Da una terrificante Teoria ad una ancor più terrificante Realtà
Poi nel 2008, lo scenario del Picco del Petrolio è diventato fin troppo reale. La produzione mondiale di petrolio è stata in stagnazione dal 2005 ed i prezzi sono volati in alto. Nel luglio 2008, il prezzo al barile è schizzato a quasi 150$ - una volta e mezza in più (in termini al netto dell'inflazione) del picco del prezzo del 1970 che ha scatenato la peggior recessione dalla Seconda Guerra Mondiale. Nell'estate del 2008, leindustrie dell'auto, dei trasporti, delle spedizioni internazionali, dell'agricoltura e delle linee aeree stavano tutte barcollando.
Ma ciò che è successo dopo ha monopolizzato l'attenzione del mondo a tal punto che il picco del prezzo del petrolio è stato del tutto dimenticato: in settembre, il sistema finanziario globale è quasi collassato. Le ragioni di questa improvvisa, stringente crisi aveva apparentemente a che fare la bolla dell'edilizia, con la mancanza di regolamentazione adeguata dell'industria bancaria e con l'abuso di prodotti finanziari che quasi nessuno capiva. Tuttavia, il picco del prezzo del petrolio aveva giocato un ruolo critico (anche se in gran parte trascurato) nel dare inizio alla crisi economica (vedi Temporary Recession or the End of Growth?).
Fra le conseguenze immediate di quella esperienza di quasi-morte della finanza globale, sia lo scenario dell'impatto del Picco del Petrolio proposto un decennio prima sia quello standard de
I Limiti dello Sviluppo del 1972 sembravano essere confermati con inquietante e spaventosa accuratezza. Il mercato globale stava fallendo. Le più grandi compagnie produttrici di automobili del mondo venivano tenute in vita forzosamente. L'industria del trasporto aereo degli Stati Uniti si era ridotta da almeno 3 mesi. Rivolte per il cibo stavano esplodendo nelle nazioni povere in tutto il mondo. Le guerre persistenti in Iraq (la nazione con la seconda riserva al mondo di petrolio greggio) e Afghanistan (il sito di contestati oleodotti e gasdotti) continuavano a far sanguinare le casse delle più importati nazioni importatrici di petrolio.
Nel frattempo, il dibattito su cosa fare per tenere a freno il cambiamento climatico globale esemplificava l'inerzia politica che aveva tenuto il mondo sulla strada della calamità sin dai primi anni 70. E' diventato ovvio ormai, praticamente per ogni persona di modesta istruzione o intelletto, che il mondo ha due urgenti ed incontrovertibili ragioni per uscire rapidamente dalla dipendenza dai combustibili fossili: le minacce gemelle delle catastrofi climatiche e le imminenti limitazioni nelle forniture di carburanti. Già alla conferenza sul clima di Copenhagen nel dicembre 2009, le priorità della maggior parte della nazioni dipendenti dai carburanti erano chiare: le emissioni di anidride carbonica dovrebbero essere tagliate e la dipendenza da combustibili fossili ridotta,
ma solo se fare questo non minacci la crescita economica.
La Componente finanziaria della Contrazione economica
Se i limiti delle risorse e il degrado ambientale stavano chiudendo i rubinetti della crescita, il dolore palpabile che i semplici cittadini stavano sperimentando direttamente sembrava provenire prevalentemente da una direzione completamente diversa: perdita di lavoro e collasso dei prezzi dei beni immobili.
Come vedremo nei capitoli 1 e 2, le aspettative di crescita continua, nei decenni precedenti, sono state trasformate in enormi quantità di debito dei consumatori e del governo. Gli americani non diventavano più ricchi inventando nuove tecnologie o fabbricando beni di consumo, ma semplicemente vendendo e comprando case, o muovendo soldi in giro da un investimento all'altro
o facendo pagare spese di transazione come altri hanno fatto.
Mentre un nuovo secolo sorgeva, l'economia mondiale si trascinava da una bolla all'altra: la bolla delle economie asiatiche emergenti, la bolla dell'informatica, la bolla immobiliare. Tutti sapevano che queste sarebbero scoppiate alla fine, come le bolle fanno sempre, ma gli investitori “svegli” tendevano ad entrare presto ed uscire abbastanza rapidamente da fare grandi profitti ed evitare il caos conseguente.
Nei folli giorni dal 2002 al 2006, milioni di Americani arrivarono ad affidarsi all'impennata del valore immobiliare come fonte di reddito, trasformando le loro case in ATM's (per usare ancora l'espressione usata così spesso poi). Mentre i prezzi continuavano a salire, i proprietari di case si sentivano giustificati nel prendere prestiti per rimodernare la cucina o il bagno e la banca si sentiva a posto nel concedere nuovi crediti. Nel frattempo, i maghi di Wall Street stavano trovando modi per spezzettare ed affettare i mutui subprime che potevano essere venduti in succulente obbligazioni di debito collateralizzato, che poteva essere
venduto ad un premio agli investitori – con poco o nessun rischio! Dopo tutto i valori immobiliari erano destinati solo a crescere. Dio non sta creando altra terra, è diventata un realtà evidente.
Il credito ed il debito si sono espansi nell'euforia dei soldi facili. Questo ottimismo stordito ha portato ad una crescita dei posti di lavoro nelle costruzioni e nell'edilizia, mascherando la perdita di posti di lavoro di fondo in corso nei settori produttivi.
Pochi cupi esperti finanziari hanno usato termini come “castello di carte”, “polveriera” e “candelotto di dinamite” per descrivere la situazione. Sarebbero bastati una brezza metaforica o una scintilla birichina per produrre un esito catastrofico. Indiscutibilmente, il picco del prezzo del petrolio della metà del 2008 è stato più che sufficiente per farlo.
Ma la bolla dell'edilizia era in sé stessa un evidentemente solo un fusibile più sensibile: in realtà, l'intero sistema economico era diventato follemente dipendente da aspettative di una crescita perpetua impossibili da realizzare ed era predisposta alla detonazione. Il denaro era legato al credito e il credito era legato ai presupposti di la crescita. Una volta che la crescita è divenuta ardua, la reazione a catena del default e della bancarotta è cominciata: eravamo in un'esplosione al rallentatore.
Lo sforzo dei governi da quel momento è stato diretto a far ripartire la crescita. Ma, se in misura molto limitata questi sforzi ebbero un temporaneo successo alla fine del 2009, essi in realtà hanno mascherato la sottostante contraddizione al centro dell'intero sistema economico; l'assunto che possiamo avere un crescita infinita in un pianeta finito.
Cosa viene dopo la Crescita?
La presa di coscienza del fatto che abbiamo raggiunto il punto in cui la crescita non può continuare è innegabilmente sconfortante. Ma una volta superato questo ostacolo psicologico, ci sono delle notizie moderatamente buone.
Non tutti gli economisti sono caduti sul paradigma che la crescita continuerà per sempre. Ci sono scuole di pensiero economico che riconoscono i limiti naturali e, anche se queste scuole sono state largamente marginalizzate nei circoli politici, hanno sviluppato piani potenzialmente utili che potrebbero aiutare la società ad adattarsi.
I fattori di base che informeranno inevitabilmente qualsiasi cosa rimpiazzerà la crescita economica sono riconoscibili. Per sopravvivere e prosperare a lungo, le società devono operare all'interno dei bilanci di sostenibilità delle risorse estraibili del pianeta. Questo significa che anche se non conosciamo nei dettagli cosa uno stile di vita ed una economia post-crescita potrà essere, sappiamo abbastanza per cominciare a lavorare in quella direzione.
Dobbiamo convincerci che la vita in un'economia non in crescita può essere soddisfacente, interessante e sicura. L'assenza di crescita non implica necessariamente una mancanza di cambiamento o di miglioramento. In un'economia non in crescita o in equilibrio possono ancora esserci continui sviluppi di capacità pratiche, espressione artistica ed alcuni tipi di tecnologia. Di fatto, alcuni storici e sociologi affermano che la vita in un'economia in equilibrio può essere migliore di quella in una economia che cresce velocemente:mentre la crescita crea opportunità per alcuni, tipicamente essa intensifica la competizione – ci sono grandi vincitori e grandi vinti e, (come in molte città in espansione) come risultato, la qualità delle relazioni all'interno della comunità può soffrirne. All'interno di un'economia non in crescita è possibile massimizzare i benefici e ridurre i fattori che portano alla decadenza, ma per farlo è richiesto di perseguire obbiettivi appropriati: al posto di
più, dobbiamo batterci per meglio, piuttosto che promuovere un aumento dell'attività economica fine a se stessa, dobbiamo enfatizzare qualsiasi cosa aumenti la qualità della vita senza alimentare il consumo. Un modo per fare questo è di ridefinire e reinventare la crescita stessa.
La Transizione ad una economia non in crescita (o una la cui crescita è definita in un modo fondamentalmente diverso) è inevitabile, ma funzionerà molto meglio se la pianifichiamo piuttosto che guardarla semplicemente con sgomento, mentre le istituzioni sulle quali abbiamo fatto affidamento falliscono, e poi tentiamo di improvvisare una strategia di sopravvivenza in loro assenza.
In effetti, dobbiamo creare una desiderabile “nuova normalità” che si adatti ai vincoli imposti dalle risorse naturali in esaurimento.
Mantenere la “vecchia normalità” non è un'opzione; se non troviamo nuovi obbiettivi per noi stessi e non pianifichiamo la transizione da un'economia basata sulla crescita ad una basata su un equilibrio salutare, creeremo per difetto una molto meno desiderabile “nuova normalità” le cui emergenze stiamo già cominciando a vedere sotto forma di persistente alta disoccupazione, un sempre più ampio divario fra ricchi e poveri e sempre più frequenti e peggiori crisi finanziarie ed ambientali - ognuna delle quali si traduce in profonda angoscia per gli individui, le famiglie e le comunità.
L'Alaska e l'Energia
Durante la mia recente visita ad Anchorage, in Alaska, per parlare alla
Bioneers satellite conference
di quella città, l'amichevole gente del posto sembrava volermi spiegare i loro problemi energetici. Alcuni dei quali mi hanno colpito al punto di volerli condividere con un'audience più vasta. L'Alaska è, naturalmente, una grande esportatrice di energia. Il greggio della North Slope ha salvato l'America dal problema dell'energia negli anni 80, aiutando ad abbassare i prezzi del petrolio nel mondo e a mandare in bancarotta il malefico impero Sovietico. La produzione lì, è scesa dal picco di oltre 2 milioni di barili al giorno a soli 600.000 circa di oggi. Quando il flusso scenderà sotto i 500.000 barili, ci saranno problemi col ghiaccio nell'oleodotto Trans-Alaska. Non buono.
L'economia dello stato è quasi completamente basata sull'estrazione di risorse. Tutti hanno un assegno annuale dall'Alaska Permanent Fund, istituito nel 1976 principalmente per gli sforzi del governatore di allora, Jay Hammond. Prezzi del petrolio alti significano dividendi alti: nel 2008-2009 versamenti abbondanti hanno reso la governatrice Palin molto popolare, anche se lei non ne è stata in alcun modo responsabile.
L'Alaska ha enormi opportunità per le rinnovabili – vento, micro-idrico, geotermico, maree ed anche solare. Ma queste sono sono ben lontane dall'essere adeguatamente sviluppate e i progressi in quella direzione richiedono tempo e molti investimenti – un ritmo di investimenti drammaticamente più alto di quello attualmente evidente.
Anchorage (di gran lunga la città più grande dello Stato) affronta una sfida particolare col gas naturale: attualmente quasi ogni abitazione è riscaldata a gas, ma le forniture da parte di Cook Inlet scarseggeranno nel volgere di due anni, anche prima in caso di un inverno particolarmente freddo. La maggior parte delle opzioni per rimpiazzare le attuali fonti (più perforazioni, LNG, energie alternative) avranno bisogno di più di due anni per essere sviluppate:
non esiste una seria pianificazione per affrontare questo problema.
Poi c'è la situazione dei villaggi indigeni. Da un lato, la gente indigena del nord potrebbe sembrare ben messa per affrontare i cambiamenti che hanno di fronte quando la società industriale soccombe al Picco del Petrolio, al Picco del Carbone e a quello del Gas: hanno tradizioni culturali di auto-sufficienza, piccole popolazioni in relazione all'area che occupano e accesso a grandi quantità di proteine selvatiche da animali a zoccolo (alce, caribou). Tuttavia, come mi scrisse James van Lanen dell'Alaska Department of Fish and Game in una e-mail proprio l'altro giorno:
“I villaggi indigeni dell'Alaska si trovano in una situazione molto precaria. Quei villaggi remoti sono accessibili solo per via aerea o con imbarcazioni. Sono completamente dipendenti dal sistema dei combustibili fossili per beni e servizi: cibo, calore, salute. Non hanno contatti col mondo esterno senza i combustibili fossili”.
“Alcuni villaggi ottengono il loro cibo da fonti selvatiche più di altri. Sarebbe sicuro dire che in media l'80% del consumo di proteine in un villaggio è di provenienza selvatica. Bacche e Piante integrano qualche parte della dieta complessiva, ma sono parti piccole. Le due cose importanti da considerare sono (1) la maggior parte del cibo consumato è di origine industriale ed è trasportato là con piccoli aerei (2) i raccolti di cibo selvatico sono attualmente quasi interamente dipendenti dai combustibili fossili (c'è una ben integrata “cultura delle macchine” nei villaggi nativi; credo che non abbiano più la capacità di ottenere quantità significative di cibo selvatico senza l'uso di macchine)...”
“Il Picco dell'Energia colpirà l'Alaska prima e più intensamente che in molti altri posti. Il combustibile costa già fino a 9 dollari a gallone in qualche posto. Quando diventa antieconomico continuare le attuali operazioni di fornitura, le risorse industriali sulle quali si basano questi villaggi si scioglieranno”:
“La maggior parte dei villaggi sono consapevoli della loro completa dipendenza dai combustibili fossili. Molti anziani prevedono un futuro collasso dovuto ai crescenti costi ed alla moderna dipendenza. Tuttavia, non c'è una consapevolezza generalizzata del fenomeno del Picco dell'Energia in queste comunità. Non c'è consapevolezza del fatto che l'intero sistema possa collassare. I villaggi dell'Alaska devono essere preparati a quello che stiamo per affrontare”.
Sono tornato dal mio troppo breve soggiorno ad Anchorage con un profondo apprezzamento per questa terra di grande bellezza naturale, contrasti ed estremi e con una altrettanto profonda preoccupazione per come la gente dell'Alaska potrà occuparsi delle sue enormi sfide energetiche. Alcune di quelle sfide si presenteranno con forza in un futuro molto vicino.
Sul libro di Heinberg, vedi anche il post di Terenzio Longobardi sul blog di ASPO-Italia