sabato 8 ottobre 2011

Il perché di tanto spreco

Di Antonio Turiel

(Pubblicato il 20 Settembre su "The Oil Crash")



Guest post di Antonio Turiel - Traduzione dallo  spagnolo di Massimiliano Rupalti

Cari lettori,

c'è un argomento ricorrente nelle ultime discussioni ed ha a che fare con la possibilità di mantenere una società stabile e vivibile diminuendo volontariamente i consumi. Una tale affermazione è innegabilmente certa: dico sempre che è ridicolo parlare di scarsità di energia mentre nel mondo si consumano 85 milioni di barili al giorno di petrolio da 159 litri ciascuno; pensateci, sono più di 156.000 litri al secondo in tutto il pianeta e ciascun litro di questo magico elisir contiene la stessa energia che un uomo sano e forte (circa 100 watt di potenza media) potrebbe produrre lavorando senza sosta per quasi 4 giorni e mezzo (per circa 106 ore). 

Insomma, il mostruoso flusso di energia che arriva solo dal petrolio nel pianeta equivale al lavoro quotidiano di 60 miliardi di nerboruti schiavi energetici di quelli da 100 watt per unità: 8 e mezzo per ogni abitante di questo pianeta e questo solo di petrolio (dato che il consumo globale di energia primaria è di 14 Tw di media mondiale, contando tutte le fonti è di 20 schiavi energetici a persona; la media europea arriva a 45 schiavi energetici a testa, mentre negli Stati Uniti la media fa 120). Giudicate Voi, ora, se si può parlare di scarsità di energia con questi numeri, soprattutto tenendo conto di come si spreca l'energia.

E comunque si sta verificando una situazione di scarsità. Questa scarsità non è tecnica, come tante volte si è discusso nel blog, né è materiale (perché anche se in futuro ci sarà meno energia ne abbiamo così tanta che potremmo gestire una lenta discesa fino ad arrivare ad una stabile base rinnovabile; con un consumo di uno o due ordini di grandezza inferiori di quello attuale, quello sì). Il problema della scarsità viene dal fatto che energia ed economia sono intimamente legate, e pretendere di vedere le due variabili separatamente, fino al punto di cercare di risolvere i due problemi uno indipendentemente dall'altro, impedisce di vedere la profondità dell'abisso al quale, come società globalizzata (e non solo occidentale) stiamo arrivando.

Nell'articolo che segue spiegherò alcuni concetti che mostrano fino a che punto non possiamo scindere energia ed economia nella nostra società e come pretendere di risolvere il problema energetico, senza prima cambiare il sistema economico, sia un'impresa destinata inevitabilmente al fallimento. Non dimostrerò nulla in concreto né quantificherò in modo preciso il bilancio economico-energetico delle transazioni umane descritte; provo solo, per mezzo di alcuni casi ed esempi, a farvi comprendere quanto sia necessaria una trattazione olistica di questo argomento e come le tipiche soluzioni semplici di risparmio ed efficienza che si propongono, dai bar di paese alle più alte cariche dello Stato, peccano di una scarsa lungimiranza che le rende inutili, se non controproducenti, nella pratica.

Una prima questione di cui tenere conto, commentata di frequente in ambienti picchisti, è il Paradosso di Jevons. Per coloro che non conoscono la storia, William Stanley Jevons, lord inglese che è vissuto a cavallo fra due secoli, ha osservato che, nel 19° secolo, nella misura in cui si introducevano miglioramenti nelle macchine a vapore aumentandone l'efficienza, il consumo di carbone aumentava al posto di diminuire come si sperava accadesse. La ragione è che si produce ciò che in economia è chiamato effetto rimbalzo: se diminuisce il costo di un prodotto (costo in denaro o energia) senza modificare altri fattori, risulta che si stia dando un incentivo a consumare di più questo prodotto, se il suo maggior consumo ci da un vantaggio, cosicché con lo stesso reddito a disposizione possiamo consumare di più; peggio ancora, chi prima non poteva accedere a questo consumo perché aveva un reddito insufficiente, ora potrà farlo. Naturalmente l'effetto rimbalzo non è solito influenzare aree dove non c'è un guadagno reale per il maggior consumo del prodotto (per esempio, non è certo che se sostituiamo le lampadine con altre a maggior efficienza si stia creando
di per sé la tendenza a mettere più lampadine; se si compra di più è per altri motivi), però il rimbalzo è presente ed è molto determinante per l'acquisizione di beni di investimento destinati alla produzione di beni e servizi, vale a dire, alla attività economica. Si deve comprendere, pertanto, che il ripetuto richiamo al miglioramento dell'efficienza è controproducente se non è accompagnato da altre misure, perché al posto di stimolare a consumare meno, si stimola a consumare di più. Un esempio: se un'automobile consuma 20 litri per 100 chilometri e la benzina è cara, meno gente comprerà un'automobile, ma se la stessa automobile consumasse 5 litri ogni 100 chilometri, automaticamente una maggior quantità di gente considererà una buona idea comprarsi il veicolo. 

La realtà è piena di esempi simili in cui i miglioramenti nell'efficienza in generale (non solo energetica) e non solo degli elettrodomestici, ma dei mezzi di produzione, ha fatto esplodere il consumo di molti prodotti (chi pensava di comprasi un computer 30 anni fa?). Il problema è che le misure che dovrebbero accompagnare i miglioramenti nell'efficienza dovrebbero essere misure di pianificazione, di razionamento. Il problema del razionamento lo abbiamo già commentato su queste pagine: se si tenta di renderlo compatibile con un'economia di mercato, o anche in sua assenza, si dà origine ad un mercato nero che può destabilizzare il sistema favorendo la crescita di mafie che finiscono per fagocitare lo Stato, nei casi estremi. Eppure sapete già che il governo britannico, che sta prestando più attenzione di altri al problema del Picco del Petrolio, ha considerato la possibilità di introdurre dei protocolli di razionamento dell'energià. Sia come sia, l'efficienza ha senso solo se si limita l'accesso alle materie prime dall'alto e questo si sposa male con la nostra economia di libero mercato. Inoltre, l'aumento di efficienza implica una diminuzione del costo di produzione (costo energetico ed anche costo economico) così il valore del prodotto effettivamente non aumenta. Vale a dire, con una limitazione di accesso alle risorse al migliorare dell'efficienza, si forniscono più beni e servizi ma semplicemente perché il costo unitario (economico e di risorse) degli stessi diminuisce. Essenzialmente, un'economia del genere non cresce. E non crescere, ora lo vedremo, è un veleno per il nostro sistema economico.

Un'altra possibilità che viene solitamente commentata, ed è quella a cui si è abbonato il commentatore Dario Duarte su "The Oil Crash", è quella che con un'adeguata consapevolezza sociale si può risparmiare tantissimo e così posticipare il collasso mentre la società si adatta ad una nuova realtà di risorse materiali più scarse. Siamo tutti coscienti del fatto che nella nostra società occidentale si spreca tantissimo. Buttiamo il cibo in buono stato che serve solo ad ingrassare i parassiti delle discariche, usiamo l'acqua senza senso, cambiamo continuamente i nostri vestiti, il cellulare, l'automobile... in Spagna c'è stata un'epoca non tanto lontana in cui quasi ci eravamo abituati a cambiare casa di continuo.
Non abbiamo bisogno di tanto, senza dubbio. Probabilmente con la decima parte, anche la centesima parte di quello che abbiamo ora, potremmo avere una vita degna e funzionalmente molto simile a quella attuale. Risparmieremmo le risorse essenziali e sarebbe persino conveniente per noi costruire un sistema di energie rinnovabili su questa scala e, in quanto al resto delle materie prime, aggiunto alla decrescita del consumo, con il loro riciclaggio integrale potremmo posticipare i problemi di esaurimento di vari millenni, mentre apprendiamo a sintetizzare materiali efficaci dal carbonio e da altri atomi abbondanti. 

Insomma, è un sentiero chiaro e veloce verso la soluzione, per evitare con sicurezza qualsiasi rischio di degrado sociale e di caos. Ma, perché non lo seguiamo? Semplicemente, perché non possiamo. Non è possibile smettere di consumare a questo ritmo ed è necessario consumare a un ritmo crescente. E' una necessità del sistema finanziario. Senza questo consumo crescente una massa, che finirebbe per essere maggioritaria, si troverebbe senza lavoro e senza mezzi di sussistenza e, dato il modello del debito e della proprietà privata che abbiamo, senza una totale sovversione dell'ordine imperante, senza una rivoluzione con cui la gente prende con la forza le proprietà ed il potere, il destino di tutta questa gente è quello di agonizzare e morire. Può sembrare stupido, però di fatto è qualcosa che si è ripetuto nella storia dell'Umanità: Jared Diamond lo commenta nel suo libro “Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere”. Sappiamo che 26 antiche civiltà sono collassate perché non sono riuscite a trovare un modello alternativo per gestire le proprie risorse, in alcuni casi per mancanza di immaginazione per essersi chiuse nel proprio Business As Usual, il proprio BAU; morirono per la diminuzione delle risorse disponibili ma non per mancanza di risorse propriamente dette. Un caso paradigmatico è quello dei Maya dello Yucatàn, che si imbarcarono in una serie di guerre di dominio senza avere risorse sufficienti per sostenerle (fondamentalmente mais, nel loro caso) ed infine collassarono fino a scomparire da quelle terre anche se il territorio era ancora in grado di sostenere una popolazione simile a quella che ha collassato. E' che con la guerra si era consumato tutto il mais e si erano distrutte opere di irrigazione fondamentali per mantenere una buona produttività, di conseguenza i combattenti non sono riusciti ad arrivare al successivo, e più esiguo, raccolto. La nostra situazione è simile a quella dei Maya? Vediamo alcuni esempi illustrativi.

In una recente conferenza a Barbastro, un difensore delle soluzioni di stampo solo tecnologico al nostro problema di sostenibilità sosteneva che in Spagna ogni persona consuma in media 20 chili di vestiti ogni anno. Una quantità che considerava smisurata e se, invece di dedicare tante risorse materiali ed energetiche a questa produzione, una spesa ben frivola, si destinassero a preparare la transizione tutto sarebbe molto più facile. Tuttavia, colui che proponeva questa idea (simile, detto en passant, ad altre che centrano le loro critiche su altre attività più o meno crematistiche, che sono la regola nella nostra società) non teneva in conto che se di colpo in Spagna (ma neanche in Italia e nel Mondo NdT) si passasse dal consumare 20 chili di vestiti a persona e l'anno dopo, poniamo, 1 solo e frugale chilo, ci ritroveremmo col fatto che il 95% della produzione attuale delle ditte tessili che operano nel nostro paese tenderebbe a scomparire. Che liberazione di risorse, penserete, però sicuramente implicherebbe il fallimento e la scomparsa del 95% di queste imprese (bene, dei loro affari in Spagna – o Italia -) ed il 95% dei loro impiegati sarebbero messi per strada. Inoltre, sarebbero messi per strada il 95% degli impiegati nel settore logistico e dei negozi di vestiti ed i reparti di confezioni dei grandi magazzini si ridurrebbero del 95%. Questo sarebbe solo l'impatto diretto di questa caduta del consumo, ma poi si deve mettere in conto l'indotto: questo 95% o più di diminuzione delle tasse che incasserebbe lo Stato dai settori colpiti; la perdita del 95% dei clienti dei bar che si trovano nelle strade commerciali, la diminuzione della vendita di altri beni e servizi dovuti all'ingresso nella lista di disoccupazione di tutti questi contingenti; i quali, inoltre, si suppone saranno un costo ulteriore per lo Stato che, oltre a diminuire gli introiti, aumenta le spese e, pertanto, deve tagliare da altre attività, generando più disoccupazione e più contrazione economica nei settori ausiliari colpiti. Alla fine è ovvio che un cambiamento simile non si può fare dalla sera alla mattina, poiché rischierebbe di fare un danno anche maggiore. Essenzialmente, il nostro sistema economico è un obeso patologico con la pressione altissima, la cui vita è in pericolo ma che non si può far dimagrire troppo rapidamente per non correre il rischio di indurre degli scompensi che lo ucciderebbero ugualmente.

Quindi lo dobbiamo far dimagrire a poco a poco e nel frattempo andiamo a sgonfiare i costi superflui ed a investire in quelli essenziali. E quali sono quelli essenziali, direte voi? Be', investire in rinnovabili, orti... Il problema è che non potete sperare che questo cambiamento avvenga spontaneamente; abbiamo già spiegato che ad un certo punto investire in rinnovabili non sarà redditizio secondo i criteri economici standard, e che di fatto le rinnovabili non possono risolvere la crisi energetica come si sta pianificando con la loro installazione. Siccome non si possono obbligare gli investitori a spendere il loro denaro in qualcosa che ora come ora non percepiscono come redditizia, lo Stato non ha denaro nemmeno per sovvenzionarne l'implementazione (non diciamo a finanziarla). Il fatto è che non si finanziano le attività fondamentali per il cambiamento del modello produttivo, economico e sociale. E per quando sarà evidente che è necessario farlo, il livello di degrado del mercato sarà tanto alto che mancheranno i capitali ed alcuni materiali di consumo di base, e per questo sarà un'impresa difficile e dolorosa, se non addirittura impossibile.

Siamo franchi: non c'è una scommessa vera sul cambiamento del sistema. Sì, si comincia ad investire qualcosa in energia rinnovabile, ma con criteri di redditività classici. Cosa ripetono i gestori degli investimenti in rinnovabili? Che devono migliorare tecnologicamente perché i costi si abbassino e siano redditizie. E quando dicono redditizie non intendono dire che coprano i costi, no; quello che intendono dire è che devono avere dei tempi di rientro dell'investimento di pochi anni e che il rendimento sia almeno del 5% all'anno. Insomma, non si vuole giocare ad altro gioco che non sia il “BAU” di sempre, non si accetta il fatto che le regole siano cambiate e si cerca di forzare la Termodinamica per far sì che le rinnovabili rendano in funzione di queste cifre che ho appena citato. Ma la Termodinamica è cocciuta...

Qual è, quindi, la realtà dello schema che si segue? Quella di provare ad aumentare i consumi, non di ridurli. Vi ricordate? All'inizio di questa crisi si diceva che consumare è patriottico; lo ha detto Gordon Brown, allora primo ministro del Regno Unito. E' che senza aumento dei consumi non c'è crescita economica e senza crescita economica non si possono pagare i debiti. E cosa credete che succederà adesso che stiamo entrando in una nuova onda recessiva? Poiché con più problemi di debiti che non possiamo pagare e, soprattutto, il debito sulle spalle, difficilmente andiamo a pensare di smantellare le attività più o meno redditizie a favore di altre che lo sono molto meno. Sapete quante volte ho sentito che con la crisi che abbiamo non è il momento di investire in energia verde, che lo si farà poi, superata la crisi?

Non si può farne una colpa, è logico, non sono redditizie. Quando si supererà la crisi, dicono, quando finirà questa crisi che non finirà mai. Così è facile capire perché io creda che da questa spirale di degrado economico se ne possa uscire solo con un'esplosione sociale, solo con una rivoluzione. Oppure con il collasso.
 
Saluti.

Antonio Turiel

 


22 commenti:

  1. Lenin, sosteneva che la rivoluzione doveva essere armata. Forse aveva ragione, perchè le rivoluzioni "pacifiche" non hanno avuto effetti. Ma una rivoluzione armata diventerebbe insostenbile da un punto di vista energetico, implicando essa reazioni e quindi ulteririori consumi e devastazioni. Vorrei capire allora come si esce dal paradigma storico di guerra-rivoluzione.

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  2. Buongiorno.
    L'atteggiamento individuale virtuoso può servire a qualche cosa?
    Le transition town inglesi dimostrano che si può fare bottom up.

    Dall'alto però i segnali sono questi.

    Christine Lagarde, nuova direttrice del Fondo monetario internazionale (Fmi), ha coniato lo slogan anticrisi “ri-lance”, un neologismo derivato dall'unione delle parole francesi “rigour” (rigore, austerità) e “relance” (rilancio). Frenare e accelerare.

    Il Commissario europeo per l'ambiente, Janez Potočnik ha detto, durante la conferenza internazionale "Green Markets - World of Sustainable Products" a Berlino, che si può ridurre l'impatto ambientale del consumo e della produzione in tutto il ciclo di vita di prodotti e servizi, pur mantenendo il tenore di vita dei cittadini dell'Ue e migliorando la competitività delle imprese europee, grazie al "disaccoppiamento".

    Il governo italiano nelle parole del primo ministro dice che avremo a breve "vitamine per la crescita".

    Il cardinal Bagnasco, presentando il volume “Il cambiamento demografico. Rapporto-proposta sul futuro dell’Italia”, curato dal Comitato per il progetto culturale della Cei, sostiene che “Se nel breve periodo non scaturiranno le condizioni per un patto intergenerazionale, l’Italia non potrà invertire il proprio declino”. E aggiunge “Stiamo andando verso un lento suicidio demografico”.

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  3. C'è chi stima che gli scarti di prodotti alimentari siano arrivati ormai al 40%. Gli inglesi, unici ad aver fatto misure, hanno osservato che le famiglie buttano via il 28% del cibo che acquistano. E gli inglesi non sono spreconi. Però ha paradossalmente ragione Turiel quando dice che se evitassimo quello spreco metteremmo in crisi tutta la distribuzione e l'industria di trasformazione con effetti catastrofici su indotto e occupazione. A ben pensare abbiamo le mani legate, Daniela. Le transition town reggono perchè sono l'eccezione che il sistema può sopportare. I comportamenti individuali virtuosi funzionano solo se non diventano collettivi. Un bel bordello...

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  4. Insomma non c'e' scampo...o siamo rovinati o siamo rovinati.

    E se invece di crescita o decrescita puntassimo ad una STABILIZZAZIONE? Con energia 100%rinnovabile ed una quantita' di materia prima immessa nel sistema teoricamente fissa (teoricamente riciclata di continuo). Dopotutto come ricordato nell'articolo abbiamo tutto, cosa ci serve d'altro? . Esiste una teoria economica del genere?
    Davide

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    1. Sì, solo se costringi il capitale privato ad assumersi le responsabilità dei costi sociali che genera. E questo lo puoi fare solo se quel capitale le espropri, altrimenti il capitalista sposterà per forza il capitale in settori maggiormente redditizi. Come lo convinci a stabilizzarsi invece di cercare più lauti e gustosi furti?

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  5. Davide, è pensabile solo stabilizzando anche la popolazione. Perchè se nel 2050 saremo 9 miliardi dovremo produrre almeno il 50% di cibo in più (stima FAO) ma forse anche oltre, se si modificherà la dieta ai trend attuali. Non so se c'è scampo o no. Certo è che servono grandi idee e grandi pensatori per trovare l'alternativa. Ma ci sono?

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  6. Sono d'accordo con Daniela,
    le modalità delle Transition Towns sono fra le poche (che io conosca, le uniche) che possano portare ad un cambio di paradigma giusto in tempo per salvarci. Non a caso ne faccio Parte :-)
    E per cambio di paradigma intendo qualcosa di veramente diverso, olistico, sistemico, ecc, che coinvolge tutte/i e tutti gli aspetti.
    Infatti, pur avendo tradotto l'articolo ed essere d'accordo con la gran parte dei sui contenuti, penso invece che il finale non sia quello giusto. La risposta giusta è Evoluzione.
    Su questa lavoriamo in ambito transizionario.
    Certo, senza di lei ci rimangono i vecchi paradigmi (rivoluzione, bau) e/o morte certa (collasso).
    Io credo valga la pena di provarci...

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  7. E allora facciamola questa rivoluzione, anzi rievoluzione.Destiamoci dall'oppio del raddoppio e facciamo il birignao al BAU.
    Seppoffà come si dice a Roma.
    Aspolfese a Torino.
    Solo che emotivamente bisogna agire come se si fosse verso la fine d'una guerra.
    Se fosse appena iniziata, bisognerebbe ancora abituarcisi.
    Se fosse già finita avremmo l'atteggiamento pronto per la ricostruzione.
    Ma ci siamo dentro, sebbene capiamo che la guerra non potrà continuare molto a lungo.
    Siamo già dentro il collasso, ma la sua progressione non è nemmeno esponenziale a mio avviso.
    Se lo fosse molti capirebbero che è iniziata la sua fase di svolta verticale.
    Secondo me l'andamento del collasso assomiglia alla funzione tangenziale,dove un aumento lineare di un'ampiezza di un angolo produce un andamento che assomiglia prima ad un andamento lineare poi esponenziale e quindi talmente esplosivo che negli ulimi gradi diventa praticamente impossibile visualizzare la ripidezza della curva.
    Il collasso può finire con un tonfo una botta o uno schianto.
    Possiamo ancora scegliere fra i tre modi.
    Ma il ritmo dei vari tonfi ci dice stanno per esaurirsi.Presto saranno botte e schianti.

    Marco Sclarandis.

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  8. Certo, in un sistema "stabilizzato" anche la popolazione lo deve essere. Questo pero' si scontra con il problema Africa in primis. Se vogliamo stabilizzare la popolazione bisogna necessariamente sradicare la poverta' da quel continente, ma questo richiede altra energia, altre risorse,etc etc insomma un casino...
    Davide

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  9. Non credo saremo mai 9 miliardi. Succederanno cose che lo impediranno, molto prima. Stanno già accadendo. Quindi man mano che la crisi va avanti, paradossalmente il picco dei suoi effetti si attenua e si fa vicino...

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  10. Mi ritrovo spesso a parlare con gente che bazzica economia e finanza. E mi rendo conto che non hanno la minima idea di un modo alternativo di gestire l'economia, un modo che funzioni nonostante non ci sia crescita. Forse non c'è. E quindi evitano di considerare la possibilità.

    Oltre al discorso economico (se tutti comperano i vestiti che compro io o i miei figli il tessile va in crisi, se comperano le auto che compero io va in crisi il metalmeccanico, ecc.) c'e' quello finanziario.

    Esiste un concetto di "leva finanziaria", si presta(va) volentieri soldi perché se investi in un'industria quella poi produce, vende e ti ripaga gli interessi facilmente. Ma se siamo in una situazione stazionaria (non nominiamo neppure la parolaccia "decrescita") puoi investire solo pochi soldi, e del resto che ne fai? Chi ti dà il 3.5% del vari conti colorati? Chi fa funzionare il mondo della finanza? E i soldi attuali sono in buona parte soldi prestati, ogni banconota, se andiamo all'indietro, è stata prestata 3 o 4 volte, è contemporaneamente in 3 o 4 conti correnti differenti. Se non si presta più soldi, non ce n'è abbastanza in giro, non si riesce a comperare neppure i beni che ci sono. Lo Stato non ha più soldi per rinnovare i suoi debiti, che rimangono in un rapporto fisso con il PIL solo se questo continua a crescere....

    Siamo messi molto peggio dell'obeso che non può dimagrire rapidamente, temo.

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  11. Leggevo poco fa sul blog del direttore di Quattroruote, Carlo Cavicchi:

    "Da novembre ogni giorno un convoglio capace di contenere quaranta container partirà da Leipzig-Wahren in Germania e raggiungerà lo stabilimento Bmw di Shenyang, dopo un viaggio di circa 11.000 km passando attraverso Polonia, Belarus e Russia, fino a giungere a destinazione in Cina dopo 23 giorni di viaggio, la metà del tempo che occorre usando la nave. Quello di Leipzig-Wahren è un centro logistico sterminato da cui partono ricambi e motori per tutti gli stabilimenti in giro per il mondo, quello che peraltro avviene con tutti gli altri costruttori da altri centri di smistamento. Il treno, per distanze così lunghe, è comunque una novità assoluta e ci permette di capire quanto oggi la logistica dei costruttori di auto che operano su scala mondiale sia complessa e articolata."

    Il mondo va verso la distruzione.
    L'articolo completo è qui http://bit.ly/nrPemo

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  12. Il punto è quello di Davide e di Gianni che condivido. Il mio sconcerto è quello di non sentire mai nessuna risposta sensata al delirio delle "vitamine per la crescita" o la lotta per la sopravvivenza della BMW. Con medo vorrei riflettere sulla matematica dell'incremento demografico. Se arriveremo a 9 miliardi, avremo comunque una percentuale di over-60 impressionante: oggi siamo globalmente al 7% e nel 2050 saremo al 19%, in Europa arriveremo al 28% (Lutz & Samir 2010). Se non ci arriveremo, (a 9 miliardi) causa contrazione delle nascite o aumento della mortalità infantile come primo target della mancanza di cibo, la % di over-60 sarà ancora più alta, giusto? È improbabile che a morire siano gli anziani, ma chi potrà rimpiazzarli? Vitamine per la crescita... ma mi faccia il piacere!!!!

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  13. un crollo completo della societa' e' questo che tutti ci aspettiamo?
    occhio che il petrolio non finisce di colpo, e l'economia ha tempo per adattarsi e modificarsi.
    predirre scenari catastrofistici causati da una o piu' risorse ad esaurimento lento non e' cosa saggia. sicuramente bisognera' ridimensionarsi risparmiare ecc ecc, ma il crollo totale non mi sembra realistico. e' il prezzo crescente che rendera' riciclaggio e rinnovabili competitive quando non potremo avere il 5% ci accontenteremo del 5 per 1000

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  14. Purtroppo gli scenari di collasso repentino sono possibili e in questo blog sono stati analizzati con dovizia di particolari da Ugo bardi
    http://ugobardi.blogspot.com/2011/09/effetto-seneca-perche-il-declino-e-piu.html
    e da Dmitri Orlov
    http://ugobardi.blogspot.com/2011/09/il-picco-del-petrolio-e-storia-passata.html
    (e in chissà quanti altri post).
    Non credo si possa affermare che le cose andranno sicuramente così, ma si può dire di certo che c'è molto da fare perché non accada, e "ridimensionarsi" potrebbe suonare inadeguatamente eufemistico. Il cambiamento sarà molto radicale e vale la pena di cominciare a farlo subito.
    Anche nel "best case scenario" non sarà comunque un gioco da ragazzi, avete mai fatto caso con quanta difficoltà operiamo cambiamenti nella nostra vita?
    Poi, se non troviamo nuovi accanimenti terapeutici che funzionino per tenere ancora in vita il morto/economia, il gioco è fatto

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  15. Lasciatemi scherzareeee....canterebbe il nostro Toto dai capelli cotonati.
    Il problema sta nel raptus del disadattato.
    Si può vedere la situazione con l'occhio del matematico esperto in teoria dei sistemi e delle reti o quello del trio cav ada bdp (casalinga di Voghera assessore d'Abbiategrasso bracciante di Pachino)ma nulla cambia.
    E' lo scompiglio del cambiamento che rende ogni genere di collasso pericolosamente repentino.
    Le azioni umane già sono scaramanticamente razionali nella quiete, figurarsi nella paura che succeda il finimondo.
    Solo pochi sono capaci di mantenere una calda intuizione sudando freddo, quando il caos dilaga.
    E ormai stiamo diventando tutti dei disadattanti.Di fronte alla prospettiva di non poter risolvere i problemi con la guerra,anche commerciale e anche mediatica, con la crescita indefinita, e nemmeno con le invocazioni alle statue rivestite dal saio,molti sono sull'orlo del dar di matto.
    Io per primo.
    Ma chissà perchè, di fronte al baratro,ci viene in mente che abbiamo dimenticato l'aratro nel campo.
    E corriamo indietro a portarlo nella rimessa, non sia mai che qualcuno ce lo freghi.Approfittando della situazione.

    Marco Sclarandis

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  16. Buongiorno.
    Concordo con Marco, impregnati di panico le azioni e i pensieri vengono ancor peggio.
    Ma io sono ancora convinta che potremmo farcela, modificando qualcosa, senza pretendere di diventare TUTTI transition town. Che però sono un eccellente obiettivo.
    Le comunità sostenibili possono essere anche singole abitazioni o luoghi di lavoro progettati o modificati per vivere in ambienti ecologicamente sicuri e che utilizzino le fonti rinnovabili in modo equilibrato.
    Si può aumentare la vita "sostenibile" con pochi semplici cambiamenti di base, come l'uso di energia solare o anche (pare una stupidata) sciacquoni a stop. Dalle transition town utilizzate l'elemento della condivisione come gli orti biologici o i programmi di riciclaggio. O il car- pooling.
    Servirebbero programmi di governo TOP DOWN per stimolare queste inziative dal basso, ma qui per ora ne vedo poche di iniziative dle genere. Serve cambiare la mentalità innanzitutto, incentivare al risparmio e al riuso e alla comunicazione.
    Non è facile.
    Io non riesco a convincere i colleghi che abitano vicino a fare car - pooling.
    Si sentono "prigionieri".
    Ovvero non hanno MAI usato il trasporto pubblico perchè innazitutto non c'era e poi è disincentivato dall'alto.

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  17. Ho letto tra i commenti di questo convoglio ferroviario che in 23 giorni va dalla Germania alla Cina invece dei 40 giorni per nave. Considerato l'impatto in CO2 (ed il consumo di carburante in media) di una nave cargo, la trovo tutto sommato una buona notizia.
    Che tutto questo sia asservito al settore delle "automotive parts", forse lo è meno. Ma ricordo ai lettori e commentatori che la ferrovia nasce come mezzo per trasportare minerale grezzo a luoghi di trasformazione o smercio, in seguito fu usato per spostare merci e l'ideona era quella di poterci trasferire imponenti armate militari, unica eccezione la si ebbe in Italia dove come per l'autostrada, la ferrovia nacque per il sollazzo dei signori e per esigenze diciamo turistiche, in contemporanea con le linee ferroviarie "per il carbone" sparse un po' qui e un po' là. L'idea di un servizio di trasporto pubblico non è come si pensa generalmente all'origine delle vie ferrate, anzi è la scusa che si è trovata per continuare a fagocitare denaro pubblico laddove il servizio di trasporto ferroviario sia maggioritariamente a capitale pubblico. Trasportarci persone è l'ultima ratio.

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  18. @Franco
    ehmmm....come non detto (togli virgolette):

    "http://leviedellasia.corriere.it/2011/10/camacho_a_gamba_tesa_contro_i.html"

    ...sia mai che non ci qualifichiamo ai mondiali...

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  19. @ Franco

    ehmm ... come non detto (togli virgolette):

    "http://leviedellasia.corriere.it/2011/10/camacho_a_gamba_tesa_contro_i.html"

    .... sia mai che non ci qualifichiamo ai mondiali..
    Davide

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  20. Tra pessismo cosmico e speranze di rivoluzioni coercitive ? violente ?, un post che non mi piace prof. Bardi. Attenzione all'apologia di reato. Telegraph cove

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