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venerdì 18 novembre 2022

Colin Campbell (1931-2022). Un omaggio al padre del concetto di "Peak Oil"

Colin Campbell è morto a 91 anni, il 13 novembre 2020, nella sua casa di Ballydehob, in Irlanda. Amava illustrare il concetto di picco del petrolio usando la birra. Nessuna teoria fantasiosa, nessuna ideologia, nessuna creazione di risorse: la birra è una cosa reale che non puoi creare dal nulla. E dopo averla bevuta, non ne rimane più! 


Ho incontrato Colin Campbell per la prima volta in Italia, nel 2003, quando l'ho invitato a tenere una conferenza all'Università di Firenze. Quel giorno era chiaro che Colin ci stava portando un messaggio importante. Sapeva che il nostro mondo, la nostra orgogliosa civiltà e le nostre (forse) grandi conquiste erano tutte basate sulla disponibilità di petrolio a buon mercato. Niente petrolio, niente energia. Nessuna energia, nessuna civiltà.

Non tutti quelli che lo ascoltavano, in quel momento, capirono il suo messaggio, ma alcuni di noi sì. Erano passati solo due anni da quando le Torri Gemelle di New York erano crollate. Era stato un evento che chiedeva una spiegazione, ma che non poteva essere compreso nel quadro del mondo così come ci veniva presentato dai media ufficiali. Fu quel giorno che un piccolo gruppo di scienziati e ricercatori italiani si riunì nel mio ufficio per incontrare Colin dopo la sua conferenza. È stata un'esperienza elettrizzante: tutti abbiamo avuto l'impressione che si stesse sollevando un velo, che si potesse vedere cosa c'era dietro il sipario della propaganda, che si potesse finalmente percepire il meccanismo che faceva muovere il mondo. Una nuova realtà ci veniva rivelata.

Colin non era uno scienziato accademico. Era principalmente un "petroliere", una di quelle persone che sono la versione moderna degli antichi esploratori. Persone che hanno opinioni pratiche e senza fronzoli, che non possono essere facilmente influenzate da ideologie o tendenze alla moda. Persone temprate dall'esperienza, abituate a porsi obiettivi realistici e a raggiungerli. Colin non era un uomo che potesse essere facilmente intimidito.

In qualità di ex petroliere, Colin ha avuto accesso a dati che per la maggior parte di noi sono troppo costosi o semplicemente non disponibili. Insieme al suo amico e collega di lunga data, Jean Laherrere, hanno rivisitato un vecchio modello che Marion King Hubbert aveva proposto nel 1956, lo hanno rinnovato con nuovi dati e hanno pubblicato i loro risultati in un articolo del 1998 su "Scientific American" intitolato " The End del petrolio a buon mercato ". Il modello era semplice e i dati ancora incerti, ma lo studio andava diritto al suo obiettivo e giungeva a una chiara conclusione: le risorse petrolifere del mondo stavano diventando sempre più costose e la crescita economica sarebbe diventata una cosa del passato in un futuro non remoto. Le conseguenze erano sconosciute ma potenzialmente disastrose. Più tardi, chiamai il declino che ci aspettava, "La Rupe di Seneca".

Colin si stava muovendo lungo un percorso parallelo a quello creato, circa 30 anni prima, dagli autori di "The Limits to Growth" e dai loro sponsor, il Club di Roma. Colin era un grande fan dello studio dei "Limiti dello Sviluppo" e, acuto come al solito, riusciva a riconoscere le idee che erano radicate nel mondo reale. Non avrebbe mai dato retta alle vaghe argomentazioni che erano state prodotte contro lo studio, come ad esempio che le risorse sono "create" dall'intelligenza umana. No, le risorse sono qualcosa di reale, qualcosa di fisico, qualcosa che puoi pesare e misurare. E non arrivano gratis: devi pagare per quello che estrai, e il costo potrebbe essere superiore a quello che puoi permetterti di pagare. Questa è l'essenza dell'idea di esaurimento graduale che porta alla curva "a campana". È stata la base dello studio "Limits to Growth", e la base della teoria del "picco del petrolio". Di seguito è riportato il risultato principale dello studio del 1998.


All'inizio degli anni 2000, Colin fondò la "Associazione per lo studio del picco del petrolio e del gas" (ASPO). Era un gruppo di scienziati, intellettuali e semplici cittadini che avevano capito un concetto semplice: il futuro non sarebbe stato quello che ci era stato detto di aspettarci. È stato un tentativo di allertare i governi e tutti quanti sui pericoli futuri.

Ripensando a quella storia, oggi, è davvero sorprendente come Colin sia riuscito, da solo e solo con i propri mezzi, a creare un'organizzazione che era arrivata ad avere un certo effetto sul dibattito globale. I politici di alto rango hanno ascoltato il messaggio, anche se spesso hanno reagito criticandolo. Per un certo periodo, l'ASPO è stato anche un forum dove si riunivano tutti i tipi di sovversivi, compreso l'arci-teorico della cospirazione Michael Ruppert, che ho incontrato personalmente a Vienna in uno degli incontri dell'ASPO. Sono ragionevolmente sicuro che ASPO sia stata infiltrata dalla CIA , non ho prove, ovviamente, ma sarei sorpreso se non avessero sondato ASPO per vedere cosa stavamo facendo. Evidentemente decisero che eravamo innocui (avevano ragione) e ci lasciarono in pace.

ASPO ha attraversato un ciclo di popolarità che è durato circa 10 anni. Per un po', sembrava che potessimo influenzare il mondo, che le persone che avevano il potere di fare qualcosa ascoltassero il nostro messaggio e intervenissero. Nel 2005, Colin Campbell propose il suo "Protocollo petrolifero" (detto anche "Protocollo di Rimini") che avrebbe posto un limite al tasso di estrazione del petrolio e degli altri fossili. E questo ha suscitato molto interesse a metà degli anni 2000. Ma non durò a lungo.

La traiettoria dell'ASPO ha seguito un percorso simile a quello del Club di Roma e del suo studio "Limiti alla crescita". In entrambi i casi, un gruppo di intellettuali ha cercato di allertare i governanti mondiali sulla finitezza delle risorse materiali su cui si basava l'economia e che bisognava fare qualcosa per evitare la "trappola del consumo eccessivo" che avrebbe necessariamente portato a un crollo. Ma, così come era successo per il messaggio del Club di Roma, anche il messaggio dell'ASPO è stato rifiutato e demonizzato, e poi ignorato.

Nel 2008, le previsioni dell'ASPO sembravano confermate quando i prezzi del petrolio sono saliti a livelli mai visti prima. Stava arrivando il "picco del petrolio"? Probabilmente si, almeno per quel che riguardava il petrolio "convenzionale", ma le conseguenze furono inaspettate. I poteri forti hanno reagito in modo aggressivo alla crisi, pompando enormi quantità di denaro e risorse nello sfruttamento di nuove risorse di petrolio e gas negli Stati Uniti. Era l'inizio dell'era del "fracking". Dal 2010 in poi, un'enorme quantità di petrolio ha iniziato a fuoriuscire dai pozzi di "tight oil", invertendo la tendenza al ribasso iniziata 40 anni prima. Per molti è stata la liberazione da un incubo. Alcuni hanno parlato di una "nuova era di abbondanza" che avrebbe potuto durare secoli, se non per sempre.

Nessuno dei geologi in ASPO o fuori di ASPO aveva previsto questo sviluppo. Cornucopiani e catastrofisti, allo stesso modo, ritenevano che i ricavi dello shale oil in un mercato libero non potessero giustificare i costi di estrazione. Non potevano credere che l'industria petrolifera si sarebbe imbarcata in un'avventura così costosa e incerta. In effetti, il fracking non ha portato profitti: è stata soprattutto una decisione politica, intesa a mantenere al potere le attuali élite. In questo senso ha funzionato, anche se nessuno può dire per quanto tempo.

Il fracking è stato la fine di ASPO. Dopo il 2010, il pubblico ha perso rapidamente interesse per il picco del petrolio, e forse era inevitabile. In generale, ci dimentichiamo facilmente le verità inquietanti, mentre preferiamo di gran lunga le bugie comode. Ed è quello che è successo. L'ASPO non è mai ufficialmente morta, ma è scesa a un livello di attività molto inferiore di quello che aveva alla sua nascita. Colin Campbell si è ritirato nella sua casa nell'Irlanda del Sud e il suo ultimo commento sul picco del petrolio è stato pubblicato su " Cassandra's Legacy " nel 2018.

Ripensando oggi all'eredità di Colin, possiamo vedere che non aveva sempre ragione nelle sue valutazioni. Uno dei limiti del suo approccio era che si concentrava troppo su petrolio e gas. I suoi modelli a volte erano eccessivamente semplificati e, a volte, non aveva capito come le nuove tecnologie avrebbero cambiato il quadro degli eventi. Forse il suo limite principale è stato quello di aver sopravvalutato l'importanza della data del picco come punto di svolta per l'umanità e di aver creduto che potesse essere determinata dai modelli. So bene che aveva capito che il picco era solo un punto in una curva, e lo ha detto più volte in dichiarazioni pubbliche. Ma molte persone hanno frainteso il significato di "picco del petrolio" e lo hanno visto come equivalente alla "fine del petrolio". Per alcuni, era l'equivalente del concetto religioso di apocalisse,

Va da sé che le idee di Colin erano tanto lontane dal millenarismo quanto avrebbero potuto esserlo. Il suo approccio era rigoroso: solo scienza basata sui dati. Gli piaceva citare Keynes dicendo: "quando ho nuovi dati, cambio idea, voi cosa fate?" (in effetti, l'ha detto Samuelson). La capacità di Colin di analizzare i dati senza farsi influenzare da fardelli ideologici lo ha portato a evitare gli errori commessi da altri membri dell'ASPO, come riporre tutte le loro speranze nell'energia nucleare o rifiutare di accettare la scienza del clima come campo scientifico valido.

Quindi, anche se in questo momento il concetto di "picco del petrolio" sembra fuori moda, le buone idee rimangono. Sono come le anime: passano da una generazione all'altra, rinascendo come nuove incarnazioni se sono buone. Le idee di Campbell hanno quel potere, in questo momento sono quasi dimenticate, ma aspettano di riapparire in un corpo adatto, come lo spirito del Dalai Lama. Noi umani dimentichiamo le cose così facilmente, specialmente le cose importanti. Ma un giorno capiremo il messaggio principale di Campbell secondo cui ciò che otteniamo dalla Terra può sembrare gratuito, ma deve essere ripagato, prima o poi. E l'agenzia di recupero crediti alle dipendenze di Gaia è spietata e non la si può corrompere.

Dal momento in cui ho incontrato Colin per la prima volta, quel giorno del 2003, l'ho considerato il mio mentore quando mi sono trasferito in un campo di ricerca, l'esaurimento delle risorse, che era completamente nuovo per me. È stato in gran parte con il suo aiuto, che era sempre felice di fornire, che sono riuscito a ritagliarmi una nicchia in questo nuovo e affascinante settore. Nel corso degli anni ho conosciuto bene Colin e sua moglie Bobbins. Non era il tipo di uomo che si prendeva cura della propria immagine pubblica, né era abituato a vantarsi dei suoi successi, ma posso dirvi una cosa: era una brava persona. Era al livello più alto della scala dell'empatia , come la definisce il mio amico Chuck Pezeshky.

Colin si prendeva cura delle persone. Per la sua famiglia, i suoi amici, i suoi colleghi e anche per l'umanità nel suo complesso, altrimenti non avrebbe fatto quello che ha fatto con ASPO. Aveva capito come le risorse, e il petrolio greggio in particolare, siano alla base di gran parte dell'oppressione e della sofferenza imposte alla maggioranza degli esseri umani , e ha cercato di fare il possibile per liberare l'umanità da questo immenso fardello. Oggi possiamo vederlo come una delle grandi menti degli ultimi decenni che hanno cercato di allertare l'umanità sui pericoli futuri, come Aurelio Peccei, Donella Meadows, Rachel Carson, Herman Daly e molti altri. Non sono stati ascoltati, ma la loro memoria non sarà dimenticata.

Che Colin riposi in pace tra le braccia di quella Terra che tanto ha studiato da geologo.

lunedì 10 ottobre 2022

Il Miracolo delle Rinnovabili

  


Questo post che ho pubblicato sul "Fatto Quotidiano" ha avuto un certo successo. Mi aspettavo i soliti insulti e accidenti che mi arrivano ogni volta che propongo le rinnovabili come una cosa seria, e li ho avuti, ma non così tanti come mi immaginavo. Sembra che i rompiscatole che pullulano nei commenti sul "Fatto" siano rimasti ammutoliti di fronte all'evidenza dei fatti. Ho anche avuto molti commenti favorevoli su FB, e messaggi privati di persone che vogliono approfondire l'argomento, incluso qualche politico di medio rango. E quindi, bene così, andiamo avanti: non abbiamo più bisogno di miracoli. Ne abbiamo già avuto uno e per ora ci basta. 



Da "Il Fatto Quotidiano dell' 8 Ottobre 2022

di Ugo Bardi – Settembre 2022


Si sa che i miracoli non sono una cosa tanto frequente e, se uno ha grossi problemi di salute, non è probabile che basti una nuotatina nella piscina di Lourdes per risolverli. Però, è anche vero che alle volte le cose cambiano rapidamente, aprendo nuove possibilità. E’ quello che sta succedendo con l’energia rinnovabile. Parlare di “miracolo” è un po’ troppo, lo so, ma gli sviluppi recenti della tecnologia ci hanno messo a disposizione uno strumento che fino a pochi anni fa non ci sognavamo nemmeno di avere. E questo potrebbe risolvere certi problemi che una volta sembravano irrisolvibili.

Per anni, sono andato in giro facendo conferenze sul cambiamento climatico e altri guai in vista, come l’esaurimento del petrolio. Di solito, quelli che venivano a sentire erano persone preparate a un messaggio non proprio tranquillizzante, ma il problema era cosa fare in proposito. Alla fine della conferenza, seguiva un dibattito in cui si dicevano sempre le stesse cose: andare in bicicletta, abbassare il termostato di casa, mettere doppi vetri alle finestre, lampadine a basso consumo, cose del genere.

Era un piccolo rituale tranquillizzante ma, in realtà, tutti sapevano che queste non erano vere soluzioni. Non che non servano a niente, ma sono spennellatine di verde su un sistema che continua a dipendere dai combustibili fossili per funzionare. Così, sono almeno vent’anni che si parla di doppi vetri e biciclette, ma le emissioni di CO2 continuano ad aumentare come prima, anzi, più rapidamente. Se non andiamo al cuore del problema, ovvero a eliminare i fossili, non arriviamo a niente. Ma come fare? Fino a pochi anni fa, sembrava che non ci fosse nessun modo eccetto tornare a zappare i campi come nel Medio Evo.

Ma oggi le cose sono cambiate radicalmente. Probabilmente non ve ne siete accorti, presi dal dibattito sulle elezioni. Ma che vinca la destra o la sinistra, cambia poco: il cambiamento, quello vero, sta arrivando con le tecnologie rinnovabili. Gli impianti eolici e fotovoltaici sono stati ottimizzati e i fattori di scala hanno generato massicci risparmi sui costi di produzione. Oggi, un chilowattora prodotto da un pannello fotovoltaico costa forse un fattore dieci di meno del chilowattora da gas naturale (e anche un quinto del chilowattora nucleare). Una volta, chiamavamo l’energia rinnovabile “alternativa,” ma oggi sono tutte le altre che sono alternative. Inoltre, produrre energia con impianti rinnovabili non inquina, non richiede materiali non riciclabili, non genera gas serra, non è suscettibile di sanzioni, e nessuno può bombardare il sole per lasciarci senza energia.

Ora, non mi fate dire che le rinnovabili hanno risolto automaticamente tutti i problemi. E’ vero che oggi costano poco, ma è vero anche che non sono gratis. Poi, ci vogliono investimenti per adattare le infrastrutture energetiche di tutto il paese, per creare dei sistemi di stoccaggio dell’energia, e molto altro. Non sono cose che si possano fare in un mese, e nemmeno in pochi anni. Si parla di un decennio, come minimo, per arrivare a un sistema energetico basato principalmente sulle rinnovabili. Ma è anche vero che ogni viaggio comincia dal primo passo. E adesso vediamo davanti a noi una strada da percorrere. Una strada che ci porta verso un mondo più pulito, più prospero e, sperabilmente, meno violento.

Non ho smesso di andare in giro a fare conferenze ma, adesso, posso proporre delle soluzioni reali. E non sono solo io ad essermi reso conto del cambiamento. Nel dibattito, oggi si sente l’entusiasmo di poter fare qualcosa di concreto. Molta gente chiede se possono installare pannelli fotovoltaici a casa loro. Altri raccontano di averlo già fatto. Alcuni sono arrabbiati neri (giustamente) con la burocrazia che gli impedisce di installare sul loro tetto o nel loro giardino. Lo vedete anche nelle discussioni sui social media. C’è sempre qualcuno che parla contro le rinnovabili ragionando come i flagellanti medievali che andavano in giro gridando “ricordati che devi morire”. Ma c’è anche chi gli risponde per le rime, tipo, “e allora andate pure a vivere felici nella vostra grotta insieme agli altri cavernicoli.” (o anche, come Massimo Troisi, “mo’ me lo segno”).

Se avete un balcone esposto a sud (e se il vostro comune non vi mette i bastoni fra le ruote), potete già installare dei pannelli fotovoltaici appesi alla ringhiera che vi aiuteranno a ridurre la bolletta dell’elettricità. Un pezzetto per volta, ci riusciremo!

lunedì 21 marzo 2016

Inutile votare contro le trivellazioni in Adriatico se non ci attrezziamo per fare a meno di petrolio e gas



E' uscito ora un interessante articolo sui piani di cottura a induzione su "QualeEnergia". Mi ha ricordato un articolo sullo stesso argomento che avevo scritto qualche anno fa e che ripropongo qui di seguito.

In sostanza, è inutile andare a votare contro le trivellazioni in Adriatico se non ci attrezziamo per fare a meno di petrolio e gas. E questo bisogna farlo in tutte le applicazioni, anche e specialmente quelle quotidiane.

La strada è lunga, ma non abbiamo altra scelta che percorrerla

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da "Nuove Tecnologie Energetiche" 2010

Cucina a induzione




Cucinare a induzione offre la possibilità di mettere subito in uso l’energia prodotta localmente dalle rinnovabili e di ridurre la necessità per la rete elettrica di adattarsi alle variazioni di produzione che sono tipiche di fonti intermittenti come il fotovoltaico o l’eolico.



C’è un concetto che è ben assodato nell’armamentario delle idee ambientaliste: quello che usare l’energia elettrica per il riscaldamento è – come dicono gli americani – un “no-no”; uno spreco che dovrebbe essere evitato a tutti i costi. Questa idea deriva da un ragionamento corretto nel contesto di una certa ipotesi. Ovvero, se dobbiamo usare il gas per generare energia elettrica, poi questa energia la dobbiamo trasportare a lunga distanza, e poi ritrasformare in energia elettrica per scaldare la resistenza di una stufetta, beh, ovviamente questo non ha senso. E’ questa catena di inefficienze che ha generato il termine molto efficace di “strage termodinamica” per chi usa stufe elettriche per il riscaldamento. Molto meglio, in questo contesto, usare direttamente il gas per il riscaldamento, soprattutto se in caldaie efficienti o, meglio ancora, in cogenerazione.

Anch’io ero convinto di questa idea, tanto è vero che quando abbiamo cambiato la cucina in casa, qualche anno fa, mi ero sbattezzato per trovare un forno a gas che non si esisteva in vendita quasi da nessuna parte. Una volta trovato e montato, mi sono sentito molto “ecologico” ma, ripensandoci oggi, dopo che ho montato un impianto fotovoltaico a casa mia, sono proprio sicuro di aver fatto la cosa giusta? Non è invece che un forno elettrico alimentato da energia solare fotovoltaica sarebbe stato meno inquinante e meno costoso?

Il concetto del riscaldamento elettrico fotovoltaico mi ha incuriosito. Da quando ho l’impianto FV sono diventato molto cosciente dell’energia che consumo nelle varie attività di casa e mi sento molto stimolato a essere efficiente al massimo. Perciò, mi sono messo a fare qualche esperimento per vedere quali sono i metodi migliori per scaldare le cose in cucina.

Ovviamente, le antidiluviane piastre riscaldanti a resistenza non sono una buona idea. Tuttavia, l’ultimo sviluppo tecnologico in cucina è la piastra riscaldante a induzione; molto più efficiente. La piastra funziona secondo il principio, appunto, dell’induzione, ovvero scaldando oggetti metallici per mezzo del campo elettromagnetico generato da un solenoide. Ha il vantaggio che scalda unicamente il metallo. Se non c’è la pentola da scaldare, non funziona; ergo: nessuno spreco di energia. Se le comprate da incasso, le piastre a induzione sono molto care, ma quella che vedete in figura costa poco più di 50 Euro comprata su ebay.it. Messa alla prova, sembra funzionare una meraviglia, ma non basta la prima impressione, bisogna quantificare.

La piastra non permette una misura dell’energia utilizzata e per questo scopo mi sono procurato un misuratore di energia per elettrodomestici comprato su D-mail a una trentina di euro (vedete anche quello nella figura, in basso a destra). Non è che l’oggetto mi entusiasmi molto, il minimo che può misurare sono 10 Wh, che è un po’ poco come sensibilità. Ma per queste misure in cucina dovrebbe andar bene anche questo.

Attrezzato con questi aggeggi, ho fatto un po’ di misure comparative anche con i fornelli a gas e con il forno a microonde, scegliendo 500 cc di acqua come sostanza da riscaldare. Ho usato un pentolino d’acciaio da circa 600 cc, oppure una pentola più grande, oppure, per i test nel microonde, la stessa quantità di acqua l’ho messa in un’insalatiera di vetro. Per quanto riguarda i fornelli a gas, ovviamente l’energimetro di D-Mail mi serviva a poco, ma ho trovato su internet una taratura dei fornelli AEG in kW (che, purtroppo, da allora non esiste più su internet, ma mi sono segnato i dati ). Non so se sono esattamente uguali ai miei fornelli, ma credo che siano misure standard per tutte le cucine.

Ecco i risultati. Non sono misure super-sofisticate, ma servono per dare un’idea.


Adesso vi dico che cosa deduco da queste misure.

1. La piastra a induzione è, effettivamente, molto efficiente. Molto di più del gas, ed è anche più rapida. Possiamo fare un piccolo calcolo di efficienza ragionando che la capacità termica dell’acqua è di 4.2J/k/g, per scaldare 500 cc ci vogliono 168 kJ, ovvero 46e-3 kWh. Notate che la lettura di “50 Wh” sullo strumento che ho usato va letta come un valore compreso fra 50 e 60 per cui se ne conclude che riscaldare a induzione ha un’efficienza dell’ordine dell’80%. Niente male!

2. Notate che c’è una differenza nei risultati a seconda della forma e dimensioni della pentola. Sia l’induzione sia il gas fanno più fatica a scaldare una pentola più grande. Questo è abbastanza ovvio, dato che entrambi devono scaldare una massa di metallo maggiore.

3. C’è una notevole perdita di efficienza a scaldare una pentola piccola su un fornello a gas troppo grande. Molto del calore si disperde nell’aria.

4. Il forno a microonde è la cosa meno efficiente e più lenta di tutte per portare l’acqua all’ebollizione. In realtà, ho il dubbio che questo sia dovuto in parte al fatto che ho usato un recipiente non specifico per le microonde. Può darsi che molta energia sia finita per scaldare il recipiente. Ma è una questione accademica, dato che nessuno usa il forno a microonde per fare la pastasciutta.

5. In termini di costi (senza fotovoltaico), non c’è molta differenza fra gas e induzione. Prendiamo la tariffa attuale per l’energia elettrica di .12 euro per kW. Scaldare 500 cc con l’induzione, richiede .05 kWh, ovvero 0.006 euro (0.6 centesimi) in condizioni favorevoli. Con il gas piccolo, secondo i dati AEG, abbiamo una portata di 0.095 m3/h. Per 9 minuti, fanno 0.014 m3. Al prezzo attuale di 0.320 euro/m3 fanno 0.0045 euro (0.45 centesimi), leggermente meno dell’induzione. Ma se si scalda con la tariffa notturna (0.08 Eur/kWh) allora vince l’induzione. Se poi c’è il FV, ovviamente, non c’è confronto, l’induzione stravince.

6. In termini di emissione di gas serra, se c’è il FV, ovviamente, l’induzione stravince sul gas. In assenza di FV o usando la piastra di sera, è difficile dire. La piastra è molto più efficiente localmente (circa un fattore 3) del gas, ma bisogna considerare tutta la catena di produzione dell’energia elettrica. Quanti gas serra si emettono dipende dalla fonte primaria. Se è idroelettrica, per esempio, le emissioni sono zero. Se è a carbone, al contrario, le emissioni sono alte. Normalmente, l’energia elettrica che utilizziamo arriva da un mix del quale non possiamo conoscere la composizione. Bisogna un po’ vedere dove e quando, ma la piastra a induzione potrebbe essere spesso migliore del gas anche per quanto riguarda l’emissione dei gas serra.

Questa serie di dati, credo, è già sufficiente per rivoltare il concetto che vuole che il metano sia sempre più “ecologico” dell’energia elettrica per applicazioni termiche (non sempre il metano ti da una mano). Se usata con la tecnologia giusta, e soprattutto se generata dal sole, l’energia elettrica in cucina sembrerebbe spesso meno costosa, più rapida e più sicura del gas.

Ora, si tratta di vedere quanto queste considerazioni possono essere estese oltre la cucina dove, tutto sommato, di energia se ne usa abbastanza poca. Possiamo dire che se uno ha il fotovoltaico gli conviene tornare allo scaldabagno elettrico o, addirittura, alle stufette elettriche? Beh, qui non è detto. Un problema è che gli impianti elettrici delle case attuali non sarebbero in grado di reggere il carico di una casa “tutta elettrica”. Allo stesso modo, un impianto fotovoltaico che sta su un tetto non sarebbe probabilmente in grado di reggere il consumo di una casa che usasse solo stufe elettriche a resistenza per il riscaldamento. D’altra parte, è anche vero che esistono dei sistemi di riscaldamento casalingo molto più efficienti delle resistenze elettriche. Mi sembra probabile che un sistema di riscaldamento basato su fotovoltaico e pompe di calore possa essere meno inquinante e meno costoso di un sistema tradizionale a caldaia e, forse, anche di un sistema a cogenerazione. Quest’ultimo, per quanto efficiente possa essere, dipende pur sempre dai combustibili fossili.

Tutte queste cose vanno studiate ulteriormente. Nel frattempo, teniamo conto che la faccenda “mai usare l’elettricità per il riscaldamento” si potrebbe rivelare una leggenda in molti casi.


(ringrazio Emilio Martines per i suoi suggerimenti a proposito della piastra a induzione e Corrado Petri per i suoi commenti a proposito di questa nota)

lunedì 22 dicembre 2014

World Energy Outlook 2014: il picco di tutto?

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel

Cari lettori,
negli ultimi giorni, a parte dedicare tempo ai molteplici impegni professionali e di divulgazione, sono stato occupato a preparare il tema del post di oggi: la mia analisi del rapporto per eccellenza del panorama energetico mondiale, il World Energy Outlook, che nella sua edizione del 2014 è stato presentato dalla IEA il 12 novembre scorso. Un rapporto come al solito molto lungo (748 pagine), con moltissime informazioni su ciò che le menti pensanti di questa agenzia della OCSE credono che sarà il futuro della fornitura energetica del pianeta. Data la lunghezza di questo post, nel quale analizzo molti aspetti di questo rapporto, lo organizzerò in diverse parti per facilitarne la lettura, vale a dire: Prospettiva storica; Strutture del WEO 2014; Petrolio; Carbone; Nucleare; Gas; Ciò che rimane nel calamaio e Conclusioni.

Prospettiva storica

Come abbiamo discusso in numerose occasioni, la IEA è sempre restia ad accettare la cruda realtà di un mondo finito con risorse finite, ma lentamente i problemi associati alla fornitura di petrolio hanno trasceso i suoi rapporti, nei quali la IEA ha sempre cercato di presentare la faccia più favorevole degli eventi che i suoi modelli di previsione di offerta e domanda le offrivano. Così, nel 2010, la IEA ha riconosciuto per la prima volta che il petrolio greggio era giunto alla sua produzione massima, che dovrebbe mantenersi costante fino al 2035, ma si consolava pensando a quali altri idrocarburi avrebbero preso in gran parte in mano la situazione. Nel 2012, coloro che hanno avuto la pazienza immergersi nel rapporto, hanno trovato la sorpresa del riconoscimento del declino della produzione di petrolio greggio, anche se la stampa si è concentrata solo sulla fantasia secondo la quale gli Stati Uniti sarebbero diventati autosufficienti nel prossimo futuro, anche se semplicemente esaminando il grafico originale di quel rapporto nel quale si sosteneva un'affermazione così azzardata, era già possibile vedere che tale autosufficienza si sarebbe potuta ottenere soltanto, a parte che facendo molte ipotesi  e molto ottimistiche, se in più gli Stati Uniti avessero rinunciato a più del 30% del consumo attuale.


Evoluzione prevista per le importazioni di petrolio degli Stati Uniti  secondo il WEO 2012. Come si vede, gli Stati Uniti non giungono mai all'autosufficienza, dovendo importare ancora più di 3 Mb/g nel 2035. Sopra si ipotizza che altri 3 Mb/g verranno da una maggiore “efficienza da parte della domanda”, cosa che finisce per essere un eufemismo per dire che si distruggerà la domanda come conseguenza di un'importante recessione economica. Altri dettagli nel post World Energy Outlook 2012: fare di necessità virtù.


Nello stesso 2012 ho elaborato un'analisi abbastanza dettagliata, incrociando dati di diverse fonti con le previsioni della IEA, per cercare di offrire una prospettiva sull'evoluzione dell'energia netta del petrolio, la quale ci ha indicato un panorama piuttosto preoccupante.


Evoluzione dell'energia netta del petrolio in uno scenario realista, derivato dallo scenario delle Nuove Politiche del WEO 2012. Altri dettagli su Il tramonto del petrolio

L'anno scorso, il WEO 2013 ci ha mostrato un grafico ancora più inquietante. In questa occasione non ho neanche dovuto lavorare sui dati. Il grafico 14.6 ci ha mostrato una rapida riduzione della produzione di petrolio nei prossimi anni se non si fosse continuato ad investire a sufficienza.


E come abbiamo spiegato ripetutamente in questo blog, nonostante questo “avviso ai naviganti” da parte della IEA, la politica delle grandi compagnie è stata piuttosto quella di annunciare tagli degli investimenti. La ragione di tale strategia di disinvestimento è che l'affare non è più tanto redditizio, visto che gli investimenti in produzione non convenzionale sono rovinosi. Non solo questo, ma tutte le tensioni accumulate nel sistema aumentano il rischio di uno scollegamento improvviso per il quale alcuni paesi potrebbero collassare, specialmente se si protrae l'attuale situazione dei prezzi del petrolio in ribasso. In questo contesto, ho analizzato con attenzione i parametri del WEO 2014, cercando di verificare quali tendenze raccoglie, di quelle enunciate sopra, e quali si permette di tralasciare o di addolcire e in quel caso per quale motivo. E i mie risultati sono piuttosto sorprendenti, come vedrete.

Struttura del WEO 2014

Il WEO 2014 è strutturato in tre parti:

- La parte A parla delle tendenze energetiche globali, secondo i suoi tre scenari di riferimento: Politiche attuali, in cui si suppone che non ci siano cambiamenti delle tendenze attuali; Nuove politiche, in cui si ipotizza che le politiche che si stanno profilando entrino in vigore e Scenario 450, in cui il mondo il mondo si imbarca nell'ambizioso programma di lotta al cambiamento climatico con l'obbiettivo di mantenere la concentrazione di gas ad effetto serra al di sotto delle 450 ppm equivalenti di CO2. Lo scenario di base per la IEA, come sempre, è quello delle Nuove politiche, salvo quando venga detto esplicitamente il contrario, tutti i grafici si riferiscono a questo scenario.

- La parte B è dedicata alla descrizione in dettaglio dell'energia nucleare.

- La parte C si occupa delle prospettive energetiche dell'Africa. In questo post non mi occuperò di questa parte.

L'inizio della parte A è dedicato alla spiegazione di alcuni dettagli dei modelli economici usati per comporre gli scenari. Richiamano l'attenzione, per esempio, i cambiamenti introdotti nello Scenario 450, visto che si riconosce che è poco probabile che ci sia un'azione concentrata prima del 2020. Nella parte delle ipotesi economiche, la IEA ci offre un grafico aggiornato sul rapporto fra energia e PIL per diverse regioni della Terra:



Di questo grafico è interessante evidenziare che anche se il rapporto fra crescita del consumo di energia e crescita del PIL non è costante (non sono linee rette), in generale le inclinazioni sono positive, cioè, che il PIL cresce sempre quando cresce il consumo di energia e decresce quando diminuisce il consumo di energia. Pertanto, la relazione fra energia e PIL è quasi sempre dello stesso tipo, tanto nei periodi di crescita economica quanto nei periodi di recessione. Le poche aree con inclinazioni negative (in cui tipicamente il PIL cresce nonostante la diminuzione del consumo di energia) sono rare e corrispondono a periodi transitori a seguito di una grossa recessione, periodi nei quali l'economia non ha ancora trovato il proprio punto di equilibrio. Di fatto, il periodo più prolungato con inclinazione negativa sembra corrispondere agli ultimi anni dopo il 2008 e soltanto nel caso degli Stati Uniti. Dato che negli Stati Uniti durante questo periodo si sono verificati due effetti di distorsione del rapporto economico (l'importazione di energia esportando inflazione da un lato e l'eccessivo indebitamento delle società energetiche che estraggono idrocarburi di bassa qualità dall'altro), entrambi transitori e difficilmente ripetibili, è difficile credere che si possa convertire questo breve periodo in un paradigma, vi starete forse dicendo. Ma non è ciò che dice la IEA, che invece ha convertito una tale anomalia nella parte centrale del proprio scenario delle Nuove politiche. Da un lato, la IEA ipotizza che la crescita media annuale del PIL in termini reali nell'OCSE sarà del 1,9%, ma allo stesso tempo ipotizza una situazione di stagnazione energetica per il mondo attualmente più industrializzato: gli Stati Uniti passerebbero da un consumo totale di energia primaria di 2135 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtoe, nell'acronimo inglese) nel 2012 a 2190 Mtoe nel 2040, l'Europa passerebbe da 1769 a 1697, il Giappone da 452 a 422 e la Russia da 749 a 819 (ma tenendo conto che nel 1990 consumava 880 Mtoe). Vale a dire: una crescita esigua, dello 0,3% annuale per gli Stati Uniti e leggermente negativa per l'Europa e per il Giappone. Il resto del mondo, invece, vedrà crescere il proprio consumo di energia a ritmi fra l1 e il 2% all'anno, piuttosto considerevoli, ma inferiori alle medie storiche di crescita del consumo energetico: Con questa crescita, il resto del mondo garantirebbe una crescita del PIL reale a un ritmo del 4,6% all'anno, roba da niente.


Come si verificherà un tale prodigio, che contraddice l'intuito ed anche i dati sperimentali che ci offre la stessa IEA sull'evoluzione del PIL rispetto al consumo di energia? La risposta ce l'abbiamo a pagina 53: “Nello scenario di Nuove politiche la domanda di energia primaria mondiale aumenta di circa il 37%fra il 2012 e il 2040. La domanda cresceva più rapidamente nei decenni passati; questo rallentamento della crescita della domanda si avrà dai guadagni in efficienza energetica e cambiamenti strutturali nell'economia globale a favore di attività meno intensive energeticamente" (il grassetto è mio). Cioè: la IEA identifica che l'energia non fluirà con la stessa intensità di prima (anche se non ammette apertamente che ci saranno problemi con diversi combustibili) ma ci dice di non allarmarci, perché il PIL continuerà a crescere nonostante il consumo energetico non lo segua (e che nella OCSE addirittura ristagni), grazie al fatto che i nostri processi energetici sono più efficienti (pare non abbiano ancora sentito parlare del paradosso di Jevons) e propone perché inoltre ci concentreremo in attività di maggior valore aggiunto. Questa riflessione dovrebbe allarmare i paesi come la Spagna, dove non si è predisposto nulla per settori del genere e dove non si stanno ponendo le condizioni per fare questa fortissima e rapidissima transizione, ma dove piuttosto avviene il contrario, con un'espulsione in massa dei giovani attraverso l'emigrazione.

Un punto chiave per il miracolo che sta chiedendo la IEA è l'evoluzione dello sviluppo tecnologico: A pagina 46 da i dettagli di quali sono le principali conquiste che si aspetta: più rinnovabili (anche se riconosce una caduta dell'investimento nelle stesse), più nucleare (la questione sulla quale sembra puntare questo rapporto), sistemi di cattura e sequestro del carbonio (CCS; è interessante evidenziare che, secondo i regolamenti della EPA americana, le nuove centrali termiche a carbone dovranno essere equipaggiate con CCS entro 10 anni – vedremo di cosa si tratta), più biocombustibili negli Stati Uniti (si riconosce che c'è stato un forte crollo nel 2012 – coinciso con la fine dei sussidi negli Stati Uniti – ma che c'è stato un grande recupero nel 2013), più veicoli ibridi ed elettrici e la proverbiale efficienza energetica (Lord Jevons, questo sconosciuto). Tutte idee vecchie, tutte già verificate, in alcuni casi, per decenni e tutte hanno dimostrato di avere dei limiti pratici che negano qualsiasi possibilità che possano avere un impatto significativo su grande scala. Per esempio, nonostante queste espressioni di buona volontà, possiamo leggere più avanti nel rapporto (box 2.2, pagina 61) che il fotovoltaico fornirà nel 2040 il 4% dell'elettricità mondiale, mentre l'eolico darà l'8% della stessa elettricità. Risulta che l'incremento dell'elettrificazione in questo periodo sarà, secondo questo scenario, moderato, per cui il contributo delle rinnovabili all'energia primaria del mondo passerebbe dal 12% nel 2012 al 19% nel 2040 (e non dimenticate che la maggior parte delle rinnovabili sono biomassa – principalmente le legna che usano i contadini di tutto il mondo – e idroelettrico). In nessun punto si discute con quale rame si produrrà questo incremento di elettrificazione, soprattutto tenendo conto del fatto che il picco di produzione del rame sembra essere in un orizzonte prossimo; non ci sono neanche allusioni ai possibili problemi di forniture di terre rare, che sono necessarie per le tecnologie più efficienti. Come vedete, non si profila niente di realmente eccitante nell'orizzonte energetico, non è affatto evidente che si possa ottenere un aumento della nostra fornitura di energia da parte di nuove fonti e da una migliore efficienza. Eppure, sta lì la scommessa della IEA per il futuro.

Petrolio

Per la IEA è chiaro che il consumo di energia continuerà a crescere nei prossimi anni, in modo tale da soddisfare la domanda crescente di una popolazione che vedono in continuo aumento. Ricordiamo che, a parità di altri fattori, la crescita della popolazione è il fattore che contribuisce di più all'aumento del PIL e con il pensiero economico classico – la dottrina religiosa imperante – il PIL deve sempre aumentare, per cui la via più facile è mediante l'aumento della popolazione. Nel caso particolare del petrolio, si prevede un aumento, nei prossimi 26 anni, di circa 14 Mb/g, fino a raggiungere il livello dei 104 Mb/g. Quanto è lontano il WEO del 2007, in cui ci si aspettava di giungere ai 120 Mb/g nel 2025 (secondo il WEO 2014, nel 2025 la produzione di tutti gli idrocarburi liquidi – che non sono esattamente petrolio – sarà circa di 96 Mb/g. Il panorama potrebbe sembrarci un pochino meno promettente di quello dell'anno scorso e la IEA si sforza di proporre un messaggio positivo, anche se non può evitare di dare avvertimenti sul fatto che il cammino verso il futuro può avere delle gravi complicazioni. Così, a pagina 74 possiamo leggere: “Le risorse restanti economicamente sfruttabili dei combustibili fossili e dell'uranio su scala globale sono più che sufficienti per coprire la crescita prevista della domanda fino al 2040, nello scenario Nuove politiche (…). Ma se queste risorse saranno finalmente sviluppate e un po' meno chiaro, date le incertezze risultanti dalla confluenza di fattori geopolitici, economici e politici e all'impatto del cambiamento tecnologico”. Per alimentare maggiormente la confusione, la IEA mostra a pagina 75 il tipico grafico degli anni rimanenti per ogni combustibile: è l'errore tipico Q/P (Quantità di petrolio/Produzione di petrolio), della quale abbiamo già parlato in alcune occasioni, che di solito serve ad illustrare alcuni articoli d'opinione che appaiono sulla stampa. Per evitare che vi disturbiate a cercare il grafico in questione, ve lo copio qui. Naturalmente, non c'è alcun riferimento all'EROEI in tutto il rapporto.


A pagina 76 si riconosce, a parole, che la produzione di petrolio greggio convenzionale diminuirà leggermente: dai 70 Mb/g del 2005 (questo dato non è menzionato in questo WEO, ma ma è stato presentato nelle edizioni precedenti) si manterrebbe a 68 Mb/g fino al 2030 e poi diminuirebbe fino ai 66 Mb/g nel 2040. Il fatto è che questo WEO è molto testuale e meno grafico, meno basato su dati di quelli precedenti, per quanto riguarda il petrolio. Non c'è alcun grafico come quello del 2012, col quale ho fatto l'analisi del post “Il tramonto del petrolio”, ma c'è qualcosa di meglio: una tavola a pagina 117 coi valori numerici di produzione per tipo ed anno (secondo la quale, di sicuro) la produzione di petrolio greggio nel 2013 è stata di 68,6 Mb/g. Traetene le vostre conclusioni). L'analisi di questa tavola sarà il tema del prossimo post. In generale la IEA  da in questo WEO le informazioni col contagocce e le poche cose che mostra le presenta in modo inusuale, cercando di dissimulare i fatti: guardate questo grafico che occupa la pagina 79:




In realtà sono grafici della produzione stimata dei paesi esaminati, ma a tutti è stato sottratto il livello di produzione del 2013. Se guardiamo bene, questi grafici non stanno dicendo che la produzione di petrolio (non dicono “convenzionale, così dobbiamo intendere che si riferiscano a tutti gli idrocarburi liquidi) diminuirà in Russia e nel Mare del Nord (molto leggermente, se si confronta con altre stime), aumenterà molto poco e solo a partire dal 2025 in Arabia Saudita, toccherà il suo massimo produttivo negli Stati Uniti verso il 2017 o 2018 (dove sono finiti i sogni di indipendenza energetica?) e realmente dipenderà principalmente dal Canada e in misura maggiore da Brasile ed Iraq il fatto che non cominci un declino irreversibile. Tenendo conto che in Brasile le prospettive nella pratica non si stanno rivelando tanto buone e che in virtù di ciò che abbiamo visto è possibile che nel 2040 non esista uno stato chiamato Iraq, sembra tutto un esercizio di volontarismo piuttosto che una cosa concreta. Una delle sezioni più interessanti del WEO 2014 è quella che parla degli investimenti nella produzione di energia. Estrapolo alcune frasi che credo siano abbastanza significative:

Pagina 85: “La decisione di impegnare capitale nel settore energetico viene sempre più modellata da misure politiche e incentivi dei governi, più che dai segnali di un mercato competitivo [riferimento ad un rapporto sull'investimento pubblicato dalla IEA qualche mese fa]. Nel settore del petrolio, ci si attende che la dipendenza da paesi con un accesso più restrittivo alle risorse cresca, nella misura in cui la produzione di petrolio del Nord America [NOTA: cioè, Canada, Stati Uniti e Messico] torni piatta dal 2030 in avanti. Le turbolenze geo-politiche come quelle presenti in Iraq, Libia ed altre parti del Medio oriente e del Nord Africa, sono la base dei rischi negativi sulla produzione di petrolio a lungo termine, cosa che indica un rischio significativo del fatto che l'investimento non arrivi in tempo, durante il decennio in corso, per evitare un deficit di fornitura a partire dal 2020”. Come vedete, i problemi possibili “sul terreno”, come piace dire alla IEA, sarebbero la causa del fatto che non si verifichi in tempo l'investimento, se alla fine succede questo. E, come vedete, nessuno si addentra ad analizzare se questi problemi sono il risultato di una instabilità intrinseca frutto dei crescenti costi di estrazione e il crollo del beneficio che corrisponde all'estrazione di fonti con EROEI molto bassi. Come sappiamo, l'incremento della produzione di petrolio degli Stati Uniti non sta portando ad un aumento del consumo della preziosa materia prima in quel paese. In realtà, lo scenario che maneggia la IEA, che è già abbastanza inquietante per l'OCSE, è molto preoccupante in termini di petrolio: dato che la produzione di tutto ciò che la IEA chiama petrolio aumenterebbe solo di 14 Mb/g da qui al 2040 al di sopra degli attuali 90 MB/g di produzione, il suo scenario prevede una drastica redistribuzione del consumo.


Come si vede nel grafico, il consumo dell'OCSE diminuirebbe a 10 Mb/g, cioè, intorno al 23% del suo consumo attuale, perché soprattutto Cina ed India possano aumentare il proprio. Pertanto, lo scenario di riferimento per la IEA, che contempla una stagnazione del consumo energetico per l'OCSE, è in realtà uno scenario di forte discesa del consumo di petrolio in questa area, che dovrà essere compensato da gas, nucleare e rinnovabili. Se si analizzano in modo critico le tendenze degli ultimi anni, una transizione tanto ordinata e di questa dimensione sembra, quanto meno, molto improbabile. Non c'è da meravigliarsi che alla pagina 104 venga dedicato tutto un paragrafo per parlare dei vantaggi del car sharing negli spostamenti e si menziona persino che probabilmente abbiamo superato il picco delle auto nell'OCSE (picco del petrolio non si può dire, ma la sua ombra è lunga). Analizzando le riserve tecnicamente recuperabili di petrolio, il WEO 2014 da da intendere chiaramente che considera che siano più che sufficienti per coprire la domanda prevista in uno qualsiasi dei tre scenari. Detto così non è chiaro se stanno tenendo conto dei ritmi reali di produzione, visto che la questione non è solo se le riserve saranno sufficienti (lo sono senza dubbio), ma se la quantità che si potrà estrarre a ritmi realistici potrà coprire la domanda (cosa abbastanza più incerta, come sappiamo). Come si dice a pagina 111, le risorse mondiali di idrocarburi liquidi non rinnovabili (che comprendono petrolio greggio convenzionale, liquidi del gas naturale, super pesanti, kerogene e tight oil) sarebbero di circa 6 miliardi (spagnoli) di barili di greggio, dei quali 1,7 miliardi sono considerati riserve provate (espressi in termini del quoziente Q/P che da luogo in seguito a tante confusioni, circa 50 anni ai livelli di consumo attuali se si potesse estrarre questo petrolio al ritmo che pare a noi, ma già sappiamo che non è così). Ci sono diverse cose curiose qui. Un miliardo di queste risorse corrispondono al kerogene, che non è chiaro come si possa estrarre economicamente (vedete la discussione nel post sulla redditività del fracking). Ci sono altri quasi 2 miliardi che corrispondono ai petroli superpesanti, alcuni dei quali sono di redditività molto bassa o nulla, e 344.000 milioni sono di tight oil. Non sappiamo a quante di queste tre risorse sia stata assegnata la categoria di “riserve provate”. Dato che per l'insieme di risorse di petrolio si verifica un rapporto di 3,5 a 1 tra risorse e riserve, sembra ragionevole che esista una relazione simile per queste tre risorse concrete e le loro riserve provate, pertanto c'è una quantità sicuramente non molto lontana dai 900.000 milioni di barili di riserve che vengono considerate provate ma che sarà piuttosto difficile sviluppare completamente.

Un'altra cosa curiose è che la IEA dice che, nonostante le riserve provate siano sufficienti a coprire la domanda attesa, è molto importante che se ne trovino di nuove a causa del fatto che la maggior parte delle attuali riserve sono controllate dall'OPEC e, pertanto, non sono troppo affidabili (controllano troppo il prezzo, dice la IEA). Qui si introduce tutta una discussione sul fatto che la classificazione attuale di riserve provate e probabili sia adeguata tenendo conto del modello di estrazione delle risorse non convenzionali, anche se a me pare un po' ipocrita e soltanto una giustificazione al fatto di dire che si continueranno a trovare risorse ad un buon ritmo nei prossimi anni, grazie a queste nuove pratiche contabili.


Infilandolo nella discussione sulle nuove riserve, il WEO 2014 approfitta per dire che due terzi di ciò che si spera di trovare  nei prossimi anni dovranno essere in estrazioni nel mare (off shore). Niente è casuale: la IEA ha il Messico nel mirino e nonostante non ci presenti alcun grafico sull'evoluzione della produzione globale di petrolio per tipologia, ce lo offre invece nel caso del Messico.


Come vedete, ipotizzano una fortissima caduta della produzione di petrolio a partire dai giacimenti attualmente in estrazione nel paese nordamericano (nella notazione della IEA), che verrà compensata da un aumento incredibilmente grande della produzione proveniente da giacimenti ancora da scoprire, principalmente offshore. Si aspettano che accada tutto questo, come dicono esplicitamente, sulle ali della famosa riforma energetica del Messico, che deve permettere che il capitale privato inverta la pessima tendenza produttiva attuale (cosa che non pochi mettono in dubbio). Qui la IEA si allinea con questi interessi economici e, con questo grafico che allego sopra, fornisce argomenti a favore dell'apertura energetica (che temo molto che scatenerà un mare d'inchiostro in Messico, sullo stile del meme falso dell'indipendenza energetica degli Stati Uniti). E' il caso di dire che un incremento tanto rapido e brutale della produzione di petrolio proveniente da giacimenti non ancora conosciuti in un'area in cui, seppure poca, esiste già un'estrazione ed un'esplorazione, risulta difficile da credere. I commenti che si fanno su Iraq ed Iran sono sulla stessa linea: un ottimismo difficile da sottoscrivere. Vi lascio, senza ulteriori commenti, la curva che stimano per l'Iran. Fino al 2013 sono dati, a partire da lì è la loro previsione.


Non riesco a finire l'analisi di questa parte senza tradurre alla lettera un paragrafo sulle “Prospettive di produzione” (pagina 114), nel quale la IEA fa la sua previsione a breve e medio termine, poiché credo che i prossimi anni metteranno a dura prova queste affermazioni.

“La produzione di petrolio fino al 2040 nello scenario di Nuove politiche si può dividere in maniera utile in due periodo, con la transizione fra i due che avviene nel decennio degli anni 20 di questo secolo (Figura3.10). Il primo periodo è caratterizzato da una produzione sostenuta nei paesi non OPEC: il tight oil (e in misura minore il petrolio da acque profonde) degli Stati Uniti, le sabbie bituminose del Canada, i giacimenti in acque profonde del Brasile e la crescente produzione di liquidi del gas naturale da diverse fonti fanno sì che la produzione non OPEC si stabilizzerà e comincerà a retrocedere, a causa della diminuzione della produzione convenzionale in Russia, Cina, più tardi in Kazakistan e alla fine di una saturazione negli Stati Uniti”.

Carbone

Qui troviamo una delle sorprese (relative) di questo WEO: la IEA prevede praticamente una stagnazione del consumo di carbone a partire dal 2020 (crescite fra lo 0,2% e lo 0,3% annuali), dando luogo ad un plateau produttivo che ricorda quello che nel 2010 si era verificato per il petrolio greggio convenzionale. Il grafico si può trovare nella presentazione alla stampa.



Dato che nel 2012 è stato verificato che tale plateau non si era verificato, ma che il petrolio convenzionale in realtà stava già diminuendo, è legittimo chiedersi se qualcosa del genere succederà anche col carbone. In linea di principio ciò non è troppo probabile, poiché questo limite estrattivo sembra essere originato più da una difficoltà intrinseca di consumare più carbone da parte del suo maggior utilizzatore, la Cina, a causa dei problemi logistici ed ambientali che causa, non tanto all'impossibilità di aumentare la produzione. Cioè, che è possibile che in questo caso ciò che prevede il WEO 2014 è un picco della domanda e non della produzione, che alla fine viene a mettere in dubbio una volta di più la perfetta sostituibilità delle diverse fonti di energia. In questo modo, sarebbe possibile mantenere una produzione di carbone approssimativamente costante per vari decenni, come i dati delle riserve sembrano avvallare. In aggiunta, non si deve scartare il fatto che il messaggio che sta mandando la IEA contenga un certo contenuto politico: al prossimo vertice di Parigi si deve decidere come si taglieranno le emissioni di CO2 e il carbone è il combustibile più inquinante e che produce più CO2 per caloria prodotta (anche se, come sembra, le estrazioni da fracking non gli vanno molto lontano). E' piuttosto significativo il grafico delle emissioni previste a seconda del tipo di combustibile:


Come si vede, si pensa che le emissioni associate al petrolio ed al carbone rimangano praticamente costanti a partire dal 2020 (di fatto il petrolio salirebbe ancora leggermente, mentre il carbone manterrebbe il livello più o meno dal 2017), mentre le emissioni di CO2 associate al gas salirebbero a buon ritmo. Obbiettivamente questa è una visione di come dovrebbe essere il mix energetico nei prossimi anni e che favorisce gli interessi degli Stati Uniti grazie al gas di scisto (purtroppo nella IEA, nonostante le numerose notizie apparse sulla stampa, non hanno ancora imparato che il gas di scisto è una rovina). Anche così, queste proiezioni rispetto al carbone contraddicono le attuali tendenze, come quella della Germania (che sta consumando più carbone, principalmente la sua lignite nazionale). Ciononostante, il WEO 2014 afferma che il consumo di carbone in Europa scenderà, principalmente a causa dell'aumento della produzione energetica rinnovabile (che in Europa dicono che raddoppierà), anche se il totale dell'energia primaria consumata sarà inferiore (ma il PIL crescerà, a causa immagino della presunta maggiore efficienza nello sfruttamento dell'energia elettrica negli usi finali, il che è sicuro, se parliamo di motori, abbastanza meno certo se parliamo di altri usi). Per maggiore contraddizione, in un'altra sezione del WEO si afferma che la produzione di petrolio (o meglio, di idrocarburi liquidi) si farà più complessa e diversificata grazie all'introduzione massiccia di impianti di conversione del gas liquido e di trasformazione del carbone in liquido grazie al processo di Fischer-Tropsch, nonostante le prove della sua attuale piccolezza (il WEO parla di una decina di migliaia di barili al giorno di produzione). L'ipotesi di un picco della domanda di carbone sembra, pertanto, abbastanza ragionevole. Tuttavia, a pagina 190 troviamo questo grafico rivelatore, in cui la produzione di carbone è ripartita per tipo di miniera: 



La striscia azzurra corrisponde alle miniere esistenti, che a quanto pare soffriranno di un abbassamento della produzione che accelererà a partire dal 2025. La striscia marrone corrisponde a progetti di espansione, basati su miniere già esistenti. Apportano qualcosa, ma non invertono la tendenza né modificano sensibilmente i tempi. La chiave si trova, pertanto,  nella striscia verde, che corrisponde a miniere nelle quali non è ancora stato fatto il primo buco (e nelle quali pertanto il volume delle riserve e la produzione ottenibile hanno una componente speculativa). La IEA sta preparando il terreno per discutere del picco del carbone nei prossimi anni?Il resto di questa sezione è abbastanza inutile. Evidenzio che, seguendo la moda del momento, una sotto sezione è dedicata alla discussione della cattura e dell'immagazzinamento del carbonio (Carbon Capture and Storage, CCS). I sistemi di CCS si basano sull'iniezione dei gas di combustione delle centrali termiche a carbone in alcuni bacini sotterranei o, allungandone il ciclo, il suo uso nel recupero secondario o terziario del petrolio (nel quale si favorisce il flusso di petrolio iniettando gas in pressione). Dato che l'obbiettivo è catturare il il CO2 per continuare a bruciare carbone, si pongono una serie di difficoltà pratiche. Qualsiasi studente del primo anno di Fisica sa che la resistenza di un gas all'essere iniettato in un bacino aumenta esponenzialmente con la quantità di gas già accumulato al suo interno, cosicché questi sistemi consumano una grande quantità di energia ed alla fine si saturano ad un certo valore, raggiunto il quale non è più possibile iniettare altro gas. I bacini geologici a disposizione di uno di questi impianti ha sicuramente limiti di capacità inferiori alla produzione potenziale di CO2 della centrale termica, quindi, cosa si fa del CO2 in eccesso? C'è anche la questione della tenuta stagna del bacino: se si creano delle crepe, il CO2 uscirà nell'atmosfera e lo sforzo sarà stato vano (e questo senza contare il fatto che le alte pressioni potrebbero, in determinate situazioni, indurre sismicità: i lettori spagnoli ricorderanno senza dubbio il fiasco del magazzino Castor, di fronte alle coste di Castellón. Per ultimo, c'è la questione per cui l'iniezione di gas nel sottosuolo consuma una grande quantità di energia (nei prototipi più avanzati di CCS, un 25% della produzione dell'impianto), proprio in un momento nel quale sicuramente non ci interessa perdere altra energia. Tutte queste cose sono conosciute già da anni eppure si continua ad insistere ripetutamente su questa idea, che è sconfitta in anticipo dalla realtà. 

Gas

Secondo questo WEO, il gas supererà il petrolio come fonte principale di energia degli Stati Uniti prima del 2030, in parte a causa della diminuzione della domanda di quest'ultimo (suppongo che sia perché presumono che le auto elettriche alimentate da rinnovabili prenderanno il sopravvento nei trasporti o perché presumono che i liquidi associati al gas verranno maggiormente usati nell'autotrazione). Questa affermazione della IEA servirà ad alimentare per qualche anno ancora l'idea che la rivoluzione del gas di scisto sia la panacea, finché questa bolla finanziaria non finisca per scoppiare. Significativamente, l'epigrafe di questa sezione è: “Liquidi del gas naturale alla riscossa?”. Per i disinformati, dire che la maggior parte del contenuto dei liquidi del gas naturale , e in modo analogo nei gas di petrolio liquefatti o GPL, è una miscela variabile di butano e propano. Cioè che tutti i progressi nell'autotrazione basati su questi combustibili consistono fondamentalmente nel recuperare, in versione moderna, quei taxi alimentati con bombole di butano che erano frequenti nella Spagna degli anni 70 e 80, cosa interessante ora che la gente usa meno butano nelle abitazioni, ma che ha un percorso limitato perché il prezzo di questa alternativa andrà alle stella quando il mercato cresce. In quanto al gas naturale in sé stesso, secondo le proiezioni della IEA, il suo uso principale sarebbe per la generazione di elettricità. Nonostante le difficoltà di creare nuovi mercati per il gas naturale, soprattutto se il petrolio ed il carbone non andranno ad alimentare più crescita economica, la IEA scommette che il gas crescerà a buon ritmo, prendendo in qualche modo il posto degli altri combustibili. 


Il posto nel mondo in cui dovrebbe crescere di più la domanda di gas naturale sarebbe la Cina, ad un ritmo impressionante del 5,2% all'anno. Evidentemente è questo il modo in cui la Cina potrà livellare il proprio consumo di carbone. Date le tendenze attuali, questa supposizione sembra abbastanza azzardata, tenendo in considerazione inoltre che il commercio e la distribuzione del gas necessita di costose infrastrutture che richiedono anni per essere ripagate. I prossimi anni metteranno alla prova le ipotesi della IEA. La seconda regione col maggior incremento del consumo di gas naturale è il Medio Oriente (2% di crescita annuale). Come ha già fatto per il petrolio, la IEA non vede alcun problema futuro nella produzione di gas, nonostante che a questo punto ci troviamo già a pochi anni dal suo picco produttivo, il quale potrebbe essere accelerato dalle turbolenze col petrolio. Così, con l'animo di poter continuare a comprare le diverse revisioni che si faranno nel prossimo decennio sulla produzione di gas naturale, includo qui il grafico corrispondente a questo WEO. Sicuramente, siccome non vedono ancora arrivare il picco di produzione del gas convenzionale, qui ci suddividono la produzione per tipologie: un dettaglio che sarà utile per riferimenti futuri. 


Merita una menzione anche il fatto che dedichino una sottosezione a discutere dei problemi di sicurezza della fornitura di gas, in particolare alla luce del recente e crescente conflitto fra Russia e Unione Europea alla cui basa c'è l'Ucraina. Mostrano un grafico molto interessante sul quali sono state le importazioni di gas naturale per l'Europa (non l'Unione Europea), che a sua volta può essere utile per tracciare la strada del nostro futuro.


Nucleare

Il WEO 2014 dedica una parte enorme alla discussione di questa fonte di energia, nonostante il suo carattere minoritario (circa il 4% dell'energia primaria generata nel mondo) e delle sue scarse proiezioni di futuro. Perché? Perché fondamentalmente la IEA abbraccia la tesi secondo la quale le riserve di uranio sono enormi e che l'evoluzione tecnologica permetterà di ampliare enormemente le risorse che passeranno ad essere economicamente disponibili – abbiamo molto bisogno di una tecnologia che a breve termine cominci a dare un apporto in mezzo a tante carenze. Ma l'evoluzione dell'energia nucleare negli ultimi decenni non è stata molto brillante, essendo passata dal fornire il 18% dell'elettricità mondiale nel 1998 al 11% di adesso (vedete il grafico più in basso). Ma per la IEA la questione chiave sono le basse emissioni di CO2 di questa fonte: di fatto, nello scenario 450, l'energia nucleare cresce ad un ritmo vertiginoso.


Il WEO 2014 presume che si installeranno 332 Gw di potenza in più da qui al 2040 (il che è una castroneria: attualmente ci sono 392 Gw), principalmente in potenze emergenti e negli Stati Uniti, mentre scommette sul fatto che si prolunghino la vita delle licenze di esercizio in occidente. Richiama l'attenzione l'ipotesi poco delicata secondo la quale il Giappone recupererà progressivamente la sua forza nucleare, a partire dal 2020 per non ferire suscettibilità nei dintorni e soltanto ai tre quarti di quello che avevano prima dell'incidente di Fukushima. In seguito c'è una lunghissima discussione sui costi, scomponendo i diversi fattori che contribuiscono agli stessi e la sensibilità che hanno a diversi fattori (compreso il prezzo dei combustibili fossili). Mi è sembrato interessante vedere che il prezzo del combustibile è già intorno al 10% dei costi della centrale (quando ho cominciato a fare questo, i sostenitori di questa tecnologia si vantavano del fatto che il combustibile rappresentava soltanto l'1% dei costi) e poi un'altra discussione, non meno lunga, sulla percezione pubblica di questa energia. Qui si presentavano tre sotto-scenari disaggregati da quello di riferimento; in uno di questi (Low nuclear) nel 2040 ci sarebbe un po' meno energia nucleare installata (366 Gw). In quanto alle risorse, si dice che c'è uranio sufficiente per alimentare uno qualsiasi dei tre sotto-scenari. C'è anche un certo cinismo implicito, per esempio nel grafico che ci informa quale dovrebbe essere il ritmo di chiusura delle attuali centrali nucleari e qual è quello che prevedono nello scenario di riferimento, dando per scontato che ci saranno molti prolungamenti delle licenze operative oltre la vita utile nominale delle centrali e che di fatto verranno estese per molti decenni. 


Ma quello che risulta estremamente scioccante è il riconoscimento aperto del fatto che con le miniere di uranio esistenti e con l'uranio immagazzinato dei decenni antecedenti (riserve secondarie, nel gergo del settore), presumendo inoltre che tutte le miniere attualmente previste si realizzino in tempo, mancherà uranio a partire dal 2020 e verso il 2040 non si potrà coprire tutta la domanda ma meno del 60% (mancheranno circa 45.000 tonnellate di uranio naturale equivalente su circa 105.000 richieste).


Questo è né più né meno il picco dell'uranio. Sono sicuro che a Pedro Prieto piacerà vedere emergere le fauci di uraniator in questo “supply gap” (“mancanza di fornitura”) che ci ricorda tanto quello già visto un decennio fa nelle previsioni per il petrolio. La sola cosa che la IEA riesce a fare per cercare di scongiurare prospettive così pessime è il paragrafo che segue e che accompagna il grafico che vi ho appena indicato: 

“L'estrazione di risorse di uranio ancora da scoprire potrebbe aggiungere forniture di uranio nel futuro, sempre che si faccia esplorazione e sviluppo su scale significative. Inoltre, le risorse di uranio non convenzionali (acqua di mare e fosfati), così come i cicli di combustibili alternativi come quelli che si basano sul torio, promettono di fornire combustibile nucleare a lungo termine se si fa il necessario sviluppo tecnologico. Un'ampia gamma di tecnologie nucleari è attualmente in via di sviluppo (per esempio, i reattori di quarta generazione), il che congiuntamente alla rielaborazione potrebbero anche contribuire ad allontanare di un tempo ancora maggiore qualsiasi scarsità di combustibile”. 

Ciò che mi sembra preoccupante di questo paragrafo è che tutti questi argomenti vengono usati da decenni senza che nessuno dei progressi desiderati si sia verificato per ragioni tecniche che sono ben conosciute (per me il massimo del ridicolo è il riferimento all'uranio dell'acqua di mare). E' triste giungere a pagina 430 di questo rapporto per vedere che dopo tanto parlare siano rimasti senza parole.

Ciò che rimane nel calamaio

E' tantissimo: ci sono diverse sezioni interessanti, come quella dedicata alle rinnovabili, all'efficienza e all'elettrificazione. E tutta la parte dedicata all'Africa. Secondo il WEO le rinnovabili occuperanno una grande percentuale della produzione energetica futura ed è abbastanza fiducioso soprattutto rispetto al fotovoltaico, data la riduzione del costo dei pannelli, anche se riconosce che i recenti cambiamenti legislativi in diversi paesi lo stanno ostacolando e ricorda che le sovvenzioni statali ai combustibili fossili sono 6 volte maggiori che alle rinnovabili (anche se dimentica di commentare che i combustibili fossili stanno producendo più di 10 volte più energia delle rinnovabili). Nel paragrafo dell'efficienza non c'è il minimo riferimento al Lord Jevons. In quanto all'elettricità, c'è un'interessante discussione sulla sicurezza della fornitura energetica, che potrebbe vedersi compromessa, dice la IEA, a causa della maggior inclusione di energia rinnovabile e la perdita di interesse degli investitori in impianti convenzionali che tuttavia dovrebbero esserci per dare sostegno. Il quadro di questa discussione porta il titolo significativo di: “Mantenere accese le luci” (pagina 209).

Conclusioni

Il linguaggio tranquillizzante che viene sempre impiegato dalla IEA sulle prospettive di futuro in quanto alla fornitura di energia, risulta nettamente smentito quando si entra nei dettagli dei dati da essa stessa forniti. Nel rapporto di quest'anno possiamo trovare riferimenti per nulla velati ai problemi di produzione di petrolio se non c'è sufficiente investimento, a un picco del carbone che si potrebbe interpretare come un picco della domanda (fondamentalmente dovuto alla Cina) ma che in realtà potrebbe giungere ad essere un picco produttivo reale  e al riconoscimento, ormai senza perifrasi, che, senza un cambiamento radicale, la produzione di uranio comincerà a diminuire nel prossimo decennio. L'unica materia prima non rinnovabile per cui i grafici non mostrano problemi è il gas naturale, ed anche questa è abbastanza discutibile. Dati i dubbi crescenti sul buon passo dell'economia mondiale (che verranno confermati o smentiti nei prossimi mesi) non si può escludere che si verifichi una pericolosa retroazione negativa fra la produzione di questi materiali e i cicli di investimento e disinvestimento nella loro produzione. La produzione di petrolio, carbone e uranio (e in realtà anche quella del gas naturale) accumula tensioni tali che, lasciata al suo sviluppo naturale, porterebbe all'arrivo dei picchi contemporanei di tutte e di conseguenza di molte altre materie prime non energetiche. E' il temuto Peak Everything, il cui effetto sociale è la Grande Scarsità

Ponendo lo sguardo indietro, guardando a ciò che facciamo come società con questo corpo di prove crescente sui limiti della crescita, la sola cosa che vedo è che continuiamo a guardare, così come a seguire, le linee di evoluzione e di degrado più o meno previste dai modelli. Insomma, vedo come ci stiamo avvicinando al disastro finale. Se mai ci fosse un momento per reagire, è sicuramente questo. 

Saluti.
AMT


domenica 8 giugno 2014

Sparisce il 96% del petrolio di scisto in California


 


Da “jeremyleggett.net” (12). Traduzione di MR (h/t Dario Faccini)


Shock per la revisione del 96% in meno del presunto tight oil statunitense.

LA Times: “Le autorità energetiche federali hanno tagliato del 96% la quantità stimata di petrolio recuperabile sepolto nel vasto deposito di scisto californiano di Monterey, sfonfiando il suo potenziale come 'miniera di oro nero' nazionale”. “Solo 600 milioni di barili di petrolio possono essere estratti con la tecnologia esistente, di gran lunga al di sotto dei 13,7 miliardi di barili che un tempo si pensava di poter recuperare dagli strati mescolati di roccia sotterranea distribuita lungo gran parte della California centrale, ha detto la EIA.

La nuova stima, attesa per la pubblicazione il prossimo mese, è un colpo al futuro petrolifero della nazione ed alle previsioni secondo le quali un boom petrolifero avrebbe portato 2,8 milioni di nuovi posti di lavoro in California e incrementare gli introiti delle tasse di 24,6 miliardi di dollari all'anno. La formazione di scisto di Monterey contiene circa due terzi delle riserve di petrolio di scisto nazionali. E' stato visto come un'enorme e ricco giacimento che avrebbe ridotto il bisogno nazionali di importazione di petrolio straniero, attraverso l'uso delle ultime novità in fatto di tecniche di estrazione, compresi i trattamenti acidi, la trivellazione orizzontale e il fracking. L'agenzia energetica ha detto che la stima precedente di petrolio recuperabile, pubblicata nel 2011 da una ditta privata sotto contratto col governo, ha sostanzialmente ipotizzato che i depositi nella formazione di scisto di Monterey fossero facilmente recuperabili quanto quelli trovati in formazioni di scisto altrove. … La nuova analisi della EIA si è basata, in parte, su una revisione della produzione dai pozzi dove sono state usate le nuove tecniche. … J. David Hughes, un geoscienziato e portavoce del no profit Post Carbon Institut, ha detto che la formazione di Monterey “è sempre stato il filone principale mitico gonfiato dall'industria petrolifera – non è mai esistito”.

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Non c'è gas di scisto nel bacino di Weald nel Regno Unito e poco petrolio recuperabile, conclude un'indagine. 

Guardian: “Le speranze che il governo britannico possa emulare gli Stati Uniti cominciando una rivoluzione del gas di scisto sono state deluse dopo un rapporto a lungo atteso che ha inaspettatamente concluso che non c'è alcun potenziale nel fracking per il gas nella regione di Weald, nel sud dell'Inghilterra”. “Michael Fallon, il ministro dell'energia, ha insistito di non essere “né deluso né felice” rispetto alle scoperte della British Geological Survey (BGS) ed ha negato che il governo abbia gonfiato il potenziale per estrarre il gas di scisto in Gran Bretagna. Ha preferito concentrarsi sulle scoperte più positive della BGS secondo le quali potrebbero esserci 4,4 miliardi di barili di petrolio nelle rocce di scisto dell'area, che si estendono da Salisbury a Tunbridge Wells – anche se in pratica le riserve recuperabili è probabile che siano solo una parte di queste.

… Il governo ha cominciato una consultazione di 12 settimane sulla nuova legislazione che aggirerebbe la legge di sconfinamento per il lavoro sotterraneo che è di 300 metri o più al di sotto della superficie e per i pagamenti volontari della comunità di 20.000 sterline per ogni pozzo laterale trivellato. … Ma la conclusione della BGS che “è improbabile che ci sia un qualsiasi potenziale di gas di scisto” nell'area di Weald è un forte colpo alle più ampie speranze del ministro di poter trovare scisto lungo tutto il paese. L'uso di nuove tecnologia come il fracking potrebbe significare volumi maggiori, la la BGS ha detto che servono più trivellazioni e più test per “ridurre quella cifra di 4,4 miliardi di barili”. Anche così, la quantità di petrolio di scisto portato in superficie potrebbe essere solo “una piccola percentuale” di tutte le riserve recuperabili”.