venerdì 21 marzo 2014

La bolla scientifica e tecnologica


Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


di Antonio Turiel


Cari lettori,

qualche mese fa Tasio Urra mi ha inviato questo saggio. In questo periodo lo ha pubblicato su Attac e ripubblicato su Rebelión, oltre all'apparizione su altri media. Tasio mi ha chiesto di ripubblicarlo anche qui per migliorarne la diffusione e per la sua rilevanza in questo contesto. Di sicuro non vi lascerà indifferenti.

Saluti.
AMT

La bolla scientifica e tecnologica: mercificazione, controllo della conoscenza e opportunismo...

Di Jokin_Zabal@

Jokin_Zabal@ è l'alter ego di José Anastasio Urra Urbieta, docente ordinario di gestione aziendale all'Università di Valencia, membro di ATTAC País Valencià, delegato sindacale del CGT e autore del libro “Le bugie della crisi... Un aneddoto del cyberspazio?, di Jokin_Zabal@” (http://www.attacpv.org/public/www/web3/images/file/LasMentirasDeLaCrisis.pdf).

Colpisce il fatto di verificare la generalizzazione delle istituzioni mondiali e delle persone che intonano il mantra della crescita economica, senza tuttavia considerare le restrizioni fisiche di tale crescita in una biosfera finita e limitata, come soluzione a tutti i mali socioeconomici del nostro tempo, dagli imprenditori, ai governi, ai politici, a tutti gli elettori di tutte le tendenze politiche in tutti i territori, passando per il principali sindacati maggioritari. Né risulta meno stupefacente il numero crescente di istituzioni e persone che, di fronte ai problemi socioeconomici ed ecologici che stiamo attraversando, confida quasi ciecamente, in vere e proprie manifestazioni di fede, nella scienza, nel sapere e nella tecnologia come motori di questa crescita e pietre filosofali di fronte a tutte le avversità e le sfide.

Tuttavia, se consideriamo le grandi sfide che abbiamo di fronte, il cambiamento climatico antropogenico, il sovraccarico degli ecosistemi e la crisi energetica e, allo stesso tempo, allo stato attuale della scienza, del sapere e della tecnologia, siamo fregati. Doppiamente fregati.

Senza nemmeno entrare nella valutazione delle restrizioni che il cambiamento climatico antropogenico o il sovraccarico degli ecosistemi stanno già introducendo nel nostro pianeta, e che aumenteranno soltanto nei prossimi decenni, la IEA come è risaputo, o dovrebbe esserlo, ha esplicitamente riconosciuto per la prima volta nel suo rapporto World Energy Outlook de 2010 che il “picco” mondiale del petrolio, o il momento a partire dal quale il petrolio comincia irreversibilmente a declinare, è avvenuto nel 2006. Nel World Energy Outlook de 2013, la IEA afferma già che, in assenza di ulteriori investimenti [sic], nel 2035 dovremo “arrangiarci” con una produzione di petrolio di uno scarso 18% della disponibilità attuale, che tocca i 75 Mb/g. Considerare il cambiamento climatico che abbiamo già provocato, la pressione ecologicamente insopportabile del nostro modello di sviluppo economico sugli ecosistemi e il “picco” del petrolio, come stiamo facendo, presuppone di accettare il fatto che siamo fregati, visto che con tali restrizioni e scarse possibilità di sostituzione energetica molte cose devono cambiare un pochissimo tempo perché nel giro di pochi anni possiamo organizzarci socio-economicamente senza cadere in un collasso di civiltà, peraltro già iniziato, insormontabile.

Ma se di fronte alla realtà di tale scenario consideriamo in più lo stato attuale della scienza, del sapere e della tecnologia, siamo fregati due volte. Lo siamo già perché la scienza, il sapere e la tecnologia, che sono gli strumenti sui quali potrebbe, e dovrebbe, fare leva il formidabile cambiamento senza precedenti che abbiamo di fronte, attualmente sono controllati politicamente, mercificati e presi da un opportunismo grave, si prostituiscono al Business As Usual, o al “più della stessa cosa che ci ha portato sin qui” e che ha generato una bolla scientifica e tecnologica simile alla bolla economica e finanziaria che già conosciamo, che in un futuro non lontano molto probabilmente può solo scoppiare.

Le recenti dichiarazioni del professor Andre Geim dell'Università di Manchester – vincitore del Nobel per la Fisica nel 2010 per la sua scoperta del grafene, materiale tanto di moda – vanno in questa direzione, quando ci avverte che “Temiamo, temiamo molto, la crisi tecnologica” in cui ci siamo cacciati negli ultimi decenni. In occasione della celebrazione del Forum Economico Mondiale del 2012 di Davos, Geim descrive come la crescente mercificazione della conoscenza scientifica e la ricerca del profitto rapido a detrimento della ricerca scientifica pura, o di base, durante gli ultimi decenni ci abbiano portato ad una riduzione allarmante, e con implicazioni gravi, del tasso mondiale di scoperte scientifiche.

Sfortunatamente, sono brutte notizie ma non nuove. Nel 2005, in uno degli studi di maggior portata sull'evoluzione mondiale della tecnologia, sorprendentemente poco divulgato, pubblicato in una delle principali riviste accademiche mondiali sulla tecnologia e gli affari,  uno scienziato indipendente, Jonathan Huebner, Fisico per l'esattezza, ha dimostrato con un alto grado di certezza, come riflette la figura allegata a queste frasi, che l'innovazione tecnologica radicale, quella che ha un grande impatto socioeconomico capace di produrre pietre miliari nello sviluppo e nel progresso dell'umanità, ha raggiunto il suo “picco” nel 1873 [sic], anno dal quale il tasso mondiale di di innovazione radicale non ha mai smesso di declinare. Evidentemente, questi risultati non sono per niente piaciuti in determinati circoli vicini all'industria e i risultati di Huebner hanno subito il tentativo di messa in discussione dal momento della pubblicazione, anche se con poco successo. Se fossero veri e coerenti, come sembra, l'esperienza e l'intuizione di Andre Geim arriverebbe soltanto a ratificare una tendenza abbastanza più pesante di soli “pochi decenni”.


Se lo scenario descritto da tali ricerche e casistica non fosse sufficientemente grigio, un numero crescente di scienziati e intellettuali si avvicinano, sempre di più, a questa prospettiva della nostra realtà, andando anche più il là facendo un'ipotesi più opprimente: non si tratta solo del fatto che il tasso di scoperta scientifica sia diminuito, e che sia pertanto minore, ma che la quantità assoluta di progresso scientifico nel suo insieme può essere inferiore nella misura in cui trascendiamo nel tempo. E' l'ipotesi che fondamentalmente mantengono e argomentano il medico e professore di psichiatria evolutiva all'Università di Newcastle, Bruce Charlton o l'analista di sistemi cibernetici e programmatore di software Anthony Burgoyne, fra gli altri, oltre ad offrirci innumerevoli chiavi e tracce su come siamo arrivati a questa situazione.

Secondo Charlton, la chiave si trova, di nuovo, in una mercificazione della conoscenza scientifica che ha incentivato un “professionalizzazione” della scienza e del lavoro scientifico e generato un opportunismo collettivo che ha portato a convertire in “cartamoneta” la pubblicazione di articoli irrilevanti sulle riviste accademiche, confondendo collettivamente la vera crescita della conoscenza e progresso scientifico con una mera espansione di “chiacchiere e cose senza valore” [sic].

Questa stessa cosa è quello che alcuni di noi stanno presenziando, osservando e denunciando nel nostro contesto nazionale, sopportando da vicino, a volte, l'opportunismo e l'arroganza di molti il cui unico fine sembra farsi una posizione di carriera universitaria e/o politica e di una grande maggioranza che aspira semplicemente a conservare o migliorare il proprio status quo. Mentre si riduce il finanziamento all'università e ai centri di ricerca pubblici, come il CSIC, fiore all'occhiello della nostra ricerca, si gratificano le università private, che hanno una capacità di ricerca praticamente nulla e approfittano dei tagli per concedere un ruolo ancora più determinate in tutta l'attività universitaria alla valutazione dell'attività di ricerca del personale universitario, che in Spagna viene fatto da anni medianti i cosiddetti sessenni (complementi salariali che sono nati per retribuire la produttività della ricerca e che hanno finito per diventare in misura della sua “qualità”, requisito di promozione e sviluppo di carriera) ed i procedimenti di accreditamento che porta a termine l'ANECA (Agenzia Nazionale di Valutazione della Qualità e dell'Accreditamento)  e le agenzie di valutazione autonome.

In parole povere, sono completamente a favore che si valuti l'attività di insegnamento e quella di ricerca degli universitari e degli scienziati, funzionari o meno, ma non che detta valutazione si converta in un elemento di controllo politico oscuro e discrezionale che incentivi e legittimi il “si salvi chi può” e che castighi chiunque la cui motivazione sia prima di tutto il mero piacere della scoperta scientifica e il progresso della scienza, oltre il valore economico immediato o la “convenienza” dei risultati della ricerca.

Oltre a contribuire ad una enorme bolla dalle conseguenza prevedibili, tale controllo politico, mercificazione e perversione della scienza e del progresso scientifico produce dei paradossi significativi. Come osserva il professor Juan Torres, la ricercatrice Saskia Sassen, che ha ricevuto di recente il Premio Principe delle Asturie di Scienza Sociale, una delle scienziate più importanti della nostra epoca, non ha ottenuto nessun sessennio, nessun accreditamento, di fronte ai criteri delle nostre agenzie di valutazione, che antepongono sempre lo stesso criterio, le pubblicazioni JCR (Journal Citation Reports) negli ultimi 5 anni. La Sassen non ne ha nessuna, ma ha pubblicato libri e saggi, frutto di progetti di ricerca veri e referenze fondamentali per accademici compromessi ed ha pubblicato numerosi articoli su media di grande diffusione, ma ha resistito alla pratica di il suo curriculum con articoli standardizzati senza interesse né lettori al di là dei circoli di amici che si citano reciprocamente e cattedratici con insaziabili ansie di farsi una posizione a qualsiasi prezzo.

Ma, quando la bolla scientifica scoppierà, cosa resterà dopo l'esplosione? Come afferma il professor Charlton, magari solo la vecchia scienza, quella di un'era nella quale la maggioranza degli scienziati erano almeno onesti nel cercare di scoprire la verità sul mondo naturale. Nel migliore dei casi potremmo subire un regresso scientifico di vari decenni più che di qualche anno, ma probabilmente è molto peggio di così...