sabato 31 agosto 2013

La crisi dei nostri genitori

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel

Cari lettori,

sicuramente a qualcuno di voi, i più giovani, è capitato di fare in più di una occasione conversazioni in cui i membri più anziani della propria famiglia criticano, in modo generico anche se a volte riferendosi a voi, l'ansia avere sempre di più della gente d'oggi, contrapponendola alla vita più austera e di valori morali più sani che essi hanno vissuto da giovani. Questo tipo di conversazione capitava già anni fa, ma adesso con la crisi sono aumentate in frequenza, visto si entra in una crisi prolungata, come quella attuale, logicamente si comincia a mettere in discussione le basi di tutto in cerca di una via d'uscita. Esiste persino un testo che ha fatto fortuna nei social network, e sul quale mi sono imbattuto già un paio di volte, in cui si critica con grazia sufficiente l'ipocrisia della società attuale rispetto alle questioni ambientali mentre le generazioni dei nostri vecchie erano, effettivamente, molto più sostenibili e senza tanta tracotanza (potete leggerne una trascrizione qui).

La constatazione ovvia che i nostri genitori e nonni vivessero in modo più semplice, più sostenibile e più sensata di noi non deve tuttavia portarci a un certo semplicismo di natural moralizzante. Visot ch molte volte, basandosi su questa maggior austerità dei tempi che furono, si cerca di desumere una certa superiorità morale dei valori di quell'epoca. E qui sta l'errore sostanziale. Perché ciò che è sbagliato nel nostro sistema basato sul consumo e sullo spreco era già sbagliato all'epoca dei nostri predecessori, per la semplice ragione che questo sistema che ora ci sta portando al disastro è lo stesso di allora. Esattamente lo stesso. L'unica differenza fra allora ed oggi è che ci troviamo in un punto diverso della sua curva evolutiva.

E' risaputo che la psiche umana tende a modellare la realtà per stati (visione statica), mentre generalmente questa si descrive meglio per processi (visione dinamica). Nessun punto della nostra vita è un momento invariabile, ma si verificano continuamente dei cambiamenti. Tuttavia, se questi sono sufficientemente lenti, il nostro cervello tende ad astrarre le variabili che caratterizzano il momento (“A quell'epoca non c'era la televisione, i bambini avevano solo giocattoli, i vestiti duravano degli anni”) e a prenderle come costanti, fisse  in quel periodo che conserviamo, semplificato ed idealizzato, nella nostra memoria. La cosa negativa del vedere le cose in questo modo è che crediamo che ciò che caratterizza un certo momento sia il suo stato (i beni che si possedevano allora, il modello di consumo della popolazione in quel momento), mentre col nostro sistema è ugualmente importante, o forse di più, la sua evoluzione (a che ritmo aumenta o diminuisce il consumo, si espande o si contrae la massa monetaria o la disponibilità del credito, ecc.). Detto in altro modo: siccome il nostro cervello funziona in modalità diapositiva, non ci rendiamo conto che per capire cosa succede dobbiamo vedere il film.

Una di quelle frasi tipiche che riflettono l'incomprensione del momento e del sistema potrebbe essere sullo stile di quella che segue: “Non manca la pazzia e lo spreco, per esempio nel 1960 non consumavamo quello che consumiamo oggi , sprecavamo molto meno petrolio e la verità è che non vivevamo male. Si doveva lavorare molto, quello sì. Quello che succede è che la gente ora non vuole lavorare”. Chi formula questa frase non si rende conto che non possiamo tornare al 1960 semplicemente adottando uno stile di vita e il modello di consumo del 1960, quindi il “non vivere male anche se fosse lavorando molto” perché quello che faceva del 1960 un momento vibrante e con molto impiego non era in realtà la ricchezza di allora, ma più precisamente la crescita di allora (notate i grafici seguenti , presi dal sito web Politikon.es).



Il grafico in basso ci da la visione statica (livello del PIL in ogni momento), mentre quello in alto ci fornisce una visione dinamica (variazione annuale del PIL). Anche dopo diversi anni di crisi il nostro PIL a parità di potere di acquisto è di circa 5 volte più grande (s', cinque volte!) del PIL del 1960. Tuttavia, se guardiamo alla variazione del PIL pro capite vediamo una storia molto diversa fra il decennio degli anni 60 del secolo scorso e gli ultimi anni. Ora ci troviamo in una situazione di decrescita forzata perché questa crisi non finirà mai, per cui anziché aumentare le opportunità di impiego e di investimento, al posto di avere l'economia vibrante degli anni 60, abbiamo la situazione contraria: contrazione, distruzione, paralisi. In più, ora la popolazione è maggiore, quindi in realtà allo stesso livello del PIL il rapporto pro capite sarebbe inferiore e per mantenere il livello di allora un PIL maggiore è inutile. Dobbiamo pensare, anche, che in realtà i salari diminuiscono in termini reali dall'inizio degli anni 80, quindi anche se il reddito medio avesse aumentato il reddito tipico (cioè quello che ha la maggior parte della gente, i salariati) continua a diminuire da 30 anni. Come vedete, si idealizza il passato, soprattutto perché in quell'epoca si era giovani, le opportunità abbondavano e tutto sembrava meraviglioso.

La prova più chiara che il discorso collettivo di allora non è moralmente superiore a quello di adesso si vede nella Spagna odierna, con la raccomandazione ripetuta di “investire i risparmi” per “comprare un appartamentino” che qualche anno fa e anche oggi i genitori sono soliti fare al figlio che giunge all'età dell'emancipazione. Più di un genitore ha ripreso il figlio che ha appena lasciato il suo lavoro da 1000 euro terminale perché quando lui era giovane si è sacrificato per poter comprare l'appartamento di famiglia e che ciò che il figlio deve fare è esattamente la stessa cosa. Con questo discorso è chiaro che il padre presume che le variabili macroeconomiche di allora e di adesso sono le stesse e che pertanto gli unici fattori importanti per conseguire il fine sognato sono le capacità di sacrificio e lo sforzo di suo figlio (c'è un trafiletto su burbuja.info che spiega molto bene questo colossale errore di concettuale). Questa pressione sociale, esercitata da tutti i livelli ma anche da quello di questa generazione anteriore che si crede moralmente superiore, ha contribuito al fatto che una grande massa di lavoratori si schianti contro la bolla immobiliare più grande d'Europa e che finisca impegnata a vita, quando non sfrattata.

Comincia ad essere ora che ci scrolliamo di dosso certi atavismi morali giudeo-cristiani che ci portano a riprendere colui che subisce le conseguenze come se queste fossero colpa sua e solo sua, visto che il problema è di valori morali e incombe su tutta la società. Come abbiamo visto, il problema è cominciato tempo fa, poco su scala storica (poco meno di due secoli) ma molto su scala umana (circa 6 generazioni). La relazione fra le generazioni successive si potrebbe assimilare al gioco del palloncino d'acqua: i giocatori formano una fila e si passano un palloncino che è sempre più pieno d'acqua che arriva da un tubo flessibile a cui è collegato. Nessuno discute le regole del gioco, nessuno discute la loro moralità, tutti afferrano il palloncino nel momento in cui gli tocca e lo passano a chi segue. A un certo punto a un povero idiota gli esplode il palloncino e si inzuppa tutto, per pura casualità. A qualcuno doveva capitare ed è successo a lui.

Curiosamente io sono abbastanza d'accordo sul fatto che questa crisi sia una crisi di valori e che solo cambiando i valori ne usciremo. Ma questa crisi di valori è iniziata da molto e per superarla non bisogna guardare al passato ma al futuro. Non c'è nessuna persona viva che abbia vissuto in un sistema diverso da quello attuale e ciò ha demolito tutti i valori tradizionali di rispetto dei limiti naturali, salvo in alcune aree rurali più “arretrate”. Per questo bisogna guardarsi dalle ricette semplicistiche dei più populisti, quelle che dicono di tornare a buoni vecchi valori ma che in realtà cercano solo di rimanere indietro nella catena di coloro che gonfiano il palloncino e non pensano di smettere di gonfiarlo. Perché oltretutto disgraziatamente il palloncino è già scoppiato e questo non è possibile.

I valori di cui abbiamo bisogno per ricostruire la società hanno le loro radici nel nostro passato un po' più lontano, cento o duecento anni di età, ma non sono quegli stessi valori. I valori dell'epoca preindustriale devono aggiornarsi, perché sarebbe anche molto sciocco credere che tutti i valori di un'epoca pre democratica e dominata dalla superstizione e dalla beatitudine possano o debbano essere trasposti tali e quali ai giorni nostri. Come dicevo, dobbiamo costruire il futuro, salvando in modo critico quei valori del passato più lontano ed allo stesso tempo salvando le nostre conoscenze tecniche e i nostri convincimenti morali attuali, al di là dell'ipocrisia dei nostri giorni.

Dobbiamo confrontarci con questo problema in modo serio, senza superbia e senza uno sguardo semplicistico e compiacente sul passato. Si può uscire solo con ricette nuove, con una migliore comprensione di che cos'è l'uomo e come si rapporta al proprio ambiente, comprendendo alla fine che l'uomo non ha alcun diritto divino che gli permette di sopraffare illimitatamente la Natura.

Saluti.
AMT

giovedì 29 agosto 2013

Caldo artico

Il fumo degli incendi ricopre la Siberia, l'Alaska frantuma i record di temperatura, il calore dell'oceano Artico innesca la proliferazione di alghe

Da “robertscribbler”. Traduzione di MR

Il fumo degli incendi siberiani ora ricopre gran parte dell'Artico russo. Fonte dell'immagine: Lance-Modis.

C'è molto rumore in questi giorni sul problema del riscaldamento globale e del cambiamento climatico antropogenico. La cosa include l'intransigenza dell'industria sostenuta dai negazionisti del cambiamento climatico, una grande confusione sul contesto climatico all'interno di alcune parti dei media, numerosi attacchi sempre più personali ai messaggeri – scienziati, giornalisti, blogger e esperti emergenti delle minacce – che comunicano informazioni cruciali collegate al cambiamento climatico e persino un certo grado di disaccordo professionale fra le scienze e gli esperti sui problemi chiave come il tasso potenziale di rilascio di metano dovuto al riscaldamento umano (leggete l'eccellente articolo su questo dibatto sul Guardian). Nonostante tutto questo vetriolo, la controversia e la confusione, i segnali in arrivo dal sistema terrestre non potrebbero essere più chiari – l'Artico sta mostrando tutti i segni di una rapida amplificazione del calore, di feedback emergenti relativi e di cambiamenti ambientali.

L'anello di fuoco dell'Artico

Sui continenti che circondano l'Oceano Artico che si sta riscaldando, una fascia da circa 70 gradi nord a 55 gradi nord è diventata sempre più soggetta a ondate di calore e incendi giganteschi. Quest'anno, enormi incendi hanno ricoperto sia il Canada sia la Russia, con una recente esplosione molto vasta che si sta diffondendo in Siberia.

Durante le ultime due settimane, numerosi incendi sono divampati nella tundra artica e analogamente nelle foreste boreali su una fascia sempre più grande della Russia settentrionale. Le fiamme si sono rapidamente moltiplicate fino a circa 200 incendi che hanno coperto gran parte della Russia con fumo pallido, denso e spesso. Lo nuvola di smog che ricopre la Siberia si sta allungando di quasi 3000 miglia in lunghezza e 1500 in larghezza, ricoprendo un'immensa fetta dell'Artico e delle regioni adiacenti. Gli incendi hanno coinciso con un grande impulso di metano che ha portato le letture locali a 2000 parti per miliardo, quasi 200 ppmiliardo al di sopra della media globale. Se questi alti livelli di metano siano stati dovuti da una prolungata ondata di calore sull'Artico, insediatasi sulla Siberia sin da giugno, o sono stati la conseguenza del contatto diretto degli incendi con la tundra che si scongela rimane poco chiaro. Ma la fusione della tundra ed il conseguente rilascio di carbonio ha quasi certamente scatenato le temperature sopra la media di questa area dell'Artico, essendo risultata chiaramente in condizioni che hanno favorito ed innalzato il livello di emissione (potete tracciare le attuali emissioni globali di metano su questo eccellente sito: Methane Tracker.) Queste fiamme enormi sono continuate oggi nella recente foto scattata da Modis che mostra un'ondata di punti rossi al di sotto di una copertura di fumo sempre più spessa:

(Fonte dell'immagine: Lance-Modis)

Gli incendi artici sono l'importante e pericoloso feedback di un clima polare che si riscalda. Gli incendi producono una fuliggine che intrappola ulteriore calore nell'aria mentre in quota e attraverso la riduzione dell'albedo delle superfici ricade dall'alto in basso. Se la fuliggine cade sulle calotte di ghiaccio, può amplificare grandemente il sole estivo, formando grandi buchi ed accelerando la fusione (il Progetto Neve Scura - Dark Snow Project – sta studiando questa dinamica molto preoccupante). Gli incendi rilasciano anche le riserve di carbonio racchiuse nella foresta e nell tundra attraverso la combustione diretta. Come tali, gli incendi risultano essere delle grandi fonti di emissione di CO2 aggiuntiva. Gli attuali incendi in Siberia sembrano anche aumentare il rilascio di metano dalla tundra che si scongela, in quanto sono apparsi grandi fuoriuscite di metano nelle regioni affette dagli incendi. Il risultato è che viene intrappolato più calore nell'Artico ed in un ambiente globale già vulnerabili.

L'Alaska sta frantumando i record di temperatura

Nel frattempo, lungo l'Artico, le Fairbanks riportano il quattordicesimo giorno di fila con temperature al di sopra dei 70°F, frantumando il precedente record di 13 giorni che risale al 2004. La località artica ha anche visto 80°F meteo per 29 giorni, finora durante questa estate e 85°F meteo per 12 giorni. Il record di giorni con 80°F in un'estate è di 30 in un'estate ed i precedente record di giorni con 85°F era di 1o. Un'estate 'normale' in Alaska ha aveva 11 giorni con 80°F e il numero attuale del 2013 quasi triplica quel limite. Quindi le Fairbanks hanno frantumato due record estivi di durata della temperatura e si sta avvicinando al terzo. Siccome le previsioni dicono che ci saranno 70°F in alto e 80°F in basso per almeno un'altra settimana, sembra probabile che anche questo ultimo record crolli. Si pensa che il caldo dell'Alaska continui almeno per questo fine settimana, dopo il quale le temperature dovrebbero scendere fino al di sotto dei 70°F, ancora al di sopra della media. 

Date queste condizioni di caldo record in Alaska, ci si deve chiedere anche quale sia il potenziale di incendi che possono divampare in questa regione. In giugno, grandi incendi si sono divampati e si sono diffusi nella regione. Ma in confronto a Canada e Russia, che hanno entrambe assistito al divampare di grandi incendi, l'Alaska è rimasta relativamente tranquilla. Methane Tracker mostra poco nell'ordine delle 1950 ppmiliardo o di letture maggiori sull'Alaska, al momento. Ma questa è un'indicazione a dir poco incerta. L'attuale Mappa Meteo dell'Artico mostra vaste regioni di caldo nelle ore diurne calde lungo gran parte dell'Artico. Le aree con le temperature più alte si trovano in Alaska, Canada nord occidentale, Siberia e Europa Settentrionale. Queste condizioni artiche da ondata di calore sono persistite per tutta l'estate del 2013, alla deriva in un cerchio lento, con i loro picchi di calore e impulsi di grande ampiezza della corrente a getto. Finora, queste condizioni hanno mostrato pochi segni di cedimento. 

       

Le immagini sopra mostrano la previsione delle rispettive temperature diurne fornite da Arctic Weather Maps. Le aree in rosso indicano temperature che oscillano dai 77 agli 86°F. La prima immagina mostra le ore diurne per giovedì 1 agosto in Alaska e Canada. La seconda immagine mostra le temperature diurne prevista per Siberia ed Europa per la stessa data.

L'anomalia dell'Oceano Artico aumenta

In aggiunta ad un immensa esplosione di incendi che producono enormi pennacchi di fumo che ora ricprono gran parte della Russia Settentrionale e le fasce di temperature record in Alaska, continuiamo a vedere un'aumento di temperatura anomalo su una vasta regione dell'Oceano Artico. Questa region comprende il Bacino Centrale Artico ha visto aree ampie ed anomale di copertura dei ghiacci più sottile e più dispersa. Le regioni isolate stanno mostrando temperature dai 2 ai 4°C più alte della media, risultando la regione sul mare di Barents e sul mare di Kara, vicino alla Norvegia e alla Russia Settentrionale, la più calda.
(Fonte dell'immagine: NOAA)

La regione dove sono apparse le misure della più grande anomali di calore, mostra anche una fioritura di alghe molto grande. Questa specie di macchia d'olio è chiaramente visibile come un bizzarro cambiamento di colore rispetto alle acqua tipicamente scure dell'Artico. Il più alto contenuto di calore dell'oceano e l'aggiunta di nutrienti alimentano sempre di più questo tipo di fioritura che può portare alla moria di pesci e all'anossia del mare, nelle aree colpite. Questa particolare fioritura è molto ampia e si allunga per circa 700 miglia in lunghezza e 200 miglia in larghezza lungo un'area lungo la costa settentrionale della Scandinavia. 

Fioritura molto ampia di alghe al nord della Scandinavia. Fonte dell'immagine: Lance Modis.

Mentre l'oceano si scalda a causa delle forzanti climatiche antropogeniche, c'è un rischio sempre maggiore che grandi fioriture di alghe e aree di anossia dell'oceano sempre più vaste continueranno a diffondersi e a crescere nel sistema oceanico mondiale. Nel caso più estremo, l'attuale ambiente misto oceanico può trasformarsi in un pericoloso ambiente oceanico anossico stratificato. Casi passati di tali eventi sono avvenuti durante il Paleocene e durante le età precedenti. Gli oceani che vanno verso uno stato più anossico pongono un forte stress su numerose creature che abitano i vari livelli oceanici ed è un stress ulteriore da aggiungere allo sbiancamento del corallo causato dal riscaldamento e dall'acidificazione dell'oceano dovuti all'aumento della dissoluzione di CO2. 
Il rimescolamento dell'oceano è guidato da enormi correnti di calore e sale conosciute come circolazione termoalina. Gli schemi di rallentamento e cambiamento possono risultare in passaggi da un ambiente oceanico mescolato ed ossigenato ad uno stratificato ed anossico. Attualmente, alcune della maggiori correnti, comprese la Corrente del Golfo e la corrente di acqua calda vicino all'Antartico, hanno rallentato in qualche modo a causa dell'aggiunta della fusione di acqua dolce causata dal cambiamento climatico antropogenico. 

Il movimento verso uno stato anossico dell'oceano è un ulteriore stress sul sistema climatico mondiale ed un'altra fra le miriadi di impatti scatenati dal riscaldamento umano. Sebbene un passaggio completo da un oceano miscelato ad uno anossico sia ancora lontano, è comunque un importante rischio a lungo termine da considerare. Forse, uno dei peggiori effetti in assoluto del consumo senza sosta di combustibili fossili e della relativa emissione di carbonio da parte degli esseri umani sarebbe l'emergere di un terribile stato dell'oceano chiamato Canfield Ocean. Ma questo è un altro tema, piuttosto sgradevole, che probabilmente vale la pena di esaminare in un altro post (un accenno ai procarioti che hanno paurosamente accennato a questi rischi associati a questo meccanismo climatico particolarmente sgradevole su schede internet, nei blog e nei commenti per anni). Nel frattempo, vale la pena considerare gli effetti chiari e visibili dell'amplificazione artica attualmente in atto: massicci incendi in Siberia insieme a immensi pennacchi di fumo e preoccupanti impulsi di metano, un'ondata di calore artico in corso che continua a battere i record di temperatura e temperature dell'Oceano Artico molto alte che stanno scatenando enormi fioriture di alghe a nord del Circolo Polare Artico. 


mercoledì 28 agosto 2013

L'Egitto e la bomba malthusiana

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR

Di Antonio Turiel 

Cari lettori,

Oggi aggiungiamo un'altra penna all'elenco di coloro che contribuiscono a questo blog. Vicent Ortega ha fatto un'analisi molto interessante della situazione egiziana, sulla falsariga dei precedenti contributi di Gail Tverberg e Heading Out, apportando nuovi dati molto significativi. Le conclusioni sono davvero preoccupanti. Vi lascio con Vicent.

Saluti. AMT


Egitto, bomba malthusiana


Le particolarità geografiche dell'Egitto, determinate dalle piene di un grande fiume come il Nilo nel bel mezzo del deserto del Sahara (capace di dissuadere da qualsiasi tentativo di attacco qualsiasi vicino ostile), hanno contribuito allo sviluppo di una delle prime e più straordinarie civiltà che l'umanità abbia mai conosciuto. Tuttavia, questo paese dall'illustre passato attualmente si trova di fronte ad un groviglio la cui soluzione è complessa e che può sfociare facilmente in guerra civile. Non parlerò quindi della storia di questo popolo magnifico, ma mi limiterò a dare uno sguardo alla situazione attuale e ad alcuni dati allarmanti che ci devono invitare alla riflessione.

Demografia

Gli storici stimano che la popolazione egiziana è oscillata nella storia a seconda del contesto storico, dei problemi politici, climatici o bellici.


Pertanto, il numero di cittadini egiziani ha vissuto i suoi naturali alti e bassi, passando dal milione di persone dell'antico Impero ai due milioni durante il periodo di Ramsete II, raggiungendo il suo picco durante l'epoca dell'Impero Romano durante il quale raggiunse i dieci milioni di abitanti. In seguito, che fosse per le continue guerre, invasioni, collassi o problemi economici di diversa natura, la popolazione si sarebbe ridotta fino ad un minimo di 2,5 milioni di persone.

L'Egitto entrava così nell'età contemporanea (l'età dei combustibili fossili) con una popolazione che allora si aggirava sui quattro milioni di persone e che all'inizio del ventesimo secolo, grazie alla rivoluzione industriale, sarebbe aumentata fino a 11,3 milioni. Questa popolazione avrebbe continuato ad aumentare - stimolata dai successi tecnologici, dall'energia a buon mercato e da un contesto di pace relativa – fino a raggiungere i 33,3 milioni di abitanti durante il 1970. Quello stesso anno, per fare un esempio, la Spagna aveva una popolazione di 33.956,004 persone. Cioè, la Spagna e l'Egitto avevano popolazioni simili appena 40 anni fa.

Tuttavia, oggi si ritiene che l'Egitto sia il quindicesimo paese più popolato al mondo, coi sui 83 milioni di abitanti, visto che ha moltiplicato per tre la propria popolazione negli ultimi 50 anni.


Se guardiamo la piramide demografica, l'Egitto ha inoltre un gran numero di abitanti intorno ai 25 anni, cioè, il suo impeto demografico (potenziale di procreazione) è più che significativo, fatto che, sommato ad un'aspettativa di vita che attualmente si aggira sui 70 anni, ci fa pensare che nei prossimi decenni la popolazione egiziana continuerà a crescere ad un ritmo vertiginoso.

Terre arabili

La cosa più preoccupante, per qualsiasi osservatore attento, è constatare come il paese africano abbia superato ampiamente la propria capacità di carico, fatto che è determinato tanto dalla già citata crescita incontrollata della popolazione quanto dal limite fissato dalla superficie arabile disponibile e ancora di più dal fatto che l'Egitto è un paese che nasce e vive dal e per il proprio fiume, il  Nilo, al confine del deserto del Sahara che riduce in modo significativo la sua possibile espansione agricola.

La scarsità di acqua e l'eccessiva urbanizzazione che comporta la concentrazione della maggior parte della popolazione, cioè 60 milioni di persone, nel milione di chilometri quadrati che corrono lungo il bacino del Nilo, di cui solo il 3% è fertile, esauriscono significativamente la sua già depauperata capacità di autosufficienza alimentare.

Pertanto non deve sorprendere nessuno che la superficie di terreno coltivabile pro capite in Egitto sia una delle più basse del mondo, fra 0,03 e 0,06 ettari per abitante. In Spagna, tanto per fare un confronto, il terreno arabile pro capite è di 0,27 ettari per abitante, cioè fra le 5 e le 10 volte in più di un cittadino egiziano. Di fronte ad una situazione di per sé complicata, visto che hanno perso l'autosufficienza alimentare, la soluzione passa necessariamente dall'ottenimento del capitale necessario dall'estero, che garantisca loro l'accesso ai prodotti fondamentali tramite l'indebitamento, il commercio o il turismo.

Bilancio commerciale, petrolio e grano

L'eccesso di popolazione dell'Egitto ha pertanto generato un deficit commerciale strutturale endemico, dove le importazioni di prodotti alimentari continuano ad avere un peso decisivo. Il suo saldo negativo è stato compensato nel recente passato con gli introiti del turismo, del Canale di Suez e delle esportazioni di petrolio. Tuttavia, da relativamente poco tempo, un parametro essenziale della difficile situazione dello stato nordafricano è cambiato in modo determinante, l'Egitto è passato dall'essere esportatore a importatore netto di petrolio greggio nel 2007-2008. Questo fatto ha generato una serie di devastanti effetti a catena che porteranno in modo quasi inevitabile al collasso del paese.



La scarsità energetica sta colpendo il turismo, visto che il carico e trasporto dei passeggeri si vede condizionato dall'eccesso di camion, autobus e minubus a gasolio. A Luxor, per fare un esempio, i conduttori di autobus possono passare fino a due giorni ad aspettare in coda a causa della scarsità di carburante, provocando il malessere dei turisti che, numerosi, rimangono bloccati. Gli autisti di autobus spesso si vedono obbligati e ricorrere al mercato nero e ad ottenere così il gasolio necessario a far muovere le loro macchine a prezzi esorbitanti. Inoltre, la mancanza di gasolio preoccupa alcuni agricoltori che dipendono dallo stesso per far funzionare le loro attrezzature di semina e raccolta. Alcuni panifici che producono il “baladí”, pane, hanno dovuto smettere di lavorare a causa dell'aumento dei prezzi dei cereali.  La crisi energetica ha provocato quindi una destabilizzazione del paese che mette a rischio tanto l'industria del turismo quanto l'agricoltura autoctona. Alla congiuntura del paese si aggiunge il rincaro dei cereali e dei carburanti all'interno di mercati internazionali convulsi a causa dell'attuale crisi.

L'Egitto si vede pertanto immerso in una bancarotta endemica che non gli permette di importare il grano di cui ha bisogno, essendo il più grande importatore mondiale di questo cereale. Senza combustibile non funziona né il turismo, né l'agricoltura, né l'industria e senza cibo emerge la fame, che provoca rivolte e può degenerare in una guerra civile che se è possibile accrescerà i suoi problemi economici.




Conclusione

Questi fatti comportano attualmente cambiamenti politici in un paese immerso in una zona geo-strategica convulsa, sia per la sua vicinanza ad Israele sia per il fatto che è il centro di una rete di regimi arabi repressivi che sia i britannici che gli statunitensi hanno appoggiato tacitamente (il controllo della zona dall'inizio del ventesimo secolo ha permesso di mantenere il controllo sul petrolio a basso costo) o per il controllo del Canale di Suez (attraverso il quale si trasporta il 14% dei prodotti che muovono l'economia mondiale e il 26% del petrolio di importazione). I movimenti sociali conosciuti come “primavera araba” e che ci vengono mostrati dai media come una legittima aspirazione alla democrazia, obbediscono in realtà ad una causa molto più banale: la fame. Il deposto dittatore Mubarak, la successiva caduta del governo formato dai fratelli musulmani o il colpo di stato militare, sono stati causati in ultima istanza dalla mancanza di petrolio a basso prezzo. La situazione attuale del paese è prebellica e minaccia di trasformare il Medio Oriente e il Nord Africa in un'autentica polveriera.

L'Egitto è entrato nelle sua personale era delle conseguenze, come diceva Churchill, e le tensioni attuali che sono state preparate per un anno, ora stanno esplodendo, nel tempo dell'aumento del prezzo degli alimenti provocato dal cambiamento climatico, dalla diminuzione progressiva di terreno agricolo, dalla competizione coi biocombustibili e in special modo dalla dipendenza dai combustibili fossili in quella che è conosciuta come agricoltura industriale. Mentre le cause non vengono analizzate in profondità, i problemi saranno ricorrenti e la crisi si perpetuerà sia nel paese africano sia nel resto dei paesi che si trovano in una situazione analoga (e sono davvero tanti). Questo fatto porterà inevitabilmente al collasso e alla perdita di popolazione di questi stati fino al recupero della loro capacità di carico.

Siamo testimoni della decadenza di uno stato le cui soluzioni passano necessariamente per la solidarietà internazionale e per il controllo demografico. Sta a noi agire, anzi, abbiamo l'obbligo morale di agire mediante l'informazione, il cambiamento di mentalità e la ricerca congiunta di soluzioni che ci preparino ad un futuro che si fa ogni giorno più vicino ed oscuro.

Vicent Ortega Bataller


Riferimenti

http://ugobardi.blogspot.it/2012/10/le-guerre-della-fame.html 

http://mondediplo.com/blogs/tunisia-egypt-and-the-protracted-collapse-of-theReferencias

http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Egypt_demography.png

https://it.wikipedia.org/wiki/Egitto 

http://es.wikipedia.org/wiki/Demograf%C3%ADa_de_Egipto

http://politikon.es/2011/02/14/10-graficas-sobre-egipto/

http://conocegipto.blogspot.fr/p/productos-de-importacion-y-exportacion.html

http://www.spain-noticias.com/noticias-internacionales/diesel-escasez-provoca-la-ira-y-la-ansiedad-en-egipto/


http://fluidos.eia.edu.co/hidraulica/articuloses/historia/suez/suez.html







martedì 27 agosto 2013

Il picco del petrolio è morto: lunga vita al picco del petrolio!

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Forse le notizie sulla morte del Picco del Petrolio sono state un leggermente esagerate. Nonostante lo tsunami mediatico relativo ai nuovi sogni di abbondanza, il concetto di picco del petrolio rimane radicato semplicemente perché ha senso.

Alcuni economisti hanno sostenuto per decenni che l'esaurimento non fosse un problema urgente e a volte che non fosse affatto un problema. Fra questi, Julian Simon ha conseguito una fama internazionale per aver dichiarato che le risorse minerali sarebbero durate per “miliardi di anni” (o forse per sempre) sulla base delle tendenze dei prezzi di cinque beni minerali durante pochi decenni. Argomento sottile che gioca sulla nostra tendenza a preferire le buone notizie. Tuttavia, non è possibile scacciare completamente la semplice e fastidiosa idea che quando usi qualcosa che non può essere sostituito, alla fine lo finirai.

Come testimone della penetrazione del concetto di picco del petrolio, potete dare un'occhiata al recente libro di  Vladimir Lopez Arismendi, “La fine dell'era del petrolio” (che, sfortunatamente, esiste solo in spagnolo al momento). Si tratta di una rassegna di tutto ciò che sappiamo sul picco del petrolio, visto nel modo giusto, cioè come conseguenza di forze dinamiche create da un declino graduale dell'EROEI della fonte.

Per Lopez-Arismendi, il picco del petrolio è una cosa ovvia, parte della sua visione del mondo. Lo è così tanto che egli analizza le conseguenze per il proprio paese, il Venezuela. Secondo lui, le risorse petrolifere venezuelane potrebbero sopravvivere al picco mondiale per almeno qualche decennio e dare al paese una possibilità di investire in infrastrutture sostenibili e passare senza problemi nel mondo post petrolio.

Vedete? Il picco del pensiero genera pensieri simili. Dopo tutto, questo è ciò che gran parte di noi hanno pensato: che il picco del petrolio non fosse solo un problema, ma anche un'opportunità per portare l'umanità in un mondo più pulito e migliore. Non è accaduto: non potevamo immaginare la reazione rabbiosa della società. Non potevamo pensare che gli esseri umani avrebbero deciso di sacrificare letteralmente tutto ciò che hanno per spremere le ultime gocce di combustibili liquidi da un pianeta esausto.

Il Venezuela può fare meglio di così? Dalla passata esperienza, sembra difficile. Ma il futuro ci sorprende sempre. Quindi, chi può dirlo?




lunedì 26 agosto 2013

Chi ha detto che i modelli del picco del petrolio erano sbagliati?

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

Un grafico impressionante da una recente presentazione di Jean Laherrere. Il testo è parzialmente in francese, ma è facile capire i principali risultati dello studio. Nella figura in alto, vediamo come la produzione mondiale di petrolio abbia seguito bene i modelli in nove anni. Su questo punto, Laherrere dice “C'è un differenza minima fra le previsioni del 2004 e quelle del 2013. La differenza è più piccola delle precisione delle misurazioni”. Un risultato rimarchevole che vendica la solidità della teoria del “picco del petrolio”.

La principale differenza fra oggi e nove anni fa è la comparsa nel quadro delle risorse “non convenzionali”. Con queste nuove risorse, potremmo essere in grado di allungare la disponibilità di combustibili liquidi per qualche anno in più, finché saremo in grado di pagare i loro alti costi. Ma continuiamo a seguire il percorso previsto e le notizie sulla morte del picco del petrolio sembrano essere davvero un pochino esagerate.



sabato 24 agosto 2013

Il grande “rutto” del metano Artico: una catastrofe da 60 trilioni di dollari

Un nuovo studio esamina gli impatti planetari, sociali ed economici della sempre più pericolosa fusione dell'Artico

Di Jon Queally

Da “Common Dreams”. Traduzione di MR


Il Permafrost sul lato nordorientale di Spitsbergen, alle Svalbard, un'isola nella regione artica fra la Norvegia e il Polo Nord. (Foto: Olafur Ingolfsson.)

Mettendo in guardia sul fatto che un drammatico “rutto” o “impulso” da sotto il fragile permafrost dell'Artico - causato dal continuo riscaldamento globale - potrebbe scatenare una “catastrofe climatica”, un nuovo studio dice che la continua fusione è anche una “bomba ad orologeria” economica che potrebbe costare all'economia globale 60 trilioni di dollari. Miliardi e miliardi di tonnellate di metano sono immagazzinate nel permafrost in tutte le regioni dell'Artico, ma è stato posto un interesse particolare sulle enormi riserve che stanno chiuse sotto la Piattaforma Artica della Siberia Orientale. Gli scienziati hanno ripetutamente avvertito che se questi depositi – molti congelati all'interno sotto forma di idrati di metano – venissero liberati, innescherebbero enormi retroazioni positive ed aumenterebbero drammaticamente il tasso di riscaldamento globale. Il nuovo studio conferma queste paure che si sono instaurate, ma valuta anche ai costi economici e sociali potenziali che ne seguirebbero. 

Anche se i netturbini delle multinazionali dei combustibili fossili e delle compagnie minerarie sbavano alla prospettiva di una fusione dell'Artico per poter sfruttare le riserve di risorse minerali ed energetiche precedentemente inaccessibili, i ricercatori climatici dicono che sia gli impatti planetari sia quelli economici dovrebbero essere presi in modo estremamente serio. Gli autori del rapporto dicono che i leader globali finanziari e politici continuano ad evitare gli avvertimenti degli scienziati quando si tratta dei pericoli posti della fusione dell'Artico. Come dice il rapporto di John Vidal del Guardian:

I Governi e l'industria si aspettavano che il riscaldamento diffuso della regione dell'Artico negli scorsi 20 anni perché fosse un vantaggio economico, in quanto avrebbe permesso lo sfruttamento di nuovi pozzi di gas e petrolio ed avrebbe consentito la navigazione per viaggiare più rapidamente fra Europa e Asia. Ma il rilascio di un singolo “impulso” gigante di metano dal permafrost dell'Artico che si scongela al di sotto del mare Siberiano Orientale “potrebbe portare un cartellino del prezzo complessivo di 60 trilioni di dollari”, secondo i ricercatori che hanno quantificato per la prima volta gli effetti sull'economia globale. Anche l'emissione più lenta di parti più piccole delle vaste quantità di metano rinchiuse nel permafrost artico e nelle acque al largo potrebbero innescare un cambiamento climatico catastrofico e “far impennare” le perdite economiche, dicono.

“L'impatto globale di un Artico che si scalda è una bomba economica a orologeria”, ha detto Gail Whiteman, un analista di politiche climatiche all'Università Erasmus di Rotterdam ed uno degli autori del rapporto. “L'imminente scomparsa del ghiaccio marino estivo nell'Artico avrà enormi implicazioni sia sull'accelerazione del cambiamento climatico sia sul rilascio di metano dalle acque al largo, che ora in estate sono in grado di riscaldarsi”, ha aggiunto Peter Wadhams dell'Università di Cambridge, un altro coautore. Come osserva Vidal:

Il ghiaccio marino dell'Artico, che si fonde in gran parte e si riforma ogni anno, sta declinando ad un tasso senza precedenti. Nel 2012, è crollato al di sotto dei 3,5 milioni di kmq a metà settembre, solo il 40% della sua estensione negli anni 70. Siccome il ghiaccio sta anche perdendo il suo spessore, alcuni scienziati prevedono che l'oceano Artico sia in gran parte libero dal ghiaccio estivo dal 2020. La paura crescente è che, mentre il ghiaccio si ritira, il riscaldamento del mare permetterà al permafrost in mare aperto di liberare quantità di metano sempre più grandi. Una riserva gigantesca di gas serra, sotto forma di idrati di gas sulla Piattaforma Artica della Siberia Orientale potrebbe essere rilasciata, o lentamente nel giro di 50 anni o in modo catastroficamente rapido in un quadro temporale più breve, dicono i ricercatori. 

“Un impulso massiccio di metano”, ha spiegato Wadhams, “avrà grandi implicazioni per le società e le economie globali. Gran parte di quei costi sarebbero sostenuti dai paesi in via di sviluppo sotto forma di eventi atmosferici estremi, inondazioni ed impatti sulla salute e sulla produzione agricola”. 


venerdì 23 agosto 2013

Cambiamento climatico: basta con il "politicamente corretto"

Intervista di Gabriel Levy a Kevin Anderson

Da “People and Nature”. Traduzione di MR

La realtà sul taglio delle emissioni di gas serra necessari per evitare un pericoloso riscaldamento globale viene oscurato negli scenari del governo del Regno Unito, ha detto il climatologo Kevin Anderson. Le misurazioni più importanti, del biossido di carbonio totale nell'atmosfera, vengono spinte sullo sfondo – e gli scienziati vengono spinti ad adattare i loro argomenti perché si adattino agli scenari “politicamente gradevoli” - ha detto Anderson ad una conferenza per la Campagna Contro il Cambiamento Climatico l'8 giugno a Londra.

Gli scenari del governo danno per scontato che i paesi ricchi come il Regno Unito ridurranno le emissioni entro qualche data lontana – ed effettivamente priva di significato – ha spiegato Anderson a più di 200 sindacalisti ed attivisti ambientali alla conferenza. Fra le sessioni della conferenza Anderson, vice direttore del Tyndall Centre, la principale organizzazione del Regno Unito per la ricerca sul cambiamento climatico, e professore di energia e cambiamento climatico all'Università di Manchester, ha rilasciato questa intervista a People -Nature.

Gabriel Levy (per conto di People-Nature): Potresti commentare la ricerca pubblicata di recente che mostra che la temperatura media globale è aumentata più lentamente negli anni 2000 che non negli anni 90? [1] La solita folla di negazionisti della scienza del clima sta usando questo come una nuova falsa ragione per negare il bisogno di fare qualcosa per il riscaldamento globale.

Kevin Anderson: Su un periodo di tempo relativamente breve – un decennio – le temperature non sono salite quanto avrebbero potuto secondo alcune stime. Il primo punto da tenere in mente è che il cambiamento climatico non riguarda un decennio. Riguarda periodi di tempo più lunghi. Non puoi dire un anno o due, o anche 10, siano il segnale che il cambiamento climatico non stia avvenendo. Devi guardare il quadro temporale più lungo e le tendenze di lungo termine non sono cambiate. E' interessante, comunque, che negli ultimi dieci anni, mentre le emissioni di biossido di carbonio (CO2) sono salite, non abbiamo visto l'accelerazione del tasso di aumento delle temperature come alcuni avevano anticipato. Potrebbero esserci diverse ragioni per questo. Una possibilità è che, mentre il mondo si riscalda gradualmente, una grande quantità di energia termica viene intrappolata negli oceani. C'è un ritardo termico nel sistema che forniscono gli oceani: questo potrebbe spiegare o meno il perché le temperature non sono salite così tanto come qualcuno pensava che avrebbero fatto.

Ma tenete a mente il contesto: la temperatura è salita e continua a salire. Se guardate i piani del Met Office, i 15 anni più caldi mai registrati si sono verificati dal 1990. Abbiamo avuto un'anomalia nel 1998 – ed avremo sempre occasioni nelle quali tali eventi atmosferici estremi avverranno, che possono o meno essere collegati al cambiamento climatico. (Aggiornamento del 4 luglio. Nuove informazioni dall'Organizzazione Mondiale Meteorologica sono riportate qui). Ciò che mi preoccupa è la direzione del dibattito pubblico. L'aumento più lento della temperatura media è il risultato del fatto che gli scienziati hanno leggermente modificato le loro stime della sensitività climatica – cioè, le loro stime di quale aumento di temperatura è più probabile se la quantità di CO2 in atmosfera viene raddoppiata. Il cambiamento non è stato in realtà così drammatico – e, naturalmente, se ci fossero ulteriori ragioni perché la gamma delle stime dovessero scendere ancora di più, questa sarebbe una notizia benvenuta.

Ma mentre c'è stata una gran discussione su questo, dov'è stata la discussione sulle emissioni totali dei gas serra, che sono il vero indicatore importante? Durante gli anni 2000, le emissioni sono state molto più alte di quanto chiunque abbia anticipato. Dalla recessione economica del 2008-2009 – un evento che potreste aver pensato che limitasse severamente la crescita delle emissioni – le emissioni globali hanno continuato ad aumentare ad un ritmo di una rapidità senza precedenti. Sono aumentate del 6% nel 2010 e del 3% nel 2011 e le informazioni preliminari indicano qualcosa di simile per il 2012. Così, mentre la sensitività climatica è diminuita un po', le emissioni stanno salendo a ritmi molto più veloci. Se pensate a questo dal punto di vista delle proiezioni della temperatura generale, del cambiamento climatico generale, l'aumento delle emissioni più alto di quanto anticipato sono più che sufficienti a controbilanciare la riduzione della sensitività climatica.

Illustrando adeguatamente questo fallimento nel considerare le emissioni, Ed Davey, il segretario all'energia del Regno Unito, ha recentemente accolto la dichiarazione della Cina secondo la quale le sue emissioni raggiungeranno il picco nel 2025 e che raggiungeranno una riduzione del 40% nell'intensità di carbonio dell'economia dal 2020. Eppure le politiche del Reno Unito stesso si basano sul fatto che la Cina raggiunga il proprio picco di emissioni nel 2017 o nel 2018, non nel 2025. Come ci comportiamo con quel divario? Ciò che facciamo ripetutamente è truccare i numeri per farli rientrare nelle norme accettabili – la nostra analisi non deve far emergere domande fondamentali e scomode. Il livello di riduzione delle emissioni necessario ad evitare un “pericoloso cambiamento climatico” è molto, molto più impegnativo di quanto chiunque – compresi molti climatologi – sia ancora pronto a tollerare. La storia delle emissioni è stata la Cenerentola del dibattito sul cambiamento climatico negli ultimi 20 anni... con un aumento in corso e senza precedenti delle emissioni che controbilancia completamente ogni piccolo cambiamento della sensitività climatica.                                                                                                                                                                        GL: Nel saggio Oltre il Cambiamento Climatico Pericoloso, tu e la tua coautrice Alice Bows sottolineate che le date del picco delle emissioni (cioè, le date fissate dai politici per la riduzione delle emissioni per raggiungere il loro livello di picco) e gli obbiettivi di riduzione a più lungo termine (cioè, gli obbiettivi fissati dai politici per la riduzione delle emissioni) oscurano la realtà e che il vero focus dovrebbe essere sul bilancio cumulativo delle emissioni (per esempio la quantità totale di CO2 nell'atmosfera). Puoi spiegare questo per i non scienziati?   

KA: La storia del cambiamento climatico è stata a lungo raccontata in termini di “dobbiamo fare grandi bilancio del carbonio. Sappiamo quanta CO2 possiamo mettere nell'atmosfera per una data temperatura – o giù di lì... c'è una certa incertezza scientifica, ma abbiamo una buona approssimazione di quale sia la forbice. Questo approccio del bilancio del carbonio è scientificamente legittimo, in netto contrasto con la riduzione delle emissioni per il 2050.
riduzioni delle emissioni da qualche punto indefinito nel futuro” - per esempio, un 80% di riduzione per il 2050. Il messaggio trasmesso è, fra molti anni da adesso dobbiamo aver ridotto le nostre emissioni di una certa quantità arbitraria. Ma se considerate la scienza del cambiamento climatico e come questa si colleghi all'aumento globale della temperatura, non è quello che accade nel 2050 che conta, ma la quantità totale di CO2 nell'atmosfera.  Questo è il

Una volta inquadrati i problemi del cambiamento climatico in termini di bilancio del carbonio, questo trasferisce il nostro focus lontano dal 2050 e verso ciò che dobbiamo fare nel 2015, 2020 e 2025. Per le nazioni più ricche, le riduzioni dopo il 2030 sono molto meno importanti nei termini dei nostri impegni sul cambiamento climatico. Quando presentiamo i nostri scenari di emissione alla comunità scientifica – con il loro focus più grande sul più breve termine – non riceviamo nessun reale disaccordo con le nostre principali conclusioni. La differenza fra la nostra analisi e quella di molti altri deriva dalla loro opportuna scelta delle ipotesi – ipotesi che li autorizzano a partorire risultati politicamente gradevoli.

GL: Per cortesia, spiegaci gli scenari per coloro ai quali non sono famigliari.

KA: Gli scenari illustrano i percorsi alternativi delle emissioni di gas serra nel futuro – con i nostri scenari collegati ad un particolare bilancio di carbonio e quindi ad un particolare cambiamento nell'evitare il livello dei +2°C, che è caratterizzato come misura del cambiamento climatico pericoloso. In altre parole, guardiamo come poter vincolare le emissioni a livelli per cui la temperatura non salirà di oltre 2°C. I nostri scenari sono centrati sull'energia e le sue emissioni associate di gas serra (principalmente CO2) e comprendono illustrazioni “e se...” dell'attività economica, della domanda di energia, delle tecnologie di fornitura energetica e dei combustibili, di come stanno crescendo le emissioni di CO2 e quando è possibile che raggiungano un livello globale di picco. Sono scenari come questi che vengono usati dai governi per aiutare a determinare quali politiche a basso tenore di carbonio considerare, sviluppare e potenzialmente attuare.

GL: Ma tu hai problemi con gli scenari…

KA: Sì. Molti, se non tutti, gli scenari proposti sono completamente irrealistici nel dare per scontato cambiamenti quasi immediati alle attuali tendenze delle emissioni. Inoltre, essi normalmente trascurano cosa sta succedendo in Cina ed India. Normalmente trascurano il fatto che le parti più povere del mondo hanno bisogno di molta più energia se vogliono sviluppare e migliorare il loro benessere. Si svilupperanno per mezzo di pale eoliche, energia nucleare o altre opzioni a basse emissioni di carbonio o si svilupperanno coi combustibili fossili? Be', per come stanno le cose, i loro governi hanno subito forti pressioni da parte delle compagnie di combustibili fossili convenzionali ed alcuni di quei paesi hanno risorse di combustibili fossili proprie. Sul breve termine essi stanno sviluppando, e continueranno a sviluppare, sistemi energetici a combustibili fossili – e i nostri scenari devono tenere conto di questo fattore.

Anche la nostra stessa infrastruttura continua ad essere costruita intorno ad una base di combustibili fossili. Questo non cambierà certamente in modo radicale nei prossimi anni – e probabilmente, anche se ci fosse una spinta forte, nemmeno ne prossimi cinque o dieci anni. Queste storie di emissioni globali sono state parecchio sottovalutate in quasi tutti gli scenari a basso tenore di carbonio – e come tali sono servite solo a rinforzare ripetutamente la visione che un futuro decarbonizzato sia solo una transizione evolutiva impegnativa piuttosto che una rivoluzione nel nostro uso e tipo di energia.

GL: Alla conferenza di oggi hai detto che negli scenari usati dal governo le ipotesi sul livello delle riduzioni delle emissioni compatibili con la crescita economica sono dettate dagli economisti. Gli scienziati devono quindi inventarsi scenari di emissioni per soddisfarli. Come avviene questo?

KA: Gli scienziati vengono spinti a lavorare entro dei vincoli irragionevoli, tanto per cominciare. Prima di tutto, dobbiamo pronunciarci all'interno del contesto – o, piuttosto, è molto difficile per noi mettere in discussione quel contesto – di un aumento di 2°C della temperatura globale. Quando facciamo la nostra analisi da noi ci si aspetta che i nostri bilanci di carbonio non rigettino la fattibilità di una aumento di 2°C – e che questo sia anche sostenibile con l'attuale paradigma della crescita economica. Ci sono molti modi in cui possiamo fare questo. Possiamo giocare con le probabilità accettabili di soddisfare i 2°C e con la scelta dei modelli. Tutto questo ci da maggiori o minori bilanci di emissione. Ma anche i più grandi bilanci a 2°C potrebbero non offrire sufficiente flessibilità da dare risultati politicamente gradevoli – almeno non con vincoli pratici ragionevoli.

Così poi allentiamo ciò che è pratico e fattibile e cominciamo ad adattare il momento in cui le emissioni raggiungeranno il picco. Prima le emissioni di CO2 raggiungono un picco, per esempio il loro livello massimo, meno ripida sarà la curva di riduzione. Per esempio, diversi analisti, pubblicando nel 2011, hanno riportato il picco delle emissioni nel passato, circa nel 2005! Questo nonostante che tutti fossero consapevoli che le emissioni stavano continuando a salire. Ciò che disturba di più è che una tale analisi astratta si affianca a raccomandazioni politiche – e la cosa che disturba ancora di più è che pochi politici hanno familiarità coi dettagli dell'analisi che informa i loro giudizi. Oggi, praticamente tutti gli scenari a basso tenore di carbonio che tendono ai +2°C ipotizzano un picco delle emissioni globali nel periodo 2010-2016. Il Comitato sul Cambiamento Climatico del Regno Unito, un comitato indipendente obbligatorio per legge messo in piedi per consigliare il governo e il parlamento, ipotizza un picco delle emissioni globali nel 2016. La Stern Review, un rapporto chiave al governo del Regno Unito sulle conseguenze economiche del cambiamento climatico pubblicato nel 2006, ipotizzava un picco nel 2015. Tuttavia, una volta che si estende il picco fino al 2020 i il 2030, le misure di mitigazione proposte in tali rapporti non possono proprio ottenere i bilanci delle emissioni necessari.

Lo stratagemma successivo è quello di pompare il tasso al quale cresceranno le emissioni, oltre la data del picco. Sappiamo che le emissioni stanno crescendo di circa il 2-4% all'anno – e probabilmente più vicino al 3-4%, a seconda di cosa succede economicamente nel mondo – ma pochi analizzano il fattore di tali tassi di crescita. La realtà è che le emissioni di carbonio stanno aumentando vertiginosamente e quindi il bilancio di carbonio rimanente per arrivare a +2°C viene consumato rapidamente. Per riassumere: coloro cui vengono commissionati questi scenari sono essenzialmente obbligati ad usare una riduzione del tasso di emissioni (dal picco delle emissioni) che viene imposto da ciò che gli economisti asseriscono sia fattibile con la crescita economica. Di conseguenza, gli scienziati vengono persuasi a sviluppare scenari sempre più bizzarri... che sono in grado di consegnare messaggi politicamente gradevoli. Tali scenari sottovalutano l'attuale tasso di crescita delle emissioni, ipotizzano picchi delle emissioni ridicolamente prematuri e traducono gli impegni “di restare al di sotto dei +2°C” in un 60-70% di possibilità di superarli.

Inoltre, quando anche questi scenari non riescono a rassicurare, viene chiamato in causa il Dottor Stranamore – sotto forma di geoingegneria. Tali tecnologie potrebbero funzionare, forse anche su una scala ragionevole. Così un giorno potrebbero essere usate. Ma, dato il livello di incertezza, la loro presenza ubiqua negli scenari di +2°C semplicemente si aggiunge alla mia preoccupazione che la codardia dell'ortodossia economica e politica stia indebitamente influenzando la scienza. In qualche misura, il gatto è stato fatto uscire dal sacco. Sempre di più, le organizzazioni ufficiali uniscono le loro voci di quelli che precedentemente sono stati respinti come allarmisti, osservando quanto le divagazioni ottimistiche di molti analisti siano sempre più ridicole. La IEA, la Price Waterhouse Coopers e diversi altri stanno dicendo esplicitamente che le tendenze delle emissioni stanno andando nella direzione completamente opposta e che ci serve qualcosa di molto più radicale per evitare di superare i 2°C. Tuttavia, mentre la scala del problema viene riconosciuta a malincuore, in pochi ancora sono preparati a sfidare il predominio degli strumenti finanziari e le proposte di mitigazione del tutto inadeguate. Così, nel 2013 siamo rimasti con un aumentato riconoscimento della natura radicale del problema – ma con la volontà di considerare solo un'attuazione frammentaria come soluzione. Chiunque osi sottolineare questo scollamento continua ad essere messo ai margini.

GL: Che differenze ci sono fra gli scenari del governo del Regno Unito e gli scenari che tu e tuoi colleghi avete pubblicato?

KA: La prima differenza è che il governo ipotizza un volume di emissioni totali associate con una possibilità del 63% di superare un aumento di +2°C della temperatura globale. Questo è palesemente in contrasto con l'impegno internazionale del Regno Unito di “restare al si sotto dei 2°C”. Dal nostro punto di vista, non è ragionevole aspettarsi che i poveri del mondo, che vivono in aree più basse nell'emisfero sud, facciano i conti con l'aumento del livello del mare, con la vulnerabilità alle tempeste e con la pletora di altri impatti su agricoltura, migrazione, ecc. Non è ragionevole aspettarsi che 30 milioni di persone – equivalenti a metà della popolazione del Regno Unito – che vivono entro un metro sul livello del mare lungo la fascia costiera del Bangladesh debbano affrontare le ripercussioni del nostro atteggiamento ambivalente verso il cambiamento climatico.


Nella nostra analisi, noi consentiamo solo un 37% di possibilità di superare i 2°C di aumento della temperatura. Non pensiamo sia possibile fare di meglio adesso. E' troppo tardi. Siamo nel 2013 ed abbiamo pompato circa 400 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio nell'atmosfera dal 2000. Tuttavia, se gli altri non sono d'accordo e possono dimostrare la fattibilità di possibilità ancora migliori dei 2°C, allora saremmo certamente felici di rivedere le nostre analisi. L'analisi del governo è basata sul fatto che le emissioni globali raggiungano un picco nel 2016 e implica un picco attorno al 2018 per le nazioni più povere. Nella nostra analisi adottiamo il 2020 come una data per il picco globale estremamente impegnativa, anche se ancora raggiungibile. E per le nazioni più povere concediamo un periodo più lungo fino al 2025. A noi questo sembra più onesto. Inoltre, non pensiamo che la deforestazione, che potrebbe valere per il 12-20% del carbonio aggiuntivo nell'atmosfera, sia responsabilità dei soli paesi che stanno deforestando ora. Noi abbiamo praticamente deforestato il Regno Unito (e in buona parte anche l'Italia, ndt.)  ed abbiamo raccolto i 'benefici' del terreno liberato per l'agricoltura, ecc.

Linea tratteggiata = le emissioni continuano ad aumentare all'attuale tasso per  molti anni.
Linea continua = viene intrapresa un'azione concertata a breve termine. Da una presentazione di Alice Bows

La conseguenza di tutto questo è che c'è una differenza significativa fra il tasso di mitigazione – cioè, il tasso al quale le emissioni verranno ridotte dopo l'anno del picco – nei nostri scenari, rispetto a quelli del governo. Gli scenari del governo ipotizzano tipicamente un 3-4% di tasso di mitigazione. Noi stimiamo una riduzione del 10% all'anno. In altre parole, avremmo bisogno di una riduzione delle emissioni del 10%, ogni anno, per dare il nostro onesto contributo ad una possibilità remota di limitare l'aumento della temperatura ai 2°C. 

GL: Cosa succede se viene mancato l'obbiettivo dei 2°C?

KA: Sento sempre di più alcuni politici e scienziati brontolare che i 2°C sono troppo impegnativi, che non possiamo farcela – anche se tali preoccupazioni vengono normalmente espressi lontano dai consessi pubblici. E posso certamente capire perché lo dicono. Quindi che ne dite un aumento di 4°C? Sembra più fattibile. Il bilancio del carbonio è maggiore, quindi il tasso di riduzione delle emissioni è molto meno impegnativo. Ma cosa significa esattamente un aumento di 4°C nella temperatura globale della superficie? Gran parte della superficie terrestre è acqua, che si scalda più lentamente. Quindi questo corrisponde a 5-6°C di aumento della temperatura media della terraferma. Quest'area della scienza è molto incerta, ma l'Hadley Centre (il centro di ricerca sul cambiamento climatico al Met Office) stima che, nei giorni più caldi, la temperatura sarebbe di 6-8°C più alta in Cina, 8-10°C in Europa e 10-12 gradi a New York. Tali aumenti senza precedenti darebbero luogo ad una serie di problemi riguardo a come le strutture invecchiate delle nostre città possano fornire addirittura servizi di sopravvivenza. 

E che dire delle persone che non hanno causato il problema, alle altitudini più basse? E' difficile essere precisi, ma l'Hadley Centre stima che, per i contadini alle latitudini più basse, a caratterizzare i loro impatti con +4°C è una riduzione del 40% di mais e riso. Questo è un mondo che dobbiamo evitare ad ogni costo. Molti scienziati suggeriscono che un aumento di 4°C è incompatibile con una società globale organizzata. E' oltre “l'adattamento”. Eppure questa revisione di un aumento di 4°C non tiene in considerazione possibili retroazioni ed altre discontinuità, che in media anticipano di rendere la situazione ancora peggiore. Così, un futuro a +4°C è qualcosa che dobbiamo evitare. E questo ci riporta ai 2°C  - sebbene con probabilità sempre più basse di raggiungere anche questo. Cosa comportano 2°C per le zone ricche del mondo, per i paesi OCSE? Significano una riduzione del 10% nelle emissioni ogni anno: una riduzione del 40% nei prossimi anni ed una riduzione del 70% entro il decennio. Tali riduzioni sono necessarie se le parti povere del mondo devono avere un piccolo bonus di emissioni per aiutare a migliorare il proprio benessere. Nonostante la coerenza dell'analisi, mi viene continuamente suggerito che tali livelli di mitigazione sono impossibili. Allo stesso tempo, vivere come comunità globale civilizzata con +4°C sembra altrettanto impossibile. In altre parole: il futuro è impossibile! Allora cosa facciamo? Dobbiamo sviluppare un'altra mentalità – e alla svelta. L'impossibilità che fronteggiamo nella mitigazione potrebbe aprirci alla concezione di futuri diversi – andando oltre il pensiero riduzionista del ventesimo secolo e verso nuovi modi di inquadrare i problemi nel ventunesimo secolo. 

GL: Hai indicato che, approssimativamente, il 20% più ricco della popolazione mondiale per reddito è responsabile del 80% delle emissioni: il 20% più ricco di questo 20% è responsabile del 80% del 80% delle emissioni e così via. E il tuo argomento è che le politiche di riduzione delle emissioni devono essere applicate a queste persone, per esempio coloro che sono responsabili delle attuali emissioni. Dico bene?

KA: Sì. Molte delle politiche attuate – lo schema di commercio delle emissioni o le proposte di carbon tax – sono universali. Non differenziano fra grandi e piccoli emettitori. Direi che ciò è inappropriato. Nel Regno Unito, per non dire niente dei paesi in via di sviluppo, molta gente fatica a pagare le proprie bollette energetiche ed hanno comunque delle emissioni ragionevolmente basse. Allora perché ci aspettiamo che persone che hanno a malapena contribuito al problema di sopportare il dolore della riduzione del loro già basso livello di emissioni? Per com'è adesso, i meccanismi favoriti dagli emettitori più ricchi sono basati principalmente sul prezzo. Meccanismi coi quali noi, i grandi emettitori ricchi, possiamo comprarci una scappatoia scappatoia. Ciò non è giusto e non funzionerà neanche. Le emissioni devono essere ridotte da coloro che sono i primi responsabili delle emissioni. 

GL: I climatologi sono sottoposti ad enormi pressioni politiche. Hai parlato del fatto che gli scenari sottoposti a pressione producono scenari irrealistici. C'è anche la pressione alla quale gli scienziati del clima sono stati sottoposti a causa delle feroci cacce alle streghe condotte dai negazionisti climatici. C'è altro che il resto di noi, i non scienziati, possano fare per sostenere gli scienziati a resistere alle pressioni?

KA. Uno dei problemi per gli scienziati – ed è una cosa alla quale gli “scettici” si sono attaccati – è che la scienza non dà certezze. Essa raramente fornisce visioni in bianco e nero del mondo. Eppure, le scuole e i media in particolare interpretano la scienza come qualcosa che ha a che fare le verità certe. Ciò equivoca quello che la scienza può offrire: essa a che fare con l'evoluzione di una comprensione migliore dei problemi che vengono presi in considerazione – e nel fare questo ci saranno normalmente delle incertezze e una gamma di risultati piuttosto che una risposta precisa ed indiscutibile. Gli “scettici”, al contrario, presentano una visione molto più categorica, che si alimenta da ciò che la gente vuol sentire e chi i media possono facilmente spacciare. Il pubblico e i media sembrano spesso lottare col concetto di scienza come processo evolutivo. Le visioni del consenso emergono ed evolvono. Ciò non significa che capire significhi saltare di palo in frasca, anche se è questo che spesso viene riportato e interpretato. Questo è un vero problema per la scienza sostenere il cambiamento climatico: si tratta di tentare di fare luce su un problema complesso e di livello sistemico, quindi le incertezze abbondano. Per sua stessa natura, la comprensione del cambiamento climatico è alla mercé dei machiavellici “scettici”. E' molto più facile essere cinicamente critici verso il cambiamento climatico di quanto lo sia fare buona scienza.

L'argomentazione per una maggiore azione, al più presto. Da una presentazione di Alice Bows

Se il pubblico capisse, ed accettasse, la natura evolutiva della scienza, e delle incertezze, sarebbe probabilmente più facile avere conversazioni  costruttive con esso, coi media e coi politici. Come scienziati dovremmo essere il più aperti possibile. Prendete l'affare “climategate”. [2] E' stato spaventoso per alcuni degli scienziati coinvolti: sono normali esseri umani che hanno dedicato la loro carriera a fornire solide basi scientifiche – eppure le loro vite sono state lacerate. E di fatto questo processo è andato avanti per molti anni precedentemente. Gli scienziati sono stati a lungo soggetti a campagne sgradevoli e minacciose – e ne parlo per esperienza personale. Ma nonostante il “climategate” sia stato molto distruttivo per le persone individualmente, sono del parere che abbia avuto un risvolto positivo. Da allora, la comunità scientifica è diventata collettivamente più aperta circa le sue analisi e le sue scoperte. Più possiamo essere aperti sul nostro lavoro, sulle nostre discussioni e disaccordi, meglio è per la società. Questo è un problema sociale, non riguarda solo la scienza. Quindi penso che sia venuto qualcosa di buono da questa storia. 

Inoltre, nonostante gli “scettici” del clima siano spesso ben finanziati ed organizzati intorno ad un ordine del giorno molto più semplice e distruttivo, non sono stati capaci di intaccare realmente la comprensione scientifica del cambiamento climatico. Gli “scettici” hanno sicuramente impaurito e influenzato alcuni politici, ritardando così ulteriormente gli sforzi di mitigazione – per cui la gente più povera che vive in comunità più vulnerabili soffrirà inevitabilmente. Tuttavia, per la scienza, le ripercussioni dei loro tentativi sono stati di fornire una comunità scientifica molto più aperta e resiliente e di dimostrare la robustezza della scienza che sostiene le preoccupazioni sul cambiamento climatico. Così, in uno strano modo, dovrebbero essere ringraziati. 

■  Trovate altro sul sito di Kevin Anderson e sul sito del Tyndall Centre.
■  Il sito della Campagna Contro il Cambiamento Climatico è qui; altro sulla conferenza del mese scorso qui.

[1] Un gruppo di climatologi guidato da Alexander Otto ha pubblicato una lettera a Nature Geoscience riportando di aver ricalcolato quanto la temperatura globale media salirà nell'anno in cui la concentrazione di biossido di carbonio raggiungerà il doppio dei suoi valori preindustriali, tenendo conto del livellamento delle temperature dell'ultimo decennio. La loro stima migliore è di 1,3 gradi più alta di adesso, in confronto dei 1,6 gradi dichiarati dalla ricerca precedente. Un articolo del New Scientist ha riportato la ricerca ed i commenti da parte degli scienziati sottolineano che il quadro generale del riscaldamento globale rimane immutato. L'articolo di Otto e soci, “Limiti di bilancio del carbonio sulla risposta climatica” è disponibile a pagamento sul sito di Nature qui; un pdf sembra essere finito anche qui.

[2] Il “Climategate” è cominciato con la pubblicazione da parte dei negazionisti della scienza del clima, poco prima del summit delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico del 2009 a Copenhagen, di email trafugate a Phil Jones, un eminente climatologo all'Università dell'East Anglia e di altri. Presentando passaggi selezionati delle email in un modo pensato deliberatamente per distorcere il loro significato, i negazionisti della scienza del clima hanno dichiarato falsamente che Jones ed altri avevano provato a nascondere i risultati di una ricerca che metteva in dubbio alcune scoperte standard della scienza del clima. Le accuse sono state ampiamente riportate nei giorni antecedenti alla conferenza, insieme ad una marea di false accuse contro Jones, che mettevano in dubbio la sua integrità. L'identità degli hacker non è stata mai accertata. Jones e i suoi colleghi sono stati sollevati da ogni accusa in un'inchiesta delle autorità universitarie. 


martedì 20 agosto 2013

Earth Overshoot Day 2013

Da “Global Footprint Network”. Traduzione di MR

In 8 mesi, l'umanità esaurisce il budget della Terra per l'intero anno. 


Il 20 agosto è l'Earth Overshoot Day (EOD) 2013, la data che marca il giorno in cui l'umanità ha esaurito il budget della natura per l'intero anno. Ora stiamo operando scoperti. Per il resto dell'anno manterremo il nostro deficit ecologico prelevando riserve di risorse locali ed accumulando biossido di carbonio nell'atmosfera.


Proprio come un estratto conto traccia gli ingressi e le uscite, il Global Footprint Network (GFN) misura la domanda dell'umanità e l'offerta di risorse naturali e di servizi ecologici. E la data fa pensare. Il GFN stima che in circa otto mesi, richiediamo più risorse rinnovabili e sequestro di CO2 di quanto il pianeta possa fornire per un anno intero.

Nel 1993, l'EOD – la data approssimativa in cui il nostro consumo di risorse di un dato anno eccede la capacità del pianeta di ricostituirle – era stato il 21 ottobre. Nel 2003, l'Overshoot Day è stato il 22 settembre. Date le attuali tendenze di consumo, una cosa è chiara: l'EOD arriva qualche giorno prima ogni anno.
L'EOD un concetto sviluppato originariamente dal partner del GFN, nonché gruppo di esperti del Regno Unito, fondazione per una nuova economia, è il segnale annuale di quando cominciamo a vivere oltre le nostre possibilità in un dato anno. Mentre è solo una stima delle tendenze di tempo e risorse, EOD è quanto più vicino la scienza possa arrivare nella misurazione del divario fra la nostra domanda di risorse e servizi ecologiche e quanto il pianeta ne possa fornire.

Il costo dell'eccesso di spesa ecologica

Durante gran parte della storia, l'umanità ha usato le risorse naturali per costruire città e strade, per fornire cibo e creare prodotti e per assorbire il nostro biossido di carbonio ad un tasso che rimaneva ben all'interno del budget della Terra. Ma a metà degli anni 70, abbiamo superato una soglia critica: il consumo umano ha cominciato a superare ciò che il pianeta può riprodurre.
Secondo i calcoli del GFN, la nostra domanda di risorse ecologiche rinnovabili e dei servizi che esse forniscono ora equivale a quella di più di 1,5 Terre. I dati ci mostrano che siamo sulla strada per aver bisogno di due pianeti molto prima di metà secolo.

Il fatto che stiamo usando, o “spendendo”, il nostro capitale naturale più rapidamente di quanto possa essere riprodotto è simile ad avere spese che superano continuamente i redditi. In termini planetari, i costi del nostro eccesso di spesa ecologica stanno diventando più evidenti oggi. Il cambiamento climatico – un risultato dei gas serra che vengono emessi più rapidamente di quanto possano venire assorbiti da foreste e oceani – è il più ovvio e probabilmente pressante risultato. Ma che ne sono altri – riduzione delle foreste, perdita di specie, collasso della pesca, prezzi dei beni più alti e disordine sociale, per nominarne solo alcuni. Le crisi economica e ambientale che stiamo vivendo sono sintomi di una catastrofe incombente. L'umanità sta semplicemente usando più di quanto il pianeta possa fornire.

Metodologia e Proiezioni

Nel 2011, l'EOD è arrivato poche settimane più tardi di quanto non abbia fatto nel 2010. Questo significa che abbiamo ridotto il superamento globale? La risposta, sfortunatamente, è no. 

L'EOD è una stima, non una data esatta. Non è possibile determinare col 100% di precisione il giorno in cui esauriamo il nostro budget ecologico. Le correzioni della data nella quale andiamo “in superamento” sono dovute alla revisione dei calcoli, non agli avanzamenti ecologici da parte dell'umanità. Secondo le ipotesi attuali, i dati del GFN ora suggeriscono che dal 2001 l'EOD ha anticipato il suo arrivo di tre giorni ogni anno. 
Visto che la metodologia del GFN cambia, le proiezioni continueranno a spostarsi. Ma ogni modello scientifico usato per contare la domanda umana dell'offerta della natura mostra una tendenza robusta: siamo ben al di là del budget e il debito sta aumentando. E' un debito ecologico e gli interessi che stiamo pagando su questo debito montante – scarsità di cibo, erosione del suolo e l'accumulo di CO2 in atmosfera – arrivano con costi umani e monetari devastanti. 


Per le richieste dei media, contattate il Senior Communications Manager Scott Mattoon o L'Associato alle Comunicazioni Haley Smith Kingsland.

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