mercoledì 23 dicembre 2015

Italia 2015: l'impennata nel tasso di mortalità mostra che la crescita economica non è la soluzione a tutti i problemi.



Ha destato un certo interesse sulla stampa un articolo di Giancarlo Blangiardo apparso su "Neodemos" il 22 Dicembre 2015. intitolato, "68 mila morti in più nel 2015." Molti hanno trovato la cosa sorprendente e lo stesso Blangiardo specula che possa essere dovuto al degrado delle strutture sanitarie dovuto alla carenza di risorse.

L'articolo di Blangiardo è basato sui dati riportati nella figura qui sopra (presa dall'articolo stesso). Come si vede, i dati sono ancora incerti ma, nel complesso, la tendenza è abbastanza chiara.

In particolare, il picco delle morti a Luglio, potrebbe essere correlato all'ondata di calore di questa estate, molto più calda di quella dell'anno precedente. Che le ondate di calore abbiano un effetto negativo sulla salute, specialmente degli anziani, è ben noto, e su questo non ci sarebbe niente di sorprendente. Lo stesso Blangiardo nota come l'aumentata mortalità sia associata alla fascia più anziana della popolazione

Ma come si inserisce questo risultato nelle tendenze un po' più a lungo termine? Ho trovato questi dati da "Index Mundi," a loro volta basati sul "factbook" della CIA.
 

La prima cosa che si nota in questo grafico è il crollo del tasso di mortalità nel 2011. Non c'è stato nessun evento particolare che lo possa giustificare, per cui credo che sia soltanto un artifatto dovuto al censimento del 2011 che ha causato un aggiustamento dei dati. In pratica, il tasso di mortalità è stato in continuo aumento dal 2000 al 2012, di circa l' 1% -2% all'anno.  Questo è in gran parte un risultato naturale dell'invecchiamento della popolazione.

Ne consegue che l'aumento di circa l'11% nella mortalità nel 2015, riportato da Blangiardo, è effettivamente un'impennata sorprendente; messo sul grafico, il dato va quasi fuori scala. E' un risultato che va preso con cautela, essendo i dati ancora provvisori. Ma certamente è una cosa preoccupante che va ben oltre a un semplice effetto del graduale invecchiamento della popolazione.

Ci sono vari fattori che potrebbero essere in gioco ma, sicuramente, l'impoverimento della popolazione italiana e uno di essi, con il correlato degrado delle strutture sanitarie. Poi, la calura estiva, e forse anche l'inquinamento in crescita, hanno messo qualcosa in più. E, come ultimo fattore, anche l'invecchiamento generale della popolazione. Il risultato è quello che vediamo. E probabile che non sarà l'ultimo di questi picchi di mortalità.

Insomma, situazione difficile in Italia e, a questo punto, la retorica del governo sul "meglio che sta arrivando" rischia di fare ulteriori danni. Questo per non parlare dello slogan di qualche anno fa "viva l'Italia viva" che, visto in luce degli ultimi dati sulla mortalità, suona decisamente male.

Tutto il cosiddetto "meglio" che arriva dovrebbe essere il risultato della crescita economica; cercata a tutti i costi senza troppo preoccuparsi dell'effetto sul clima e sull'inquinamento. Quest'anno, qualche risultato in termini di crescita (forse) si è visto, ma se è stato ottenuto a spese della salute dei cittadini, non ne valeva certamente la pena



E nel frattempo, il clima.......




Dal sito Images of Change.

E' il momento di smettere di adorare la crescita economica

Così, tutti i politici che a Parigi hanno celebrato l'accordo della COP21, sono tornati a casa e ora ricominciano a celebrare la necessità della crescita economica. Niente cambia nei loro atteggiamenti, ma l'ecosistema cambia per conto suo e prima o poi presenterà il conto a tutti quanti (U.B.)


Da “The Daly News”. Traduzione di MR (via Donella Meadows Institute)

Di Brent Blackwelder

Esistono dei limiti fisici alla crescita su un pianete finito. Nel 1972 il Club di Roma ha pubblicato il suo rivoluzionario rapporto – i Limiti della Crescita (dodici milioni di copie in 37 lingue). Gli autori hanno previsto che circa intorno il 2030 il nostro pianete avrebbe percepito una grave compressione delle risorse naturali; ed hanno colto nel segno.

Nel 2009, lo Stockholm Resilience Center ha introdotto il concetto di limiti planetari per aiutare l'opinione pubblica a visualizzare la natura delle sfide poste dai limiti della crescita e dai limiti biologico/fisici. Hanno definito nove limiti critici per l'esistenza umana che, se superati, potrebbero generare cambiamenti ambientali bruschi ed irreversibili.

lunedì 21 dicembre 2015

La “Malattia siriana”: ciò che il petrolio greggio dà, il petrolio greggio toglie

Da “Cassandra's Legacy” (She's back!). Traduzione di MR

Di Ugo Bardi




Qui di seguito sostengo che le origini del collasso siriano si devono cercare nel collasso economico generato dal graduale esaurimento delle riserve petrolifere siriane. Il petrolio greggio ha creato la Siria moderna, il petrolio greggio l'ha distrutta. Questo fenomeno può essere definito “Malattia siriana” e la domanda è: “qual è il prossimo paese che verrà contagiato?” 


Il petrolio greggio è una grande fonte di ricchezza per i paesi che lo posseggono. Ma è anche una ricchezza che si manifesta come un ciclo. Di solito, il ciclo copre diversi decenni, persino più di un secolo, quindi coloro che ci vivono potrebbero non cogliere per niente il fatto di essere diretti verso la fine della loro ricchezza. Ma il ciclo è più rapido e particolarmente visibile in quelle aree in cui la quantità di petrolio è modesta. Qui, ricchezza e miseria appaiono una di seguito all'altra in una drammatica serie di eventi.

domenica 20 dicembre 2015

Nel frattempo, il clima......


Novembre 2015: Il Novembre più caldo mai registrato sulla Terra
Departure of the global surface temperature from average for the year-to-date period January - November, for all years from 1880 to 2015. 2015 is on pace to easily beat 2014 as the warmest year on record. Graphic: NOAA

Da Desdemona's despair

By Jeff Masters
17 December 2015

(Weather Underground) – Novembre 2015 è stato il Novembre più caldo mai registrato con un margine gigantesco, secondo i dati del NOAA's National Centers for Environmental Information (NCEI) on Thursday.



venerdì 18 dicembre 2015

Dopo la COP21 di Parigi: cinque scenari per il futuro

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

 2060: la ricerca di una tecnologia rivoluzionaria per risolvere il cambiamento climatico continua. "E' una macchina del tempo che speriamo ci riporti indietro di 50 anni quando avremmo potuto tassare il carbonio".

Gli scenari non sono previsioni, solo modi per descrivere futuri possibili, utili per essere pronti ad eventi inaspettati. La sola regola nella costruzione di scenari è che le ipotesi non devono essere troppo improbabili, come contemplare macchine del tempo. Eppure, sembra che in alcuni casi che coinvolgono previsioni climatiche, le macchine del tempo siano un'ipotesi intrinseca


La conferenza COP21 di Parigi ha riportato il clima all'attenzione del pubblico e da adesso in avanti parte la sfida vera: cosa possiamo realmente aspettarci per il futuro del clima terrestre? Come sempre, le previsioni sono difficili, specialmente quando ci sono molte variabili coinvolte. Ciononostante, il cambiamento climatico è il risultato di fattori fisici che possiamo capire e sappiamo che l'accumulo di gas serra in atmosfera – se continuasse – ci porterà ad un futuro molto sgradevole.

Se guardiamo al futuro a lungo termine, tutta la questione ruota intorno a se riusciamo a ruotare al di sotto di un aumento di temperatura che è ritenuto “sicuro” (potrebbe essere 2°C, ma non lo sappiamo con certezza), o superiamo il limite e ci ritroviamo al di sopra del “punto di non ritorno climatico” dopo il quale il sistema comincia a muoversi verso un riscaldamento sempre maggiore, con tutti i disastri associati.

Quindi ho pensato che avrei potuto impegnarmi in un piccolo esercizio di “costruzione di scenari” qualitativi con una focalizzazione particolare sul clima. Ecco alcuni scenari, elencati senza un ordine particolare. Alcuni li potreste vedere come orribili, alcuni come improbabili, altri come eccessivamente ottimistici. Ma non sono altro che scenari. La COP21 è stato un passo nella giusta direzione. Evitare le conseguenze peggiori non sarà facile, ma dipende da noi.

1. Business as usual. In questo scenario, le cose rimangono in gran parte come sono oggi, peggiorano soltanto gradualmente. Non ci sono grandi guerre, nessun collasso economico brusco, nessun disastro climatico improvviso. Ma le temperature continuano ad aumentare mentre il sistema economico mondiale viene colpito da una crisi dopo l'altra. Quindi l'economia perde gradualmente le risorse necessarie per mantenere in vita le strutture che studiano e comprendono i problemi globali: università e centri di ricerca. Di conseguenza, i problemi globali scivolano via dalla consapevolezza collettiva. Le persone vengono uccise da ondate di calore, affamate dalle siccità, spazzate via da uragani mostruosi, eppure nessuno è in grado di collegare tutto ciò al cambiamento climatico, mentre la combustione di combustibili fossili, anche se ridotta a causa dell'esaurimento, continua. Sul lungo periodo, ciò porterebbe alla fine della civiltà con un sussurro, piuttosto che con un fragore.

giovedì 17 dicembre 2015

COP21 a Parigi: La situazione è critica, ma state calmi

da "Pisorno.it"

Max Strata
Max Strata

L’accordo c’è ma cosa cambia? Si è conclusa a Parigi la 21ma conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici

14dicembre 2015 di  Max Strata

clima urgenza.Ha riunito tecnici e politici di tutto il mondo per trovare un accordo che sia in grado di contenere il surriscaldamento del pianeta entro i due gradi centigradi a fine secolo rispetto alla temperatura media del periodo in cui è iniziata la rivoluzione industriale.

L’accordo, tra un generale entusiasmo, è dunque arrivato e immediatamente è stato salutato dai media come una pagina storica per l’umanità. Non c’è dubbio che dopo gli insuccessi delle trattative che avevano segnato un percorso durato oltre venti anni, siamo apparentemente di fronte a qualcosa di nuovo e di auspicabile, se non altro per il fatto che la diplomazia ha battuto un colpo e si è fatta sentire. A guardar bene però, il risultato è tutto qui, poiché di vincolante non c’è niente (e non potrebbe esserci stato) e i singoli Paesi, da quelli più ricchi, a quelli “emergenti”, ai più poveri, continueranno a muoversi ciascuno per conto proprio, autocertificando, gli interventi finalizzati a diminuire le emissioni climalteranti.

parigi clima
Parigi per la Cop21Sulla revisione e l’aggiornamento delle politiche nazionali di riduzione delle emissioni climalteranti bisognerà attendere il 2020 e addirittura il 2023 per il controllo dell’attuazione degli impegni; il 2020 è anche l’anno in cui dovrebbe essere reso completamente disponibile il fondo comune da cento miliardi di dollari all’anno, destinato al trasferimento delle “tecnologie pulite” ai paesi a scarsa industralizzazione (un buon business per molte aziende occidentali), mentre nel frattempo gli incentivi all’uso del petrolio potrebbero continuare a ricevere la modica cifra di cinquecento miliardi di dollari all’anno.
Ancora tempo dunque per dare fondo alle riserve di oro nero prima di procedere con convinzione su una via alternativa benché la ricerca scientifica abbia da tempo precisato che siamo in grave ritardo rispetto ai cambiamenti da effettuare.

Riassumendo, si può dire che è stato creato un quadro di riferimento che addirittura vede come traguardo il contenimento del rialzo della temperatura media ben al di sotto dei due gradi (ovvero un grado e mezzo) sapendo tuttavia che un grado ce lo siamo già giocati e che quindi ci resta un margine strettissimo su cui operare e in cui dovremmo riorganizzare l’intera economia globale dominata dai combustibili fossili.

Questo è il punto.

agricoltura mondoSi tratta di uno spazio di manovra eccezionalmente piccolo all’interno del quale si rende necessario abbattere l’uso di petrolio, carbone e gas naturale, smettere di tagliare le foreste e smettere di allevare animali in modo intensivo, ovvero, ridurre drasticamente le quantità di merci in circolazione e colpire al cuore il tipo di economia dominata dall’idea di crescita a cui (noi dei paesi più ricchi) ci siamo abituati. E tutto questo senza intaccare i consumi del trasporto aereo e marittimo, per non parlare dei costi energetici dell’apparato militare mondiale che per definizione non vengono neppure contabilizzati poiché vale il principio che la guerra è una cosa a parte, pianeta da salvare o meno.

L’accordo dunque non impone e non può imporre quanto è sgradito a chi comanda e in ogni caso sarà rivedibile ogni cinque anni.

Semplificando, ci dice che (forse) ci saranno un po’ di soldi a disposizione per riparare i danni prodotti dal caos climatico (sommersione di terre, distruzione di raccolti e infrastrutture, ecc.) ma che non è possibile introdurre nel documento finale ne il concetto di “giustizia climatica” ne quello di “diritti umani”.

Soprattutto, facendo finta di non sapere che la densità energetica del petrolio non è attualmente sostituibile, ci dice che la Green Economy è il nostro futuro, ovvero che lo sviluppo delle energie rinnovabili ci porterà fuori dal pantano in cui ci siamo infilati e che saranno gli investimenti della finanza a modificare gli assetti attuali e ad avviare la de-carbonizzazione, considerato che per raggiungere gli obiettivi individuati entro il 2050 sarà indispensabile lasciare sotto terra i combustibili fossili.
In sostanza, secondo lo spirito di Parigi, sarà questa nuova indicazione “politica” dei grandi e dei piccoli della Terra a far cambiare strada alla grandi Lobbies del settore, e a far dirottare investimenti e strategie di business verso un altro modello di produzione dell’energia: come a dire a chi ha procurato il problema, “ora devi risolverlo”.

Devo essermi perso qualcosa poiché mi era parso che soprattutto negli ultimi anni fosse ormai chiaro che sono le grandi multinazionali che condizionano i governi nelle loro scelte e non il contrario.

Qualche osservatore, del resto, ha fatto notare come al tavolo dei negoziati non fosse stata invitata, ne dunque sia stata ufficialmente rappresentata, nessuna grande compagnia, come a dire, che probabilmente non ce n’era bisogno in quanto gli interessi di “Big Oil” potevano considerarsi già ampiamente rappresentati.
Dr. James Hansen
Dr. James Hansen

Insomma, il messaggio di Parigi potrebbe essere ironicamente riassunto in una frase del genere “la situazione è critica ma state calmi, non intaccheremo l’economia e salveremo il pianeta”.

James Hansen, uno tra i più importanti studiosi del clima, ha commentato a caldo dicendo che la conferenza ha partorito una frode, un testo che contiene solo promesse, altri come Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace, ha invece sottolineato i passi avanti definendo l’accordo come la tappa di un viaggio che prosegue.

Ma parlare di luci e ombre sarebbe riduttivo e come al solito troveremo anche nelle analisi più accurate dei prossimi giorni, sostenitori del sì -si tratta di un risultato importante- e del no -si tratta di un fallimento -.
Più banalmente vorrei sottolineare che da una conferenza di questo genere sarebbe stato difficile avere preteso di più, considerati i veti incrociati e le ambizioni dei singoli stati che non intendono mettere in discussione il tema centrale della crescita economica.
geopoliticaQuel che è certo è che adesso il tema del caos climatico e del suo rapporto con un modello di sviluppo energivoro che impatta disastrosamente sugli ecosistemi e sulle comunità umane, non potrà più essere messo in discussione.

Come ho scritto appena qualche giorno fa su Il Tirreno, tecnicamente siamo di fronte ad un generale “tipping point”, ovvero ad punto di “non ritorno ecologico” oltre il quale si manifestano in modo esponenziale i ritorni negativi del processo che abbiamo messo in moto.

Quanto l’accordo di Parigi potrà incidere concretamente sui pessimi scenari che ci attendono, lo vedremo, personalmente continuo a restare scettico sulla capacità dell’establishment di comprendere davvero quanto sta avvenendo sotto il profilo chimico/fisico al pianeta e quindi, come tale sovrastruttura possa essa in grado di organizzare una risposta efficace.

energia contributiUna risposta che peraltro non può prescindere da una profonda modifica dell’esistente, ragione per cui appare quanto meno azzardato confidare che un cambiamento di tale portata possa venire da coloro (individui e gruppi) che sul mantenimento dell’attuale modello economico e sociale fondano le loro posizioni di privilegio e di potere.

Come ho scritto, appare più ragionevole e concretamente fattibile, sviluppare in tempi brevi la costruzione di una resilienza locale che significa iniziare da subito a ridisegnare i flussi di energia e di materia che caratterizzano ciascun territorio secondo una logica “carbon neutral” e di economia circolare, riducendo rapidamente le emissioni climalteranti e organizzando in loco (e non in mega impianti) la produzione di energia rinnovabile e la fornitura di servizi, sviluppando una forte agricoltura locale stagionale e non monocolturale, investendo in progetti di conservazione della biodiversità e degli ecosistemi.
Piuttosto che lasciare che qualcuno provveda per noi, in questo caso si tratta di operare direttamente e non per delega, in modo orizzontale e non verticale (verticistico), affinché diminuisca progressivamente non solo la pressione che esercitiamo su tutte le risorse del pianeta ma anche la concentrazione di denaro e di poteri che attualmente fanno sì che il 99% della ricchezza globale sia posta nelle mani dell’1% dei nostri concittadini.
Per ottenere risultati tangibili è dunque fondamentale comprendere che dovremo fare con meno e fare bene e che non dobbiamo avere paura nel pronunciare il termine -decrescita- in quanto la cosidetta “crescita economica e materiale”, evidentemente risulta ormai appannaggio dei soliti noti e, come tra gli altri spiega molto bene Tim Jackson nel suo “Prosperità senza crescita”, nel provocare alti costi sociali non contribuisce più al “sentirsi bene delle persone”.

A partire dalle singole comunità territoriali, è allora indispensabile riorganizzare il sistema economico e sociale puntando dritto verso un modello ecologico autenticamente sostenibile, inclusivo, equo e stazionario, un modello che si sta già sperimentando con varie modalità in realtà rurali e urbane di tutti continenti e che probabilmente può permetterci di affrontare in modo intelligente la transizione che ci attende.

Un percorso per il cambiamento che la conferenza di Parigi evidentemente non poteva e non ha saputo elaborare.