martedì 3 marzo 2015

La profezia di Keynes: il Bengodi che non arrivò mai

Di Jacopo Simonetta.


In una conferenza del 1928 (pubblicata nel 1930)   John Maynard Keynes si lasciò andare ad una “profezia”: Quali saranno le possibilità economiche dei nostri pronipoti?    Poiché quei pronipoti siamo noi e Keynes è stato certamente uno dei maggiori economisti, penso che sia interessante rileggere quelle pagine.

In sintesi, il nostro sostiene che dall'antichità fino al 1.700 circa ci fu solo un’alternanza di periodi migliori e peggiori, ma non un sostanziale progresso a causa della mancanza di importanti miglioramenti tecnologici e dell’incapacità ad accumulare capitale.

Per l’accumulo di capitale Keynes aveva un’idea precisa: cominciò con l’aumento dei prezzi e dei profitti che seguirono la massiccia importazione di oro ed argento dal Nuovo Mondo durante il XVI secolo.

In particolare per l’Inghilterra, Keynes indica l’inizio dei tempi moderni con il 1580.   Data in cui Drake consegnò alla Regina Elisabetta un carico di oro (rubato agli spagnoli che lo avevano saccheggiato in Perù), tale da permettere alla sovrana di saldare il debito ed finanziare le prime compagnie coloniali.   Dapprima la Compagnia del Levante, seguita dalla Compagnia delle Indie orientali.    Complessivamente, Elisabetta investì circa 40.000 sterline che, con un tasso medio di interesse del 3,5 % all'anno, portarono ai 4 miliardi di sterline che era l’ammontare degli investimenti esteri inglesi nel 1930.    In pratica, ogni sterlina portata da Drake, aveva fruttato 100.000 sterline in 250 anni.   Miracoli dell’accumulo degli interessi composti.

Circa un secolo più tardi, cominciò la grande èra del progresso tecnologico, con un numero incalcolabile di grandi invenzioni e lo sviluppo di ogni tipo di macchine.   E’ notevole il fatto che Keynes dichiara di non sapere perché il progresso tecnologico non fosse cominciato prima, malgrado tutte le tecnologie di base fossero già note da secoli.

Comunque, il risultato fu un enorme incremento della popolazione mondiale e dunque dei consumi.   Contemporaneamente, in Europa ed negli Stati Uniti il tenore di vita quadruplicava ed il capitale centuplicava.    Punto importante, Keynes si aspettava che, a quel punto, la popolazione globale tendesse a stabilizzarsi, mentre sia il miglioramento tecnologico che l’accumulo di capitale sarebbero proseguiti a crescere esponenin maniera esponenziale.

Questo straordinario progresso, prevedeva il nostro, avrebbe creato un serio problema di disoccupazione, ma si sarebbe trattato di una fase temporanea, legata alla velocità del processo.   Nel giro di un secolo da allora (dunque adesso) il tenore di vita nei paesi avanzati sarebbe stato fra le 4 e le 8 volte superiore.    Od anche più.

Quali gli effetti di questo straordinario benessere economico?  

Keynes classifica i bisogni umani un due grandi categorie:   i bisogni assoluti (quelli che sentiamo indipendentemente dagli altri) ed i bisogni relativi (quelli che soddisfano il nostro desiderio di essere superiori agli altri).   Mentre i secondi sono potenzialmente insaziabili, i primi non lo sono e si può presumere che, superato un certo grado di benessere, la gente preferisca dedicarsi ad attività non economiche.

Dunque, giunti ai giorni nostri, l’economia avrebbe cessato di rappresentare una preoccupazione per l’umanità, ma attenzione!   Solo a condizione che nel frattempo non si fossero verificate né grosse guerre, né grossi incrementi di popolazione.

Fin qui la parte più strettamente economica di questa “profezia” che, come generalmente accade con questo genere di previsioni, si presenta come un mosaico di aspetti centrati ed altri completamente sbagliati.    Bisogna dire che, a pensarci bene, qualche grossa guerra nel frattempo c’è stata.   E che la popolazione umana sia triplicata spiega sicuramente molti dei nostri attuali problemi.    Quello che mi ha colpito, piuttosto, è che non vi sia nessun cenno alla disponibilità di risorse (energetiche e non), come alla possibilità di un loro scadimento qualitativo o quantitativo.   Non vi è cenno al fatto che la possibilità di ricombinare un insieme di tecnologie medioevali per creare un sistema industriale sia stata data dall'invenzione più prometeica della storia: la macchina a vapore.   Mancando questo, è comprensibile che manchi anche il minimo cenno alla possibilità che l’alterazione degli ecosistemi possa portare a controindicazioni gravi, financo catastrofiche.   Così come al fatto che un’economia ed una tecnologia in crescita costante richiedono livelli crescenti di complessità che, oltre certi limiti, cominciano a loro volta e diventare limitanti.

In sintesi, colpisce la totale assenza di ogni riferimento alla legge dei “ritorni decrescenti” che, peraltro, il nostro conosceva benissimo.

La seconda parte della conferenza si concentra sulle conseguenze sociali di questo straordinario benessere.

In particolare, Keynes paventa il rischio che il venir meno in pochi decenni di preoccupazioni e necessità pratiche tanto profondamente radicate, possa provocare dei “crolli nervosi” in molte persone.   Analogamente a quanto, secondo lui, stava già allora accadendo alle donne della buona borghesia; infelici perché la ricchezza le aveva già allora private di divertimenti quali pulire, lavare, cucinare, accudire i figli.

Senza nulla togliere al piacere di accudire una casa ed una famiglia, non so quante signore dell’epoca avrebbero sottoscritto questa dichiarazione.    Ho perciò riletto più volte questo passaggio, cercandovi una traccia di “British humour” che non ho trovato.

Dunque, prosegue l’insigne economista, sarebbe stato necessario ancora per molto tempo mantenere un minimo di orario lavorativo.   Suggeriva che, probabilmente, 3 ore al giorno sarebbero state sufficienti ad evitare complicazioni eccessive.

Ma annunciava anche cambiamenti ben più importanti.   Una volta che l’accumulo di denaro fosse stato tale da perdere la sua importanza sociale, l’umanità avrebbe finalmente potuto sbarazzarsi dell’ipocrisia con cui si esaltano come virtù i vizi peggiori.

“Saremo liberi di tornare ad apprezzare i principi religiosi e le virtù tradizionali.   Di tornare a considerare che l’avarizia è un vizio, che l’usura è un crimine, che l’amore per i soldi è detestabile.  Potremmo tornare a valorizzare gli scopi più dei mezzi e preferire il buono ed il bello all'utile.   Ad apprezzare le deliziose persone che sanno metter gioia nella vita propria ed altri.”
 “Ma attenzione.   – Ammonisce. -  Tutto questo non ancora.   Per ancora cento anni dobbiamo pretendere da noi stessi e dagli altri che il giusto sia sbagliato e viceversa perché l’errore è utile e il giusto non lo è.   Bisogna che avarizia ed usura continuino ad essere i nostri dei ancora per un poco, perché solo loro possono condurci fuori dal tunnel  del bisogno, alla luce del benessere.”

Secondo l’autore, la velocità di avvicinamento a questo bengodi sarebbe stata governata da quattro cose: “La capacità di controllo della popolazione, la determinazione nell'evitare guerre e rivolte, la volontà di dare alla scienza una direzione propriamente scientifica, il margine di accumulo al netto dei consumi.”

“In conclusione, la strenua brama di coloro che fanno soldi ci potrà condurre tutti in un’epoca di abbondanza, ma saranno coloro che saranno riusciti a sopravvivere coltivando l’arte di vivere senza vendersi che potranno veramente godersi questa abbondanza.”

Singolare punto di vista.   Chissà cosa direbbe Keynes se oggi potesse vedere come se la stanno cavando i pronipoti di cui vagheggiava?   Sarebbe ancora così sicuro che l'insaziabile avidità può avere il potere taumaturgico di condurre l'umanità in una sorta di paradiso terrestre?   Non sta piuttosto accadendo il contrario?

Il Paese di Bengodi è, ch'io sappia, una favola medioevale che i nostri antenati si raccontavano per ingannare le lunghe serate trascorse a pancia vuota.    Nessuno ha mai creduto che potesse esistere davvero, fino ai giorni nostri in cui un'umanità dotata di mezzi e conoscenze prima inimmaginabili si sta rapidamente suicidando.    Perché?    In fin dei conti, per non rassegnarsi al fatto che il paese di Bengodi non esiste e non può esistere.    Una verità che i nostri analfabeti predecessori capivano benissimo.


lunedì 2 marzo 2015

Picco del petrolio, picco del cibo, picco di tutto

Da “CyprusMail”. Traduzione di MR (h/t Maurizio Tron)



E' cominciato tutto col picco del petrolio, il punto in cui il tasso massimo di estrazione viene raggiunto, dopo di che la produzione comincia a declinare.

Di Gwynne Dyer

Il picco del petrolio è stato l'anno scorso. Ora possiamo preoccuparci del picco di tutto: picco del cibo, picco del suolo, picco dei fertilizzanti, persino del picco della api. Cominciamo dal piccolo. Dipendiamo dalle api per impollinare le piante che costituiscono circa un terzo della disponibilità mondiale di cibo, ma dal 2006 gli sciami di api negli Stati Uniti sono morti ad un tasso senza precedenti. Più di recente lo stesso “disordine da collasso degli sciami” è apparso in Cina, Egitto e Giappone. Molti sospettano che la causa principale sia un tipo di pesticidi largamente usati chiamati neonicotinoidi, ma le prove non sono ancora conclusive. Rimane il fatto che un terzo della popolazione americana di api è scomparsa nell'ultimo decennio. Se le perdite si dovessero diffondere ed aggravare, potremmo avere di fronte gravi carenze di cibo.

domenica 1 marzo 2015

Scala Mercalli: i "Limiti" in prima serata




Così, la prima puntata di "Scala Mercalli" è andata in su Rai 3, ieri sera. Credo che sia stata la prima volta che si parlava di nuovo in prima serata di "Limiti alla Crescita" (o anche, come è rimasto in uso in Italia, di "Limiti dello Sviluppo"), forse dai primi anni 1970, quando uscì il rapporto del MIT con quel titolo.

Per il momento, ho avuto solo commenti favorevoli e posso testimoniare direttamente della qualità del team che lavora dietro Mercalli: un gruppo di persone molto professionali, competenti, e motivate. Basta vedere la qualità dei filmati dal Cile e dal Perù, per vedere che siamo su un livello eccellente. Per non parlare di Luca Mercalli stesso, che si è sobbarcato un lavoro massacrante ma che sta dimostrando una professionalità eccezionale. 

D'altra parte, bisogna anche tener conto dei limiti del mezzo televisivo, che è poco adatto a passare messaggi che non siano semplificati ai minimi termini. Ci sarà, sicuramente, chi criticherà la trasmissione; parleranno dei "soliti ambientalisti", di "radical chic", e mi immagino cosa non sarà detto sui "Limiti dello Sviluppo" dalla truppa di quelli che sono rimasti indietro con in testa ancora le critiche degli anni 1980. Non si sono accorti di quanto la visione dell'argomento sia cambiata negli ultimi anni, con nuovi dati che hanno vendicato la visione degli autori del libro del 1972.

Più che critiche dirette, tuttavia, la tattica generalizzata in queste cose è semplicemente di ignorare e/o oscurare i messaggi che non fa comodo diffondere. Vi posso raccontare in proposito che l'ultima volta che mi è capitato di apparire in TV su una rete nazionale è stato nel 2011, al tempo del dibattito sul ritorno al nucleare. Quelli che mi avevano invitato avevano fatto un piccolo errore di valutazione. Avevano letto da qualche parte che io studiavo l'esaurimento del petrolio. Dal che, si erano immaginati che "se questo qui parla di fine del petrolio, allora sarà di sicuro favorevole all'uranio." In trasmissione, era tutto un coro in diretta a favore delle nuove centrali italiane. Quando mi hanno fatto parlare in collegamento da Firenze, ho cominciato a raccontare del "picco dell'uranio." A quel punto, mi hanno immediatamente tolto il collegamento e non me lo hanno più ridato per tutta la trasmissione. E non mi hanno mai più invitato. Niente di male, solo viene voglia di citare le parole attribuite a Groucho Marx "Non vorrei mai far parte di un club che accetta gente come me fra i suoi membri"

Tutti facciamo quello che possiamo per passare il messaggio fondamentale che venne lanciato per la prima volta in forma quantitativa nello studio del 1972 dei "Limiti dello Sviluppo". Il messaggio è che l'origine della difficile situazione in cui ci troviamo è il graduale esaurimento delle risorse naturali. Se ce ne rendiamo conto, possiamo prendere dei provvedimenti: usare le risorse con parsimonia, non sprecare quelle che sono preziose e rare, riusare e riciclare quello che possiamo. Se insistiamo, invece, a gridare che l'unica soluzione a tutti i problemi è "far ripartire la crescita" allora non andremo da nessuna parte. Non è un messaggio facile da passare nel clima del dibattito attuale, ma continuiamo. Senza aspettarci miracoli, ma continuiamo.








sabato 28 febbraio 2015

Stasera, al via "Scala Mercalli" su Rai 3, a partire dalle 21:30


La miniera di rame nel deserto di Atacama, in Cile (foto di Radomiro Tomic)

Stasera su Rai 3, la prima puntata di "Scala Mercalli". Ci sarà anche una breve apparizione del sottoscritto, Ugo Bardi, che parlerà dei "Limiti alla crescita" e dell'esaurimento delle risorse minerali.

Ho già visto gran parte del programma durante la registrazione; ci sono dei filmati interessantissimi e originali, specialmente delle miniere di rame di Atacama, in Cile, mai visti prima di oggi!

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Prima puntata di "Scala Mercalli"

28-02-2015 21:30

Prima puntata

Sabato 28 febbraio alle 21.30 prende il via  un nuovo programma di Rai 3 “Scala Mercalli”, girato in uno studio realizzato appositamente all’interno della F.A.O.  e condotto da Luca Mercalli, climatologo e divulgatore scientifico. Sei puntate in prima serata, ogni sabato, dedicate ai problemi  più urgenti  per la salvaguardia del Pianeta Terra.

Nella prima puntata: che clima ci aspetta domani ? E quanto ancora potremo sfruttare le risorse del pianeta che ci ospita ?

“Scala Mercalli” mostrerà le evidenze scientifiche attraverso documentari originali girati in tutto il mondo, dove gli scienziati mostreranno i risultati delle loro ricerche e le popolazioni ci faranno capire le ricadute sulla loro vita quotidiana del cambiamento climatico.

In Australia  aumenta  la febbre della Terra e gli effetti del surriscaldamento sono tanto evidenti  da portare il Bureau of Meteorology, uno dei più importanti al mondo, a classificare con un nuovo colore le zone del continente che hanno già raggiunto i 50 gradi centigradi di temperatura.

In Cile la miniera di rame a cielo aperto più grande del mondo non produce più oro rosso a sufficienza per soddisfare i bisogni dell’umanità, che utilizza questo bene prezioso in tutte le tecnologie più avanzate e leggere, dal cellulare al tablet. Un’azienda italiana sta costruendo il più lungo tunnel per penetrare in profondità ed estrarre rame che soddisfi i bisogni planetari per i prossimi decenni.

In Svizzera Luca Mercalli ci mostra l’Osservatorio di Jungfraujoch, a quasi 3.500 metri di altezza.

A Londra e a Monteveglio in provincia di Bologna, scopriremo come i cittadini più consapevoli hanno aderito al movimento delle Transition Towns, per realizzare un futuro più ecosostenibile.

Ospiti in studio Ugo Bardi, docente di chimica all’università di Firenze, esperto in esaurimento delle risorse e Tim Jackson, docente di economia sostenibile, all’università di Surrey, in Inghilterra. 
- See more at: http://www.scalamercalli.rai.it/dl/portali/site/news/ContentItem-c06cfe04-3c61-4fb4-a866-48427b23ca1b.html?refresh_ce#sthash.2D2ThZAq.dpuf

Le immagini satellitari rivelano l'acidificazione dell'oceano dallo spazio

Da “Phys.org”. Traduzione di MR


Alcalinità totale dell'oceano dallo spazio. Foto: Ifremer/ESA/CNES

Le tecniche pionieristiche che usano i satelliti per monitorare l'acidificazione dell'oceano stanno per rivoluzionare il modo in cui i biologi marini e gli scienziati del clima studiano l'oceano. Questo nuovo approccio, che verrà pubblicato il 17 febbraio 2015 sulla rivista Environmental Science and Technology, offre un monitoraggio remoto di ampie fasce di oceano inaccessibili da parte di satelliti che orbitano intorno alla Terra a circa 700 km al di sopra delle nostre teste. Ogni anno, più di un quarto delle emissioni globali di CO2 provenienti dalla combustione di combustibili fossili e dalla produzione di cemento vengono catturate dagli oceani terrestri. Questo processo rende l'acqua di mare più acida, rendendo più difficile la vita di alcune specie marine. Le emissioni di CO2 in aumento e l'aumento dell'acidità dell'acqua di mare del secolo scorso ha il potenziale di devastare alcuni ecosistemi marini, una risorsa di cibo dalla quale dipendiamo, quindi il monitoraggio accurato dei cambiamenti dell'acidità dell'oceano è cruciale.

venerdì 27 febbraio 2015

La lezione del 1847 che ha previsto il cambiamento climatico antropogenico

DaThe Guardian”. Traduzione di MR (h/t Bill Everett)

Un discorso quasi dimenticato fatto da un membro del Congresso statunitense avvertiva del riscaldamento globale e della cattiva gestione delle risorse naturali


George Perkins Marsh, 1801-1882, un diplomatico americano, è considerato da alcuni il primo ambientalista americano. Foto: Biblioteca del Congresso 

Quando pensiamo alla nascita del movimento di conservazione nel 19° secolo, i nomi che di solito saltano in mente sono del calibro di  John Muir e Henry David Thoreau, uomini che hanno scritto della necessità di proteggere le aree di natura selvaggia in un'era in cui il concetto di “destino manifesto” della specie umana era di gran moda. Ma un americano di gran lunga meno ricordato – un contemporaneo di Muir e Thoreau – può affermare di essere la persona che ha pubblicizzato per prima l'idea ormai ampiamente accettata che gli esseri umani possano influenzare negativamente l'ambiente che li sostiene. George Perkins Marsh (1801-1882) ha certamente avuto una carriera variegata. Ecco come l'Università Clark del Massachusetts, che ha nominato un istituto in sua memoria, lo descrive:

Sbarazzarci dei vecchi reattori nucleari ci costerà molto di più di quanto non si pensi

Da “Business Insider Australia”. Traduzione di MR (h/t Cristiano Bottone)


Un reattore nucleare in un centro di ricerca  a Kiev.


Londra/Parigi (Reuters) – Il crollo della società di servizi tedesca E.ON ha portato a preoccupazioni sul fatto che i fondi messi da parte per lo smantellamento dei reattori non saranno sufficienti, ma globalmente il costo dello smantellamento del nucleare è incerto in quanto le stime variano ampiamente. Man mano che i vecchi reattori di prima generazione chiudono, il vero costo dello smantellamento sarà cruciale per il futuro dell'industria nucleare, già sofferente in seguito al disastro di Fukushima del 2011 e per la competizione da parte del gas di scisto a buon mercato, del crollo dei prezzi del petrolio e di un'inondazione di energia rinnovabile da eolico e solare. La IEA ha detto alla fine dello scorso anno che quasi 200 dei 434 reattori in funzione intorno al globo verrebbero dismessi entro il 2040 ed ha stimato il costo del loro smantellamento  a più di 100 miliardi di dollari statunitensi.