lunedì 11 agosto 2014

mercoledì 6 agosto 2014

La disfatta e la deriva

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel

Cari lettori,

questa settimana la televisione spagnola ha trasmesso un programma sullo stato del Mediterraneo e sull'intenzione di alcune multinazionali di cercare il petrolio in alcune zone ed eventualmente si estrarlo. Alla fine del programma viene trasmessa un'intervista che mi è stata fatta qualche mese fa (dove a proposito mi presentano col titolo sfacciato ed inappropriato di “esperto riconosciuto internazionalmente”). I punti attualmente caldi per l'estrazione del petrolio in alto mare in Spagna sono nella baia di Roses (Girona), a Fuerteventura e a Lanzarote (Canarie). In tutti i casi stiamo parlando di giacimenti che contengono, ad essere molto ottimisti, riserve fra i 500 e i 1000 milioni di barili di petrolio, il che è un'inezia in confronto al consumo mondiale di 90 milioni di barili al giorno (mb/g).

Effettivamente, tutto il petrolio contenuto i quei giacimenti basterebbero per un numero di giorni da 5 ad 11 di consumo mondiale. Inoltre questo petrolio non può essere estratto in un'unica soluzione, ma i giacimenti seguirebbero, come qualsiasi altro, una curva di estrazione, con una fase iniziale di minore produzione, un picco ed una progressiva diminuzione finale della produzione. Alla fine, data la dimensione dei giacimenti e a giudicare dalla produzione di altri giacimenti in mare c'è da sperare che al massimo possano fornire, nel loro insieme e non per molto tempo, non oltre i 20.000 barili al giorno. Potrebbe sembrare molto (tenendo conto che ogni barile contiene 159 litri), ma se si confronta anche solo al consumo spagnolo è piuttosto poco:



Consumo (linea nera) e importazioni (curva ombreggiata in rosso) della Spagna. Grafico generato da Flujos de Energía.


Come si vede, anche nonostante la sinistra diminuzione del consumo di petrolio in Spagna di quasi un 25% dal massimo del 2008, si consumano ancora 1,2 mb/g, cioè, 60 volte di più di quello che ci si può aspettare di produrre nei giacimenti attualmente in esplorazione. Questo senza contare che questi giacimenti hanno un EROEI molto basso, con le gravi implicazioni che questo comporta. In realtà, questi giacimenti, se alla fine sono economicamente sostenibili, saranno una buona fonte di guadagno per coloro che li sfruttano senza che aiutino affatto ad alleviare la grave crisi energetica in cui è coinvolta la Spagna, ragione fondamentale per la quale l'attuale crisi economica non finirà mai. In realtà, siccome i luoghi di estrazione vivono attivamente di turismo, la maggioranza dei detrattori temono che la loro immagine si potrebbe vedere pregiudicata dall'apparire di un'industria tanto sporca – senza vedere che in ogni caso il turismo a sua volta non ha un gran futuro in un mondo in crisi permanente ed irreversibile. Ha più senso preoccuparsi per lo stato di salute del mare in questo mondo profondamente malato, anche se coloro che pensano a questi temi sono una minoranza. 

Perché adesso prendiamo in considerazione questi giacimenti che disdegnavamo solo un decennio fa? Perché ci concentriamo su risorse così poco – o per nulla – redditizie come le sabbie bituminose del Canada o il fracking? Perché come riconosce la stessa IEA, la produzione di petrolio greggio convenzionale non supererà mai il livello del 2006, perché in realtà la produzione di petrolio greggio convenzionale sta già diminuendo e perché senza un grande investimento aggiuntivo la caduta sarà molto rapida... ma questo investimento non sta arrivando. Questo aumento imprescindibile dell'investimento non si verifica perché si moltiplica l'instabilità in paesi che tradizionalmente hanno vissuto molto bene degli introiti del petrolio ma che con la diminuzione della sua produzione ora sono immersi in gravi problemi: Egitto, Siria, Yemen, Iraq, Nigeria, Venezuela... Soffiano forti venti di cambiamento. Per l'Europa la situazione in Ucraina ha implicazioni pericolose, principalmente per la fornitura di gas russo che attraversa quel paese (anche se non si deve perdere di vista che il 46% del petrolio consumato in Europa è di origine russa: non conviene contrariare l'orso russo). In Spagna si continua a sognare di alleviare la situazione europea esportando il gas che importiamo dall'Algeria, paese che ha già superato il proprio picco del petrolio e del gas (la produzione algerina di gas è già scesa del 18%) e dove la disperazione di versi ridotta questa fonte di introiti li ha portati a cominciare a testare il fracking. E nonostante questo, ogni giorno esce una nuova e ridicola fantasia quotidiana che ci annuncia che gli Stati Uniti esporteranno petrolio e gas, o che il fracking salverá il mondo, fantasie che non resistono alla benché minima analisi critica.

E mentre gli uomini si affannano nell'obbiettivo impossibile di mantenere un sistema sociale che deve consumare sempre di più per mantenersi in vita, rastrellando le ultime briciole di combustibili fossili, le conseguenze di tanto spreco si fanno sentire sempre di più. Sta succedendo qualcosa all'estate; non sappiamo cos'è, non vogliamo vedere cos'è, ma la cosa ovviamente non migliora. Continui fronti di pioggia ed aria fresca passano per il terzo nord della Penisola Iberica e sferzano l'Europa, Cade grandine in grandi quantità in moltissime località diverse... Niente è insolito preso separatamente, ma lo è se preso insieme e a causa della sua ripetizione. La corrente a getto polare (jet stream), che organizza la circolazione del terzo nord del pianeta e che dipende dalla differenza di temperatura fra il Polo e l'Equatore, si trova completamente destrutturato in conseguenza dell'aumento delle temperature nell'Artico: 



Disgraziatamente, il fatto che la corrente a getto polare si destrutturi favorisce a sua volta il fatto che la temperatura dell'Artico aumenti di più, per cui il problema non fa che aggravarsi. Ciò è dovuto al fatto che la corrente a getto polare disorganizzata favorisce una serie di fenomeni che contribuiscono ad una maggiore distruzione del ghiaccio artico e, siccome il ghiaccio artico riflette la luce mentre l'acqua la assorbe, meno ghiaccio significa più riscaldamento. La superficie occupata dal ghiaccio artico è ora stesso al minimo, già molto vicino ai minimi storici del 2012:


Ma il fatto è che il ghiaccio ora ha uno spessore molto ridotto, per cui è molto fragile. Nel 2012, la responsabilità del rapido declino del ghiaccio artico è stata una tormenta che è durata più di un mese che ha fatto a pezzi gran parte del ghiaccio stesso; nel 2014 la superficie coperta dal ghiaccio è già quasi ai livelli del 2012, per cui l'arrivo di una forte tormenta potrebbe fare a pezzi il record precedente e avvicinare ancora di più ad una situazione di un Artico senza ghiaccio in estate.



Spessore della calotta di ghiaccio artico durante questo mese di luglio. Immagine proveniente da Arctic News.


E in questo stato di cose, all'improvviso l'uragano Arthur, già trasformatosi in tormenta tropicale, girerà verso nordest ed entrerà in pieno nell'Artico, nei prossimi giorni:



Previsione dell'evoluzione di Arthur secondo il National Hurricane Center.


E' normale che un uragano, nel suo naturale corso di diminuzione, entri nell'Artico? No, è inaudito, non normale: in generale, per ragioni geofisiche (conservazione della vorticità potenziale, orografia, presenza della corrente a getto polare), la cosa normale è che girino verso est e si esauriscano nell'Atlantico nordoccidentale (vedete, per esempio, l'evoluzione degli uragani della stagione 2005, una delle più intense degli ultimi anni):




Cosa succederà? Nessuno lo sa, ma le prospettive non possono essere più inquietanti. In nautica la rotta è la traiettoria che segue una nave per arrivare da un punto all'altro, mentre la deriva è la deviazione dalla rotta, attribuibile all'effetto dei venti e delle correnti. Se me lo permettete, io direi che attualmente la deriva che stiamo seguendo rispetto alla nostra rotta (in spagnolo, derrota) porta ad una deriva che ci garantisce la nostra disfatta (in spagnolo, ugualmente, derrota).

Saluti.
AMT


sabato 2 agosto 2014

Porrajmos: il ricordo della strage di Rom e Sinti di 70 anni fa





La notte del 2 agosto 1944, 2.897 Rom e Sinti, uomini, donne e bambini. furono uccisi nel nel crematorio numero 5 di Auschwitz. Questa data viene ricordata come simbolo del "Porrajmos," la strage dei Rom e Sinti durante la seconda guerra mondiale. Le cifre degli storici parlano di circa 500.000 vittime in totale.

Con poche eccezioni, la ricorrenza del Porrajmos è passata inosservata sui media italiani. Sono passati settanta anni da allora, ma per certe cose non sembra che il mondo sia tanto cambiato. 






venerdì 1 agosto 2014

Cavalcare lo tsunami italiano

DaResource Crisis”. Traduzione di MR


L'Italia è stata colpita da uno tsunami economico causato in gran parte dagli alti costi dei beni minerali che sta distruggendo il suo sistema industriale e sta sprofondando il paese in una crisi sempre più profonda. Sfortunatamente, il governo italiano sembra ancora fermo al paradigma obsoleto di “far ripartire la crescita” a prescindere a quali costi e che questo significa peggiorare il problema anziché risolverlo. Altri stanno cercando di risolvere il problema trasformando l'Italia in un grande parco di divertimenti per i turisti stranieri, ovviamente una soluzione non a lungo termine. Tuttavia, alcune aziende italiane stanno cercando di combattere il collasso essendo più efficienti, più innovative e più creative. Stanno, in un certo senso, cavalcando lo tsunami.

Una di queste aziende è la “Loccioni”, azienda italiana che si occupa di gestione energetica ed altre iniziative ad alta tecnologia. Di recente ha organizzato un incontro internazionale cui ho avuto l'occasione di partecipare. E' stata un'occasione rara di vedere un piccola azienda italiana in grado di tenere un atteggiamento così innovativo. Qui Tatiana Yugay dell'Università di Mosca fa un resoconto dell'evento.
______________________________________________________

Dal blog di Tatiana Yugay “santatatiana

Uno spirito innovativo in uno splendido ambiente medievale 

Il 10 ed 11 luglio, il mio amico virtuale Ugo Bardi mi ha invitata a partecipare ad un'interessante evento intitolati “2Km di Futuro: Smart Community and Social Immagination”. Il nome stesso sembrava piuttosto intrigante, inoltre ero intrigata dal fatto di non riuscire a trovare la località Angeli di Rosora nemmeno in un atlante stradale molto dettagliato dell'Italia. Per fortuna, alla vigilia del Forum, gli organizzatori mi hanno mandato un link ad una app creata appositamente per l'evento. E' stata davvero d'aiuto visto che conteneva tutte le informazioni necessarie sull'evento, compreso il programma e la navigazione. Ho scoperto che la strada di circa 200 km era molto semplice e ci sarebbero volute circa 2 ore per arrivarci dalla mia città di Montesilvano in Abruzzo. Infatti, l'evento ha avuto luogo nella vicina regione delle Marche. Mentre guidavo nell'entroterra nella pittoresca autostrada Ancona-Roma, mi chiedevo che tipo di sorpresa mi potevo aspettare in mezzo al nulla. Amo la tranquilla bellezza delle Marche, con le sue verdi colline sormontate da antichi borghi medievali. Tuttavia, non riuscivo ad immaginare che uno di quei borghi fosse in grado di ospitare un incontro internazionale di quel livello.



Ciononostante, tutti i miei dubbi sono stati fugati nel momento in cui sono arrivata a destinazione, cioè, al Gruppo Loccioni. Su entrambe le sponde di un piccolo fiume e proprio sull'autostrada Ancona-Roma, erano situati due edifici con un moderno aspetto industriale. Il cortile e l'atrio erano pieni di vocianti gruppi di partecipanti.


Avevo attentamente studiato un programma preliminare in anticipo e sono stata molto sorpresa che quasi tutti i relatori annunciati fossero realmente arrivati. La mia lunga esperienza di partecipazione a conferenza mi suggeriva che i VIP non vengono mai e, al massimo, mandano dei loro rappresentanti. Per fortuna, il Forum 2Km è stata un'eccezione alla regola. Abbiamo avuto il piacere di ascoltare ed osservare le presentazioni di Piero Cipollone, Direttore Esecutivo della Banca Mondiale; di Vincent Kitio, un Consigliere Energetico di Habitat dell'ONU; di Vittorio Prodi, membro del Parlamento Europeo; di Carlo Papa, Funzionario Capo per l'Innovazione di Enel Green Power; Young Chul Park, Vice-Presidente di Samsung Electronics e di altri. Inoltre, erano presenti circa 200 partecipanti provenienti da università e imprese italiane e straniere. Enrico Loccioni, capo e fondatore del Gruppo Loccioni, ha aperto il Forum. Sono stata colpita dal fatto che la parola d'ordine principale del suo breve discorso sia stata “bellezza”. La bellezza di creare una comunità intelligente, preservare la bellezza dell'ambiente naturale ed architettonico, l'arte di seminare bellezza e così via. 



La prima sessione, “Smart Community”, è stata moderata da Massimo Russo, direttore di Wired Italia. Il professor Ugo Bardi, che rappresentava il Club di Roma, ha aperto la sessione. Il titolo del suo recente libro “Extracted. How the Quest for Mineral Wealth Is Plundering the Planet” (Chelsea Green Publishing, Vermont, 2014) parla da solo. Il pathos principale del suo discorso è stato diretto contro l'uso predatorio delle risorse non rinnovabili che causa danni all'ecosistema planetario e il rallentamento della crescita economica. Seguo il blog di Ugo Bardi e apprezzo sempre la sua conoscenza enciclopedica e la sua brillante improvvisazione, tuttavia non sono così pessimista. Forse perché vivo in Russia ed insegno economia. Infatti è difficile essere catastrofisti in un paese così ricco di ogni tipo di risorsa rara.


Il relatore successivo, Ken Webster della Ellen MacArthur Foundation, ha presentato una visione ottimistica di un'economia circolare che sfida la valutazione e l'esaurimento delle risorse rare. Secondo Webster, i concetti principali dell'economia circolare sono ricircolazione e “accesso alle risorse” al contrario della “proprietà”.


Un altro concetto rivale è stato presentato il secondo giorno Enzo Rullani, professore presso il TEDis, Università Internazionale di Venezia e Direttore del Laboratorio del CFMT di Milano. Come esperto dell'economia della conoscenza, egli ha presunto che il paradigma delle risorse rare e sempre più costose fosse molto adatto al capitalismo industriale ma nella società dell'informazione la risorsa principale è appunto l'informazione che è abbondante ed è diventata sempre meno cara. Non vi farò un racconto di tutte le presentazioni visto che sono state ben al di là del mio campo di competenza. Ma vorrei presentarne un'altra. Thomas Herzog, un architetto tedesco che ha lavorato alla progettazione degli edifici della Loccioni e dell'area circostante, ha descritto il progetto generale passo dopo passo. Di fatto ha realizzato il concetto di bellezza di Enrico Loccioni.


Foto: Thomas Herzog

Il piano generale doveva tenere conto non solo del diretto scopo produttivo degli edifici, ma anche della percezione estetica. Come ho già scritto, il sito è circondato da affascinanti città colliniari medievali. Secondo Herzog, le persone che vivono in questi paesi guardano giù nella valle dove si trovano gli edifici Loccioni, quindi questi ha sempre tenuto a mente la loro vista dall'alto. 



Mentre camminavo sul ponte, mi sono fermata a fare una foto ed ho ricordato le parole di Herzog. Potete vedere nelle foto che il moderno edificio industriale si adatta perfettamente nel suo ambiente.  


Dopo la sessione c'è stato un breve giro intorno all'azienda. Per prima cosa, possiamo osservare il concetto principale del Gruppo Loccioni – una micro rete – in azione.


Poi abbiamo guardato un giovane operatore che addestrava una mano robotizzata a scrivere sulla tastiera di un computer.



Nel cortile, un rappresentante della Nissan stava mostrando automobili ibride Nissan. Nel frattempo di piccoli robot stavano tagliando il prato. 


Dopo il primo incontro, abbiamo passato una serata splendida nell'atmosfera genuinamente medievale dell'Abbazia di Sant'Elena. 


L'aperitivo che consisteva in specialità marchigiane è stato offerto nell'ambientazione di un  severo monastero.



I piatti principali sono stati serviti in un porticato elegantemente decorato.


Dopo la cena, siamo stati invitati nella ex chiesa che ora funge da sala concerti con un'eccellente acustica. Il Gruppo Loccioni aveva preparato una splendida sorpresa per noi. Un famoso compositore e pianista italiano, Giovanni Allevi, ha suonato le sue brillanti composizioni al piano. E' molto giovane ed ha un aspetto moderno con spessi capelli ricci e neri e veste sempre in jeans e maglietta nera. Parlando francamente, non sono entusiasta della musica pianistica moderna, ma Allevi è un genio che vive nella musica, il suo “amore segreto”. 



L'accordo finale è stato fatto al picnic sotto una vecchia quercia. Le fattorie locali e i produttori di vini hanno presentato cibi tipici marchigiani molto saporiti.



mercoledì 30 luglio 2014

Il vero ostacolo alla diffusione dell'energia rinnovabile.



E' uscito di recente un rapporto del Wuppertal Institute sulla "rinnovabilità delle rinnovabili". Ovvero, se è vero che l'energia rinnovabile è rinnovabile per definizione, lo sono altrettanto le risorse minerali utilizzate negli impianti? Questo punto è oggetto di molto dibattito e ha generato anche tante leggende negative. Ma la risposta del Wuppertal Institute è sostanzialmente affermativa - come del resto ho sostenuto anch'io nel mio recente libro "Extracted". A parte alcune tecnologie particolari, nel complesso le energie rinnovabili - in particolare l'energia fotovoltaica - non sono limitate dal consumo di risorse minerali, supponendo, ovviamente, che queste vengano usate con cautela e riciclate. Insomma, nonostante le tante leggende che girano imperterrite per il Web, l'unico vero ostacolo alla diffusione dell'energia rinnovabile è la stupidità umana. 

Qui di seguito, il resoconto di "Qualenergia" sul rapporto del Wuppertal Institute. E' sostanzialmente corretto anche se forse un tantino ottimista se confrontato col più cauto riassunto dello studio (che trovate in Inglese in fondo a questo documento)



I minerali non sono un fattore limitante per lo sviluppo delle rinnovabili in Germania

Un progetto del Wuppertal Institut, realizzato per conto del Ministero degli affari economici ed energetici tedesco, analizza per la prima volta quali siano i minerali più critici per la diffusione di rinnovabili elettriche, termiche e biocarburanti al 2050 in Germania. Molte le variabili in gioco, ma per le tecnologie più importanti non ci dovrebbero essere grossi problemi.
Uno degli aspetti meno affrontati nello sviluppo delle rinnovabili e della transizione energetica è la disponibilità di risorse minerarie. Un tema che va trattato con molta cautela soprattutto quando le prospettive sono di lungo periodo, dove diverse variabili entrano in gioco. Un progetto tedesco, KRESS (Critical Resources and Material Flows during the Transformation of the German Energy Supply Systempdf in tedesco, 277 pp.), elaborato dal Wuppertal Institut e realizzato per conto del Ministero degli affari economici ed energetici, analizza per la prima volta quali siano i minerali più critici in una prospettiva di diffusione delle rinnovabili elettriche, termiche e biocarburanti al 2050 con un target di copertura dei fabbisogni energetici totali pari al 60% (80% per l’elettrico) secondo gli obiettivi governativi.

L’analisi (in allegato la sintesi in inglese), che non è una previsione in senso stretto, è stata condotta non solo sulla disponibilità di lungo termine delle risorse, ma in base ad altre valutazioni come le opzioni di riciclo dei materiali e gli aspetti ambientali legati alla loro estrazione. Le conclusioni del report mostrano che la disponibilità geologica dei minerali non rappresenta tuttavia un fattore limitante per la roadmap tedesca delle rinnovabili.

Tra le tecnologie oggetto di investigazione quelle che hanno dimostrato di essere, con molto probabilità, le “non critiche” riguardo all’offerta di minerali da utilizzare nei processi produttivi sono da annoverare soprattutto nell’ambito elettrico. Dunque, l’idroelettrico, le turbine eoliche che non utilizzano magneti rari, fotovoltaico a silicio cristallino, solare termodinamico. Tra le rinnovabili termiche, il solare e la geotermia a bassa entalpia non hanno particolari problemi. Nelle infrastrutture nessun impedimento di risorse si riscontra per le reti elettriche e per alcune tipologie di accumuli. Sulla tecnologie delle biomasse o biocarburanti, che comunque esulano dallo studio, l’aspetto critico è da ricercarsi soprattutto nell’uso competitivo della terra.

Nello specifico del fotovoltaico, ad esempio, si sono valutati i consumi di indio, gallio, selenio, argento, cadmio e tellururo. Per quanto concerne il fotovoltaico cristallino, che oggi copre quasi il  97% degli acquisti in Germania, nessun fattore critico è stato appurato. Nel caso dei film sottili non risulterebbe problematica la quantità di cadmio e tellururo richiesta fino al 2020; in seguito tuttavia la domanda di questa specifica tecnologia FV dovrebbe declinare. Per celle e moduli CIGS (rame, indio, gallio e diselenide) il discorso è leggermente diverso. Non ci sono garanzie, ad esempio, che nel lungo periodo la domanda di indio potrà essere soddisfatta vista la forte competizione con la produzione di LCD, in decisa crescita mondiale, e l’elevata dipendenza da un unico paese fornitore, la Cina. Secondo gli autori del report, anche se l’attuale mercato tedesco di celle CIGS non supera neanche il 3%, in futuro non sarà facile mantenere tale quota. L’utilizzo di alternativi substrati conduttori per le celle a film sottili, che dovrebbe comunque essere nei prossimi decenni una delle tecnologia FV con le migliori prospettive, potrebbe trovare maggiori sviluppi, ma si richiedono ulteriori ricerche nel campo. Una soluzione indicata per tutte le tecnologie fotovoltaiche, oltre al riciclo, è nel ridurre i materiali consumati integrando sempre di più celle e moduli in altre strutture o applicazioni, come facciate, tetti, pensiline, ecc.

Per lo storage diversi sono i minerali presi in considerazione, come litio, vanadio, potassio, lantanio, ittrio. Al momento, secondo lo studio, sembrano avere meno criticità in termini di disponibilità le batterie agli ioni di litio e gli impianti di stoccaggio ad aria compressa per l’accumulo di breve periodo. Più complessa è considerata la situazione per le batterie redox al vanadio, per gli accumuli su grande scala. Queste sfruttano la capacità del vanadio di esistere in soluzione in quattro diversi stati di ossidazione; si può realizzare così una batteria con un solo elemento elettroattivo anziché due. Il vantaggio principale è che si può ottenere una capacità pressoché illimitata semplicemente usando serbatoi molto grandi. Ma il vanadio è un elemento raro ed è fondamentale per le leghe soprattutto in metallurgia, quindi in forte competizione per il suo utilizzo.

In generale, anche se la disponibilità dei minerali per le tecnologie più importanti non è un problema, alcune criticità potrebbero presentarsi nei casi in cui i produttori siano concentrati in pochissimi paesi o nel caso di usi competitivi. Una delle raccomandazioni ‘politiche’ dello studio è ovviamente quella di focalizzarsi, almeno nel medio periodo, sul loro utilizzo efficiente e su strategie di riciclo, sfruttandone tutte le potenzialità, anche se non sempre è facile ai fini della qualità del prodotto finale o per gli alti consumi energetici. Prolungare il ciclo di vita dei sistemi energetici a fonti rinnovabili dovrebbe essere comunque considerato un altro aspetto chiave. Un approccio che richiederà una sempre più stretta cooperazione tra ricerca e industria.

La notizia che ci sembra però interessante sottolineare è proprio l’aver realizzato uno studio per conto del governo sulle possibili traiettorie delle risorse minerarie in una visione strategica e di lungo periodo in tema energetico. C’è chi guarda al prossimo mese, chi prova invece a vedere oltre di due o tre decenni.

giovedì 24 luglio 2014

Il solare vince in Australia!

DaThe Guardian”. Traduzione di MR

di


Per il 2018, il solare potrebbe essere economicamente in grado di alimentare le grandi città. Per il 2040 oltre la metà di tutta l'elettricità potrebbe essere generata nello stesso luogo in cui viene usata. I grandi impianti centralizzati a carbone sono al tramonto.


In una democrazia energetica guidata dal solare, anche il carbone anche se libero non avrebbe valore. Foto: AAP

La settimana scorsa, per la prima volta che io ricordi, il prezzo all'ingrosso dell'elettricità nel Queensland è passato in territorio negativo – a metà giornata. Per diversi giorni il prezzo, normalmente intorno ai 40-50 dollari per megawatt/ora, si è aggirato intorno allo zero. I prezzi si sono sgonfiati durante la settimana, in gran parte a causa dell'influenza di una delle più nuove e grandi centrali dello stato – il solare su tetto. I movimenti del “prezzo negativo”, per come sono conosciuti, non sono rari. Ma devono accadere solo di notte, quando gran parte della popolazione dorme, la domanda è bassa e gli operatori dei generatori a carbone sono riluttanti a spegnere. Quindi pagano altri per raccogliere la loro produzione. Questo non deve accadere all'ora di pranzo. I prezzi giornalieri devono riflettere la maggior domanda, quando la gente è sveglia, gli edifici adibiti ad uffici sono attivi, le fabbriche stanno producendo. E' in questo momento che i generatori a combustibili fossili farebbero normalmente gran parte dei loro profitti. L'influsso del solare su tetto ha trasformato questo modello dalla sua testa. Ora ci sono 1.100 MW di solare su più di 350.000 edifici nel solo Queensland (3,400 MW su 1,2 milioni di edifici nel paese). Produce elettricità proprio nel momento in cui i generatori a carbone facevano profitti (mentre il sole splende).

L'impatto è stato così profondo, e i prezzi all'ingrosso spinti così in basso, che pochi generatori a carbone in Australia hanno fatto un profitto lo scorso anno. Difficilmente qualcuno di loro farà profitti quest'anno. I generatori di proprietà dello stato come Stanwell incolpano in modo particolare il solare su tetto. Tony Abbott, il primo ministro, ama dire che l'Australia è la terra dell'energia a buon mercato ed ha ragione, almeno per metà. Non costa molto spalare una tonnellata di carbone in una caldaia, generare vapore e spingerlo in una turbina per generare elettricità. Il problema per i consumatori australiani (e per gli elettori) viene dal costo di dispacciamento di quegli elettroni – attraverso le reti di trasmissione e distribuzione, dai costi al dettaglio e dalle tasse. Questo è il costo che porta le famiglie a mettere il solare sul tetto, in proporzioni tali che il livello del solare su tetto è previsto dagli stessi modelli del governo, e da gruppi privati come Bloomberg New Energy Finance, in aumento nel prossimo decennio. Le famiglie vengono consigliate a spendere fino a 30 miliardi di dollari in moduli sui tetti. La settimana scorsa l'Operatore del mercato indipendente WA (West Australia) ha previsto che il 75% degli appartamenti scollegati o semi scollegati e il 90% delle imprese commerciali potrebbero avere il solare su tetto per il 2023/24. L'impatto sui mercati del Queensland della scorsa settimana è una delle ragioni per cui le utility, i generatori e i venditori al dettaglio di elettricità in particolare vogliono franare lo sviluppo del solare. Le giravolte dei prezzi all'ingrosso dell'elettricità raramente si riflettono nelle bollette dei consumatori. Ma immaginiamo che il prezzo all'ingrosso dell'elettricità crolli a zero, e rimanga lì, e che i benefici venissero passati ai consumatori. Di fatto, quell'energia prodotta dal carbone diventerebbe improvvisamente libera. Potrebbe poi competere col solare su tetto?

La risposta è no. Solo i ricarichi della rete e quelli dei venditori al dettaglio da soli assommano a più di 19c/kWh, secondo il commissario dell'energia australiano. Secondo le stime dell'industria, il solare va da 12c/kWh a 18c/kWh, a seconda dalle risorse solari dell'area. Quei costi sono previsti in discesa ulteriore, fino a circa 10c/kWh e più bassi. Il carbone, naturalmente, non sarà mai libero. E la rapida adozione del solare su tetto – soprannominata la democratizzazione dell'energia – sta portando la più grande sfida al sistema di generazione di energia elettrica centralizzato da quando è stato istituito più di un secolo fa. Gli operatori di rete del Queensland, realizzando la domanda repressa di solare su tetto, ora stanno permettendo ai consumatori di installarne quanto ne vogliono, alla condizione che non esportino il surplus di elettricità indietro alla rete. Le famiglie e le imprese hanno un piccolo incentivo ad esportare il surplus di energia. Non vengono pagati granché per questo in ogni caso. La Ergon Energy ammette che questo è probabile che incoraggi le famiglie a installare batterie di stoccaggio. Il passo successivo, naturalmente, è che le famiglie e le imprese si scolleghino completamente dalla rete. In aree remote, questo potrebbe avere senso, perché il costo di dispacciamento è alto e in stati come il Queensland e il WA è massicciamente sussidiato dai consumatori della città. La prospettiva realmente spaventosa per i generatori a carbone, tuttavia, è che questa equazione diventerà economicamente conveniente nelle grandi città.

La banca di investimento UBS dice che questo potrebbe avvenire già nel 2018. Il CSIRO, nel suo rapporto sulla rete del futuro dice che più della metà dell'elettricità nel 2040 potrebbe essere generata, ed immagazzinata, dai “pronsumatori” nel punto di consumo. Ma avvertono che a meno che le utility in carica non possano adattare i loro modelli commerciali per abbracciare questo cambiamento, il 40% dei consumatori lascerà la rete. Anche se gli operatori di rete e i venditori al dettaglio imparano come competere – dalle imprese di telecomunicazioni, dagli specialisti di dati e software come Google e Apple e dagli esperti di gestione dell'energia – non è chiaro come la generazione centralizzata a combustibili fossili si possa adattare. In una democrazia energetica, il carbone persino se libero non ha valore.