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lunedì 26 gennaio 2015

Lo scorrere del tempo

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel

Cari lettori,

qualche giorno fa c'è stata una ricorrenza importante per me: sono passati 5 anni dalla mia prima conferenza divulgativa sul Picco del Petrolio. E' stato di fronte al Dipartimento di Oceanografia Fisica dell'Istituto di Scienza del mare, il mio dipartimento nel mio istituto. Quel seminario è stato il culmine di un processo di diversi mesi nei quali, alla fine, mi ero messo a studiare in profondità il problema delle risorse naturali. Ricordo quei mesi  d'estate in cui stavo studiando per preparare il seminario e non riuscivo a credere quello che stavo scoprendo. Dato dopo dato, era sempre più chiaro che c'era una crisi energetica gravissima che stava cominciando a svilupparsi e che non c'erano soluzioni semplici per affrontarla. Che non si sarebbe una sostituzione rapida ed efficace delle vecchie energie fossili da parte di nessuna soluzione di quelle che allora si presumeva l'avrebbero sostituita, che fossero le rinnovabili o il nucleare. Per quanto lontana ed inverosimile mi sembrava tutto quanto, i dati erano lì. Da anni conoscevo (e mi preoccupava) il problema del picco del petrolio, anni in cui di tanto in tanto curiosavo fra le pagine di Crisis Energética e di altri siti web in inglese (Energy Bulletin, The Oil Drum), ma avevo sempre mantenuto una certa distanza, assumendo che il problema del petrolio sarebbe stato risolto da “coloro che sono al comando”. E' stato in quei mesi che ho scoperto che nessuno è al comando o, forse anche peggio, che se non si provava una soluzione è perché non ce n'erano.

Conclusa la mia prima ricerca, essendo giunto a conclusioni che mi sembravano inesorabili, ho passato molti giorni con una sensazione di irrealtà (sensazione che ha iniziato a svanire soltanto, e molto gradualmente, quando ho cominciato a mettere in ordine le mie idee e a plasmarle per iscritto in questo blog), di futilità di tutto quello che aveva occupato il mio tempo fino a quel momento, di paura per i miei cari, di fine della civiltà... Cercavo disperatamente qualche notizia che confutasse tutti i dati che avevo letto e qualche giorno prima della mia conferenza al dipartimento – che ho tenuto con l'aiuto del mio collega Jordi Solé – sono stato ad una conferenza che Pedro Prieto ha casualmente ed opportunamente tenuto presso il Consorci del Far di Barcellona. Avevo ancora una lieve speranza che Pedro, che conoscevo per averlo letto in alcuni suoi articoli su Crisis Energética e di sapevo che era un grande studioso del tema energetico, avrebbe smontato i miei timori  facendo un bel resoconto dei grandi piani di sostituzione che mi erano sfuggiti. Ovviamente, è successo il contrario: Pedro ha confermato uno per uno i miei timori, ponendo l'accento sulle mie stesse conclusioni... Il giorno dopo ho preso la decisione di dedicarmi, perlomeno nel tempo libero, a fare divulgazione su questo tema tanto cruciale.

Cos'è cambiato in cinque anni?

Se potessimo guardare le cose sufficientemente in prospettiva vedremmo che ci sono stati moltissimi cambiamenti e molto radicali, ma facciamo fatica ad accettarlo, perché la nostra mente tende ad aggrapparsi a ciò che ha e non a ciò che può perdere. A livello locale, nel 2009 la disoccupazione in Spagna cominciava ad aumentare con forza, ma agli inizi di quell'anno era ancora al 14%, quasi dieci punti al di sotto di dove si trova ora (e potremmo stare peggio se l'emigrazione non stesse “alleviando” questo problema, anche se a costo di lasciare la Spagna più debole per il futuro). C'è stato un impoverimento generalizzato, una chiara diminuzione del reddito medio: stipendi congelati dei lavoratori pubblici e riduzioni di stipendio massicce attraverso il taglio dei tagli di più precari del settore privato e due terzi degli spagnoli soffrono di carenze in aspetti essenziali (secondo il rapporto FOESSA della Caritas). In questi anni si è parlato diverse volte di una possibile ripresa e dei problemi del debito pubblico. Le impropriamente chiamate “politiche di austerità” si sono trasformate in norma, generando molta disillusione, movimenti di protesta generalizzati (di cui il 15M è stato il loro esponente di punta) ed una rabbia crescente nei confronti della classe politica a delle istituzioni, sempre di più percepite come intrinsecamente corrotte, sempre più insultate perché la maggioranza crede che siano le cause della nostra disgrazia.  In Spagna il sentimento di rabbia cresce, senza che la ripresa promessa (che probabilmente sprofonderà nei prossimi mesi) riesca a calmare gli animi. E questo sta scatenando processi inimmaginabili cinque anni fa. Per esempio, 5 anni fa era impensabile che la Catalogna si separasse dalla Spagna, ora in questa comunità non c'è praticamente altro tema di discussione per le strade, nei giorni che precedono la consultazione, che non è una consultazione ma è una consultazione del 9 di novembre. La Catalogna ha optato di rigenerarsi attraverso il taglio a favore del sano, uscendo dalla povera e insultata Spagna, e lasciare che il resto marcisca. E quel resto ha optato per la propria vita rigenerativa, con uno spiegamento massiccio di elettori verso una nuova forza politica, Podemos, di orientamento progressista e martello dialettico (a volte con tono populista) della “casta politica”. L'irruzione di Podemos provoca sempre più inquietudine e sofferenza nei partiti tradizionali e in alcuni recenti sondaggi Podemos è diventato già la prima forza politica della Spagna per intenzioni di voto.

Ma se apriamo lo zoom e guardiamo l'Europa, ci renderemo conto che la Spagna non sta vivendo un fenomeno isolato. Nella vicina Francia si prevede che un movimento populista, in questo caso di tendenze di destra, potrebbe ottenere la prossima presidenza della repubblica; Italia e Grecia, legate nell'economia ed avendo sofferto, entrambe, di cambiamenti non molto dissimili da un colpo di stato; la Germania, che se la passa meglio ma che vede nuvoloni neri nel suo futuro... Se si guarda il fattore petrolio, siccome la domanda sta crollando in mezzo ad una crisi che non può finire mai, si capisce che la scarsità di energia, e in particolare di petrolio, probabilmente ha molto a che fare con quello che sta succedendo. La Germania è potuta ricorrere al carbone per diminuire il suo declino energetico, utilizzando in quantità la propria lignite, in un viaggio dal breve percorso e dal finale incerto. E tutti hanno dovuto affrontare la caduta, che in alcuni casi (Italia, Spagna e Portogallo) è stata semplicemente brutale.


Immagine da “Energy briefing: Global Crude oil demand & supply”, di Yardeni Research:http://www.yardeni.com/pub/globdemsup.pdf

Allargando di più l'obbiettivo e andando alle porte dell'Europa, possiamo vedere diverse guerre civili in questo momento: Ucraina, Libia, Siria, Egitto, ora l'Iraq... E se guardiamo infine il panorama globale, ci sono numerose fonti di preoccupazione in America Latina, Asia, Africa... Solo un pugno di paesi, che comprendono Stati Uniti e Cina, sono riusciti a venire a capo, con non poche difficoltà, al peggiore di questi danni, anche se in questo stesso momento in lontananza non si intravedono giorni di rose e fiori per questo gruppo eletto di paesi  (guardando per esempio il deterioramento delle prospettive economiche dei due paesi).

Per quanto sia stato drammatico il corso degli eventi durante l'ultimo lustro, non è stato così male come temevamo in molti di noi che ci siamo dedicati alla divulgazione della crisi energetica. Bisogna riconoscere che è emerso un freno imprevisto al crollo della produzione di petrolio, una risorsa che non consideravamo e che spiega la relativa stabilità dell'offerta di petrolio e del suo prezzo (anche se è stato alto) durante gli ultimi 5 anni: l'irruzione del fracking negli Stati Uniti. Grazie all'introduzione di questa tecnica su scala massiccia, prima nella ricerca di gas di scisto e poi per estrarre il molto più interessante e redditizio petrolio leggero di roccia compatta (Light Tight Oil), gli Stati Uniti sono riusciti ad invertire la tendenza al declino della loro produzione di petrolio, che stava già intorno ai 5 milioni di barili al giorno (Mb/g) ed aggiungervi in tempo record 3 Mb/g di LTO e condensati. E il Dipartimento per l'Energia sogna ancora che il prossimo anno gli Stati Uniti potrebbero raggiungere il loro massimo storico di produzione di petrolio greggio del 1970, che è stato di 10 Mb/g.


Nota per coloro che si sentano confusi perché hanno letto che gli stati Uniti superano già l'Arabia saudita nella produzione di petrolio: queste notizie si riferiscono a “tutti gli idrocarburi liquidi” o, come si dice a volte impropriamente,  “tutti i liquidi del petrolio”, il che include anche i biocombustibili  (che non apportano energia netta) e i liquidi del gas naturale (che possono sostituire il petrolio solo parzialmente).

Ma se una cosa non è cambiata negli ultimi 5 anni sono le strategie di negazione sul fatto che possa esistere un problema con l'energia. Continuiamo con le stesse sparate e tecno fantasie: continuiamo a parlare dell'energia nucleare (convenzionale, di quarta generazione, di fusione...) o dell'immenso futuro delle rinnovabili, con notizie ripetute fuori contesto ed esagerate che fanno pensare al lettore disinformato che sia prossima una rivoluzione energetica e che tutti i problemi si risolveranno presto... e siamo qui un lustro dopo, impantanati in problemi sociali ed economici crescenti e alla vigilia di una nuova ondata recessiva che nessuno vuole accettare che sia già qui. L'opzione nucleare ha perso di forza dopo il disastro di Fukushima e il progressivo abbandono del nucleare convenzionale in Europa. D'altra parte, tuttavia, sentiamo ancora canti di sirena che ci promettono di portarci nel paradiso rinnovabile. E' vero che il governo spagnolo, questo e quello precedente, ha boicottato questa alternativa, ma non è meno sicuro che i nuovi sistemi di energia rinnovabile hanno molti limiti, poche volte riconosciuti (a cominciare dal fatto che non è l'elettricità che ci manca, ma quel 79% di energia finale non elettrica che è difficile da elettrificare. E nonostante questo, ogni volta che si parla di energia nei mezzi di comunicazione si insiste sul settore elettrico). L'unica rivoluzione energetica che è stata fatta realmente è quella del fracking ed è stato un costo disumano: con gli Stati Uniti che esportano inflazione nei paesi fornitori, sfruttando giacimenti dal rendimento economico, nonostante questo, più che incerto, incorrendo sempre di più in problemi economici... E tutto per cosa? Per portare alle 127 compagnie produttrici di gas e petrolio più grandi del mondo sull'orlo del fallimento che non si farà attendere a lungo, soprattutto ora che la domanda debole frutto della recessione nascente trascina i prezzi verso il basso. Abbiamo guadagnato qualche anno semplicemente per metterci in una situazione peggiore quando tutto scoppia, perché gli stati si vedranno obbligati a intervenire per salvare un sacco di imprese strategiche per il loro vincolo con l'energia. Ma qui continuano le strategie di negazione (l'ultima consiste nel dire che è l'Arabia saudita che sta aumentando la propria produzione per affossare i prezzi del petrolio e far fuori così il fracking americano, quando in realtà l'Arabia Saudita a settembre ha ridotto la sua produzione per contenere l'attuale emorragia dei prezzi).

Non solo le strategie di negazione della crisi energetica non sono cambiate negli ultimi 5 anni, nonostante i problemi sempre più gravi che ci affliggono. Si continua anche ad accusare noi che avvertiamo dei problemi e del fatto che non ci sono soluzioni facili di essere dei catastrofisti. Forse con maggiore virulenza e violenza verbale, ultimamente, quello sì. E, tuttavia, se nel 2009 avessimo raccontato che saremmo stati come stiamo in questo momento, ci avrebbero presi per pazzi indovini e ci avrebbero denigrati come irrimediabili catastrofisti. E, in realtà, siamo qui, nonostante tanti brindisi al Sole, nonostante tanti annunci fatti in questo lustro (come in tutti i precedenti) sul fatto che l'Eldorado energetico era alla nostra portata. Che contributo hanno dato, che contributo danno, coloro che definiscono la mera descrizione della nostra realtà come “catastrofismo”? Si potrebbe dire niente, ma non è vero. Tutta questa gente che reagisce con aggressività quando si parla della crisi energetica, questa gente che mi scrive adirata e con aria vanagloriosa, con un “Ah” in bocca ogni volta che legge una notizia in un quotidiano di un nuovo progresso che credono definitivo ma che non uscirà mai dal laboratorio o dai test preliminari. Tutta questa gente che crede con la fede del carbonaro nelle stesse stupidaggini e nelle nuove tecno fantasie che abbiamo visto negli ultimi 40 anni e che entro 5 anni verranno sostituite da altre allo stesso tempo uguali e nuove. Tutte queste persone che vanno avanti ingannate e cieche ad una realtà sgradevole, sognando un futuro “pieno di energia” mentre nel mondo reale il consumo energetico della Spagna crolla... tutte queste persone insomma, senza volerlo ovviamente, stanno facendo un danno terribile e stanno mettendo in pericolo il nostro futuro. Poiché il tempo di prendere decisioni, in modo adulto, valutando correttamente la situazione sia che piaccia sia che non piaccia, è adesso. I veri catastrofisti non siamo noi che denunciamo un sistema distruttivo che si sta disintegrando e sta facendo soffrire tanta gente, no. I veri catastrofisti sono coloro che si rifiutano di guardare la realtà in faccia; i veri catastrofisti sono coloro che rifiutano che ci possa essere un cambiamento e preferiscono continuare in questa disgrazia e approfondirla; i veri catastrofisti sono coloro ai quali costa meno immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo e che di fatto credono che le cose si equivalgono quando in realtà non è così, quando in realtà ci può essere un futuro brillante per l'Umanità se decide di smettere di fare l'adolescente (tentando l'impossibile crescita senza limiti in un pianeta finito) e di abbracciare una serena maturità. Accusano noi che parliamo come adulti di essere catastrofisti quando sono loro che ci trascinano verso una catastrofe perfettamente evitabile, semplicemente perché non vogliono immaginare altre possibilità e soprattutto se la sognano.

Sono anche passati 5 anni da quando la missione europea SMOS decollava da una base russa. Era il primo satellite capace di misurare la salinità superficiale dell'oceano dallo spazio. Questo lancio ha comportato un grande cambiamento nella mia vita, poiché la mia attività professionale si è andata progressivamente allineando con la gestione della nostra attività nella missione ed attualmente occupa una buona parte della mia giornata lavorativa. Una nuova realtà, quella della gestione di un gruppo di ricerca, che mi porta a dover viaggiare continuamente adempiendo a impegni e cercando soldi per mantenere in piedi la mia squadra, un gruppo di persone molto capaci e competenti (e, soprattutto, persone buone) che hanno la sfortuna di avere un capo schizofrenico che durante il giorno mantiene una intensa attività "Bautomatica", mentre la sera nei tempi morti degli aeroporti, scrive della fine della società industriale su questo blog.

In questi 5 anni anche la mia vita personale è cambiata molto. Allora avevo una figlia, ora anche un figlio. Durante questo lustro ho perso capelli e vista ma non molto peso, solo un po' quando stavo per morire solo pochi mesi fa. Anche questo terribile evento ha cambiato la mia vita. Non scrivo più all'alba, non mangio più quando capita per rimanere sveglio e cerco di fare una vita più sana, solo un pizzico, solo una mollica. Con più frequenza mi viene da pensare cosa sarà della mia famiglia quando io non ci sarò più. A volte ho il sentore che a lungo andare posso solo mettermi nei guai (come le minacce di morte di un pazzo che ho dovuto sopportare fino a poco più di un anno fa e come le cose che senza dubbio stanno per arrivare in questi tempi turbolenti che già si intuiscono) e che non vale la pena continuare per quel poco o niente che otterremo. Ma mi dico anche, sono ancora vivo.

Cosa succederà nei prossimi 5 anni? Non lo so. E' difficile da sapere. Molte delle strategie della fuga in avanti che sono state intraprese negli ultimi anni sembra che stiano giungendo alla loro fine, senza aver migliorato la situazione globale e in molti casi avendola peggiorata, avendo creato più stress nel sistema e rendendo più probabile una caduta precipitosa e disordinata. 5 anni fa credevo che saremmo stati peggio di quanto stiamo in realtà. Oggi credo che in 5 anni staremo in una situazione francamente nefasta, spero di sbagliarmi. In realtà, dove arriveremo dipende solo da noi. E' sempre stato così.

Saluti.
AMT

mercoledì 30 luglio 2014

Il vero ostacolo alla diffusione dell'energia rinnovabile.



E' uscito di recente un rapporto del Wuppertal Institute sulla "rinnovabilità delle rinnovabili". Ovvero, se è vero che l'energia rinnovabile è rinnovabile per definizione, lo sono altrettanto le risorse minerali utilizzate negli impianti? Questo punto è oggetto di molto dibattito e ha generato anche tante leggende negative. Ma la risposta del Wuppertal Institute è sostanzialmente affermativa - come del resto ho sostenuto anch'io nel mio recente libro "Extracted". A parte alcune tecnologie particolari, nel complesso le energie rinnovabili - in particolare l'energia fotovoltaica - non sono limitate dal consumo di risorse minerali, supponendo, ovviamente, che queste vengano usate con cautela e riciclate. Insomma, nonostante le tante leggende che girano imperterrite per il Web, l'unico vero ostacolo alla diffusione dell'energia rinnovabile è la stupidità umana. 

Qui di seguito, il resoconto di "Qualenergia" sul rapporto del Wuppertal Institute. E' sostanzialmente corretto anche se forse un tantino ottimista se confrontato col più cauto riassunto dello studio (che trovate in Inglese in fondo a questo documento)



I minerali non sono un fattore limitante per lo sviluppo delle rinnovabili in Germania

Un progetto del Wuppertal Institut, realizzato per conto del Ministero degli affari economici ed energetici tedesco, analizza per la prima volta quali siano i minerali più critici per la diffusione di rinnovabili elettriche, termiche e biocarburanti al 2050 in Germania. Molte le variabili in gioco, ma per le tecnologie più importanti non ci dovrebbero essere grossi problemi.
Uno degli aspetti meno affrontati nello sviluppo delle rinnovabili e della transizione energetica è la disponibilità di risorse minerarie. Un tema che va trattato con molta cautela soprattutto quando le prospettive sono di lungo periodo, dove diverse variabili entrano in gioco. Un progetto tedesco, KRESS (Critical Resources and Material Flows during the Transformation of the German Energy Supply Systempdf in tedesco, 277 pp.), elaborato dal Wuppertal Institut e realizzato per conto del Ministero degli affari economici ed energetici, analizza per la prima volta quali siano i minerali più critici in una prospettiva di diffusione delle rinnovabili elettriche, termiche e biocarburanti al 2050 con un target di copertura dei fabbisogni energetici totali pari al 60% (80% per l’elettrico) secondo gli obiettivi governativi.

L’analisi (in allegato la sintesi in inglese), che non è una previsione in senso stretto, è stata condotta non solo sulla disponibilità di lungo termine delle risorse, ma in base ad altre valutazioni come le opzioni di riciclo dei materiali e gli aspetti ambientali legati alla loro estrazione. Le conclusioni del report mostrano che la disponibilità geologica dei minerali non rappresenta tuttavia un fattore limitante per la roadmap tedesca delle rinnovabili.

Tra le tecnologie oggetto di investigazione quelle che hanno dimostrato di essere, con molto probabilità, le “non critiche” riguardo all’offerta di minerali da utilizzare nei processi produttivi sono da annoverare soprattutto nell’ambito elettrico. Dunque, l’idroelettrico, le turbine eoliche che non utilizzano magneti rari, fotovoltaico a silicio cristallino, solare termodinamico. Tra le rinnovabili termiche, il solare e la geotermia a bassa entalpia non hanno particolari problemi. Nelle infrastrutture nessun impedimento di risorse si riscontra per le reti elettriche e per alcune tipologie di accumuli. Sulla tecnologie delle biomasse o biocarburanti, che comunque esulano dallo studio, l’aspetto critico è da ricercarsi soprattutto nell’uso competitivo della terra.

Nello specifico del fotovoltaico, ad esempio, si sono valutati i consumi di indio, gallio, selenio, argento, cadmio e tellururo. Per quanto concerne il fotovoltaico cristallino, che oggi copre quasi il  97% degli acquisti in Germania, nessun fattore critico è stato appurato. Nel caso dei film sottili non risulterebbe problematica la quantità di cadmio e tellururo richiesta fino al 2020; in seguito tuttavia la domanda di questa specifica tecnologia FV dovrebbe declinare. Per celle e moduli CIGS (rame, indio, gallio e diselenide) il discorso è leggermente diverso. Non ci sono garanzie, ad esempio, che nel lungo periodo la domanda di indio potrà essere soddisfatta vista la forte competizione con la produzione di LCD, in decisa crescita mondiale, e l’elevata dipendenza da un unico paese fornitore, la Cina. Secondo gli autori del report, anche se l’attuale mercato tedesco di celle CIGS non supera neanche il 3%, in futuro non sarà facile mantenere tale quota. L’utilizzo di alternativi substrati conduttori per le celle a film sottili, che dovrebbe comunque essere nei prossimi decenni una delle tecnologia FV con le migliori prospettive, potrebbe trovare maggiori sviluppi, ma si richiedono ulteriori ricerche nel campo. Una soluzione indicata per tutte le tecnologie fotovoltaiche, oltre al riciclo, è nel ridurre i materiali consumati integrando sempre di più celle e moduli in altre strutture o applicazioni, come facciate, tetti, pensiline, ecc.

Per lo storage diversi sono i minerali presi in considerazione, come litio, vanadio, potassio, lantanio, ittrio. Al momento, secondo lo studio, sembrano avere meno criticità in termini di disponibilità le batterie agli ioni di litio e gli impianti di stoccaggio ad aria compressa per l’accumulo di breve periodo. Più complessa è considerata la situazione per le batterie redox al vanadio, per gli accumuli su grande scala. Queste sfruttano la capacità del vanadio di esistere in soluzione in quattro diversi stati di ossidazione; si può realizzare così una batteria con un solo elemento elettroattivo anziché due. Il vantaggio principale è che si può ottenere una capacità pressoché illimitata semplicemente usando serbatoi molto grandi. Ma il vanadio è un elemento raro ed è fondamentale per le leghe soprattutto in metallurgia, quindi in forte competizione per il suo utilizzo.

In generale, anche se la disponibilità dei minerali per le tecnologie più importanti non è un problema, alcune criticità potrebbero presentarsi nei casi in cui i produttori siano concentrati in pochissimi paesi o nel caso di usi competitivi. Una delle raccomandazioni ‘politiche’ dello studio è ovviamente quella di focalizzarsi, almeno nel medio periodo, sul loro utilizzo efficiente e su strategie di riciclo, sfruttandone tutte le potenzialità, anche se non sempre è facile ai fini della qualità del prodotto finale o per gli alti consumi energetici. Prolungare il ciclo di vita dei sistemi energetici a fonti rinnovabili dovrebbe essere comunque considerato un altro aspetto chiave. Un approccio che richiederà una sempre più stretta cooperazione tra ricerca e industria.

La notizia che ci sembra però interessante sottolineare è proprio l’aver realizzato uno studio per conto del governo sulle possibili traiettorie delle risorse minerarie in una visione strategica e di lungo periodo in tema energetico. C’è chi guarda al prossimo mese, chi prova invece a vedere oltre di due o tre decenni.

martedì 7 febbraio 2012

Come non uscire da questa crisi

Guest post di Antonio Turiel, Traduzione di Massimiliano Rupalti



Immagine dal blog di Stephen Rees, http://http://stephenrees.wordpress.com


Come non uscire da questa crisi

di Antonio Turiel

Cari lettori,

alcuni giorni fa ho avuto l'onore di partecipare ad un evento organizzato dal Comune di Figueres. Si trattava di una tavola rotonda sul cambiamento climatico ed il protocollo che devono avere i comuni per affrontarlo. Mi ha invitato l'assessore all'Ambiente locale, il quale, di sicuro, non è per niente in linea con il post che ho dedicato al tetto fotovoltaico installato in una piazza centrale della nostra città (mi ha spiegato i suoi motivi ed anche se non li condivido pienamente, almeno ora posso capire le ragioni che sono state addotte per giustificarlo). Nonostante questa, diciamo, lettera di accompagnamento non molto apprezzata, l'assessore, che mi aveva già sentito parlare in un altra occasione, ha voluto che fossi presente in questa occasione – imparzialità che gli fa onore.

Senza entrare nei dettagli, la tavola rotonda stava procedendo verso percorsi sempre più cupi: prima un imprenditore del settore delle energie rinnovabili “di prossimità”, realista e ponderato, ha descritto i vantaggi e gli inconvenienti (e gli innumerevoli ostacoli) della sua attività; poi è toccato a me fare una rapida panoramica della crisi energetica globale, delle sue connessioni con la crisi economica e su come la via d'uscita che tenteremo di percorrere assurdamente ci porterà ad aggravare il problema del cambiamento climatico (tema che al quale ci siamo già approcciati in un post) senza cambiare significativamente il corso generale degli eventi, se non di peggiorarlo. Per ultimo ha parlato il Direttore del Consiglio consultivo per lo sviluppo sostenibile (CADS) della Generalitat de Catalunya, che avevo conosciuto l'ultimo giorno che sono stato a Radio Catalunya (ma questa è un'altra storia), che mi ha sorpreso facendo un discorso abbastanza nero e deprimente sul futuro che ci aspetta. Con una leggera venatura di speranza nel finale, ma essa stessa con tono dimesso.

Dopo l'evento stavamo con diversi partecipanti, alcuni di loro con responsabilità politiche, bevendo qualcosa (in modo molto frugale, l'austerità sta permeando l'amministrazione) ed ho osservato qualcosa che noto da qualche tempo: un certo fatalismo alla
Mad Max (come amano dire alcuni lettori per descrivere visioni apocalittiche). Così, qualcuno diceva che l'essere umano è condannato all'estinzione, mentre qualcun altro sosteneva la rivoluzione sanguinosa era il capitolo successivo della nostra storia. E lo dicevano così, tranquillamente, come se la cosa non gli appartenesse, come se non fossero loro ed i loro famigliari ad essere passati per le armi. Il più moderato diceva che apprendiamo solo a forza di schiaffoni e che ci sarà una reazione solo quando ci beccheremo il primo forte (il che, disgraziatamente, è abbastanza sicuro: quello sì, bisogna vedere se poi riusciamo a rimetterci in piedi).

Ciò che preoccupa di questa dose di sur-realismo, che a poco a poco si sta insinuando nella nostra classe politica (coloro che hanno un contatto più ravvicinato con chi è amministrato, temo), è che tanto fatidico è per il nostro futuro l'eccesso di trionfalismo e la fiducia (il “non far nulla” col quale si sono superate le crisi in Spagna) quanto lo è il disfattismo assoluto e l'inazione. E sta lì il cuore della questione che vorrei discutere oggi, cioè vedere quali misure ed atteggiamenti non ci permettono di uscire dalla crisi e che, anzi, la peggiorano.

Mettiamo in chiaro una cosa ovvia per il lettore assiduo di questo blog. Come abbiamo ripetuto,
questa crisi economica non finirà mai, perlomeno non all'interno del nostro paradigma economico. L'ovvio corollario e che quindi dobbiamo cambiare il nostro sistema economico e perciò anche quello finanziario. Che non ci sia soluzione entro questo paradigma, vale la pena insistere su questo, non vuol dire che non ci sia soluzione abbandonando il paradigma, ed abbiamo già parlato qui di alcuni modi ragionevoli per affrontare questa uscita per la tangente. Ma una tale pretesa viene considerata tanto pazzesca e massimalista da non risultare accettabile. Pertanto si parla e si parla di riformare il sistema politico quando quello che fallisce e manda tutto in cancrena è quello economico. Ciò porta una serie di attitudini dissonanti caratteristiche dei nostri rappresentanti e dei loro cittadini, che in realtà tendono a peggiorare la situazione per il fatto di non capire cosa stia succedendo. Cioè:


  • Inazione nell'attesa del Deus ex Machina: Questa è la pratica più consueta in Spagna negli ultimi decenni. Consiste nell'aspettare che i paesi ricchi d'Europa (Germania, Francia, Inghilterra e i paesi nordici) escano dalla crisi e, con l'afflusso di turisti ed investimenti, ci tolgano dal marasma. Di sicuro questa è stata la scommessa inconfessabile anche del governo precedente, durante i primi anni di questa crisi. Ma a questo livello, con un 22,3% di disoccupazione, con la disoccupazione giovanile al 40% ed essendo più del 50% degli impiegati “mileuristas” (milleuristi, che guadagnano 1.000 euro al mese, ndT), nessun governo si può permettere il lusso di incrociare le braccia e sedersi di fronte alla propria porta ed aspettare. E' che i paesi ricchi non riescono a riprendere il volo e tutto sembra suggerire che torneranno in recessione (nella nuova recessione).
  • Legiferare molto, soprattutto in campo fiscale: Questa è la corrente che ha dominato l'ultima fase del governo precedente e che domina la prima parte del governo attuale. Siccome non si può non fare niente, facciamo molto, e siccome non sappiamo cosa fare, andiamo ad agire sui meccanismi più diretti e che conosciamo meglio. Se c'è contrazione dell'economia, andiamo a stimolare l'investimento diminuendo l'esazione agli imprenditori con diminuzione delle tasse o riducendo i loro costi, soprattutto rendendo più facile il licenziamento e le misure per ridurre gli stipendi – con relativa distruzione del contratto collettivo – nel contesto della cosiddetta riforma del lavoro (che in realtà è una revoca della legislazione del lavoro vigente). Siccome dall'altra parte c'è uno squilibrio fiscale importante (frutto della rapida e non prevista riduzione delle entrate per la caduta stessa dell'attività economica), vengono aumentate le tasse alle classi medie e basse, che sia per via diretta o indiretta. Il problema di tale modo di agire è che inibisce il consumo, in parte per la perdita di reddito della massa di consumatori e in parte per la sensazione crescente di insicurezza e tendenza a risparmiare “per tempi peggiori”, il che ha un impatto negativo sulle imprese che si alimentano del mercato interno. Per un po' si è parzialmente compensato questo effetto negativo grazie alle imprese che si alimentano del mercato estero, delle esportazioni, ma adesso che anche la Cina ed il Brasile mostrano un rallentamento economico (quando non vera e propria recessione) la caduta degli introiti delle imprese è evidente e pertanto la crisi si aggrava; meno imprese, meno introiti per lo Stato, maggiori problemi per far quadrare i conti – maggior deficit – ecc, in una spirale di autodistruzione.
  • Disfattismo ed abbandono: Alcuni nostri rappresentanti, che cominciano ad interiorizzare che da questa crisi non si esce senza saperne il perché, stanno cominciando ad abbassare le difese ed a lasciarsi andare, ma non confidando nel fatto che la cosa si autoregoli, ma desiderando che non si danneggi molto di più. In alto ogni giorno ricevono più biasimo e disprezzo da parte dei cittadini, sempre più sopraffatti da una crisi che minaccia di far precipitare quasi il 50% degli europei un tempo ricchi, nella povertà e nell'esclusione (cosa che è stata anche discussa con una certa profondità in questo blog). Tutto ciò rende i nostri politici un po' cinici e scettici, oltre che leggermente amareggiati, poiché in molti casi si mettono con l'intento di cambiare le cose ed invece le cose cambiano loro. Questo abbandono è un atteggiamento umano ma infantile ed è inaccettabile in chi deve fare da riferimento e guida ai propri cittadini in questi tempi difficili.
  • Tentare di risolvere la crisi con misure di risparmio energetico: Altri identificano giustamente che c'è un problema di energia, ma saltano la connessione energia-economía (come se fossero due aspetti differenziati ed indipendenti) e credono che ciò che si deve fare è spingere sul risparmio e l'efficienza energetica, oltre alla ricerca sull'energia rinnovabile. Non tengono conto che tutto ciò che uno risparmia lo consumerà un altro, perché il sistema economico cerca di massimizzare l'output (la produzione, di quello che sia, beni o servizi) e che pertanto il nostro sistema economico è programmato per lo spreco, non potendo funzionare efficientemente in altro modo. L'efficienza energetica, un altro dei luoghi comuni della proposta di azione politica, non è sempre ottenibile: a volte guardiamo solo ad una parte del ciclo di vita di un prodotto – per esempio l'uso di lampadine efficienti – senza tenere conto che la spesa energetica totale – per esempio maggior costo energetico di fabbricazione nell'utilizzare materiali rari, difficili da processare, importati da molto lontano ed il cui riciclaggio è costoso. Anche nei casi in cui si ottenga una maggior efficienza, in un'economia di libero mercato tale guadagno di efficienza implica un maggiore costo energetico e non minore (è detto il paradosso di Jevons, che Quim ha discusso in dettaglio in un post). In alcuni casi, quando ho segnalato questo problema con l'efficienza, i gestori giustamente hanno sottolineato la necessità di regolare il consumo di risorse, ma senza rendersi conto che l'attuazione di una restrizione legislativa tale è incompatibile con un sistema di libero mercato e che può dar luogo a molti problemi indesiderabili. Per ultimo, riguardo all'incentivazione della ricerca sulle energie rinnovabili, non è meno curiosa tale affermazione, come se non avessimo già investito e ricercato per decenni in tali fonti, come se siccome adesso ne abbiamo bisogno otterremo quello che vogliamo (e questo senza parlare dei limiti di massimo potenziale e di altro tipo che hanno). Ma ciò che mi allarma di più è che la gente che mi sente parlare di crisi energetica ed è consapevole, tende ad incidere sul risparmio energetico e non si rende conto che il suo problema non è energetico, in primo luogo, ma economico. Che differenza fa risparmiare energia (che alla fine consumerà qualcun altro) se il suo problema è che non ha capitale per pagarsi i suoi progetti, per il mantenimento dell'infrastruttura, per preservare l'impiego, per dar da mangiare alla gente... La crisi energetica è solo il sintomo, il problema è più grave e profondo e non è altro che l'insostenibilità di tale sistema economico e produttivo (e quindi finanziario) e per come è impostato. Tentare di agire sulla crisi energetica, il sintomo, è come pretendere di curare un cancro con l'aspirina solo perché al paziente fa male la testa.
  • Eccesso di garantismo: L'altro giorno, giustamente, quando ho cominciato a parlare più seriamente di questi temi ed i miei interlocutori erano disposti ad andare un po' più in là, è sorta una questione che credo a lungo termine sarà una questione chiave: la necessità, in certi momenti, di saltare come un torero la legislazione vigente. Non sto parlando, naturalmente, di trasgredire la legislazione penale né nessun'altra che influisca sulla salute ed il benessere delle persone, ma meramente di quelle amministrative, emerse da un ambiente di ampie risorse dove l'attività è più controllata e regolata e la parsimonia è la norma, il che può essere letale quando il tuo obbiettivo è assicurare cibo alla gente. Non ho potuto sviluppare il mio argomento perché i miei interlocutori si sono allarmati alla mia affermazione iniziale, posto che l'Amministrazione non deve violentare le norme (nonostante che lo faccia molto di frequente ed in materie penalmente più gravi). Tuttavia, penso a cose molto più semplici e banali. Per esempio, è certo che la normativa del Comune X non permette di avere un orto in un terreno abbandonato se non si soddisfano le procedure Y e Z. Bene, si tratta semplicemente di “chiudere un occhio” su questa normativa o anche di revocarla, se così risolviamo un problema più grande, anche se la città diventa un po' meno chic (per esempio nella mia città è proibito stendere il bucato se questo si vede dalla strada e quindi chi ha solo un balcone deve comprarsi un'asciugatrice se vuole evitare di pagare multe in continuazione). Insomma, che risulta conveniente avere un po' di margine per potersi adattare ad una situazione che ancora oggi suona come inimmaginabile e da pazzi, ma che fra non molto sarà il nostro pane quotidiano (che ci daranno ogni giorno).
  • Volontariato male inteso: L'altro giorno la nuova sindaca di Madrid ha fatto un appello perché i cittadini si facessero carico dei servizi in modo volontario (sembra incredibile, ma la notizia è vera). Il che è anche buono, perché uno degli elementi chiave della transizione è il sostegno della comunità. Ciò che dimostra che la signora sindaca non ha capito la sostanza della situazione è la sua affermazione: “mi piacerebbe che per questi spazi pubblici, centri culturali e polisportivi che abbiamo costruito e per i quali non possiamo fare fronte a tutte le le necessità che hanno a causa della crisi, i cittadini di Madrid si coinvolgessero per renderli redditizi". Il grassetto sta nella notizia originale ed è molto opportuno, perché lì sta la chiave dell'errore della signora sindaca, o del subconscio che l'ha tradita facendole dire quello che avrebbe dovuto tacere, ed è che la sua motivazione è la redditività, non il servizio. E 'chiaro che la strada da seguire è quella del coinvolgimento dei cittadini, di fronte a istituzioni che falliscono, anche se per cose più importanti che mantenere un centro polisportivo (il cui mantenimento, come accade sempre in Spagna, non viene considerato come spesa corrente del contraente). Succede che se gli amministrati assumono il ruolo degli amministratori, perché vogliono un'amministrazione? La socializzazione della gestione comporta la perdita di senso del Comune. Anche se molti Comuni potrebbero fallire e siano quindi questi municipi ufficiosi e volontari che esercitano il potere locale reale. In ogni caso questo tipo di “soluzione” non solo non risolve il problema, ma ne crea uno nuovo: quello dell'eliminazione dell'amministrazione locale in via di fatto (il che ricorda la terza frase del “collasso).
Insomma, una collezione curiosa di cattive pratiche per gestire una situazione inedita, quando più che mai c'è la necessità di chiarezza di idee e fermezza d'azione. Ma per la quale, probabilmente, il popolo stesso deve avere le idee chiare e la prima cose è, insisto, capire ciò che sta accadendo (ecco un testo semplice per coloro che ancora non lo capiscono) e di fronte a questo agire da adulti, non da bambini. Ora, tornate a leggere le proposte che abbiamo fatto a suo tempo e fermatevi a pensare se in realtà non sono molto più pratiche di ciò che si sta facendo.

Saluti,
AMT


Traduzione da "The Oil Crash" a cura di Massimiliano Rupalti