mercoledì 2 aprile 2014

Studio finanziato dalla NASA: la civiltà industriale è diretta verso un “collasso irreversibile”?

Da “The Guardian”. Traduzione di MR (h/t Luca Lombroso)

Nota di UB. Su questo sudio ci sono parecchie cose da dire e anche parecchie critiche da fare, inclusa l'enfasi esagerata sul fatto di essere "finanziato dalla NASA," cosa che - di per se - non vuol dire affatto che sia uno studio valido. Con calma, sto preparando un piccolo esame critico di questi risultati. Nel frattempo, potete leggervi anche l'ottimo articolo di Dario Faccini in proposito sul blog di ASPO-Italia. 

 

Di Nafeez Ahmed

Gli scienziati del mondo naturale e sociale sviluppano un nuovo modello di come la “tempesta perfetta” di crisi potrebbe disfare il sistema globale


Questa immagine dell'Osservatorio della Terra della NASA mostra un sistema tempestoso che circola intorno ad un'area di bassa pressione estrema  nel 2010, che molti scienziati attribuiscono al cambiamento climatico. Foto: AFP/Getty Images


Un nuovo studio sponsorizzato dal Centro per il Volo Spaziale Goddard della NASA ha evidenziato la prospettiva che la civiltà industriale globale possa collassare nei prossimi decenni a causa dello sfruttamento insostenibile delle risorse e la distribuzione sempre più iniqua della ricchezza. Osservando che gli avvertimenti di “collasso” sono spesso marginali o controversi, lo studio cerca di dare un senso a dati storici convincenti che mostrano che “il processo di ascesa e collasso è di fatto un ciclo ricorrente che si ritrova lungo tutta la storia”. I casi di distruzione grave di civiltà dovuti al “collasso precipitoso – spesso della durata di secoli – è stato piuttosto comune”.

Il progetto di ricerca è basato su un nuovo modello di disciplina incrociata “Dinamiche esseri umani-natura” (Human And Nature DYnamical – HANDY), condotto dal matematico applicato Safa Motesharri del Centro Nazionale di Sintesi Socio-Ambientale, in associazione con una squadra di scienziati del mondo naturale e sociali. Lo studio basato sul modello HANDY è stato accettato per la pubblicazione peer-reviewed nella rivista di Elsevier, Economia Ecologica. Questa scopre che secondo i dati storici, anche le civiltà avanzate e complesse sono soggette al collasso, sollevando domande circa la sostenibilità della moderna civiltà:

“Il crollo dell'Impero Romano e quello dei parimenti avanzati (se non di più) Imperi Han, Maya e Gupta, così come molti altri Imperi avanzati mesopotamici, testimoniano tutti il fatto che civiltà avanzate, sofisticate, complesse e creative possono essere sia fragili si impermanenti”. 

Investigando le dinamiche della natura umana di questi casi di collasso passati, il progetto identifica i fattori interrelati più salienti che spiegano il declino della civiltà e che potrebbero aiutare a determinare il rischio di collasso oggi: cioè, Popolazione, Clima, Acqua, Agricoltura ed Energia. Questi fattori possono portare al collasso se convergono per generare due caratteristiche sociali cruciali: “lo stress delle risorse dovuto alla tensione posta sulla capacità di carico ecologica” e “la stratificazione economica della società in Elite [ricche] e Masse o 'cittadini comuni' [poveri]”. Questi fenomeni sociali hanno giocato “un ruolo centrale nel carattere o nel processo del collasso”, in tutti quei casi durante “gli ultimi 5.000 anni”. Attualmente, gli alti livelli di stratificazione economica sono direttamente collegati al consumo eccessivo di risorse, con “Elite” che si trovano in gran parte in paesi industrializzati responsabili di entrambe le cose:

“... il surplus accumulato non è solo distribuito in modo iniquo nella società, ma piuttosto è stato controllato da una élite. Alla massa della popolazione, mentre produce la ricchezza, viene assegnata una piccola porzione della stessa da parte delle élite, di solito a livelli di sussistenza o poco al di sopra”. 

Lo studio sfida coloro che sostengono che la tecnologia risolverà queste sfide aumentando l'efficienza:

“Il cambiamento tecnologico può aumentare l'efficienza dell'uso della risorsa, ma tende anche ad aumentare sia il consumo pro capite della risorsa sia la scala dell'estrazione della risorsa, cosicché, assenti gli effetti delle politiche, gli aumenti del consumo spesso compensano l'aumento di efficienza nell'uso della risorsa”.

Gli aumenti di produttività dell'agricoltura e dell'industria degli ultimi due secoli sono venuti da “un aumento (piuttosto che da una diminuzione) della produzione”, nonostante dei guadagni di efficienza straordinari durante lo stesso periodo. Facendo modelli su una gamma di diversi scenari, Motesharri e i suoi colleghi concludono che in condizioni “che riflettono da vicino la realtà del mondo di oggi... scopriamo che il collasso è difficile da evitare”. Nel primo di questi scenari, la civiltà:

“... appare trovarsi su una strada sostenibile per un periodo piuttosto lungo, ma anche usando un tasso di esaurimento ottimale e cominciando con un numero davvero piccolo di élite, Le élite stesse alla fine consumano troppo, col risultato di una carestia fra i cittadini comuni che alla fine causa il collasso della società. E' importante osservare che questo collasso di Tipo L è dovuto ad una carestia indotta dall'iniquità che causa una perdita di lavoratori, piuttosto che a un collasso della Natura”.

Un altro scenario si concentra sul ruolo dello sfruttamento continuo delle risorse, scoprendo che “con un ampio tasso di esaurimento, il declino dei cittadini comuni avviene più rapidamente, mentre le élite prosperano ancora, ma alla fine i cittadini comuni collassano completamente, seguiti dalle élite”. In entrambi gli scenari, i monopoli della ricchezza da parte delle élite significano che queste sono protette dagli “effetti più negativi del collasso ambientale fino a molto più tardi rispetto ai cittadini comuni”, permettendo loro di “continuare col 'business as usual' nonostante la catastrofe imminente”. Lo stesso meccanismo, sostengono, potrebbe spiegare il perché “le élite hanno permesso che avvenissero i collassi storici che sembrano essere ovvi dalla traiettoria catastrofica (più chiaramente evidente nei casi Romano e Maya)”. Applicando questa lezione al nostro dilemma contemporaneo, lo studio avverte che:

“Mentre alcuni membri della società potrebbero dare l'allarme che il sistema si muove verso un collasso imminente e pertanto richiedere cambiamenti strutturali della società per evitarlo, le élite e i loro sostenitori, che si opporrebbero a questi cambiamenti, potrebbero indicare la traiettoria lunga e sostenibile 'fino ad ora' a sostegno del non fare nulla”. 

Tuttavia, gli scienziati evidenziano che gli scenari peggiori non sono affatto inevitabili e suggeriscono che una politica appropriata e dei cambiamenti strutturali potrebbero evitare il collasso, se non spianare la strada verso una civiltà più sostenibile. Le due soluzioni chiave sono quella di ridurre l'iniquità economica così come quella di una più equa distribuzione delle risorse e di ridurre drammaticamente il consumo di risorse affidandosi a risorse rinnovabili meno intensive e riducendo la crescita della popolazione:

“Il collasso può essere evitato e la popolazione può raggiungere un equilibrio se il tasso di esaurimento pro capite della natura viene ridotto ad un livello sostenibile e se le risorse vengono distribuite in modo ragionevolmente equo”. 

Il modello HANDY finanziato dalla NASA offre un campanello d'allarme credibile ai governi, alle multinazionali e alle imprese – e ai consumatori – per riconoscere che il 'business as usual' non può essere sostenuto e che sono richiesti immediatamente politiche e cambiamenti strutturali. Anche se lo studio è ampiamente teorico, numerosi altri studi empiricamente focalizzati – da parte del KPMG e dell'Ufficio Governativo della Scienza del Regno Unito, per esempio – hanno avvertito che la convergenza delle crisi alimentare, idrica ed energetica potrebbero creare la 'tempesta perfett' entro circa 15 anni. Ma queste previsioni 'business as usual' potrebbero essere molto prudenti.


martedì 1 aprile 2014

Perché non finiremo mai il petrolio: un'intervista con Ugo Bardi





"Effetto Risorse" è lieto di presentare oggi in esclusiva mondiale un'intervista che il Professor Ugo Bardi, autore del libro "Extracted", ha concesso a Radio Ronkonkoma (*), New York. 


- Prima di tutto, Professor Bardi, grazie per aver accettato di parlare agli ascoltatori di  Radio Ronkonkoma. 

- E' un piacere.

- Allora, prima di cominciare l'intervista, una breve presentazione per i nostri ascoltatori. Il professor Ugo Bardi insegna all'università di Firenze, in Italia, ed è ben noto per i suoi studi sulle risorse minerali e in particolare del petrolio greggio. A questo proposito, siamo venuti a sapere che ha ottenuto recentemente un importante contratto di ricerca da una grande compagnia petrolifera. E' vero, professore?

- Si, posso confermare di aver ricevuto quel contratto, sebbene non possa, al momento, rivelare il nome della compagnia.

- Quindi, congratulazioni, professore. Ho capito bene che questo contratto le ha permesso di fare un'importante scoperta nel campo delle tendenze della produzione petrolifera?

- E' corretto. E' un nuovo modello che ho sviluppato sulla base della dinamica dei sistemi e altri metodi matematici molto sofisticati per descrivere le future tendenze produttive del petrolio.

- E così è arrivato alla conclusione che non finiremo mai li petrolio?

- Sostanzialmente, si.

- Mi sembra di capire che la matematica del modello è molto complessa, ma potrebbe per favore descrivere i suoi risultati in modo semplice per i nostri ascoltatori? 

- Ci posso provare. Allora, pensi a questo: prima di finire il petrolio, bisogna finire la metà di quello che c'è, giusto?

- Si.

- Ora, se uno ha usato la metà del petrolio che ha, vuol dire che ne rimane ancora la metà. Giusto?

- Certamente.

- Allora, prima che uno abbia consumato la metà rimasta, ne deve consumare ancora metà. Giusto?

- Credo di seguire la sua logica, professore......

-  E poi ci sarà un'altra metà, e poi ancora un'altra metà, e così via.....

- Da questo si deduce che non finiremo mai il petrolio?

- Esattamente.

- Sa, professore, il suo modello mi ricorda qualcosa che ho studiato al liceo; qualcosa a proposito di una tartaruga rincorsa da qualcuno che correva molto velocemente.... non mi ricordo il nome.

- Oh, beh, questa è una origine remota del modello. Per questo i miei studenti lo chiamano a volte il modello di "Achille e la tartaruga".

- Però, professore, c'è qualcosa che non mi torna. Capisco che a furia di dividere a metà quello che resta non finiremo mai il petrolio. Ma non è che ne avremo sempre di meno?

- No.... assolutamente no.

- Ma perché?

- Beh, per questo bisognerebbe capire la matematica del modello ma, di nuovo, credo di poter spiegare la cosa in modo semplice per gli ascoltatori. Allora, torniamo indietro a quello che dicevamo. C'è questo petrolio. Lo dividiamo in due parti uguali e ne usiamo una parte. Mi segue?

- Si. 

- E allora ne rimane una metà, giusto?

- Giusto.

- Quindi siamo allo stesso punto di prima quando consumavamo l'altra metà. Non c'è differenza: abbiamo sempre lo stesso quantitativo di petrolo. Quindi, qual'è il problema?

- Sa, professore, devo dire che la sua logica mi scombussola, ma devo confessare che tutto questo mi lascia un po' confuso.

- Si, capisco. La matematica che sta dietro a questi risultati è molto complicata. Ma il risultato finale è semplice: avremo sempre petrolio e ne possiamo sempre produrre vogliamo. C'è solo il piccolo problema che bisogna investire di più via via che ne resta di meno.

 - Ma questo non vuol dire che dovremo pagare il petrolio sempre di più?

- Si, c'è questo piccolo inconveniente.

- Capisco..... Professore, qualcosa mi ha fatto tornare in mente quel contratto che lei ha ricevuto da una compagnia petrolifera. Ci potrebbe dire quanti soldi ha ricevuto?

- Spiacente, non posso rivelare questo dato.

- Grazie mille al professor Bardi per essere stato con noi oggi a Radio Ronkonkoma, New York. Adesso, pubblicità.  





Se vi incuriosisce il perché del nome "Radio Ronkonkoma", è un posto che esiste per davvero e abitavo non lontano da lì negli anni 1970



lunedì 31 marzo 2014

Petrolio: soltanto gli scisti impediscono il declino della produzione, ma per quanto tempo ancora?

Da "Resilience.org" by Matt Mushalik, originally published by Crude Oil Peak. Traduzione di MR


Ignorato dai media, il petrolio di scisto americano è l'unico fattore in grado di compensare un recente declino della produzione di petrolio greggio di 1,5 mb/g nel resto del mondo (usando i dati di ottobre 2013). Ciò significa che senza il petrolio di scisto americano il mondo si troverebbe in una profonda crisi petrolifera simile alla fase di declino del 2006-2007, quando i prezzi del petrolio sono saliti. Il declino proviene da molti paesi, ma è anche causato dalle lotte per il petrolio ed altri problemi ad esso collegati in Iran, Libia ed altri paesi che possono essere visti in televisione quotidianamente.

Fig 1: Produzione incrementale di petrolio greggio mondiale a ottobre 2013

La produzione incrementale di ogni paese viene calcolata come la differenza fra la produzione totale e la produzione minima fra il gennaio 2001 e l'ottobre 2013. La somma dei minimi è la produzione di base. I paesi che hanno avuto cambiamenti sostanziali nella produzione appaiono come grandi aree nel grafico. La Russia ha fornito – in modo piuttosto affidabile – il più grande aumento e il Mare del Nord (Regno Unito e Norvegia) hanno avuto le perdite maggiori. I paesi che si caratterizzano di più sono il Venezuela (bassa produzione nel 2003 a causa dello sciopero), Iraq (bassa produzione in aprile 2003 durante la guerra), Libia (guerra nel 2011), Iran (sanzioni) e Arabia Saudita (aumento di produzione dal 2002 e cambio di ruolo).

La produzione comincia dal basso come segue:

(1) paesi con produzione in aumento: Kazakistan (di recente piatta), Russia (solo 100.000 b/g in più l'anno scorso), Colombia (+60.000 b/g), Cina (di recente piatta) e Canada (+200.000 b/g di syncrude da sabbie bituminose).

(2) paesi piatti o in declino come Regno Unito e Norvegia

(3) paesi che di recente hanno raggiunto il picco: Brasile ed Azerbaigian
I gruppi da (1) a (3) hanno raggiunto il picco nel novembre 2011 (linea tratteggiata) e la loro produzione è declinata di 1,3 mb/g da allora

(4) paesi OPEC con Iraq, Arabia Saudita, Iran e Libia

(5) Stati Uniti in cima per vedere l'impatto del petrolio di scisto

Fig 2: Il petrolio di scisto maschera il recente declino nel resto del mondo

Il mondo senza petrolio di scisto ha declinato dopo un recente picco nel febbraio 2012 ad una media di 73,4 mb/g nel 2013, incidentalmente la stessa media vista per l'intero periodo dal 2005, quando la produzione di greggio era di 73,6 mb/g.


Fig 3: Produzione annuale di petrolio greggio e di petrolio di scisto americano rispetto alle proiezioni del WEO della IEA

Il resto del mondo continua su un plateau accidentato di produzione. Le proiezioni della domanda e dell'offerta di petrolio della IEA del 2004 e del 2008 non si sono materializzate. Solo il WEO del 2010 ci è andato vicino, ma solo a causa del petrolio di scisto americano per il quale non era stato previsto un aumento come quello poi osservato. Diamo uno sguardo agli attori principali nella parte alta della Fig 1.


Fig 4: Produzione incrementale di greggio di Iraq, Iran, Libia, Arabia Saudita e Stati Uniti

Possiamo vedere che l'Arabia Saudita ha declinato nel 2006-2007 (prezzi su), pompato di più nell'anno del picco olimpico del 2008 (ma non abbastanza e i prezzi sono andati alle stelle), è servita da produttore di riserva durante la crisi finanziaria del 2009 ed è entrata in gioco (tardivamente) quando la guerra in Libia è iniziata e ha continuato a pompare a livelli record quando sono partite le sanzioni contro l'Iraq. Il petrolio di scisto americano non ha fatto scendere i prezzi in modo sostanziale e sicuramente gli Stati Uniti non agiscono da produttori di riserva. Gran parte dei produttori di petrolio di scisto andrebbero in amministrazione controllata se smettessero di pompare. L'Arabia Saudita apparentemente cerca di compensare le perdite della produzione libica ed iraniana, ma non sembra ridurre la produzione di greggio per compensare il petrolio di scisto americano. L'Iraq dovrà tornare al sistema di quote del OPEC. Sarà interessante vedere a che livello di produzione ci si accorderà e se l'Iraq vi aderirà. In ogni caso, tutti i produttori di petrolio ME devono equilibrare i loro bilanci come evidenziato in questo post: 14/8/2013 il pareggio di bilancio del prezzo medio del petrolio del OPEC aumenta del 7% nel 2013 http://crudeoilpeak.info/opec-fiscal-breakeven-oil-price-increases-7-in-2013


Fig 5: Il solo Medio Oriente

Il declino in Siria e Yemen è stato compensato dagli aumenti in Kuwait, Emirati Arabi uniti e Qatar. L'Iraq non è riuscito a compensare i cali di produzione dell'Iran. 

Russia ed ex Unione Sovietica


Fig 6: Eurasia

Paesi dell'ex Unione Sovietica: l'Azerbaigian declina di 50.000 b/g dopo il proprio picco nel 2010. Il Kazakistan è piatto dal 2010.


Fig 7: La crescita della produzione russa di petrolio greggio sta rallentando

La Russia, che ora produce circa 10 mb/g, sta ancora crescendo di circa 100.000 b/g ma questo tasso di crescita sta rallentando dagli anni 2010 e 2012. Il WEO della IEA del 2013 scrive: “La produzione di petrolio in Russia si sta avvicinando ai livelli record dell'era sovietica, ma mantenere questa tendenza sarà difficile, data la necessità di combattere i declini dei giacimenti giganteschi della Siberia occidentale che attualmente producono la maggior parte del petrolio del paese”. http://www.worldenergyoutlook.org/publications/weo-2013/

Europa


Fig 8: Il Mare del Nord è in pieno declino

Africa


Fig 9: Produzione incrementale in Africa

Indipendentemente da quanto accade in Libia, l'Africa ha raggiunto il picco.

America Latina


Fig 10:  America Latina

Il Brasile sembra aver raggiunto il picco mentre la Colombia ha lentamente aumentato la produzione di petrolio pesante. I dati del Venezuela sembrano sostenuti in quanto non sono stati aggiornati dal gennaio 2011.

Riassunto

Dalla fine del 2010, il gruppo di paesi ancora in crescita  (+1.2 mb/g) non può compensare il declino altrove (-2.4 mb/g), dando un declino risultante di 1,2 mb/g o 400.000 b/g per anno. Questo è un declino determinato principalmente geologicamente. L'OPEC, che di solito invitava a fornire la differenza fra domanda e produzione non OPEC, ha avuto i suoi problemi (anelli di retroazione geopolitici causati dalla produzione di petrolio al picco) e non è stata in grado di riempire il vuoto. Il petrolio greggio globale senza il petrolio di scisto americano è diminuito di 1,5 mb/g dal suo picco più recente nel febbraio 2012. 

Conclusione:

Mentre i media mainstream cullano il pubblico facendogli credere il petrolio di scisto americano sia una rivoluzione, il picco del petrolio in molti paesi si mangia come un cancro il sistema di fornitura petrolifera. Il grande problema è che vengono costruite infrastrutture dipendenti dal petrolio che non saranno necessarie quando il petrolio di scisto americano raggiungerà il picco e rivelerà il declino sottostante.




Benessere o Sviluppo? Un convegno a Martina Franca







Il convegno "Quali risorse per quale Benessere" questo convegno che si terrà a Martina Franca il 22/23 Maggio, organizzato dal consorzio "Costellazione Apulia". Si preannuncia come una cosa molto interessante. Per maggiori informazioni:

http://www.colloquidimartinafranca.it/

 
“L’era dello sviluppo … prevede … una sola direzione verso cui tenderebbero tutti i popoli …

… l’idea di sviluppo ci ha indotti a credere che non potessero esistere alternative, che non ci fossero vie d’uscita, che non ci fossero strade verso economie o società meno economicistiche, verso sistemi diversamente organizzati, verso culture con preferenze e scale di valori diverse, verso un futuro diverso da quello perseguito dalle nazioni dominanti.”
(Wolfgang Sachs)

I Colloqui di Martina Franca per 

·        mettere in discussione l’inerzia dei vecchi e consolidati modelli di produzione e consumo;
·        combattere la rassegnazione al declino;
·        immaginare e realizzare forme di imprenditoria, di consenso politico, di ben-vivere, disancorate dall’attuale modello di crescita e sviluppo.

domenica 30 marzo 2014

Super El Niño in arrivo? Possibili aumenti record della temperatura globale.

Da “Climate Progress”. Traduzione di MR

Di Joe Romm


Grafico delle temperature globali dal 1950, che mostra anche la fase del ciclo El Niño- La Niña. Via NASA.


Visualizzazione de El Niño (via NOAA)
I segnali indicano sempre di più alla formazione di un El Niño nei prossimi mesi, probabilmente uno molto forte. Se combinato con una tendenza a lungo termine di riscaldamento globale, un forte El Niño significherebbe che il 2015 è molto probabile che diventi l'anno più caldo mai registrato finora. Un El Niño è “caratterizzato da temperature oceaniche insolitamente alte nel Pacifico Equatoriale”, come spiega il NOAA. Questo contrasta con le temperature insolitamente basse nel Pacifico Equatoriale durante La Niña. Entrambi sono associati a meteo estremo in tutto il globo. Ma come mostra il grafico della NASA sopra, quelli de El Niño sono generalmente gli anni più caldi registrati, visto che il riscaldamento regionale si aggiunge alla sottostante tendenza del  riscaldamento globale. Gli anni de La Niña tendono ad essere al di sotto della linea di tendenza del riscaldamento globale.

Siccome nel 1998 c'è stato un “super El Niño” inusualmente forte, e siccome non abbiamo avuto un El Niño dal 2010, può sembrare che il riscaldamento globale abbia rallentato – se selezioniamo un anno di avvio relativamente recente. Ma di fatto diversi studi recenti hanno confermato che il riscaldamento planetario continua a ritmo sostenuto ovunque si guardi. Ricordiamo che nel 2010, con un El Niño moderato, è l'anno più caldo mai registrato finora. E il 2010 ha visto segnare il record sbalorditivo di temperature massime in ben 20 paesi, compresa “la temperatura più alta misurata in modo affidabile che l'Asia abbia mai registrato, i notevoli 53,5°C in Pakistan nel maggio 2010”. Il meteorologo dottor Jeff Masters ha detto che il 2010 è stato “l'anno più straordinario del pianeta per il meteo estremo da quando vengono registrati dati affidabili dell'alta atmosfera nei tardi anni 40”.

Dato che il “Tasso di riscaldamento del riscaldamento globale è di 400.000 bombe di Hiroshima al giorno”, il pianeta è mezzo miliardo di bombe di Hiroshima più caldo di quanto non fosse nel 2010. Quindi anche un El Niño moderato causerà temperature record e estremi meteo. Ma uno forte, per non parlare di un super El Niño, dovrebbe stracciare ogni record. La commissione ufficiale peruviana su El Niño, la scorsa settimana ha detto che si aspettano che un El Niño cominci per aprile. Il Perù traccia da vicino il fenomeno perché “El Nino minaccia di colpire l'industria della farina di pesce spaventando i banchi di acciughe di acqua fredda”. Per essere chiari, un El Niño non è una cosa sicura a questo punto. Alcuni previsori danno circa il 60% delle possibilità, ma uno studio recente da il 75% delle possibilità. Andrew Freedman di Mashable (ex di Climate Central) riporta che “alcuni scienziati pensano che questo evento possa rivaleggiare con il record dell'evento de  El Niño del 1997-1998”. Cita il professore di meteorologia Paul Roundy:

Roundy ha detto che le possibilità di un evento de El Niño insolitamente forte “sono molto più alte della media, è difficile dare una qualche probabilità di questo... ho suggerito circa un 80%”

“Le condizioni dell'Oceano Pacifico ora favorevoli ad un grande evento come lo erano nel 1997. Questa non è una garanzia importante che un grande evento si sviluppi, ma chiaramente aumenta la probabilità che un grande evento avvenga”, dice Roundy.

L'Oscillazione Meridionale de El Niño (El Niño Southern Oscillation - ENSO) non cambia la tendenza generale al riscaldamento, ma è una modulazione a breve termine; quello che la NASA definisce come il più grande contributo alla “variabilità dinamica naturale” del sistema climatico. El Niño e La Niña sono tipicamente definite come anomalie sostenute della temperatura di superficie del mare (positive o negative rispettivamente) maggiori di 0,5°C lungo l'Oceano Pacifico centrale tropicale. Potete leggere i fondamentali su ENSO qui. Un indicatore chiave de El Niño è il rapido aumento delle temperature di superficie dell'oceano nel Pacifico centrale e orientale – proprio ciò che il NOAA ha riportato lunedì:


Dalla fine di gennaio le anomalie di temperatura sono fortemente aumentate

Il meteorologo Michael Ventrice ha fatto un'analisi dettagliata alla fine di febbraio qui sul perché un tale riscaldamento è significativo. Per il drogati de El Niño, il Centro Nazionale per le Previsioni Ambientali (National Centers for Environmental Prediction - NCEP) del NOAA pubblica un rapporto settimanale su ENSO tutti i lunedì qui. E i super drogati possono andare alla pagina ENSO dell'Ufficio di Meteorologia del governo australiano (aggiornato ogni secondo giovedì), che mette in grafico un altro indicatore chiave de El Niño, l'Indice dell'Oscillazione Meridionale (Southern Oscillation Index - SOI). Per il SOI, “valori sostenuti negativi al di sotto di -8 possono indicare un evento El Niño”. L'ultimo valore SOI di 30 giorni (fino al 23 marzo) è di -12,6. La previsione media d'insieme del Sistema di Previsione Climatica (Climate Forecast System - CFS) del NCEP per un El Niño all'inizio dell'estate sta alla fine diventando molto forte: 


Quando El Niño si forma e poi raggiunge il picco è cruciale per sapere se sarà il 2014 o il 2015 (o entrambi!) l'anno più caldo mai registrato. Uno studio della NASA del 2010 ha scoperto che “la correlazione del periodo di 12 mesi della temperatura globale e l'indice de El Niño a 3,4 è massimo con la temperatura globale che ritarda l'indice de El Niño di 4 mesi”. Se avremo un El Niño, e sembra che sia in  tutto come quello del 1997-1998, allora il 2015 in particolare dovrebbe essere l'anno più caldo mai registrato finora. Restate sintonizzati. 

sabato 29 marzo 2014

Il grafico più importante del mondo

Da “Zero Hedge”. Traduzione di MR.

Di Tyler Durden

Avendo discusso i collegamenti fra crescita economica e limiti delle risorse energetiche e con gli attuali fuochi d'artificio geopolitici in gran parte per l'energia (costo, fornitura e domanda) piuttosto che per i diritti umani, sembrerebbe che il grafico seguente potrebbe ben diventare l'indicatore più importante delle tensioni future...

Fonte: Goldman Sachs

Non è la prima volta che parliamo di "autosufficienza" -  nientemeno che Bridgewater's Ray Dalio, ha osservato, in un contesto leggermente diverso:

l'autosufficienza incoraggia la produttività legando la capacità di spesa con la necessità di produrre”, 

Le società in cui gli individui sono più responsabili per sé stessi crescono di più di quelle in cui sono meno responsabili per sé stessi”. L'indicatore a fattore nove dell'autosufficienza fornisce alcuni spunti interessanti su quelle nazioni che è più probabile che sperimentino una crescita sopra la media che prosegue e quelle che non lo faranno, come i paesi europei, cioè Italia, Francia, Spagna e Belgio, tutti posizionati molto in basso nella classifica dell'autosufficienza. 


La capacità di sopravvivere senza scambio o aiuto da parte di altre nazioni, per esempio, non è la stessa cosa raccogliere enormi profitti o far crescere la propria economia senza scambi con altre nazioni. In altre parole, “l'autosufficienza” in termini di sopravvivenza non implica necessariamente la prosperità, ma implica libertà di azione senza dipendenza dall'approvazione, il capitale, le risorse e la competenza stranieri.

La libertà di azione fornita dall'indipendenza/autarchia implica anche una riduzione centrale della vulnerabilità al controllo straniero del costo e/o della disponibilità di beni essenziali come cibo ed energia, e il potere risultante dei fornitori di ricattare o influenzare le priorità nazionali e le politiche. 
...

Considerate il petrolio/combustibili fossili come esempio. Le nazioni benedette da grandi riserve di combustibili fossili sono autosufficienti in termini di consumo interno, ma il valore delle loro risorse sul mercato internazionale porta generalmente alla dipendenza dall'esportazione di petrolio/gas per finanziare il governo, le élite politiche e il welfare generale. Questa dipendenza dai proventi derivati dall'esportazione di petrolio/gas porta a ciò che è conosciuta come la maledizione delle risorse. Il resto delle economie delle nazioni esportatrici di petrolio appassisce in quanto il capitale e il favoritismo politico si concentrano sui proventi dell'esportazione di petrolio e questa distorsione dell'ordine politico porta a clientelismo, corruzione e cattiva distribuzione della ricchezza nazionale su una scala così vasta che le nazioni che soffrono di abbondanza di risorse commerciabili spesso declinano nella povertà e nell'instabilità. 

L'altra strada per l'autarchia è quella di selezionare e finanziare politiche progettate per aumentare direttamente l'autosufficienza. Un esempio potrebbe essere il perseguimento da parte della Germania dell'energia alternativa attraverso delle politiche di stato come i sussidi. 

Che quell'autarchia guidata dalla politica richieda compromessi è evidente nel relativo successo della Germania nell'aumentare la produzione di energia alternativa; i sussidi che hanno incentivato la produzione di energia alternativa ora vengono visti come più costosi dei presunti guadagni in autosufficienza, in quanto la generazione da combustibili fossili è ancora necessaria come riserva per la fluttuante produzione di energia alternativa. 

Anche se la dipendenza dall'energia straniera è stata diminuita, la Germania rimane completamente dipendente dai suoi fornitori stranieri di energia e siccome i costi di quell'energia aumentano, la posizione della Germania come potenza industriale competitiva è minacciata: la produzione industriali si sta spostando dalla Germania verso zone con minori costi energetici, compresi gli Stati Uniti

L'aumento della produzione interna di energia è stata pensata per ridurre la vulnerabilità implicita nella dipendenza da fornitori energetici stranieri, tuttavia l'aumento della produzione interna di energia non ha ancora raggiunto la soglia critica in cui la vulnerabilità agli shock dei prezzi si sia ridotta in maniera significativa. 
...

La capacità dell'America di proiettare potenza e mantenere la propria libertà di azione presuppone sia una rete di alleanze diplomatiche, militari ed economiche, sia rapporti di scambio che hanno alimentato (non per coincidenza) i profitti senza precedenti delle multinazionali americane.

Il passato recente ha creato un assunto secondo il quale gli Stati Uniti possono soltanto prosperare se importano petrolio, beni e servizi su grande scala.



Gli scienziati del clima: Noi siamo preoccupati. Ecco perché dovreste esserlo anche voi.

Da “Climate Progress”. Traduzione di MR

Di Joe Romm

Questa settimana, la più grande società scientifica generale, L'Associazione Americana per il Progresso della Scienza, ha pubblicato un appello insolitamente schietto per agire rispetto al cambiamento climatico. Il nuovo rapporto da leggere del Gruppo Scientifico per il Clima della AAAS, “Ciò che sappiamo” ha diversi messaggi semplici:
Siamo sicuri che gli esseri umani sono responsabili del cambiamento climatico più recente quanto lo siamo del fatto che le sigarette uccidono:

Gli scienziati del clima concordano: il cambiamento climatico sta avvenendo qui ed ora. Sulla base di prove ben fondate, circa il 97% degli scienziati climatici hanno concluso che il cambiamento climatico antropogenico sta avvenendo...
La scienza che collega le attività umane al cambiamento climatico è simile alla scienza che collega il fumo alle malattie polmonari e cardiovascolari. Fisici, scienziati cardiovascolari, esperti di salute pubblica ed altri concordano che fumare provochi il cancro. E questo consenso all'interno della comunità medica ha convinto gran parte degli americani che i rischi per la salute che provengono dal fumo sono reali. Un consenso analogo ora esiste fra gli scienziati del clima, un consenso che sostiene che il cambiamento climatico sta avvenendo e che l'attività umana ne è la causa.

Che tipo di cambiamento sta già avvenendo?

La temperatura media globale è aumentata di circa 0,8°C negli ultimi 100 anni. Il livello del mare sta salendo ed alcuni tipi di eventi estremi – come ondate di calore ed eventi di forti precipitazioni – stanno avvenendo più di frequente. Le recenti scoperte scientifiche indicano che è probabile che il cambiamento climatico sia responsabile di molti di questi eventi degli ultimi anni.
 
Qual è il pericolo dell'inazione continuata?

Siamo a rischio di spingere il nostro sistema climatico verso cambiamenti repentini, imprevedibili e potenzialmente irreversibili con impatti altamente dannosi....
Possiamo pensare a ciò come ad una improvvisa frenata climatica e una sterzata mancata in cui il problema e le sue conseguenze non sono più cose che possiamo controllare. In termini climatici, cambiamento repentino significa cambiamento che avviene in periodi di decenni o persino di anni.

Dobbiamo agire adesso?

Prima agiamo, più basso sarà il rischio ed il costo. E c'è molto che possiamo fare. Aspettare per agire aumenterà inevitabilmente i costi, il rischio e precluderà delle opzioni per affrontare il rischio. Il CO2 che produciamo si accumula nell'atmosfera della Terra per decenni, per secoli e anche di più. Non è come l'inquinamento da smog e da rifiuti nei nostri laghi e fiumi, dove i livelli rispondono rapidamente agli effetti di politiche mirate.

Quando è stato chiesto in conferenza stampa il perché l'AAAS abbia sentito il bisogno di fornire al pubblico e ai decisori politici l'ennesimo rapporto, il dottor Dr. James McCarthy, professore di oceanografia ad Harvard ed ex presidente di AAAS, ha detto “Il pubblico è stato disinformato da una colossale campagna di disinformazione”. Gli scienziati devono esprimersi con forza e spesso, perché il tema è troppo importante da lasciare in mano ai disinformatori. MacCarthy ha anche espresso un punto che mi è sembrato un punto chiave:

Il concetto di rischio – il rischio dell'inazione – è una cosa che non è stata realmente enfatizzata. E si deve pensare che 20 o 10 anni fa – ciò che abbiamo immaginato 20 anni fa sulla perdita di ghiaccio marino artico – non si pensava che fosse qualcosa che avrebbe destato preoccupazione in questo secolo. Dieci anni dopo, circa nel 2000, sapevamo di essere su una traiettoria che non poteva essere prevista. Dieci anni fa, in quello stesso periodo, non si era pensato che la Groenlandia avrebbe perso ghiaccio drammaticamente nei prossimi decenni, ma nel giro di pochi anni ci siamo resi conto che questo era sbagliato.

Troppi rapporti climatici omettono di concentrarsi su quale sia il rischio dell'inazione. Ma questo no. Alla conferenza includeva era presente anche il dottor Robert Litterman, Senior Partner e Presidente del Comitato di Rischio di Kepos Capital. Litterman ha detto:

Il problema nello stimare l'incentivo appropriato è più che altro il rischio. In altre parole, i risultati attesi sono stati la determinante dominante di ciò che sono state quelle stime in passato. Non sono sicuro se si è preso adeguatamente in considerazione la potenzialità che le cose siano peggiori del previsto. Si deve davvero pensare agli scenari peggiori quando si pensa alla gestione del rischio. Quando c'è un problema di gestione del rischio, pensare allo scenario peggiore non è allarmismo – è solo parte del lavoro. E quegli scenari peggiori sono parte di ciò che guida i prezzi.

Questo è il punto chiave che è stato posto anche dall'economista di Harvard Martin Weitzman, che ha spiegato che le analisi costi-benefici del clima sono “insolitamente fuorvianti”, avvertendo i suoi colleghi che “potremmo illudere noi stessi a e gli altri”. Nel caso del cambiamento climatico lo scenario peggiore è la fine della civiltà moderna per come la conosciamo, un mondo post 2050 che ha una capacità di carico considerevolmente al di sotto dei 9 miliardi di persone – e che continua a declinare decennio dopo decennio. Tuttavia è del tutto certo che raggiungeremo questo scenario peggiore se continuiamo meramente sul nostro percorso business as usual di inazione climatica per pochi decenni ancora. Questo è il perché dobbiamo pagare qualsiasi prezzo a sopportare qualsiasi fardello per evitare lo scenario peggiore. Questo rapporto è un buon antidoto per i non scienziati che dichiarano che il riscaldamento globale non rende il meteo più estremo e distruttivo:

Il riscaldamento globale ha cambiato gli schemi delle precipitazioni in tutto il mondo. Le alluvioni nella metà settentrionale degli Stati Uniti orientali, sulle Grandi Pianure e su gran parte del Midwest, sono aumentate, specialmente durante gli ultimi decenni. Queste tendenza delle alluvioni regionali nel nord est e nella parte settentrionale del Midewest sono collegate agli aumenti di precipitazione estrema e sono coerenti con le tendenze globali alimentate dal cambiamento climatico. Allo stesso tempo, aree come il sud est degli Stati Uniti stanno vivendo più siccità e anche queste sono coerenti con gli schemi globali di cambiamento climatico previste dai modelli come conseguenza dell'aumento dei livelli di CO2. Dal 185, le ondate di calore sono diventate più lunghe e più frequenti. Uno studio indica che l'area globale colpita dalle temperature estive estremamente calde è aumentata di 50 volte e l'impronta digitale del riscaldamento globale è stata fermamente identificata in queste tendenze. Negli Stati Uniti, le nuove temperature massime record ora superano regolarmente quelle minime di un rapporto 2:1. Il cambiamento climatico ha amplificato la minaccia di incendi in molti luoghi. Negli Stato Uniti occidentali, sia l'area bruciata dagli incendi sia la durata della stagione degli incendi stessi sono aumentati sostanzialmente negli ultimi decenni. Fusione del ghiaccio primaverile anticipata ed alte temperature primaverili ed estive contribuiscono a questo cambiamento. Il cambiamento climatico ha aumentato la minaccia dei “mega-incendi” - grandi incendi che bruciano grandi aree in proporzione. Il riscaldamento ha anche portato alla presenza di incendi in regioni dov'erano stati assenti nella storia recente.

Complimenti al AAAS per questo rapporto. Si sono uniti all'Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti ed alla Royal Society del Regno Unito per produrre un rapporto climatico nuovo e ben leggibile, anche se l'AAAS ha fatto un lavoro migliore nell'illustrare senza mezzi termini i rischi. La linea di fondo: se un organo generalmente compassato e orientato al consenso come l'AAAS è allarmato, allora dovremmo esserlo anche tutti noi. Come ha spiegato nel 2010 il climatologo Lonnie Thompson:

I climatologi, come gli altri scienziati, tendono ad essere un gruppo ottuso. Non ci è dato abbandonarci a farneticazioni teatrali sulla caduta dei cieli. Gran parte di noi è di gran lunga a proprio agio nel proprio laboratorio o a raccogliere dati sul campo rispetto a rilasciare interviste ai giornalisti o a parlare di fronte ai comitati del Congresso. Allora perché i climatologi si pronunciano sui pericoli del riscaldamento globale? La risposta è che praticamente ognuno di noi ora è convinto che il riscaldamento globale pone un pericolo chiaro e reale alla civiltà.