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martedì 29 dicembre 2015

La crescita inesorabile della popolazione umana

Da “The Independent”. Traduzione di MR (via Population Matters)

Anche una guerra mondiale o una pandemia darebbero come risultato una popolazione di perlomeno 5 miliardi di persone nel 2100

Di Steve Connor


Attualmente ci sono circa 7,1 miliardi di persone (qui il numero reale aggiornato momento per momento, ndt)  sulla Terra e i demografi stimano che questo numero potrebbe salire a circa 9 miliardi nel 2050. (Getty) 

La popolazione globale umana è “bloccata” ad un aumento inesorabile in questo secolo e non sarà facilmente spostata, nemmeno da eventi apocalittici come una terza guerra mondiale o pandemia letale, ha scoperto uno studio. Non ci sono “soluzioni facili” alla bomba a orologeria della popolazione, perché ora ci sono così tante persone che nemmeno un disastro globale inimmaginabile fermerà la crescita, hanno concluso gli scienziati.

Anche se le misure progettate per ridurre la fertilità umana nelle parti del mondo in cui la crescita della popolazione è più veloce alla fine avranno impatti a lungo termine sui numeri, questo deve andare a braccetto con politiche mirate a ridurre il consumo di risorse naturali, hanno detto. Due importanti ecologisti, che di solito studiano le popolazioni di animali selvaggi, hanno concluso che il numero di persone nel mondo oggi costituirà uno dei problemi più scoraggianti per una vita sostenibile sul pianeta nel secolo a venire – anche se ogni paese adottasse la politica draconiana del “figlio unico”.

“L'inesorabile spinta demografica della popolazione umana globale sta rapidamente erodendo il sistema di supporto vitale della Terra”, dicono il professor Corey Bradshaw dell'Università di Adelaide e il professor Barry Brook dell'Università della Tasmania nel loro studio, pubblicato negli Atti dell'Accademia Nazionale delle Scienze. “Ipotizzando una continuazione delle attuali tendenze nella riduzione della mortalità, anche una rapida transizione ad una politica mondiale del figlio unico porta ad una popolazione analoga a quella di oggi nel 2100”, dicono. “Persino un evento catastrofico di morte di massa di  due miliardi di persone in una finestra ipotetica a metà del XXI secolo darebbe ancora circa 8 miliardi di persone per il 2100”, aggiungono.

Attualmente ci sono circa 7,1 miliardi di persone sulla Terra e i demografi stimano che questo numero possa aumentare a circa 9 miliardi per il 2050 – e a 25 miliardi per il 2100, anche se questo si basa sugli attuali tassi di fertilità, che sono attesi in diminuzione nei prossimi decenni.


Il numero di persone nel mondo oggi costituirà uno dei problemi più scoraggianti per una vita sostenibile sul pianeta nel secolo a venire. (Getty)

Il professor Bradshaw ha detto al The Independent che lo studio è stato progettato per guardare i numeri umani con lo sguardo di un ecologista che studia gli impatti naturali sugli animali per determinare se fattori come pandemie e guerre mondiali possano influenzare drammaticamente le proiezioni della popolazione. “Fondamentalmente abbiamo scoperto che la dimensione della popolazione umana è così grande da avere una spinta propria. E' come una macchina in accelerazione che viaggia a 150 miglia all'ora. Si può pigiare forte sui freni, ma ci vuole comunque tempo per fermarsi”, ha detto il professor Bradshaw. “la popolazione globale è aumentata così rapidamente che circa il 14% di tutti gli esseri umani che siano mai vissuti sono ancora vivi oggi – questo è un dato statistico che fa pensare”, ha detto.


“Abbiamo esaminato vari scenari di cambiamento della popolazione umana globale fino al 2100 adattando i tassi di fertilità e di morte per determinare la gamma plausibile di dimensioni della popolazione alla fine del secolo. “Persino una politica mondiale del figlio unico come quella della Cina, implementata durante il secolo a venire, o eventi di mortalità catastrofica come un conflitto globale o una pandemia, risulterebbero comunque probabilmente in una popolazione dai 5 ai 10 miliardi di persone per il 2100”, ha aggiunto.

I ricercatori hanno ideato nove diversi scenari che potrebbero influenzare i numeri umani in questo secolo, che vanno dal “business as usual” con gli attuali tassi di fertilità ad un improbabile politica di un figlio per famiglia in tutto il mondo, a catastrofi su scala globale in cui muoiono miliardi di persone. “Siamo rimasti sorpresi che uno scenario di cinque anni di Terza Guerra Mondiale che imitano la stessa proporzione di persone uccise nella Prima Guerra Mondiale e nella Seconda Guerra Mondiale insieme abbiano registrato a malapena un sussulto sulla traiettoria della popolazione umana di questo secolo”, ha detto il professor Brook.

Le misure per controllare la fertilità attraverso le politiche di pianificazione familiare alla fine avranno un impatto sulla riduzione della pressione sulle risorse limitate, ma non immediatamente, ha detto. “I nostri bis-bis-bis-bis-bisnipoti potrebbero alla fine beneficiare di una tale pianificazione, ma le persone che vivono oggi no”, ha detto il professor Brook. Simon Ross, il dirigente esecutivo della Onlus Population Matters, ha detto che introducendo la moderna pianificazione famigliare nel mondo in via di sviluppo costa meno di 4 miliardi di dollari – circa un terzo del bilancio di aiuti annuale del Regno Unito. “Così, mentre la riduzione della fertilità non è una soluzione rapida, è relativamente conveniente, affidabile e popolare per i più, con effetti collaterali generalmente positivi. Diamo il benvenuto al riconoscimento del potenziale della pianificazione famigliare e dell'educazione riproduttiva per alleviare la disponibilità di risorse sul lungo termine”, ha detto il signor Ross.

sabato 26 settembre 2015

La Risultante

Guest post di Gianni Tiziano




Immaginiamo un grande prato, con l'erba bassa.

Al suo centro, una donna, in piedi.

Alla sua vita, una cintura.

A questa cintura, lungo tutta la sua circonferenza, sono attaccate tante corde colorate di varia lunghezza, al cui capo sono altre donne, disposte a formare un cerchio, che tirano.

Ogni donna che tira ha forza diversa dalle altre donne.

La donna al centro si sposterà in una direzione che sarà determinata dalle varie forze nelle varie direzioni applicate alla sua cintura, supponendo che lei non opponga forza propria alcuna.

Questa è la RISULTANTE.
.----
Sostituiamo la donna con la mente di un singolo essere umano, uno dei 7 miliardi e 300 milioni che popolano il pianeta Terra.

La sua mente prenderà le convinzioni e le decisioni come risultante di tutte le forze applicate ad essa.

Tali forze sono soggettive in ogni individuo, e possono essere:

.- la fame
.- la sete
.- l'amore per i figli
.- il bisogno di soldi
.- il bisogno di lavorare
.- il bisogno di una casa
.- la voglia di divertimento
.- la voglia di stare sereni
.- le credenze derivanti dalla religione
.- le credenze derivanti dall'istruzione ricevuta da scuola e genitori
.- le credenze derivanti da letture di libri, visione di documentari e film, partecipazione a dibattiti e seminari, a blog
.- eccetera

I divulgatori del problema del Cambiamento Climatico (scienziati ed altri), applicano poca forza sulla mente della maggioranza dei singoli individui.

La Stampa e la Televisione potrebbero avere grandissima forza divulgativa circa i pericoli derivanti dal Cambiamento Climatico, ma la mente di chi ci lavora ha delle forze che l' inducono a non occuparsene.


La politica tende a non occuparsene perchè è un argomento scomodo da trattare e a quasi tutti i personaggi politici interessa altro (secondo me si salva un solo movimento, in Italia).

Allora ?

Col BAU (Business As Usual, Sistema Vigente), ci siamo infilati in un vicolo cieco alla fine del quale c'è un muro terribile contro cui ci schianteremo (secondo me prima del 2100 d.C.).

Allora ?

SIAMO FREGATI.

Allora ?

martedì 7 giugno 2016

Bye bye BRICS?

Post già apparso sul blog "Crisis, What Crisis?  il 23/05/2016.


BRICS
“ BRICS ” : parola magica capace di far sognare ad un tempo sia i più fanatici sostenitori del turbo-capitalismo, sia molti che lo odiano.   Mistero dell’opinione pubblica.

 

di Jacopo Simonetta

Nascita dei BRICS


L’acronimo è nato nel 2001 nel cuore del capitalismo d’alto bordo:  nientedimeno che in casa Goldman Sachs, ad opera di Jim O'Neill, uno dei suoi uomini più brillanti.   In effetti, in origine era solo BRIC, cioè Brasile, Russia, India e Cina che, garantiva mr. O’Neill, erano i “mattoni” su cui sarebbe stata fondata l’incredibile prosperità economica del XXI secolo.   In seguito fu aggiunto il Sudafrica.  Tutti avevano gli ingredienti per vincere: grandi territori Ed una rapida crescita del PIL, oltre che della popolazione (Russia esclusa).
Ancora nel 2014 i “magnifici 5 BRICS ” avevano fatto frullare le prime pagine dei giornali economici annunciando che erano stufi dell’obsoleto e razzista Fondo Monetario Internazionale (all’interno del quale sono comunque ben  presenti).   Avrebbero quindi fondato una banca mondiale alternativa che avrebbe davvero finanziato la crescita dei paesi emergenti: la New Development Bank.   Nuova ondata di entusiasmo bi-partisan sia dei fautori che dei detrattori del BAU (Business As Usual = globalizzazione), sia pure per motivi opposti.
Qualche scettico cronico, tipo il sottoscritto, sostenne che dietro lo smalto si vedevano già delle belle crepe in tutti e cinque i BRICS, ma nessun commentatore di rilievo, che io sappia, fece osservazioni analoghe.   In fondo siamo comunque umani e ci piace sognare.

I BRICS oggi.

A solo 15 anni dal loro battesimo in casa (o chiesa?) Goldman Sachs, che ne è dei cinque “enfant prodige” della crescita economica?   Diamogli un’occhiata.

Brasile.


crisi BRICS
Il PIL del Brasile
Nel medesimo fatidico 2014 in cui i BRICS annunciavano la loro nuova super-banca, si giocavano i mondiali di calcio in Brasile.    Mondiali destinati a passare alla storia per le spese iperboliche mai recuperate, la realizzazione di mega-stadi, alcuni dei quali subito abbandonati, e per le sommosse popolari contro tutto questo.    N.B.:  Sommosse contro il campionato di pallone in Brasile!

E per colmo di sventura, vinse la Germania.
Di per sé tutto ciò sarebbe trascurabile, ma qui ci interessa perché era un sintomo evidente di quello che stava per accadere: la peggiore recessione della storia brasiliana, il caos politico con il Presidente sotto processo, le alte sfere travolte dagli scandali ed in arrivo le olimpiadi più disastrate e disastrose della storia.   Per non farsi mancare nulla, siccità ed incendi stanno mettendo in ginocchio la rete elettrica nazionale e, di conseguenza, buona parte dell’industria.   Mentre San Paolo (la città più grande del l’emisfero australe) sta restando a corto di acqua.  Davvero Zika è l’ultimo dei loro problemi.

Russia

Crisi BRICS - svalutazione rublo
Svalutazione del Rublo
Già di partenza era una presenza anomala.   Gli altri erano infatti “Paesi emergenti” e ruggenti (nel 2001), mentre la Russia era una super potenza sconfitta che aveva faticosamente recuperato un equilibrio e rimesso in piedi un’economia.   Soprattutto basandosi sull’esportazione di energia: petrolio sul mercato globale e gas su quello europeo.   In pratica quindi, un fornitore di materia prima per l’eventuale sviluppo altrui.    Non era un gran che, ma era il meglio che si  potesse fare e Putin lo aveva fatto, fermando il completo collasso del paese scatenato dalla sconfitta, ma soprattutto dalla disastrosa gestione del governo Eltsin.

Il problema è che non appena sono entrate in crisi le economie clienti, la Russia si è trovata di colpo con le spalle al muro.   Né la prospettiva di uno sviluppo delle forniture verso la Cina pare avere molte prospettive, sia per i tempi e gli investimenti necessari, sia per la crisi che nel frattempo ha raggiunto la Cina.   Anche in questo caso, il disastro ambientale contribuisce.  Molti tratti dei previsti metanodotti e delle strade di servizio dovrebbero infatti appoggiare sul permafrost che si sta sciogliendo. Certo la Russia rimane la seconda forza armata a livello planetario e, di conseguenza, un attore politico di primo piano.   Ma le prospettive economiche rimangono quanto mai fosche.

India

siccità in india
Siccità in India
Per l’India, i dati ufficiali parlano di una crescita economica intorno al 7% ma intanto calore estremo e siccità stanno letteralmente distruggendo buona parte del paese.   La gente fugge in città per sopravvivere e per rifornire d'acqua le città si finiscono di prosciugare le campagne, i fiumi e le falde freatiche.  I tassi di inquinamento sono fra i più alti del mondo, con i conseguenti costi sanitari e sociali.

Più di tutto, l’India ha una popolazione di quasi 1,3 miliardi in rapida crescita (1,38%) ed un terzo della popolazione ha meno di 30 anni.   Sono impressionanti i livelli di violenza di tutti i tipi: da quella domestica e sulle donne a quella religiosa, passando per quella politica e dalla criminalità comune.   L’affermarsi di partiti nazionalisti e oltranzisti non è che un ulteriore indice di crisi strutturale e non potrà che aggravare la situazione.

Cina

Importazioni cinesi
Importazioni cinesi
E’ il pezzo forte della collezione.   Il paese più popoloso e più inquinante del mondo è adesso anche la seconda economia e la terza forza armata a livello mondiale.    Sul piano economico, i dati ufficiali proclamano una crescita fra il 6 ed il 7% negli anni peggiori, ma analizzando l’import/export (verificabile dai dati di tutti gli altri paesi) risulta evidente che non è vero.   La Cina è in recessione o, perlomeno, in stagnazione.  E si sta tirando dietro tutte le economie dell'est asiatico: dalla Corea del sud a Singapore.   Del resto, la crescente aggressività internazionale, ad esempio con le ricorrenti crisi militar-diplomatiche per il possesso di scogli inabitabili sparsi in giro, sono un indizio pesante di crisi grave.
Esportazioni cinesi
Esportazioni cinesi
Sul piano politico, il Partito Comunista continua ad avere un saldo controllo e l’opposizione pare limitata a pochi intellettuali, ambientalisti e minoranze etniche marginalizzate.  Ma i licenziamenti di massa in programma e la fine (o perlomeno il drastico rallentamento) della crescita economica potrebbero cambiare il quadro.   Così come il debito, esploso al 300% del PIL in pochi anni.    Anche i folli livelli di inquinamento, la desertificazione di vasti territori e la cronica mancanza d’acqua non mancheranno di avere effetti sul futuro del paese.

Sudafrica.

Andamento della crescita del PIL e della disoccupazione.
Andamento della crescita del PIL e della disoccupazione.
Passata la sbornia del dopo-apartheid, si cominciano a fare i conti con l’oste.   Al di la dei tecnicismi e dei trucchi contabili, la crisi cinese ha trascinato anche il Sudafrica in una crisi economica senza precedenti, assieme a tutti gli altri paesi esportatori di materie prime.  I titoli governativi e di molte imprese sono classificati “Junk” o quasi, l’inflazione galoppa ed il debito esplode.

La delinquenza aumenta, in particolare il bracconaggio che sta spazzando via buona parte della mega-fauna in questo, come in tutti gli altri paesi africani.    Ed intanto il presidente Zuma (quello dello storico accodo del 2014) è coinvolto in una serie di scandali per corruzione e simili.
A far le spese di tutto ciò, innanzitutto gli immigrati dai paesi circostanti che sono fuggiti in massa dopo una serie di attacchi xenofobi che hanno fatto diversi morti e molti feriti.

E’ la fine dei BRICS ?

Prima di sparare pronostici, è sempre bene dare un’occhiata al contesto.   E il contesto è di impatto globale contro i limiti dello sviluppo.    Una cosa di cui si parla da 40 anni, ma cui ancora molti non vogliono credere.
Se davvero la crisi attuale non è un incidente, ma l’inizio della fine del BAU, è ben difficile che 5  paesi fra i “più BAU” del mondo possano uscire dal pantano in cui si sono cacciati.   Tuttavia non si può far d’ogni erba un fascio.  Se come blocco politico-economico i BRICS sono probabilmente finiti per sempre (ammesso che siano mai esistiti!), non è affatto detto che lo siano singolarmente.   Soprattutto non in un contesto in cui l’Europa sta facendo di tutto per suicidarsi e gli USA sembrano precipitare in una voragine di stupidità.
A mio  modesto avviso, quelli messi peggio sono il Sudafrica e l’India, sia per la pressione demografica che per la rapida evoluzione del clima.  Segue il Brasile che, pur avendo una popolazione relativamente modesta rispetto al territorio, ha fatto della sistematica distruzione di questo il suo settore trainante.   Inoltre, sia il Brasile che il Sudafrica sono, fondamentalmente, fornitori della Cina.   Se questa sprofonderà li trascinerà con sé, mentre se la Cina riprenderà fiato ricomincerà a comprare, ma ciò non farà che accelerare il tasso di distruzione delle risorse ed il degrado del territorio dei suoi fornitori.
La Russia è un caso a parte.   Se sul piano strettamente economico non può far molto altro che sperare che il prezzo dell’energia torni a salire, sul piano politico ha parecchie frecce al suo arco.  Finora ne ha scoccata qualcuna giusta e qualcuna sbagliata.   Se saprà giocare bene le sue carte, potrebbe cavarsela meno peggio di altri, anche grazie alla bassa densità di popolazione (tendente alla diminuzione) ed al vasto territorio.   Anche il fatto che la maggior parte dei russi siano abituati a cavarsela con poco potrebbe aiutare questo paese ad essere fra quelli che cadranno in cima e non in fondo al cumulo di macerie della civiltà industriale.   Se, invece, opterà per diventare una periferia cinese, farà la fine di tutte le periferie di tutti gli imperi in declino.
In ultimo l’Impero Cinese.     Direi che è sicuramente troppo presto per darlo per spacciato.   Anche se la tendenza globale è verso la fine dell’economia industriale, la Cina ha ancora molti margini di manovra sul piano politico e militare.  Ed ha una popolazione relativamente stabile, anche se malsana.    Il rischio che una potenza in crisi cerchi la scappatoia attraverso l’avventura militare è sempre presente.  Del resto USA e Russia stanno facendo esattamente questo.   Lo farà anche la Cina?   Non possiamo saperlo, ma diciamo che è abbastanza probabile.   Il contesto ed i mezzi sono però molto diversi e non è prevedibile come possa finire. In sintesi, credo che finché il sistema partito-esercito rimarrà saldo e coeso, la Cina potrà attraversare crisi terribili al suo interno e scatenarne di ancor peggiori fuori, ma non si disintegrerà.
Un’ultima osservazione.   Il destino di questi paesi è in gran parte nelle nostre mani.   Più stupidaggini faremo noi, più si apriranno spazi di manovra per loro.   Personalmente, credo che la strategia migliore sarebbe cercare (se possibile) un accordo strategico con la Russia per tenere sotto controllo la Cina.   Non che l’Europa abbia molto da fidarsi della Russia, né la Russia dell’Europa, ma credo che una sospettosa alleanza gioverebbe ad entrambi.   Noi abbiamo urgente bisogno di prendere pacificamente le distanze dagli USA e loro stanno rischiando di diventare una colonia cinese.

Forse, potremmo darci una mano l'un l'altro per farsi il meno male possibile rotolando giù per la parte discendente del "Picco di tutto".

venerdì 16 dicembre 2011

Costruire il futuro guardando le cose dall'alto



Guest post di Antonio Turiel da "The Oil Crash" dell'8 Novembre 2011
Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti





Cari lettori,

nel programma di Radio Libertad di giovedì scorso Juan Carlos Barba ha annunciato che questa settimana avremmo parlato delle misure che si dovrebbero prendere per adattarsi al futuro della Grande Scarsità. Siccome c'è stato un cambio di invitati (io stesso non potrò partecipare questa settimana), è possibile che ci sia anche un cambio di dibattito, anche se il tema in questione finirà un giorno per essere discusso. Inoltre, è una domanda assai logica che già è solita emergere nei discorsi sull'Oil Crash e che, semplificando e abbreviando, si potrebbe formulare in questo modo: che raccomandazioni farebbe al Governo (o ai Governi) per gestire l'Oil Crash, se l'ascoltassero?

Mi preoccupa abbastanza mettermi in questo pasticcio, quello cioè di dare consigli o linee d'azione, perché più che in altri ambiti, mi rendo conto dei miei limiti o carenze. Non so praticamente nulla di economia e nemmeno delle difficoltà di gestione della cosa pubblica, per non parlare di come legiferare correttamente. Un errore fatale in qualsiasi di questi o altri indirizzi e le nostre migliori intenzioni lastricheranno il cammino per l'inferno. Ma, d'altro canto, non sarebbe onesto da parte mia eludere completamente la responsabilità di fare osservazioni dure che avranno bisogno di elaborazione, e non poca, prima che si possano interpretare in chiave di azione politica. D'altra parte, credo che in questa missione, quella di definire adeguate linee guida di attuazione, i diversi commentatori che sono soliti leggere questo blog apporteranno i loro diversi punti di vista e, sicuramente, dal dibattito che un post come questo susciterà, si potranno tirar fuori idee interessanti di fronte a quello che potrebbe essere un piano di Governo di Transizione. Perciò, credo che possa essere utile ed istruttivo, in particolare per me stesso, aprire finalmente questo dibattito e vedere cosa possiamo mettere in chiaro.

Naturalmente altri prima, e con maggior merito e conoscenza, hanno affrontato questo compito: ecco, per esempio il Real New Deal del Post Carbon Insitute. A livello più locale, c'è il piano di Transizione elaborato dall'associazione galiziana Véspera de Nada (guardate sulla colonna di destra della sua pagina web, Misure per far fronte al picco del petrolio), che mi ha fatto l'onore di chiedere la mia opinione. Io, senza arrivare ai particolari di quest'ultima, vorrei raccogliere alcune idee che credo debbano far parte di questo piano di transizione governato dall'alto. Ecco alcune di queste idee chiave:


Lasciare il BAU (Business as usual, continuare come al solito)

Questo è il più difficile dei compiti da intraprendere e quello che ha più implicazioni. Dobbiamo far comprendere ai nostri governanti che il BAU, il modo di fare degli ultimi decenni, non ha senso in un mondo dove le risorse sono limitate, in diminuzione e non sostituibili. Lo abbiamo discusso molte volte: l'accesso sempre più limitato al petrolio, in particolare, e all'energia in generale implicano il fatto che questa crisi economica non finirà mai, perché all'interno del nostro sistema economico dobbiamo sempre crescere a un certo ritmo; questo è il motivo per cui la nostra società è chiamata “la società dei consumi” ed il motivo di tanto spreco. I nostri leader reagiscono sulla base di ricette economiche apprese durante gli ultimi cento anni, secondo le quali la crescita è la miglior garanzia per avere un alto tasso di impiego ed evitare rivolte sociali, oltre che per accontentare e soddisfare i poteri economici e industriali. Tutta la politica attuale di tagli della spesa pubblica e la diminuzione dello stato sociale è diretta a risparmiare sulla parte non produttiva della società per concentrare il flusso economico sulle parti produttive, con la speranza che queste si riprendano, generino un nuovo ciclo di crescita economica e nuovo impiego, così si potrà far marcia indietro nella politica dei tagli che mette tanto a disagio il cittadino medio. Il problema è che la premessa è falsa: destinare maggiori risorse per concentrarsi nel riscatto del settore finanziario e nell'alleviare la pressione delle imposte nel settore industriale e dei servizi non ci porterà ad una nuova crescita dell'economia, perché andando avanti l'energia ed i materiali consumati saranno più cari e più scarsi. E non per mancanza di investimenti nella loro estrazione e produzione, ma per ragioni fisiche e geologiche di cui tante volte abbiamo discusso in questo blog. Tuttavia, c'è tanta teoria economica sviluppata ignorando il fatto che non si può crescere per sempre, e contrastare questa idea falsa ed autoconvincersi della necessità di un cambio di paradigma, di schema mentale, ci prenderà molto, molto tempo.

Un nuovo ordine sociale

Una volta compreso che il BAU non può continuare, si devono ristabilire le priorità, perché la priorità fino ad ora è stata sempre la crescita, poiché da essa derivavano le soluzioni alla gran parte delle necessità, come corollario. Se non c'è una crescita, bisogna tornare a fare una politica della verità e decidere cosa si deve fare a come. A mio parere, la prima priorità è quella di garantire il lavoro in modo generalizzato come mezzo fondamentale per preservare la pace sociale – per intenderci: dare impiego alla gente di modo che si possa guadagnare da vivere degnamente. Alcune persone obiettano che la pace sociale non sia importante, che la sola cosa che interessa al poteri economici (che usano i leader politici per attuare il loro programma) è guadagnare sempre più denaro, anche se per far questo devono sottomettere con la forza tutta la popolazione. Evitando di metterci a discutere se questa sia o no l'intenzione di questi poteri economici, un tale metodo non è sostenibile a lungo termine: oggi come oggi il potere economico si basa sul vendere molti prodotti a molta gente, ma se la gente perde la capacità economica perché è disoccupata o sottoccupata è evidente che i benefici precipiteranno e molte grandi imprese sprofonderanno, come di fatto sta già accadendo ora (quale credete che sia il futuro a breve termine della BMW o, a più lungo termine, della Apple?). Altro è che alcune persone ben posizionate intendano garantirsi una posizione di privilegio in un nuovo ordine feudale che potrebbe sopraggiungere, anche se, a mio parere, analogamente a quanto accadde nel Medioevo, se sopraggiungesse il caos anticipato dai sostenitori di questo futuro, avrebbe più possibilità di diventare un neo-barone un capo di un gruppo di comando elitario che non un banchiere grasso che agita mazzette di dollari senza più valore o brandendo carissimi ed inutili pezzi di oro e argento. Ma, infine, supponiamo che i nostri leader abbiano compreso l'impossibilità del BAU e cerchino ciò che è socialmente più conveniente. Come dicevo, la prima cosa è stabilire un sistema che dia impiego a tutti e questo in un contesto di un'economia che non cresce. Cosa che non appare facile, anche se non impossibile.
 

Economia stazionaria


Se gli introiti non possono crescere, come sembra, la smaterializzazione assoluta dell'economia non è un obbiettivo possibile (e, soprattutto, efficacie) a breve termine, è chiaro che ad un determinato momento l'economia debba smettere di crescere e tornare stazionaria, vale a dire di dimensione costante, e questo probabilmente dopo un periodo di decrescita. Un'economia stazionaria ha approcci completamente diversi da una di crescita. La forza lavoro non può modificarsi sostanzialmente durante il tempo, né il numero di fabbriche, né i mezzi di produzione in generale. Peggio ancora, si deve stabilire un qualche tipo di pianificazione su grande scala (non sulle attività specifiche, ma sul consumo generale di risorse sì) per evitare che si producano grandi scompensi. La competitività nel tempo in cui si impongono restrizioni è un compito che trovo piuttosto complicato. In ogni caso, le variabili da controllare sono fisiche (energia consumata, tonnellate di materiale) e non monetarie. Se possibile, la miglior unità di misura di questa economia è l'energia di lavorazione o, meglio ancora, l'exergia.

Funzione del lavoro

Si deve ripensare il lavoro, la sua funzione sociale e il grado di soddisfazione che si potrà dare alle necessità umane, quelle reali e quelle percepite. E' fondamentale garantire cibo, acqua, vestiario e alloggio alla popolazione. E' conveniente e rilevante fornire anche educazione e sanità. A partire da lì, è naturale lasciare che la gente sviluppi la propria iniziativa personale, per ragioni buone e convincenti; il come lo stabiliranno le persone con più capacità e conoscenza. Ciò che non è facile né banale è garantire la produzione con mezzi sostenibili di questi beni fondamentali. E' pertanto importante identificare le risorse locali, le capacità locali di produzione e verificare come mantenere reti sufficienti per il commercio di quei prodotti di cui ciascun territorio sia deficitario o abbia un'eccedenza. Avendo accesso a quantità di petrolio e gas in diminuzione a medio termine ed a nessuna quantità a lungo termine, è importante decidere come si può mantenere la meccanizzazione dell'agricoltura e dei trasporti. Si deve stimare qual è la quantità di biocombustibile che sia ragionevole produrre senza compromettere l'alimentazione umana ed animale e dove risulta più conveniente. Si deve anche decidere quanti animali si possono ragionevolmente allevare, come distribuire la popolazione sul territorio, come evitare l'erosione del suolo, come assicurare l'acceso all'acqua per l'irrigazione ed il consumo umano e animale, come potabilizzarla e ripulirla avendo accesso a minori quantità di prodotti chimici specialistici e via ancora un lunghissimo eccetera di questioni tecniche che richiederanno lunghi studi specialistici e che devono essere adeguatamente coordinati.

Pianificazione e limitazione nell'accesso alle risorse

Il fatto che le risorse siano finite (nel senso di limitate, ndT) e, ancora più importante, la disponibilità limitata delle stesse a causa dell'impossibilità di incrementarne la produzione (e distribuirle da parte dei produttori), implica che tanto per cominciare si devono lasciar perdere certi usi superflui delle risorse non rinnovabili (quelli che le bruciano o le disperdono fino a renderle irrecuperabili), incluse quelle risorse rinnovabili per le quali non si sono ancora trovati usi di interesse generale – in previsione che in futuro possano essere importanti. Si dovrà assicurare sia il risparmio sia il riciclaggio dei materiali, il che implica un cambiamento della progettazione (quindi l'abbandono dell'obsolescenza programmata, ndT) per facilitare la riparazione ed il recupero dei materiali, anche se ciò implicasse la produzione di beni meno efficienti di quelli attuali. E questo richiede uno sforzo ingegneristico su grande scala in tutta la società, sforzo che porti a ripensare completamente i cicli di vita dei prodotti.

Un punto complicato è la necessaria pianificazione, più o meno centralistica, dell'accesso ai materiali, sia quelli rinnovabili, sia quelli non rinnovabili, perché anche i secondi hanno dei limiti e mal gestiti possono deteriorarsi e diminuire (di questo abbiamo molti esempi oggigiorno, dall'erosione del suolo coltivabile all'esaurimento dei bacini di pesca). L'ideale sarebbe lasciare al libero mercato la regolamentazione di questo accesso, ma l'esperienza ci dimostra che, forse per l'imperfetta psiche umana, il libero mercato è solito portare a squilibri ed abusi di potere da parte di coloro che hanno di più, e ciò snatura il mercato da libero a ostaggio dei loro interessi. Ma anche un sistema di pianificazione è tendente all'abuso, soprattutto se chi lo gestisce approfitta della propria posizione per ricevere prebende o favorire i propri interessi. Non sembra esserci una soluzione semplice in questo caso.

Libertà e informazione: democrazia piena

Uno dei grandi problemi che ha la nostra società occidentale è la tendenza all'opacità nei temi chiave della gestione politica; peggio ancora, si è arrivati al punto che una parte importante della popolazione creda che alcuni temi siano troppo complicati perché l'opinione di un cittadino comune possa contare. In realtà, la cosa logica sarebbe informare quel cittadino perché possa avere un'opinione informata, anziché prescindere da essa. In più, non è vero che le grandi linee concettuali siano tanto complicate da capire come spesso si vuol far credere: molte volte si ingrandiscono i dettagli più astrusi perché sembrino sostanziali anziché secondari. Manca una gestione onesta che rappresenti i grandi indirizzi politici riassumendo i dettagli e le difficoltà senza complicare e pasticciare le discussioni (che è ciò che oggi fanno i nostri politici e che fa sì che sopra lo stesso tema tirino fuori statistiche apparentemente contraddittorie, anche se in realtà dicono la stessa cosa, al fine di aumentare la confusione del pubblico). 


E' importante che in un futuro complesso e che in alcuni momenti richiederà importanti sacrifici, la gente abbia consapevolezza chiara di quali siano i veri problemi e che possa verificare, senza sensazionalismo né cortine di fumo, che le misure che si sono prese stiano andando a buon fine e quelle che si rivelino sbagliate possano essere corrette rapidamente senza confusione né denunce incrociate. Insomma, è importante coinvolgere di più i cittadini, cioè quel popolo da cui emana l'unica sovranità, nella gestione e nella decisione, il che si può ottenere soltanto attraverso un'informazione chiara e vera e che non venga confusa con migliaia di sciocchezze senza senso.


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Il lettore si renderà conto che questo programma di attuazione è molto vago e generico e non si focalizza sui dettagli. Ma anche così implica cambiamenti strutturali profondi da fare nella nostra società, cambiamenti che saranno molto difficili da realizzare partendo da dove ci troviamo ora. Soltanto con molta costanza e con l'informazione si può provare a girare pagina ed avanzare in direzione del cambiamento necessario, un cambiamento di cui non dovranno essere protagonisti né i politici professionisti di oggi, né i tecnici come me, che siamo solo di aiuto, ma dalla popolazione stessa.



Saluti,

AMT



sabato 9 luglio 2016

Distruzione della domanda e picco del petrolio

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR



Roger Baker è un sostenitore della riforma del trasporto e dell'energia che vive in texas, ad Austin. Da tempo membro di ASPO, ci siamo incontrati nella vita reale ad una delle prime conferenze di ASPO, quella tenuta a Pisa nel 2006. Qui discute dell'attuale situazione del petrolio greggio e dell'economia globale.  (U.B.)

Di Roger Baker

Siamo pienamente sotto l'influenza della distruzione della domanda di petrolio. Il mercato globale del petrolio non può funzionare senza conoscere il vero prezzo di produzione del petrolio, che non è un dato che esiste nell'attuale economia globale deflazionaria, cosa che spinge i produttori indebitati a vendere ben al di sotto del costo.

mercoledì 7 febbraio 2018

Decrescita Controllata: E' Ancora Possibile?


"2 METE": un modello dell'Univestità di Pisa per la decrescita.

di Jacopo Simonetta

Il 4 ottobre scorso  il “Movimento Decrescita Felice” e la “Associazione Italiana Economisti dell’Energia” hanno organizzato a Roma, in Campidoglio, un’interessante convegno dal titolo: “Modelli per la valutazione dell'impatto ambientale e macroeconomica delle strategie energetiche”   (qui il link al sito per consultare tutte le relazioni).

Questo è il secondo articolo dedicato a quella giornata; per il primo si veda qui.

Il Modello.

Il titolo completo è: “Modello di Macroeconomia Ecologica per la Transizione Energetica (2METE): Scenari alternativi per la sostenibilità ecologica e l’equità sociale.” 

E’ molto complesso: considera infatti oltre 400 variabili endogene, 200 tra parametri e valori di input esterni,  25 riserve (stock).  Per ogni settore economico, si da particolare rilevanza al capitale fisico, il salario, la produttività del lavoro, l’efficienza energetica.

Il presupposto su cui è stato costruito il modello è “fortemente keynesiano” (per citare gli autori).  Vale a dire che si ipotizza sia la domanda a determinare l’offerta.  Un punto questo molto dibattuto, ma che personalmente mi pare coerente con un quadro macroeconomico di stagnazione in atto.  E’ vero, infatti, che si possono verificare problemi anche molto seri di scarsezza di determinate risorse (in effetti sta già accadendo).  Così come si sta verificando un problema di degrado delle risorse in entrata al sistema economico come conseguenza dell’eccessivo flusso di rifiuti in uscita (proprio il cambiamento del clima è uno degli esempi maggiori in questo campo).   Tuttavia, oramai perfino il FMI dice che stiamo entrando in un periodo di stagnazione o recessione economica secolare, particolarmente nei paesi cosiddetti “sviluppati”; ciò significa che saranno probabilmente più frequenti i casi di contrazione della domanda che quelli di contrazione dell’offerta.  Specialmente all’interno di una strategia “decrescista” come quella prospettata dallo studio.
 


La struttura è riassunta nella figura e, come si vede, concede molto spazio alle dinamiche interne del sottosistema economico. In particolare distinguendo tre settori fra loro correlati: il settore dei beni di consumo finali tradizionali, il settore dell’economia locale e sociale e il settore di “produzione” di energia. 

Quest’ultima a sua volta disarticolata secondo le diverse fonti.
Viceversa, le dinamiche ecologiche del meta-sistema all'interno del quale evolve l’economia rimangono sullo sfondo, anche se, punto molto qualificante, si tiene conto del fatto che il consumo di beni e servizi, comunque prodotti, genera degli impatti ambientali e, dunque, un degrado degli ecosistemi.

Un punto debole sono anche che le dinamiche demografiche che vengono trattate semplicemente  prendendo come dato la previsione dell’ISTAT, malgrado si tratti di un dato molto più politico che scientifico. 

Questi sono limiti molto forti che non consentono di usare il modello per delineare scenari sull'evoluzione complessiva del sistema ambientale-sociale-economico in Italia o in Europa.  Ma occorre tener presente che NON è questo lo scopo del modello.  “2METE” è stato concepito con uno scopo molto più limitato e cioè confrontare la probabilità di raggiungimento degli obbiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti seguendo strategie diverse.   Vale a dire, se a parità di tutte le altre condizioni, il solo investimento in efficienza energetica e rinnovabili è presumibilmente sufficiente o meno.

La risposta è chiara e, a mio avviso, affidabile: NO.  Obbiettivi di riduzione delle emissioni così importanti sono conseguibili solamente prendendo anche una serie di provvedimenti che riducano sensibilmente i consumi finali, dunque il PIL totale e pro-capite.

Risultati.

Come accennato, scopo del modello è quello di verificare se gli obbietti di riduzione delle emissioni climalteranti, decisa dall’UE, possono essere effettivamente raggiunti entro il 2050, come da programma (prima meta). 

 Contemporaneamente, verificare quali impatti ciò avrebbe sui parametri macroeconomici principali (seconda meta).

Il modello confronta tre diversi approcci al tema, verificando quali tendenze si innescherebbero, dati i presupposti di crescita economica stabiliti dal governo (peraltro alquanto ottimisti).   Dunque non dice, né pretende dire, cosa accadrà, poiché non possiamo sapere in quale contesto reale saranno attuate le decisioni del governo.   E’ tuttavia molto, molto interessante perché, a parità di altri fattori, ci dice quale delle strategie considerate è potenzialmente più vantaggiosa.

Dunque, le strategie valutate sono tre:

Business as usual - BAU - colore blu nelle figure. Genera la dinamica del sistema date le politiche attuali sia in termini di risparmio energetico, sia di scelte socio-economiche.

Green Growth - GG - colore rosso. Si propone di raggiungere i target stabiliti prendendo spunto sia dalle politiche discusse nella letteratura di “green growth”, sia dalle discussioni emerse nella Strategia Energetica Nazionale (SEN) 2017.  In particolare, spingendo sull’aumento dell’efficienza energetica e dell’automazione, oltre che sullo sviluppo delle energie rinnovabili.

DeGrowth - DG - colore verde. Sul piano energetico prevede gli stessi interventi di cui sopra, ma meno spinti; mentre prevede di ridurre l’efficienza produttiva, contenendo l’automazione e riducendo gli orari lavorativi.  Inoltre, prevede cambiamenti significati sulle politiche fiscali e sullo sviluppo dell’economia locale.


I risultati dello scenario BAU sono piuttosto scontati: l’obbiettivo di riduzione al 20% delle emissioni di CO2 viene ampiamente mancato, mentre aumentano le disparità sociali e la dipendenza dal commercio globale.   Dunque una qualità media della vita in diminuzione, malgrado una crescita del PIL.

I risultati dello scenario GG sono più interessanti.  Mostrano infatti come il massiccio investimento in energie rinnovabili e tecnologia, in assenza di limiti al consumo, tenda a ridurre le emissioni, ma in misura largamente insufficiente, mentre la disoccupazione aumenta e con essa le disparità sociali.

La ragione principale di questo risultato, assente in altri modelli, è che “2METE” tiene espressamente conto del cosiddetto “effetto rebound” (alias Paradosso di Jevons): una legge empirica dell’economia secondo cui l’aumento dell’efficienza nell’uso delle risorse provoca un aumento dei consumi.

Importante è anche che il modello evidenzia come, incrementando comunque i consumi finali, non si arresta il degrado ambientale.
Anche lo scenario DG prevede un forte investimento in efficienza energetica e fonti
rinnovabili elettriche, ma in misura minore rispetto allo scenario GG.   In compenso, prevede altri interventi tesi a ridurre i consumi finali (e quindi il PIL), mentre sviluppa una quota crescente fino al 30% di beni e servizi prodotti localmente.

Dunque, a parte l’investimento in efficienza dei consumi e rinnovabili, le principali politiche che contraddistinguono lo scenario DG sono:

Riduzione dell’orario di lavoro di circa il 30% tra il 2018 e il 2050 (una riduzione annuale media di circa l’1%).

Riduzione degli stipendi mensili, ma aumento di quelli orari.

Parziale spostamento delle quote di spesa delle famiglie e del settore pubblico a favore dell’economia locale.

Aumento della tassazione sui profitti distribuiti dal 42% al 52% in 15 anni.

Aumento del rapporto spesa pubblica PIL, dall’attuale 21% circa al 24% (nel 2050).

Riduzione degli investimenti pubblici in automazione.

Minore riduzione del rapporto salario medio pensioni che passa dal 70% circa, al 62% contro il 53,2% in BAU e GG.


Conclusioni.

L’aspetto interessante del modello “2METE” è che mostra come la battaglia per ridurre le emissioni climalteranti sia perduta in partenza, a meno che non si perseguano politiche efficaci per ridurre, anziché aumentare il PIL.   Un anatema assoluto questo, in un mondo in cui l’aumento costante del PIL rappresenta oramai un’ossessione totalizzante.

Certo, lo scenario DG, da solo, non rappresenta una traccia sufficiente per immaginare un futuro
sostenibile, ma è abbastanza per indicare che una lieve e costante contrazione del PIL è compatibile sia con la sopravvivenza dell’economia industriale, che con una società più equa e stabile di quella attuale. 

 Probabilmente non è però compatibile con il sistema monetario internazionale e con l’intero castello della finanza: dal debito di tutti i tipi ai fondi pensione, fino ai risparmi ed ai patrimoni piccoli e grandi.   Non si può pensare di cambiare parti di un sistema totalmente integrato senza cambiarle tutte e, credo, che oggi l’ostacolo pratico principale ad una vera svolta sia rappresentato proprio dalla necessità di
eliminare il debito, cosa che comporterebbe la contemporanea scomparsa del denaro e, dunque, la necessità di ricostruire da zero un intero sistema finanziario e monetario.   Un’impresa forse impossibile, ma cui prima o poi dovremo comunque mettere mano, per forza di cose.

mercoledì 2 dicembre 2015

Fuffa e rivoluzione. A Parigi vedremo la solita gran fumata di roboanti dichiarazioni, ma niente di più

di Jacopo Simonetta

Tra manifestazioni, tafferugli e mal riposte speranze, a Parigi va in scena l’ennesimo episodio di un serial che dovremmo conoscere già bene.   Ma se qualcuno si fosse perduto le puntate precedenti, basteranno le dichiarazioni iniziali dei principali leader mondiali ( per Obama qui e per Xi Jinping qui) per chiarire da subito che non ci sarà nessun accordo che possa, sia pur minimamente, influire positivamente sul clima.

Insomma, quello che vedremo sarà la solita gran fumata di roboanti dichiarazioni a copertura di un piccolissimo arrosto di incentivi a questa o quella lobby industriale.

Disfattismo?   Lo vedremo fra qualche giorno, nel frattempo vorrei ricordare che questa non è certo la prima volta che viene annunciato un “cambio di rotta epocale” in materia di clima o, più genericamente, di ambiente.   Questa è infatti una vecchia storia, cominciata una cinquantina di anni fa e culminata nell'ormai remoto 1992 fra grandi speranze e fuochi d’artificio. In realtà il “nonno di tutti i fiaschi” fu infatti proprio il “Summit mondiale dell’ambiente” del 1992 da cui questa e tante altre conferenze sono poi scaturite.   Fu un vero e proprio picco del movimento ambientalista: contemporaneamente zenit di influenza politica e mediatica, ma anche dimostrazione di incapacità ed inizio della sua ingloriosa fine.

Molti troveranno sbagliate, o perlomeno esagerate, queste affermazioni.   Prima di entrare in qualche dettaglio credo sia quindi opportuno inquadrare brevemente l’evento.

Che la crescita demografia ed economica stavano conducendo l’umanità verso il disastro divenne evidente nel corso degli anni ’70.   Non solo per la pubblicazione di “Limits to Growth”, ma per l’accumularsi di una impressionante mole di dati e conoscenze in tutti i campi scientifici che, nel loro insieme, non davano adito a dubbi (tranne che per la maggior parte degli economisti).   Ma eravamo in guerra, sia pure “fredda”;  una guerra mortale fra le due scuole (o sette) in cui si era diviso il mondo:   Capitalismo versus Socialismo.   Entrambi perseguivano lo stesso fine: il massimo del benessere possibile per un numero crescente di persone.   Ma erano molto diversi i metodi immaginati per raggiungere lo scopo, così come i criteri di selezione delle rispettive classi dirigenti.
In Russia il tema dell’insostenibilità della crescita non fu neanche preso in considerazione.   In occidente se ne parlò molto, ma si fece poco perché porre dei severi limiti alla crescita economica avrebbe ridotto il peso politico-economico e militare dei paesi che lo avessero fatto.   Col rischio molto concreto di essere sconfitti.

Dunque, dopo 10 anni circa di discussioni e parziali provvedimenti, fu deciso che era più urgente rilanciare la crescita.   Cosa che fu fatta  mediante una complessa strategia che comprendeva, fra l’altro, la trasformazione del denaro e della finanza in entità totalmente virtuali, oltre ad un insieme di provvedimenti che vanno sotto l’etichetta di “deregulation”.   In pratica, la progressiva rimozione dei vincoli precedentemente imposti alle attività economiche per fini di tutela ambientale o sociale.  Il risultato non si fece attendere e, nel 1989, l’Unione Sovietica fu sconfitta non già sul campo di battaglia, bensì sul piano puramente economico.

Il crollo del blocco sovietico convinse tutti della giustezza del modello capitalista e fu in questo clima euforico che fu indetto il summit Rio.   Finita la guerra, nessuno aveva più molto da temere e tutti i paesi del mondo potevano finalmente collaborare per risolvere i problemi del sottosviluppo e dell’ambientale una volta per tutte.  O perlomeno così sembrava.Parteciparono ben 172 governi, di cui 116 con le loro massime cariche istituzionali, mentre ad un parallelo forum consultivo partecipavano 17.000 persone in rappresentanza di 2.400 NGO (associazioni non governative).   In effetti, non si era mai visto un evento di questa portata dedicato all’ambiente, ma la montagna partorì un ben misero topolino.   O meglio, produsse un magnifico castello di cristallo, attraverso i cui muri iridescenti non era difficile vedere le solide strutture di cemento e di acciaio del “Business as usual”.

A parte migliaia di pagine di analisi e commenti che nessuno ha mai letto, la conferenza produsse infatti una serie di documenti potenzialmente importanti, ma che ebbero ben poco impatto reale: Dichiarazione di Rio sull'ambiente e sullo sviluppo; Agenda 21; Convenzione sulla diversità biologica; Principi sulle foreste; Convenzione sul cambiamento climatico.

Ognuno di questi meriterebbe un approfondimento, ma visti i limiti di un post, vorrei solamente chiosare il primo dei 27 principi che avrebbero dovuto guidare le nazioni verso lo “sviluppo sostenibile”.   Esattamente gli stessi principi, si noti, proclamati a chiusura del summit di Stoccolma, esattamente 20 anni prima (1972) in piena guerra fredda (mancava il blocco sovietico e la Cina era rappresentata da Taiwan).

Principio 1:  Gli esseri umani sono al centro della preoccupazione per uno sviluppo sostenibile.   Hanno diritto ad una vita sana e produttiva in armonia con la natura.

Suona bene.   Effettivamente nel 1972, con un’impronta ecologica globale vicino ad 1, poteva essere sottoscrivibile.   Ma nel 1992, con una popolazione di 5,5 miliardi crescenti ad un tasso senza precedenti, magari qualcuno avrebbe dovuto porsi qualche qualche domanda.

Per esempio, cosa vuol dire “sviluppo sostenibile,?   Perché se voleva dire sviluppare società più parsimoniose e giuste era fattibile.   Ma se si intendeva che era ancora possibile una crescita demografica e/o economica senza scatenare catastrofi era semplicemente falso.   La capacità di carico del pianeta era già stata superata da un pezzo.

Seconda domanda: E’ bello avere dei diritti, ma siamo sicuri che questi non comportino dei doveri di cui non si parla mai?   Ad esempio, avere diritto ad una vita sana ed operosa non potrebbe presupporre il dovere di limitare la propria discendenza?   Oppure il diritto all'acqua potabile, non potrebbe avere a che fare con il dovere di razionarne l’uso in rapporto alla disponibilità? Sempre in tema di diritti, per essere sani e produttivi sono necessari una serie non indifferente di presupposti, a cominciare da cibo, acqua, energia, alloggi, cure mediche, e molto altro ancora.   Per quanta gente tutto questo può essere reso disponibile senza distruggere il pianeta?

Sulla base della situazione e delle conoscenze del 1972 si poteva ancora pensare che per circa 4 miliardi di persone fosse possibile.   Ma nel 1992 era già chiaro che il recupero di condizioni di sostenibilità sarebbe necessariamente passato attraverso una netta riduzione sia della popolazione umana, sia dello standard di vita medio.  Cosa che per europei, americani e giapponesi già allora avrebbe significato dei sacrifici assolutamente traumatici.   Mentre per tutti gli altri avrebbe significato rinunciare definitivamente alla speranza di accedere anche loro al tanto agognato Paese di Bengodi.   Per tutti voleva dire accettare di avere non più di due figli e morire possibilmente intorno ai 70 anni, come ai tempi di Dante Alighieri.

Molto "politicamente scorretto".  E difatti in tutti i 26 punti seguenti si continua a fingere che il numero di persone sia una variabile indipendente e che gli occidentali possano mantenere il loro tenore di vita principesco, mentre tutti gli altri hanno il diritto di raggiungerlo.   Ma, naturalmente, in modo “sostenibile”.
 
Insomma, da parte di chi capiva di cosa si stava parlando, il tentativo fu di contrabbandare alcuni principi assolutamente giusti, come quello di precauzione e quello di responsabilità, in mezzo ad un denso fumo di fuffa in cui ognuno avrebbe potuto trovare quel che più gli piaceva.   Ma mescolati alla fuffa, anche i principi seri divennero parole vuote.

Insomma, la filosofia generale che emerse fu che, OK, salvaguardare l’ambiente era bello ed importante, ma ad alcune condizioni.   In particolare che: a) ogni stato ha il diritto di fare quello che gli pare sul suo territorio; b) i paesi ricchi hanno il diritto di restare tali, semmai devono aiutare gli altri a diventare ricchi anche loro; c) i paesi poveri hanno diritto a diventare ricchi; d) la questione demografica è assolutamente marginale; h) nessuno si deve azzardare a porre dei limiti alla libertà di commercio; i) lo sviluppo economico e la protezione ambientale non sono in contrasto, anzi sono sinergici.

Difficile assemblare una collezione di ossimori più raffinata di questa.   Ma la misura del fallimento non fu tanto un documento pieno di vuotame che, in casa ONU, è normale.   La vera Caporetto fu che, con poche ed isolate eccezioni, il movimento ambientalista non denunciò il fallimento della conferenza.   Al contrario, si unì al coro di quanti dicevano che, ancorché non perfetto, il risultato era un eccellente compromesso ed un punto di partenza per nuove ed efficaci politiche ecc. ecc.

Insomma, il BAU aveva vinto non solo sul piano politico e diplomatico, ma anche e soprattutto su quello culturale.   Non a caso, nei decenni seguenti le parole d’ordine ed i concetti che erano stati elaborati per modificare alla radice l’impostazione sociale ed economica del mondo divennero gli slogan delle più spudorate campagne commerciali.   E perfino entrarono nella retorica elettorale di tutti i partiti, qualunque ne fosse il programma politico.

Purtroppo, la percezione della realtà dipende in grandissima misura dalla frequenza ed intensità con cui riceviamo i messaggi.   Così, in pochi anni, lo stesso movimento ambientalista finì col perdere la strada, ammesso che mai ne avesse avuta una, finendo col balbettare un guazzabuglio di luoghi comuni, privo di ogni coerenza esterna ed interna.
 
Rio non fu solo la tomba in cui finì ogni speranza di cambiare la rotta suicida del nostro mondo.   Fu anche la tomba del movimento ambientalista e perfino dalla sua cultura, divenuta pudebonda foglia di fico per imbellettare ogni nequizia.   Esattamente quello che in questi giorni sta accadendo a Parigi.
In quest’ottica il ricorso alla violenza è sicuramente una forte tentazione soprattutto per chi, essendo giovane, si rende conto che sarà abbandonato in un mondo che è stato saccheggiato in ogni suo anfratto dai suoi stessi nonni e genitori.

Ma si sa, o si dovrebbe sapere, che le tentazioni sono mostri che apparentemente ti offrono una via d’uscita da situazioni tremende, mentre in realtà ti ci sprofondano ulteriormente.   Se lasciare scarpe in piazza serve solo a sentirsi meno soli, lanciare fumogeni e bruciare automobili serve a peggiorare ulteriormente la situazione, da tutti i punti di vista.   Ma se qualcuno volesse davvero “portare l’attacco al cuore del sistema” avrebbe un modo sicuro e perfino legale di farlo: comprare il meno possibile, spengere luci e termosifoni.   E via di seguito.   Nessun soldato vince la guerra da solo, ma è la sommatoria dei contributi di ognuno che vince.   E questa, udite udite, è una guerra che può solo essere vita.

La barca del capitalismo globale fa già acqua da tutte le parti e non può che affondare, anche senza l’aiuto di nessuno.   Il problema è che tutti noi siamo a bordo e non ci sono scialuppe, al massimo qualche ciambella gonfiabile.   Nessuno se la caverà a buon mercato e molti non se la caveranno affatto, sarebbe bene parlarne ed organizzarsi almeno per limitare
il panico, ma è molto più facile a dirsi che a farsi.



venerdì 18 dicembre 2015

Dopo la COP21 di Parigi: cinque scenari per il futuro

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

 2060: la ricerca di una tecnologia rivoluzionaria per risolvere il cambiamento climatico continua. "E' una macchina del tempo che speriamo ci riporti indietro di 50 anni quando avremmo potuto tassare il carbonio".

Gli scenari non sono previsioni, solo modi per descrivere futuri possibili, utili per essere pronti ad eventi inaspettati. La sola regola nella costruzione di scenari è che le ipotesi non devono essere troppo improbabili, come contemplare macchine del tempo. Eppure, sembra che in alcuni casi che coinvolgono previsioni climatiche, le macchine del tempo siano un'ipotesi intrinseca


La conferenza COP21 di Parigi ha riportato il clima all'attenzione del pubblico e da adesso in avanti parte la sfida vera: cosa possiamo realmente aspettarci per il futuro del clima terrestre? Come sempre, le previsioni sono difficili, specialmente quando ci sono molte variabili coinvolte. Ciononostante, il cambiamento climatico è il risultato di fattori fisici che possiamo capire e sappiamo che l'accumulo di gas serra in atmosfera – se continuasse – ci porterà ad un futuro molto sgradevole.

Se guardiamo al futuro a lungo termine, tutta la questione ruota intorno a se riusciamo a ruotare al di sotto di un aumento di temperatura che è ritenuto “sicuro” (potrebbe essere 2°C, ma non lo sappiamo con certezza), o superiamo il limite e ci ritroviamo al di sopra del “punto di non ritorno climatico” dopo il quale il sistema comincia a muoversi verso un riscaldamento sempre maggiore, con tutti i disastri associati.

Quindi ho pensato che avrei potuto impegnarmi in un piccolo esercizio di “costruzione di scenari” qualitativi con una focalizzazione particolare sul clima. Ecco alcuni scenari, elencati senza un ordine particolare. Alcuni li potreste vedere come orribili, alcuni come improbabili, altri come eccessivamente ottimistici. Ma non sono altro che scenari. La COP21 è stato un passo nella giusta direzione. Evitare le conseguenze peggiori non sarà facile, ma dipende da noi.

1. Business as usual. In questo scenario, le cose rimangono in gran parte come sono oggi, peggiorano soltanto gradualmente. Non ci sono grandi guerre, nessun collasso economico brusco, nessun disastro climatico improvviso. Ma le temperature continuano ad aumentare mentre il sistema economico mondiale viene colpito da una crisi dopo l'altra. Quindi l'economia perde gradualmente le risorse necessarie per mantenere in vita le strutture che studiano e comprendono i problemi globali: università e centri di ricerca. Di conseguenza, i problemi globali scivolano via dalla consapevolezza collettiva. Le persone vengono uccise da ondate di calore, affamate dalle siccità, spazzate via da uragani mostruosi, eppure nessuno è in grado di collegare tutto ciò al cambiamento climatico, mentre la combustione di combustibili fossili, anche se ridotta a causa dell'esaurimento, continua. Sul lungo periodo, ciò porterebbe alla fine della civiltà con un sussurro, piuttosto che con un fragore.

lunedì 6 gennaio 2014

Il segreto per evitare il collasso

Da “MAHB”. Traduzione di MR

Di Paul R. Ehrlich

La questione etica più importante  che affrontano la società e la comunità scientifica oggi è se possiamo evitare il collasso della civiltà globale in risposta alla “tempesta perfetta” di problemi ambientali di oggi. Cioè, pagheremo (o potremo pagare) a sufficienza oggi per risparmiare le generazioni future dal disastro assoluto? Le crisi collegate di sovrappopolazione, consumo superfluo, sistemi di supporto alla vita in rapido deterioramento, crescente iniquità sociale, una minaccia in aumento di guerre per le risorse (specialmente per il petrolio, il gas e l'acqua dolce), un ambiente epidemiologicamente peggiorato che aumenta le probabilità di pandemie senza precedenti e pregiudizi razziali, di genere e religiosi persistenti che rendono questi problemi più difficili da risolvere, rappresentano la più grande sfida mai affrontata dall'Homo Sapiens. L'urgenza di trovare risposte è rappresentata dai punti di vista di molti scienziati, punti di vista secondo i quali la società ha solo un decennio per iniziare un'azione correttiva drastica, che questo complesso di problemi collegati non è riconosciuto dalle elites che governano il mondo e che ciò non ha ancora generato un “problema pubblico” globale intorno alla sostenibilità.

La civiltà si sta gingillando mentre il suo sistema di supporto vitale brucia. L'incapacità di affrontare minacce sempre più ovvie provenienti dalla sola distruzione climatica ha chiaramente mostrato che la conoscenza scientifica, anche se ampiamente presentata al grande pubblico, può non produrre un cambiamento di comportamento adattivo. Una ragione fondamentale di questo è che gli esseri umani hanno sviluppato meccanismi meravigliosi per osservare e reagire ai cambiamenti improvvisi, in parte trattenendo mentalmente costante il sottofondo ambientale per far emergere i cambiamenti. Ma gli individui non sono ben equipaggiati per percepire i cambiamenti in quel sottofondo, come il graduale accumulo di gas serra e di componenti tossici nei loro ambienti. Una pietra scagliata contro la testa di qualcuno viene immediatamente tradotta in una minaccia all'esistenza; parole e grafici sull'aumento della concentrazione dei gas serra no. Alle nuove regole e istituzioni etiche è richiesto di sviluppare risposte adeguate a tali minacce difficili da visualizzare. L'incapacità di sviluppare norme ed istituzioni per superare questo handicap intrinseco non sorprende in vista dell'oscuramento che spazza gli Stati Uniti oggi.

Considerate solo la guerra repubblicana molto riuscita contro scienza ed educazione (e contro donne e minoranze). La nazione sta rapidamente regredendo da un mondo basato sulle prove a un mondo basato sulla fede. Pertanto, credo che gli scienziati ambientali debbano trovare nuovi modi di comunicare la situazione urgente al grande pubblico, offrendo soluzioni pratiche e farlo in una modalità focalizzata sull'etica centrata sulla preoccupazione per i nostri figli e nipoti. L'etica è lo standard comportamentale sul quale i gruppi umani si accordano; la sfida ora è quella di creare un movimento globale etico molto rapidamente che si accordi per cambiare le azioni umane a beneficio dei nostri discendenti. Modelli limitati di un tale sviluppo si possono trovare in elementi di movimenti di rivitalizzazione passati (i primi cristiani, le danze spiritiche, i “cargo cults”, il movimento per i diritti civili), che erano generalmente risposte a crisi degli ambienti fisici sociali o ambientali e avevano dei profeti (Gesù, Wovoka, Yali, Nelson Mandela, Martin Luther King). Il dilemma dell'uomo di oggi ha convinto molte persone che il business as usual non porterà ad una società che può soddisfare la maggior parte dei bisogni umani. Di conseguenza, un movimento ambientale ha fatto crescere questo, come i movimenti di rivitalizzazione precedenti, ha prodotto profeti (Aldo Leopold, Rachel Carson, Garrett Hardin, Jim Hansen, Bill McKibben).

Come molti predecessori, potrebbe essere considerato anti coloniale (Occupy Wall Street), ha aspettative millenarie (una possibile transizione ad una società sostenibile e giusta) ed è composta da persone, almeno negli Stati Uniti, che si sentono oppresse dalla concentrazione di ricchezza e potere nelle mani di uno stato corporativo-militare. Un tentativo di rivitalizzare l'ambientalismo è il Millennium Alliance for Humanity and the Biosphere (MAHB, mahb.stanford.edu), che fornisce un forum pubblico per generare informazione e soluzioni alla crisi ambientale globale. Sta cercando di mobilitare partecipazione dalle persone delle diverse comunità, comprese le ONG, i politici, le imprese, le università, i filantropi, la religione e i media per sviluppare una rivitalizzazione. Il MAHB cerca di giocare due ruoli chiave. Il primo è quello di concentrarsi su tutti gli elementi del dilemma umano e le loro interazioni nel tentativo di far progredire e diffondere la comprensione della crescente minaccia alla civiltà. Il secondo è quello di generare una risposta appropriata al dilemma umano di fronte al fallimento della società nel fare questo.

 Il MAHB spera di imparare dai precedenti movimenti di successo promuovendo apertamente un'agenda politica che comprenda l'alterazione drammatica dell'ordine sociale (per esempio, il capitalismo sregolato, l'iniquità sociale galoppante, l'esaurimento del capitale naturale) e cercando di sviluppare nuove norme con un forte focus sull'etica (per esempio rifuggire l'eccesso di riproduzione, il consumo competitivo, il razzismo e il sessismo; prendendosi cura sia dell'ambiente sia delle persone in altre culture, così come delle future generazioni). La rivitalizzazione sembra un ordine alto, ma come ho già detto [1] sono convinto che. . .  un movimento quasi religioso, uno preoccupato del bisogno di cambiare i valori che ora governano gran parte dell'attività umana, sia essenziale per la persistenza della nostra civiltà.

[1] Machinery of Nature, 1986, p. 17

giovedì 21 gennaio 2016

Non possiamo più fare niente.


Intervista rilasciata da Dennis Meadows  a Rainer
Himmelfreundpointer pubblicata dalla rivista Format il 6 marzo 2013.

40 anni fa uscì uno dei libri più importanti del XX secolo: "I limiti della crescita", patrocinato dal Club di Roma.   Nel libro non si previde la data del collasso della nostra civiltà, ma i 30 ricercatori coordinati dai coniugi Medaows dimostrarono che la crescita demografica e la crescita economica avrebbero condotto l'umanità al disastro qualunque fosse risultata essere la disponibilità di risorse.   Solo una rapida stabilizzazione della popolazione mondiale molto vicino ai tre miliardi di allora ed il passaggio ad un'economia stazionaria avrebbero potuto evitare la catastrofe.    Uno degli scenari pubblicati era definito "business as usual", vale a dire cose probabilmente sarebbe accaduto se niente fosse cambiato nell'impostazione politico-economica globale.
In realtà, da allora, molte cose sono cambiate, ma la verifica di questo scenario sulla base dei dati reali ne ha confermato la validità con un grado di affidabilità stupefacente.

FORMAT: Signor Meadows, secondo il Club di Roma, stiamo adesso fronteggiando una crisi legata alla disoccupazione, una crisi da carenza di cibo, una crisi economica e finanziaria globale ed una crisi ecologica globale. Ognuno di queste è un segnale che qualcosa sta andando per il verso sbagliato. Cosa esattamente?

MEADOWS: Quello che sottolineavamo nel 1972 ne "I limiti della crescita"- e che è tutt'ora valido- è il semplice fatto che non è possibile una crescita fisica infinita in un pianeta finito. Arrivati ad un certo punto la crescita si ferma.  O la fermiamo noi, cambiando i nostri comportamenti, oppure sarà il pianeta a fermarla. 40 anni dopo, ci dispiace dirlo, non è stato ancora fatto niente.

FORMAT: Nei vostri 13 scenari la fine della crescita fisica - cioè dell'aumento della popolazione mondiale, della produzione di cibo e di qualsiasi altra cosa venga prodotta o consumata - inizia tra il 2010 ed il 2050.  La crisi finanziaria è parte di tutto ciò?

MEADOWS: Non sono situazioni paragonabili. Supponiamo di avere il cancro e che questo cancro causi febbre, mal di testa ed altri dolori. Non sono questi il problema reale, è il cancro il problema! Comunque, proviamo a curarne i sintomi. Nessuno spera di sconfiggere il cancro con quelle cure. I fenomeni come il cambiamento climatico o le carestie sono semplicemente sintomi della malattia di questo pianeta, il che ci riporta inevitabilmente alla fine della crescita.

FORMAT: Il cancro come metafora della crescita incontrollata?

MEADOWS: Sì. Le cellule sane ad un certo punto smettono di crescere. Le cellule cancerose proliferano finché non uccidono l'organismo. La popolazione e la crescita economica si comportano nello stesso modo. Ci sono solo due modi di ridurre la crescita dell'umanità: ridurre il tasso delle nascite od aumentare quello delle morti. Quale preferisci?

FORMAT: Nessuno vorrebbe dover scegliere.

MEADOWS: Neanch'io. In ogni caso abbiamo perso l'opportunità di scegliere. Lo farà il pianeta.

FORMAT: Come?

MEADOWS: Consideriamo il cibo. Facciamo i conti, valutiamo la quantità di cibo pro capite a partire dagli anni '90. La produzione cresce, ma la popolazione cresce più rapidamente. Dietro ad ogni caloria di cibo che arriva sul piatto, ci sono dieci calorie di combustibili fossili utilizzate per produrlo, trasportarlo, immagazzinarlo, prepararlo e servirlo. Più diminuiscono le scorte di combustibili, più cresce il prezzo del cibo.

FORMAT: Dunque non è solo un problema distributivo?

MEADOWS: Certamente no. Se condividessimo tutto equamente, nessuno soffrirebbe la fame. Ma resta il fatto che abbiamo bisogno di fonti fossili come petrolio, gas o carbone per produrre cibo. E queste fonti si stanno esaurendo.  Nonostante vengano sfruttate nuove fonti come il gas o il petrolio da scisto, i picchi di petrolio e gas sono già superati. Questo pone una tremenda pressione sull'intero
sistema.

FORMAT: Secondo i vostri modelli sulla popolazione, nel 2050 saremmo all'incirca 9,5 miliardi, nonostante una stagnazione della produzione di cibo per i prossimi 30-40 anni.

MEADOWS: E questo significa che ci sarà una gran massa di persone povere.  Certamente più di metà dell'umanità. Oggi non possiamo nutrire a sufficienza una larga parte della popolazione mondiale. Tutte le risorse che conosciamo stanno calando. Ci si può immaginare dove porterà questa situazione. Ci sono troppi "se" nel futuro: "se" la gente diventerà più intelligente, "se" non ci saranno guerre, "se" faremo progressi tecnologici.
Siamo già al punto in cui non riusciamo a risolvere i problemi attuali, come potremo farcela tra 50 anni quando saranno più gravi?

FORMAT: E’ colpa del nostro modo di fare affari?

MEADOWS: Il nostro sistema economico e finanziario non è solo un mezzo per ottenere qualcosa. E' uno strumento che abbiamo sviluppato e che riflette i nostri scopi e valori. La gente non si preoccupa del futuro, ma solo dei problemi contingenti. E' per questo che abbiamo una crisi del debito così grave. Creare debito è l'opposto del preoccuparsi per il futuro.   Chiunque prenda un debito dice: non mi preoccupo di quello che avverrà. Quando per troppa gente il futuro non conta, si crea un sistema economico e finanziario che distrugge il futuro.  Puoi far pressione su questo sistema quanto vuoi ma finché non cambieranno i valori della gente, si andrà avanti nello stesso modo. Se dai un martello a qualcuno e questo lo utilizza per uccidere il suo vicino, non serve a niente cambiare il martello. Persino se gli riprendi il martello, quello rimane un potenziale assassino.

FORMAT: I sistemi che organizzano le modalità di coesistenza delle persone vanno e vengono.

MEADOWS: Ma l'uomo rimane lo stesso. Negli Stati Uniti, abbiamo un sistema nel quale è giusto che pochi siano immensamente ricchi e molti siano terribilmente poveri, fino alla fame. Se riteniamo che ciò sia accettabile, è difficile cambiare il sistema. I valori dominanti sono sempre gli stessi. Questi valori si riflettono enormemente nei cambiamenti climatici. A chi interessano?

FORMAT: All'Europa?

MEADOWS: Cina, Svezia, Germania, Russia e Stati Uniti hanno sistemi sociali differenti ma in ognuna di queste nazioni aumenta l'emissione di CO2, perché in realtà alla gente non importa. Il 2011 è stato l'anno record (l'intervista è del 2012, n.d.t.): lo scorso anno è stata prodotta più anidride
carbonica che nell'intera storia umana precedente, nonostante che si voglia che la produzione diminuisca.

FORMAT: Cos'è che va per il verso sbagliato?

MEADOWS: Scordatevi i dettagli. La formula base dell'inquinamento da CO2 è composta da quatto elementi. Primo: il numero di persone sulla Terra. Queste devono essere moltiplicate per i beni pro capite, ovvero quante automobili, case e mucche esistono a persona, ed abbiamo così lo "standard" di vita sulla Terra.    Questo va poi moltiplicato per il fattore d’energia consumata per unità di capitale,
per esempio quanta energia necessaria per produrre automobili, costruire case e per rifornire e nutrire le mucche. Ed infine, il tutto va moltiplicato per l'ammontare d’energia derivata da fonti fossili.

FORMAT: Approssimativamente tra l'80 e il 90%.

MEADOWS: Approssimativamente. Se vuoi che il carico di CO2 cali, l'intero risultato di questa moltiplicazione deve calare. Ma noi cosa facciamo?   Proviamo a ridurre la quantità d’energia fossile usando maggiormente fonti alternative come vento e sole. E lavoriamo per rendere più efficiente l'utilizzo d’energia, isolando meglio le case, rendendo i motori più efficienti e tutto il resto. Lavoriamo solo sugli aspetti tecnici ma trascuriamo del tutto il fattore relativo alla popolazione
e crediamo che il nostro standard di vita migliorerà o almeno rimarrà invariato. Ignoriamo la popolazione e gli elementi sociali dell'equazione, e ci focalizziamo totalmente sulla soluzione degli aspetti tecnici del problema. Falliremo, perché la crescita della popolazione e gli standard di vita sono molto più rilevanti di tutto quanto possiamo risparmiare con una migliore efficienza o con le energie alternative. Pertanto, le emissioni di CO2 continueranno a salire. Non ci sarà soluzione al problema dei cambiamenti climatici se non affronteremo i fattori sociali che ne sono alla base.

FORMAT: Vuoi dire che la Terra risolverà la situazione di propria iniziativa?

MEADOWS: I disastri sono il metodo del pianeta per risolvere i problemi. A causa del cambiamento climatico, i livelli del mare cresceranno perché si stanno sciogliendo i ghiacci polari. Specie dannose si diffonderanno in aree dove non hanno nemici naturali a sufficienza. L'aumento della temperatura comporta l'aumento di venti forti e tempeste, che a loro volta influenzano le precipitazioni: avremo più alluvioni e più siccità.

FORMAT: Per esempio?

MEADOWS: La terra dove ora è coltivato il 60% del frumento cinese, sarà troppo secca per l'agricoltura. Nello stesso momento, pioverà, ma in Siberia, e la terra sarà più fertile lì. Dunque ci sarà una grande migrazione dalla Cina alla Siberia. Quante volte l'ho già detto alla gente nelle mie conferenze in Russia! I più anziani sono interessati ma la élite giovane ha semplicemente detto "Che m’importa? Voglio soltanto esser ricco."

FORMAT: Cosa fare?

MEADOWS: Se solo lo sapessi... Entriamo in un periodo che richiede enormi cambiamenti praticamente in tutto. Sfortunatamente, cambiare le nostre società o i sistemi di governo non è un processo rapido. Il sistema attuale non funziona comunque. Non ferma i cambiamenti climatici né previene le crisi finanziarie. I governi provano a risolvere i loro problemi stampando moneta, il che
quasi certamente porterà entro qualche anno ad un elevato tasso d’inflazione. E' una fase molto pericolosa. So soltanto che la gente, soprattutto in periodi di incertezza, se deve scegliere tra libertà ed ordine, sceglie l'ordine. L'ordine non significa necessariamente giustizia o rispetto della legge, ma vita ragionevolmente sicura e treni in orario.

FORMAT: Hai paura della fine della democrazia?

MEADOWS: Vedo due trend. Da una parte, lo smembramento degli stati in unità più piccole, ad esempio in regioni come la Catalogna.  Da un'altra parte la creazione di un superpotere forte e centralizzato. Non uno stato ma una combinazione fascistoide di industria, polizia e militari. Forse in futuro avremo persino le due soluzioni in contemporanea. La democrazia è in effetti un esperimento socio-politico molto giovane. Ed attualmente non esiste. Produce soltanto crisi che non è in grado di risolvere. La democrazia non contribuisce attualmente alla nostra sopravvivenza. Il sistema collasserà dall'interno, non a causa di un nemico esterno.

FORMAT: Stai parlando del "Dramma dei beni comuni"

MEADOWS: E' il problema fondamentale. Se in un villaggio chiunque può pascolare il suo gregge su un prato rigoglioso (aperto a tutti, N.d.T.) - chiamato in inglese arcaico "Commons" - entro poco tempo ne beneficeranno soprattutto quelli che scelgono di avere più bestiame. Ma se si va avanti in quel modo troppo a lungo, l'erba finisce e con quella tutto il bestiame.

FORMAT: Dunque si deve arrivare ad un accordo, per utilizzare al meglio il prato.   Questo potrebbe rappresentare il lato migliore della democrazia.

MEADOWS: Forse. Se il sistema democratico non riesce a risolvere il problema su scala globale, probabilmente potrebbe provarci una dittatura. Dopotutto, si tratta di questioni come il controllo della popolazione globale. Siamo da 300.000 anni sul pianeta e ci siamo organizzati in molti modi differenti. Quelli di maggior successo e più efficaci sono stati i sistemi tribali o di clan, non le dittature o le democrazie.

FORMAT: Un importante passo avanti tecnologico potrebbe salvare la Terra?

MEADOWS: Sì. Ma le tecnologie hanno bisogno di leggi, vendite, addestramento, persone che ci lavorano - vale quello che ho già detto poco fa.  Soprattutto, la tecnologia è solo un attrezzo come un martello o come il sistema finanziario neoliberista. Se i nostri valori sono sempre gli stessi, continueremo a sviluppare tecnologie che li soddisfano.

FORMAT: Tutto il mondo attualmente vede una possibile salvezza in una tecnologia verde e sostenibile.

MEADOWS: E' una fantasia. Anche se ci impegnassimo per aumentare l'efficienza nell'utilizzo dell'energia in modo enorme, ancor più nell'uso di fonti rinnovabili e facessimo grandi sacrifici per limitare i nostri consumi, non avremmo virtualmente possibilità di allungare la vita al nostro sistema attuale. La produzione di petrolio si ridurrà di circa la metà nei prossimi 20 anni, nonostante
lo sfruttamento dell'olio da scisti o da sabbie bituminose. Tutto accade troppo rapidamente. Al di là del fatto si può guadagnare anche di più grazie alle energie alternative. Le turbine eoliche possono funzionare, senza aeroplani.
Il direttore della Banca Mondiale (più recentemente responsabile dell'industria aerea complessiva) mi ha spiegato che il problema del picco del petrolio non è discusso in quell'istituzione, è semplicemente tabù.   Chiunque ci provi in qualche modo o viene licenziato o trasferito. Dopotutto, il picco del petrolio distrugge la fiducia nella crescita. Dovresti cambiare tutto.

FORMAT: Specialmente nelle compagnie aeree dove la quota di combustibili fossili è molto alta.

MEADOWS: Esattamente. E' per questo che l'era del trasporto aereo di massa a basso costo finirà presto. Se lo potranno permettere solo in grandi stati o imperi. Con molti soldi si potrà comprare energia - e causare mancanze di cibo, ma non si può sfuggire al cambiamento climatico, che colpisce i ricchi ed i poveri.

FORMAT: Hai qualche soluzione per queste terribili miserie?

MEADOWS: Dovrebbe cambiare la natura dell'uomo. Siamo tuttora programmati come 10.000 anni fa. Visto che uno dei nostri antenati poteva essere attaccato da una tigre, non si poteva preoccupare del futuro ma solo della propria sopravvivenza. La mia preoccupazione è che, per motivi genetici, non siamo adatti a fare i conti con problemi di lungo termine come i cambiamenti climatici. Fino a
che non impareremo a farlo, non ci sarà modo di risolvere problemi simili. Non c'è niente che possiamo fare. La gente dice sempre: "Dobbiamo salvare il pianeta". No, non dobbiamo. Il pianeta si salverà in ogni modo da solo. L'ha già fatto. Talvolta gli ci vogliono milioni di anni, ma comunque ce la fa. Non dobbiamo preoccuparci del pianeta ma della razza umana.


Articolo già apparso sul n. 7 delle rivista online "Overshoot".