venerdì 3 luglio 2015

Caldo: preparatevi al peggio





Entro certi limiti è normale che a Luglio faccia caldo ma, nella situazione odierna, siamo di fronte a un'ondata di calore eccezionale che comincia a ricordare quella storica del 2003. 

Ne discute Sam Carana nel suo blog, facendo notare come tutto sia correlato all'indebolimento della corrente a getto, causato a sua volta del riscaldamento globale. Lo vedete in questa immagine (sempre dal blog di Carana)



Ci ritroviamo dunque in una bolla di calore che si estende su tutta l'Europa centrale. Non si può prevedere quanto durerà, però preparatevi al peggio: non è una cosa che va a esaurirsi in pochi giorni. 



giovedì 2 luglio 2015

Naomi Klein: come la scienza ci dice di ribellarci

DaNew Statesman”. Traduzione di MR

La nostra inesorabile ricerca della crescita economica sta uccidendo il pianeta? Gli scienziati del clima hanno visto i dati e sono giunti a conclusioni incendiarie.




Terra desolata: l'irrigazione su larga scala toglie nutrienti dal suolo, sfregia il territorio e potrebbe alterare le condizioni climatiche al di là della capacità di ripristino. Immagine, Edward Burtynsky, per gentile concessione della Nicholas Metivier Gallery, Toronto/ Flowers, London, Pivot Irrigation #11 High Plai

Di Naomi Klein

Nel dicembre del 2012, un ricercatore dei sistemi complessi dai capelli rosa di nome Brad Werner si è fatto notare fra la folla di 24.000 scienziati della terra e dello spazio all'Incontro Autunnale dell'Unione Geofisica Americana, che si tiene annualmente a San Francisco. La conferenza di quell'anno ha visto la partecipazione di grandi nomi, da Ed Stone del progetto Voyager della NASA, che spiegava una nuova pietra miliare sulla strada verso lo spazio interstellare, al regista James Cameron, che parlava delle sue avventure nei sommergibili di grande profondità.

Ma è stata la sessione di Werner che ha attratto gran parte dell'attenzione. Era intitolata “La Terra è fottuta?” (titolo completo: “La Terra è fottuta? Futilità dinamica della gestione globale dell'ambiente e possibilità di sostenibilità attraverso l'attivismo di azioni dirette”). Di fronte alla sala conferenze, il geofisico dell'Università della California di San Diego ha spiegato alla folla il modello computerizzato avanzato che stava usando per rispondere a quella domanda. Ha parlato di limiti di sistema, perturbazioni, dissipazione, attrattori, biforcazioni e di una gran quantità di altre cose in gran parte incomprensibili a coloro fra noi che non sono iniziati alla teoria dei sistemi complessi. Ma la linea di fondo era abbastanza chiara: il capitalismo globale ha reso l'esaurimento delle risorse così rapido, conveniente e senza barriere che “i sistemi umani terrestri” stanno diventando, in risposta, pericolosamente instabili. Incalzato da un giornalista per una risposta chiara alla domanda “siamo fottuti?”, Werner ha messo da parte il gergo ed ha replicato, “più o meno”.

C'era una dinamica nel modello, tuttavia, che forniva qualche speranza. Werner l'ha denominata “resistenza” - movimenti di “persone o gruppi di persone” che “adottano una determinata serie di dinamiche che non si adatta alla cultura capitalista”. Secondo l'abstract per la sua presentazione, questo include “azione ambientale diretta, resistenza presa al di fuori della cultura dominante, come in proteste, blocchi e sabotaggi da parte di popoli indigeni, lavoratori, anarchici ed altri gruppi di attivisti”. Gli incontri scientifici seri di solito non sono caratterizzati da appelli alla resistenza politica di massa, molto meno all'azione diretta e al sabotaggio. Ma, di nuovo, Werner non ha proprio fatto appello a quelle cose. Stava semplicemente osservando che le rivolte di massa delle persone – insieme alle linee del movimento per l'abolizione, i diritti civili o Occupy Wall Street – rappresentano la fonte più probabile di “attrito” per rallentare una macchina economica che sta scivolando fuori controllo. Sappiamo che i movimenti sociali del passato hanno “avuto una incredibile influenza su … come si è evoluta la cultura dominante”, ha sottolineato. Quindi è ovvio che “se stiamo pensando al futuro della Terra, e al futuro della nostra unione con l'ambiente, dobbiamo includere la resistenza come parte di quelle dinamiche”. E questo, ha sostenuto Werner, non è una questione di opinione, ma “in realtà un problema di geofisica”.

Molti scienziati sono stati spinti dalle loro scoperte fatte nella ricerca a scendere in strada. Fisici, astronomi, medici e biologi sono stati l'avanguardia dei movimenti contro le armi nucleari, l'energia nucleare, la guerra, la contaminazione chimica e il creazionismo. E nel novembre 2012 Nature ha pubblicato un commento del filantropo della finanza e dell'ambiente Jeremy Grantham che esorta gli scienziati ad unirsi a questa tradizione e a “farsi arrestare se necessario”, perché il cambiamento climatico “non è l'unica crisi delle nostre vite, è anche la crisi dell'esistenza della nostra specie”. Alcuni scienziati non hanno bisogno di essere convinti. Il padre della moderna scienza del clima, James Hansen, è un attivista formidabile, essendo stato arrestato circa mezza dozzina di volte per la sua resistenza all'estrazione di carbone tramite “mountaintop removal” e agli oleodotti per le sabbie bituminose (ha persino lasciato il suo lavoro alla NASA quest'anno, in parte per avere più tempo per l'attivismo). Due anni fa, quando sono stata arrestata fuori dalla Casa Bianca ad un'azione di massa contro l'oleodotto per le sabbie bituminose Keystone XL, ona delle 166 persone in manette quel giorno era un glaciologo di nome Jason Box, un noto esperto mondiale della fusione della calotta glaciale della Groenlandia. “Non avrei potuto conservare la mia autostima se non fossi andato”, ha detto Box allora, aggiungendo che “solo votare non sembra essere sufficiente in questo coso. Devo anche essere un cittadino”.

Ciò è lodevole, ma ciò che sta facendo Werner con la sua modellazione è diverso. Lui non sta dicendo che la sua ricerca lo ha portato ad agire per fermare una particolare politica, sta dicendo che la sua ricerca mostra che tutto il nostro paradigma economico è una minaccia alla stabilità ecologica. E infatti sfidare quel paradigma economico – attraverso movimenti di massa che spingono in senso contrario – è la migliore possibilità per l'umanità di evitare la catastrofe. Roba pesante. Ma non è solo. Werner fa parte di un gruppo piccolo ma sempre più influente di scienziati la cui ricerca sulla destabilizzazione dei sistemi naturali – in particolare del sistema climatico – li sta portando a conclusioni analogamente trasformative e rivoluzionarie. E per ogni rivoluzionario stretto che abbia mai sognato di rovesciare l'ordine economico attuale a favore di uno che sia meno probabile che spinga i pensionati italiani ad impiccarsi in casa, questo lavoro dovrebbe interessare in modo particolare. Perché rende l'abbandono quel sistema crudele in favore di qualcosa di nuovo (e forse, con molto lavoro, migliore) non più una questione di mera preferenza ideologica, ma piuttosto di una necessità esistenziale di tutta la specie.

A condurre il gruppo di questi nuovi rivoluzionari scientifici è uno dei maggiori esperti di clima della Gran Bretagna, Kevin Anderson, il vice direttore del Cetro Tyndall per la Ricerca sul Cambiamento Climatico, che si è rapidamente affermato come una delle pricipali istituzioni nel Regno Unito per la ricerca climatica. Di fronte a tutti, dal Dipartimento per lo Sviluppo Internazionale al Comune di Manchester, Anderson ha passato più di un decennio a tradurre pazientemente le implicazioni della scienza del clima più aggiornata a politici, economisti e attivisti. In un linguaggio chiaro e comprensibile, delinea una rigorosa road map per la riduzione delle emissioni, una che fornisce una possibilità decente per mantenere le temperature al di sotto dei 2°C, un obbiettivo che la maggioranza dei governi ha determinato che allontanerebbe la catastrofe. Ma negli ultimi anni i saggi e le presentazioni di Anderson sono diventate più allarmanti. Con titoli come “Cambiamento climatico: andare oltre il pericoloso... Numeri brutali e tenue speranza”, sottolinea che le possibilità di rimanere entro un qualche livello di temperatura sicuro stanno rapidamente diminuendo. Con la sua collega Alice Bows, un'esperta di mitigazione del clima al Centro Tyndall, Anderson evidenzia che abbiamo perso così tanto tempo in stallo politico e politiche climatiche deboli – tutti mentre il consumo globale (e le emissioni) sono cresciuti a dismisura – che ora siamo di fronte a tagli così drastici che sfidano la logica di base del dare la priorità alla crescita del PIL su tutto il resto.

Anderson e Bow ci informano che lo spesso citato obbiettivo di mitigazione a lungo termine – un 80% di taglio di emissioni al di sotto dei livelli del 1990 entro il 2050 – è stato scelto puramente per ragioni di opportunità politica e “non ha basi scientifiche”. Questo perché gli impatti climatici non vengono solo da ciò che emettiamo oggi e domani, ma dalle emissioni complessive che si accumulano in atmosfera nel tempo. E avvertono che concentrandosi su obbiettivi di tre decenni e mezzo nel futuro – piuttosto che su ciò che possiamo fare per tagliare nettamente e immediatamente il carbonio – c'è un rischio serio che permetteremo alle nostre emissioni di continuare ad aumentare negli anni a venire, buttando quindi troppo del nostro “bilancio di carbonio” per i 2°C e mettendoci in una posizione impossibile più avanti durante questo secolo. Che è il motivo per cui Anderson e Bow sostengono che, se i governi dei paesi sviluppati sono seri riguardo al volere raggiungere l'obbiettivo concordato a livello internazionale di mantenere il riscaldamento al di sotto dei 2°C e se le riduzioni devono rispettare un qualche principio di equità (fondamentalmente che i paesi che che hanno emesso carbonio per quasi due secoli devono tagliare prima dei paesi in cui più di un miliardo di persone non ha ancora l'elettricità), quindi le riduzioni devono molto più profonde e devono arrivare molto prima.

Per avere una possibilità del 50% di raggiungere l'obbiettivo dei 2°C (che, i due scienziati e molti altri avvertono, comporta comunque il dover affrontare una serie di impatti climatici enormemente dannosi), i paesi industrializzati devono cominciare a tagliare le loro emissioni di gas serra di qualcosa come il 10%all'anno – e devono cominciare ora. Ma Anderson e Bow vanno oltre, sottolineando che questo obbiettivo non può essere raggiunto con la serie di modeste tassazioni del carbonio o le soluzioni green-tech normalmente sostenute dai grandi gruppi verdi. Queste misure aiuteranno certamente, per essere sicuri, ma non sono semplicemente sufficienti: un 10% di diminuzione delle emissioni, anno dopo anno, è virtualmente senza precedenti da quando abbiamo iniziato a potenziare le nostre economie col carbone. Di fatto, tagli al di sopra del 1% all'anno “sono stati storicamente associati solo con la recessione economica o la sommossa”, come ha detto l'economista Nicholas Stern nel suo rapporto del 2006 per il governo britannico.

Anche dopo che l'Unione Sovietica è collassata, riduzioni di questa durata e profondità non si sono verificate (i paesi dell'ex Unione Sovietica hanno visto riduzioni medie annue di circa il 5% su un periodo di 10 anni). Non si sono verificate dopo il crollo di Wall Street nel 2008 (i paesi ricchi hanno visto circa un 7% di diminuzione delle emissioni fra il 2008 e il 2009, ma le loro emissioni di CO2 si sono rifatte alla grande nel 2010 e le emissioni di Cina ed India hanno continuato ad aumentare). Solo subito dopo il grande crollo del mercato nel 1929 gli Stati Uniti, per esempio, hanno visto le emissioni diminuire per diversi anni consecutivi di più del 10% all'anno, secondo i dati storici del Centro di Analisi delle Informazioni su Biossido di Carbonio. Ma quella è stata la peggiore crisi economica dei tempi moderni. Se vogliamo evitare quel tipo di carneficina mentre raggiungiamo i nostri obbiettivi di emissione basati sulla scienza, la riduzione di carbonio dev'essere gestita con attenzione attraverso ciò che Anderson e Bows  descrivono come “radicali ed immediate strategie di decrescita negli Stati Uniti, nell'Unione Europea e in altri paesi ricchi”. Che va bene, eccetto per il fatto che si da il caso che abbiamo un sistema economico che idolatra la crescita del PIL su tutto il resto, a prescindere dalle conseguenze umane o ecologiche e in cui la classe politica neoliberista ha completamente abdicato alla sua responsabilità di gestire qualsiasi cosa (visto che il mercato è il genio invisibile al quale tutto deve essere affidato).

Quindi ciò che Anderson e Bows stanno in realtà dicendo è che c'è ancora tempo per evitare il riscaldamento catastrofico, ma non all'interno delle regole del capitalismo per come sono costruite ora. Il che potrebbe essere il migliore argomento che abbiamo mai avuto per cambiare quelle regole. In un saggio del 2012 apparso sull'influente rivista scientifica Nature Climate Change, Anderson e Bows hanno lanciato una specie di guanto di sfida, accusando molti dei loro compagni scienziati di non fare chiarezza sul tipo di cambiamenti che richiede il cambiamento climatico all'umanità. Su questo vale la pena citare per esteso la coppia:

. . . sviluppando gli scenari di emissione gli scienziati hanno ripetutamente e gravemente sottostimato le implicazioni delle loro analisi. Quando si tratta di evitare un aumento di 2°C, “impossibile” viene tradotto in “difficile ma fattibile”, mentre “urgente e radicale” emerge come “impegnativo” - tutto ciò placa il dio dell'economia (o, più precisamente, della finanza). Per esempio, per evitare di superare il tasso massimo di riduzione di emissioni dettato dagli economisti, vengono assunti picchi precedenti di emissioni “impossibili”, insieme alle nozioni ingenue sulla “grande” ingegneria e i tassi di dispiegamento delle infrastrutture a basso tenore di carbonio. Ancora più preoccupante, man mano che i bilanci delle emissioni diminuiscono,  il fatto che la geoingegneria venga proposta sempre di più per assicurare che il diktat degli economisti rimanga indiscusso.

In altre parole, per sembrare ragionevoli all'interno dei circoli economici neoliberisti, gli scienziati hanno drammaticamente ammorbidito le implicazioni della loro ricerca. Dall'agosto 2013, Anderson è stato disposto ad essere ancora più franco, scrivendo che abbiamo perso il treno del cambiamento graduale. “Forse al tempo dell'Earth Summit del 1992, o anche al cambio di millennio, i livelli di mitigazione di 2°C potevano essere raggiunti attraverso cambiamenti evolutivi significativi all'interno dell'egemonia politica ed economica. Ma il cambiamento climatico è un problema cumulativo! Ora, nel 2013, noi che ci troviamo in nazioni (post)industriali che emettono molto abbiamo di fronte una prospettiva molto diversa. La nostro attuale e collettiva dissolutezza in fatto di carbonio ha sperperato qualsiasi opportunità di “cambiamento evolutivo” che poteva permettersi dal nostro bilancio precedente (e maggiore) di carbonio per i 2°C. Oggi, dopo due decenni di bluff e bugie, il bilancio rimanente per i 2°C richiede un cambiamento rivoluzionario della egemonia politica ed economica” (grassetto suo). Probabilmente non ci dovremmo sorprendere del fatto che alcuni scienziati del clima sono un po' impauriti dalle implicazioni radicali anche della loro stessa ricerca. La maggior parte di loro stava silenziosamente facendo il suo lavoro misurando carote di ghiaccio, provando modelli climatici globali e studiando l'acidificazione dell'oceano solo per scoprire, come dice l'esperto climatico e scrittore australiano Clive Hamilton. “stavano involontariamente destabilizzando l'ordine politico e sociale”.

Ma ci sono molte persone che sono ben consapevoli della natura rivoluzionaria della scienza del clima. E' per questo che alcuni dei governi che hanno deciso di buttare i loro impegni climatici in favore dell'estrazione di più carbonio hanno dovuto trovare modi sempre più delinquenziali di mettere a tacere e intimidire gli scienziati delle loro nazioni. In Gran Bretagna, questa strategia sta diventando più evidente, con Ian Boyd, il consigliere scientifico capo del Dipartimento per l'Ambiente, il Cibo e gli Affari Rurali, che scrive di recente che gli scienziati dovrebbero evitare “di suggerire che le politiche siano giuste o sbagliate” e dovrebbero esprimere i loro punti di vista “lavorando coi consiglieri integrati (come me) e essendo la voce della ragione, piuttosto che del dissenso, nell'arena pubblica”. Se volete sapere dove porta questo, guardate cosa succede in Canada, dove vivo. Il governo conservatore di Stephen Harper ha reso efficace il bavaglio agli scienziati ed ha chiuso progetti di ricerca cruciali che, nel luglio del 2012, un paio di migliaia di scienziati e sostenitori hanno tenuto un funerale ironico a Paliament Hill ad Ottawa, piangendo la “morte delle prove”. I loro cartelli dicevano: “Niente scienza, niente prove, niente verità”.

Ma la verità viene fuori comunque. Il fatto che la ricerca dei profitti e della crescita BAU stia destabilizzando la vita sulla Terra non è più una cosa di cui dobbiamo leggere sulle riviste scientifiche. I primi segni si stanno svelando davanti ai nostri occhi. E un numero sempre maggiore di noi sta rispondendo di conseguenza: bloccando l'attività del fracking a Balcombe, interferendo con le preparazioni delle trivellazioni nell'Artico in acque russe (a costi personali tremendi), portando a giudizio gli operatori delle sabbie bituminose per aver violato la sovranità degli indigeni e innumerevoli altre azioni di resistenza grandi e piccoli. Nel modello computerizzato di Brad Werner, questo è “l'attrito” necessario per rallentare le forze della destabilizzazione. Il grande attivista Bill McKibben li chiama “anticorpi” che emergono per combattere la “febbre alta” del pianeta. Non è una rivoluzione, ma è un inizio. E ci potrebbe far guadagnare giusto il tempo sufficiente per immaginare un modo di vivere su questo pianeta che sia nettamente meno fottuto.

mercoledì 1 luglio 2015

lunedì 29 giugno 2015

Le ragioni nascoste dietro alla crescita economica lenta: EROI in declino, energia netta vincolata

Da “Resource Insights”. Traduzione di MR (via Post Carbon Institute)

Dovrebbe apparire ovvio che ci vuole energia per avere energia. E quando ci vuole più energia per avere l'energia che vogliamo, di solito questo implica prezzi più alti dal momento che l'energia usata in ingresso costa di più. In tali circostanze rimane meno energia da usare per il resto della società, cioè, per le parti che non raccolgono energia – i consumi industriali, commerciali e residenziali di energia – di come sarebbe in caso contrario. Non dovrebbe sorprendere quindi che mentre i combustibili fossili, che forniscono più del 80% dell'energia usata dalla società moderna, diventino più energeticamente impegnativi da estrarre e raffinare; c'è una resistenza crescente all'attività economica man mano che sempre più risorse dell'economia vengono dedicate semplicemente ad ottenere l'energia che vogliamo. Un modo più formale di parlare di questo è l'EROI (o EROEI – Energy Returno on Energy Investment). Il “ritorno energetico” è l'energia che otteniamo da un particolare “investimento” di una unità di energia. Più è alto l'EROI di una fonte energetica, più economica questa sarà sia in termini energetici sia finanziari – e più sarà l'energia che resta ad uso del resto della società. Ma abbiamo assistito ad un declino permanente dell'EROI del petrolio e del gas naturale degli Stati Uniti nell'ultimo secolo, una tendenza che è probabile che si rifletta anche altrove nel mondo. Ecco un riassunto dall'abstract di uno studio del 2011:

venerdì 26 giugno 2015

La senilità delle élite: l'estrazione di carbone deve continuare, a prescindere dai costi umani

DaResource Crisis” e “Chimeras”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi




La miniera di carbone di Bihar, India. Foto: Nitin Kirloskar 


Questo post è stato ispirato da un recente articolo sull'estrazione di carbone in India di David Rose su The Guardian. In India la gente sta morendo per strada a causa del calore eccessivo causato dal riscaldamento globale, ma Rose ci informa che “... per un'ampia gamma di politici di Dehli c'è unanimità. Semplicemente non c'è, dicono, la possibilità che in questa fase del suo sviluppo l'India acconsenta a qualsiasi forma di limitazione delle emissioni e di tagli nemmeno a parlarne.” In altre parole, l'estrazione di carbone deve continuare in nome della crescita economica, a prescindere dai costi umani.

Penso che sia difficile vedere un esempio più evidente della senilità delle élite mondiali. Sfortunatamente non si tratta di una cosa che riguarda solo l'India. Le élite di tutto il mondo sembrano quasi completamente cieche rispetto alla situazione disperata in cui ci troviamo tutti.

Su questo argomento ho scritto un post sul blog “Chimeras” (che segue) che descrive come la cecità delle élite non è solo tipica dei nostri tempi, ma era la stessa al tempo dell'Impero Romano: E' una discussione su come un membro della élite Romana, Rutilio Namaziano, avesse completamente frainteso la situazione degli ultimi anni dell'Impero. E la nostra caratteristica di esseri umani quella di non capire il collasso, nemmeno quando lo viviamo.

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Del suo ritorno: un patrizio Romano ci racconta come ha vissuto il collasso dell'impero. 



Il V secolo ha ha visto gli ultimi sussulti dell'Impero Romano d'Occidente. Di quei tempi difficili abbiamo solo pochi documenti ed immagini. Sopra, potete vedere uno dei pochi ritratti sopravvissuti di qualcuno che è vissuto a quel tempo: l'Imperatore Onorio, capo di ciò che restava dell'Impero Romano d'Occidente dal 395 al 423. La sua espressione sembra essere di sorpresa, come se avesse cominciato a vedere i disastri che avevano luogo durante il suo regno. 

Ad un certo punto durante i primi decenni del V secolo DC, probabilmente nel 416, Rutilio Namaziano, un patrizio Romano, ha lasciato Roma – a quel punto l'ombra della gloriosa Roma di prima – per rifugiarsi nei suoi possedimenti nel sud della Francia. Ci ha lasciato una relazione del suo viaggio intitolata “De Reditu suo”, che significa “del suo ritorno”, che possiamo leggere ancora oggi, quasi completo.

giovedì 25 giugno 2015

Il discorso di Matteo Renzi: un monito forte sulla necessità di agire contro il cambiamento climatico...... o forse no?


Tradotto e adattato da "Resource Crisis"


Qualche giorno fa, Matteo Renzi  è intervenuto in un incontro dedicato alla situazione del clima. Il suo discorso in questa occasione potrebbe essere preso come un invito ad agire contro il cambiamento climatico ma, in realtà, è un buon esempio di come un astuto politico riesce sempre a dire tante cose, senza però dire niente. E' uno stile di politica che non è tipico soltanto della situazione italiana, ma ormai universale.

Così, mi sono preso la libertà di riprendere le frasi principali del discorso di Renzi, come riportate da "La Repubblica" e espanderle con il loro vero significato (Grassetto: le parole di Renzi)



"Io non credo alla cultura della negatività e del pessimismo: sono ottimista, ma occorre assumersi della responsabilità e il tempo delle scelte è oggi" - Comincio con una bella banalità, ma non pensate che sia la sola!

"...Dire che per noi il clima è una priorità, è restituire un senso di identità al nostro paese" Il che è, ovviamente, un'altra bella banalità, ma ha uno scopo. Notate che ho detto "una" priorità e non ho detto quali sono le altre priorità. Così, come vi potete immaginare, ci saranno sempre delle priorità più prioritarie del clima (e ora vi dirò quali sono).

"Oggi, il nostro nemico è il carbone", e questo lo posso dire dato che in Italia non usiamo molto carbone; così posso prenderlo come lo spauracchio del momento senza offendere le lobby dei combustibili fossili che mi finanziano. Inoltre, mi da la scusa di dire che altri combustibili fossili sono puliti in confronto.


"Fra 40-50 anni avremo bisogno di andare ben oltre la lotta a questo combustibile" Notate che sto dicendo che tutta la lotta al cambiamento climatico si riduce alla lotta a un combustibile che in in Italia praticamente non si usa - non è una bella cosa?  Questo vuol dire che non c'è bisogno di fare niente contro il cambiamento climatico per i prossimi 40-50 anni. E questo la dice lunga su come la penso in proposito.

"Dobbiamo essere capaci di dire le cose come stanno, cioè che le rinnovabili da sole non bastano"  La solennità con la quale dico questa cosa banale non vuol dire che capisco qualcosa di energia rinnovabile. Vuol dire solo che rappresento un'altra lobby. 

"Da qui a domani mattina non finiscono né il petrolio né il gas" E questa è un'altra bella banalità ma è per farvi capire esplicitamente, nel caso siate veramente molto tonti, quali sono le mie priorità. Non siete contenti?





lunedì 22 giugno 2015

La geopolitica dei gasdotti: Nord Stream



Image credit



Guest post di Tatiana Yugay


Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la Russia ha cercato di ridurre il transito di gas sul territorio ucraino. Per la Russia, l’Ucraina non è piu un partner energetico affidabile; le crisi del gas tra i due paesi nel 2006 e nel 2009 hanno rafforzato questa percezione.

La  Russia prevedeva di costruire due gasdotti per bypassare i paesi di transito pericolosi per la sicurezza della fornitura di gas. Uno di questi era il cosidetto "Nord Stream" e l'altro "South Stream". La costruzione dei gasdotti gemelli dovrebbe alleviare l'Europa dalla dipendenza pericolosa del transito del gas russo attraverso l'Ucraina, che aveva due volte bloccato la consegna dell'Unione europea.

Prima , "Gazprom" ha iniziato il progetto per costruire un gasdotto che collega direttamente la Russia e la Germania sotto il Mar Baltico.



Picture credit: http://rus.telegram.ee/wp-content/uploads/2013/07/nord-stream1.jpg

Il percorso è stato definito attraverso le zone economiche esclusive di cinque paesi — la Germania e la Russia, così come la Finlandia, la Svezia e la Danimarca. Nonostante le critiche dei paesi scandinavi e la forte resistenza di Polonia e Ucraina, tutti i documenti e permessi necessari erano stati finalmente ottenuti.

Ciononostante, la Polonia, la Bielorussia e i paesi baltici hanno lanciato una campagna rumorosa contro la pipeline. Nel 2006, il Ministro della Difesa  polacco Radek Sikorski ha chiamato il Gasdotto nordeuropeo il " Nuovo Patto Molotov-Ribbentrop", cosa che ha suscitato l'indignazione della Russia e della Germania. La Polonia insisteva sul fatto che la costruzione di un gasdotto terrestre attraverso il suo territorio, sarà più economica e non permetterà l'aumento della quota del gas russo in importazioni di gas totali in Europa. Quando  il governo polacco non era riuscito a portate la pipeline in Polonia, voleva cancellare il progetto, insistendo sul suoi diritti alle acque territoriali a sud dell'isola Bornholm, per questo in seguito era stato scelto il giro dell'isola da nord.

Il 9 Novembre 2009 il “Wall Sreet Journal” pubblicava un articolo intitolato  “The Molotov-Ribbentrop Pipeline". Alexandros Petersen, il direttore associato del Energy Center Eurasia presso il Consiglio Atlantico, scriveva che “Il messaggio geopolitico della Russia è chiaro: Essa non si fida dei nuovi Stati membri dell'Ue, come i paesi di transito o anche come i consumatori di energia ed è disposto a sostenere i costi enormi per aggirarli. L'altro messaggio o l'implicita minaccia è che il Nord Stream permetterà il Cremlino di tagliare le forniture di gas verso l'Europa orientale attraverso le condutture attuali senza ridurre le forniture di energia in Germania”

Anche Greenpeace e altre organizzazioni ambientaliste erano state contro il progetto: a loro parere, la costruzione del gasdotto disturberebbe le armi chimiche nel fondo del Mar Baltico e le mine navali, e potrebbe portare a un disastro ambientale. I rappresentanti di Nord Stream hanno sostenuto che la costruzione del gasdotto terrà conto delle norme ambientali più severe, e il percorso del gasdotto non influenzerà i siti dove erano scaricati i munizioni.

Alla fine, il consorzio Nord Stream è riuscito a dimostrare che la costruzione del gasdotto non causerà danni significativi per l'ecosistema del Mar Baltico.
Un esperto di sviluppo regionale nel'ex Unione Sovietica, Sergey Artemenko, ha detto già nel 2008: «E 'chiaro che con la sua posizione di transito, l'Ucraina sta cercando di creare un banale ricatto. Nel caso della costruzione del gasdotto onshore dalla Russia alla Germania attraverso i paesi di transito, come richiedono Estonia, Lituania, Lettonia e Polonia - ci saranno altri ricattatori. "

Ogni  paese cercherà di ottenere i prezzi più favorevoli di gas a seconda di dove transita. Tutti i discorsi circa la convenienza di un gasdotto terrestre possono risultare sbagliati e il gasdotto può eventualmente generare perdite, sia per la Russia e per i consumatori europei di gas, perché sara necessario di soddisfare primo di tutto gli appetiti per gas dei paesi di transito, e solo dopo di loro dei consumatori finali.

“Con questo gasdotto proveniente dalla Russia" spiega Marzio Galeotti, economista dell’Università di Milano "si raggiunge l’obiettivo di bypassare tutta una serie di Paesi, e in particolare la Polonia, ai quali innanzitutto sarebbero dovuti dei diritti di transito. Inoltre si neutralizza qualsiasi pretesa di veto o ancora peggio di blocco delle forniture, come accadde qualche anno fa con l’Ucraina per un altro gasdotto”.

Nonostante la forte resistenza dei paesi di transito e non-transito, Gazprom ha iniziato la realizzione del progetto. Il progetto è partito nel 1997 quando Gazprom e Neste, compagnia petrolifera finlandese, hanno creato il North Transgas Oy per la costruzione del gasdotto dalla Russia alla Germania del Nord attraverso il Mar Baltico. In  seguito, gli  azionisti del Nord Stream AG erano stati il Gazprom (51%), Ruhrgas (15,5%), Wintershall (15,5%), N.V. Nederlandse Gasunie (9%) e Gaz de France-Suez (9%).

Il Nord Stream ha goduto fin dal 2000 dello status di progetto prioritario europeo nel quadro delle Reti Trans-Europee dell'Energia (TEN-E dall'acronimo inglese), cioè è fra i progetti che l'Unione europea ritiene di fondamentale importanza per la sicurezza dell'approvvigionamento e il completamento del mercato interno.

La posa della prima conduttura era terminata il 4 maggio 2011, mentre i lavori sotto il livello del mare sono terminati il mese dopo. Il 6 settembre 2011 veniva immesso il gas per la prima volta nella prima conduttura. Il condotto veniva ufficialmente inaugurato dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel, dal Presidente russo Dmitry Medvedev e dal Primo Ministro francese François Fillon l'8 novembre 2011 a Lubmin. La costruzione della seconda linea termina nell'agosto 2012 con inaugurazione l'8 ottobre.

Un ruolo fondamentale nel successo del progetto ha svolto l'alleanza personale del presidente russo Vladimir Putin e il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder. Nell'aprile 2005, aveva avuto luogo un incontro del presidente russo Vladimir Putin e il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder. Le parti hanno concordato la costituzione di società russo-tedesca, che avrà una quota di "Gazprom", l'azienda chimica tedesca BASF e società del gas E.ON Ruhrgas AG - una controllata di E.ON e il più grande azionista straniero di "Gazprom". L'accordo finale sul gasdotto è stato firmato da Putin e Schroeder nel settembre 2005. Dopo la sua dimissione dalla carica di Cancelliere della Germania nel 2006, Gerhard Schroeder ha servito come presidente del comitato degli azionisti della società.



Picture credit: http://m.cdn.blog.hu/fo/fotelkalandor/image/krimi/ns_link_i.jpg

Secondo  Günther Oettinger, l'ex commissario europeo per l'energia dell'Ue, "Nord Stream è da tempo diventata un'infrastruttura europe. Il Nord Stream è stato accettato oggi". Tuttavia, la storia non era finita con il completamento del secondo ramo del gasdotto nel 2011. In precedenza, Nord Stream AG aveva l'intenzione di costruire due rotte in più per passare attraverso il Mar Baltico - arrivando nel Regno Unito e nei Paesi Bassi. Alla fine di ottobre 2014, l'Ue ha deciso di non estendere la sezione del gasdotto in Gran Bretagna nonostante il fatto che, secondo gli esperti, a causa della riduzione della produzione di gas nel Mare del Nord nel 2020, il paese dovrà ottenere il 70% del suo fabbisogno nel "combustibile blu" dalle importazioni. Un mese dopo, alla fine di gennaio 2015, anche il Gazprom ha abbandonato i piani per espandere Nord Stream al Regno Unito.

Aggiornamento:

Gazprom ha annunciato i piani per costruire due linee di un nuovo gasdotto con una capacità di 55 miliardi di metri cubi all'anno. Ciò potrebbe raddoppiare le forniture dirette di gas russo verso l'Europa. Il nuovo gasdotto avrà un percorso simile a Nord Stream. Il 18 giugno Gazprom, Shell, E.On e OMV hanno firmato un memorandum di intenti per creare le infrastrutture di trasporto del gas per garantire forniture dirette di gas della Russia per i consumatori europei.

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La geopolitica dei gasdotti: Come la geopolitica entra nel gioco economico