lunedì 24 giugno 2013

La Russia sarà il nostro Far West


Da"Vita nel Petrolitico"




"Lo Shale gas è una rivoluzione ed una risorsa praticamente infinita! La Russia sarà il nostro Texas!"Paolo Scaroni, ENI; giugno 2013*
 
"Non solo lo Shale Gas e Shale Oil non risolveranno il problema del picco del petrolio, ma potrebbero invece creare una crisi economica; ... nel 2012, 7000 pozzi sono costati 42 miliardi di dollari per un introito di 32,5 miliardi di prodotto finito"
U.S. Energy Information Administration (EIA), giugno 2013**




* http://petrolitico.blogspot.fr/2013/06/scaroni-lo-shale-gas-grande-rivoluzione.html
**http://www.guardian.co.uk/environment/earth-insight/2013/jun/21/shale-gas-peak-oil-economic-crisis


sabato 22 giugno 2013

Quando l'oncologo fuma sigarette

In questo articolo, Rob Hopkins critica in modo piuttosto pesante la presentazione del centro di ricerca Hadley sul cambiamento climatico che lui e un gruppo di visitatori hanno ricevuto. In effetti, l'atteggiamento della guida descritto da Hopkins si riscontra in non pochi ricercatori e scienziati e non solo in Inghilterra. Sanno che stanno lavorando su un soggetto dal quale dipende la vita e la morte non soltanto di loro stessi, ma di tutto il genere umano. Eppure, non riescono ad "agganciare" alla pratica quotidiana le conseguenze di quello che fanno. E' un po' come vedere un oncologo che si fuma una sigaretta dopo l'altra - e succede! Non è che non sa che le sigarette fanno venire i tumori, ma non riesce ad assimilare emotivamente la nozione e a metterla in pratica. Succede anche ai climatologi, non tutti hanno la lucidità e lo spessore morale di un James Hansen che mette in gioco la sua reputazione dicendo le cose come stanno. Insomma, ancora un esempio di come non riusciamo a renderci conto delle conseguenze di quello che sappiamo (UB)

“Mi scusi... cosa?”: visita al Met Office Hadley Centre


Di Rob Hopkins
Da “Transition Culture”. Traduzione di MR


Il Met Office, vicino Exeter

L'altro giorno io e un amico abbiamo portato i nostri bambini piccoli a fare un giro al centro Met Office, vicino a Exeter. Il Met Office è la sede dell'Hadley Centre, uno dei centri più avanzati in cui hanno luogo le modellizzazioni e le ricerche sul cambiamento climatico. Si è rivelato essere un evento che mi ha lasciato sia arrabbiato sia perplesso e con alcune riflessioni che vorrei condividere con voi. Il giro in sé ha poca importanza ai fini di questo pezzo, a parte dire che è stato in grado di trasformare qualcosa che potevano essere alcune ore davvero interessanti in tre ore piuttosto tediose. Certamente non è un giro pensato per destare l'interesse dei bambini. Il punto più basso secondo me, tuttavia, è stato quando abbiamo effettivamente raggiunto l'Hadley Centre. Ecco la scena...

Il mio gruppo arriva nell'Hadley Centre

Il mio gruppo di circa 40 persone, prevalentemente pensionati in gita di gruppo, arriva negli uffici vuoti (be', è un sabato) dell'Hadley Centre. Ora, per coloro che non sanno, l'Hadley Centre è una specie di terra santa della ricerca climatica. Ecco cosa dice il loro sito Web su ciò che fanno:

  • “Produciamo un'orientamento di valore mondiale sulla scienza del cambiamento climatico e forniamo un centro focale nel Regno Unito per quanto riguarda i problemi scientifici associati alla scienza del clima. In gran parte cofondato dal Dipartimento per l'Energia e il Cambiamento Climatico (DECC) e dal Defra (il Dipartimento per l'Ambiente, il Cibo, e gli Affari Rurali), forniamo un'informazione approfondita e consiglio al Governo sui problemi della scienza del clima. In quanto uno dei centri più importanti per la ricerca sulla scienza climatica, i nostri scienziati danno un contributo significativo alla letteratura peer-reviewed e ad una varietà di rapporti sulla scienza del clima, compreso il Rapporto di Valutazione dell'IPCC. Le nostre proiezioni climatiche sono state la base per la Revisione Stern sull'Economia del Cambiamento Climatico”. 


E' un ufficio enorme, piuttosto anonimo, e noi ci troviamo posizionati a ferro di cavallo intorno alla nostra guida (i nostri figli sono annoiati inutilmente da questo momento e sono andati fuori per una passeggiata intorno alle scrivanie, così ho dovuto tenere un occhio su di loro ed uno sulla guida). La guida comincia a raccontarci che questo è uno dei centri più importanti per la ricerca climatica nel mondo, i cui dati e modelli si trovano alla base di gran parte del lavoro in corso nel mondo.

L'Hadley Centre

Lui dice (o le parole suonano in questo modo), “nella storia, il mondo si è già riscaldato, in occasioni precedenti, molto di più di quanto vediamo oggi. In questo contesto storico allargato, il riscaldamento che vediamo oggi è relativamente minore. Io penso che sia inevitabile che bruceremo tutti i combustibili fossili che ci sono. Per esempio, io stesso guido una macchina che consuma molto, credo che voi stessi vi divertireste ad usarla”. Ero basito. Poi ha continuato, come in molte occasioni durante la visita, a lodare gli uffici del Met Office e dire quanto fossero allo stato dell'arte dell'efficienza energetica. Quando è arrivato il momento delle domande, il mio amico gli ha chiesto “da quello che ha detto, sembra che tutto il cambiamento climatico sia un fenomeno interamente naturale sul quale l'attività umana non ha avuto alcuna influenza. Potrebbe chiarire questo punto?” La guida allora ha detto che no, naturalmente non intendeva dire questo e che naturalmente era tutto dovuto all'attività umana e che non voleva dare quella impressione.

Il mio migliore momento personale del giro: le nuvole di lana appese al soffitto della mensa del Met Office

Gli ho chiesto come fosse per lui lavorare all'Hadley Centre, con tutti quei dati e informazioni che elaborano ogni giorno. Negli Stati Uniti, gli scienziati del clima come James Hansen stanno uscendo dall'imparzialità scientifica e vengono arrestati per aver fermato camion di carbone e cose simili. Ho chiesto se anche lui sentiva un impulso simile. Lui ha detto che come persona al servizio del pubblico (il Met Office è un'istituzione del Governo del Regno Unito) da contratto non può prendere parte a nessuna dimostrazione. Poi ha è andato avanti dando una panoramica molto buona della fusione del ghiaccio dell'Artico, del perché fosse importante e del perché questo abbia rappresentato un anello di retroazione importante e così via. Ma per me il danno era fatto. 

Giorno dopo giorno lui e i suoi colleghi portano il Grande Pubblico Britannico in giro per il Met Office, li portano all'Hadley Centre e parlano del cambiamento climatico. Con la fiducia sulla scienza climatica da parte del pubblico precaria, a dir poco, e con quotidiani come il Daily Mail che continuano a pubblicare sciocchezze demenziali sul cambiamento climatico, se c'è un posto nel mondo in cui alla gente può essere ben disposta ascoltarlo per quello che è, questo deve senz'altro essere dentro l'Hadley Centre. Lui ha sottolineato che devono state molto attenti a non essere 'politici', a non dare le proprie opinioni in termini di cosa possiamo fare per il cambiamento climatico, piuttosto di concentrarsi sulla scienza. Ma non abbiamo sentito niente di questo. Avrebbe potuto dire che: 
  • Le temperature globali sono già aumentate di 0,8°C rispetto ai livelli preindustriali, con altri 0,6°C inevitabili a causa del ritardo temporale degli impatti delle emissioni
  • Le istituzioni mondiali più rispettate hanno tutte dichiarato che ci sono forti prove che l'attività umana stia alimentando l'amento delle temperature
  • Anche livelli relativamente bassi di biossido di carbonio hanno dimostrato di avere una gamma di impatti nel mondo
  • Sulla nostra attuale traiettoria di emissioni, gli scienziati stimano aumenti fra i 2,4 e i 6,4 °C per il 2100
  • Delle 2795 gigatonnellate di carbonio che abbiamo identificato, la scienza ci dice che possiamo bruciarne solo 565 gigatonnellate se vogliamo mantenere l'aumento della temperatura mondiale al di sotto dei +2°C
  • Stiamo già vedendo estremi atmosferici e impatti climatici, come la fusione del ghiaccio dell'Artico, che sta accelerando in modo allarmante
Non c'è niente di controverso o di 'politico' in questo. Presumibilmente queste cose si trovano nei rapporti che l'Hadley Centre pubblica un giorno sì e uno no, il loro pane quotidiano. Oppure potrebbero mostrare questo grafico a settori: 


Potrebbero chiedere ai membri più anziani del gruppo se, durante la loro vita, hanno notato il cambiamento del clima ed ascoltare le loro storie. Ma no, quello che abbiamo avuto è stato il tentativo di un pezzo umoristico su come noi non possiamo fare niente comunque, quindi possiamo anche continuare semplicemente a guidare finché i combustibili fossili non siano tutti finiti. Posso capire che giro guidato dopo giro guidato per gente che potrebbe sembrare indifferente a quello di cui stai parlando ti può portare ad una posizione in cui la prendi con leggerezza per mantenere la loro attenzione. Ma questo è un atteggiamento pigro ed è una completa rinuncia alla responsabilità inerente all'essere rappresentanti dell'Hadley Centre, che sta nell'Hadley Centre. Mi sono ricordato del recente ed eccellente articolo di George Marshall Le ragioni per cui i disastri potrebbero non aumentare la preoccupazione sul cambiamento climatico. Marshall ha visitato una città in Texas dove 1.700 case sono recentemente andate perdute in un enorme incendio, le cui cause erano direttamente collegate al cambiamento climatico. Spesso si sente parlare di un altro “eccezionale” evento meteorologico naturale disastroso, “che cosa servirà perché la gente veda che il cambiamento climatico sta avvenendo?” Come dice Marshall: “I disastri possono far aumentare la fiducia e la certezza sociale”. Il suo pezzo è affascinante in quanto, nonostante un tale evento, coloro che credevano nel cambiamento climatico ci hanno creduto ancora più fortemente, vedendo gli incendi come prova del loro credere, e coloro che non ci credevano hanno usato l'esperienza in modo analogo per rafforzare le loro posizioni. Marshall ha scritto che:  

  • “La consapevolezza sul cambiamento climatico è complessa e mediata da atteggiamenti socialmente costruiti. E' importante riconoscere che molti degli ostacoli sociali e culturali alla credenza non vengono rimossi dai grandi impatti e potrebbero, di fatto essere rafforzati”. 

Quando si è radicati in un'analisi particolare del cambiamento climatico, è sempre più facile circondarsi di gente e media che sostengono la tua vecchia visione. Twitter ci permette semplicemente di accedere alle notizie provenienti da gente con la quale siamo d'accordo. Google, basandosi sulle pagine Web che visitiamo, comincia a filtrare la nostra visione del mondo per cui possiamo ricevere solo le notizie con le quali siamo d'accordo. Cerchiamo i quotidiani che sostengono la nostra visione del mondo. E' solo in rare occasioni, come in una visita guidata al Met Office, per scoprire come fanno le previsioni del tempo in tivù, che la nostra visione del mondo può essere autorevolmente cambiata. 

Se qualcuno mi avesse detto in modo autorevole, essendo io uno che dedica la propria vita lavorativa all'attivismo sul clima, che sbagliavo ad essere preoccupato dalla fusione del ghiaccio Artico, questo sarebbe certamente stato cibo per la mente e sarei andato via con l'idea di approfondire. Come dice Marshall:
  • “Accettare il cambiamento climatico antropogenico richiede un alto grado di autocritica ed anche di capacità di dubitare di sé stessi. Richiede una preparazione ad accettare la responsabilità personale per gli errori collettivi e per intere società accettare il bisogno di un grande cambiamento collettivo. E, inevitabilmente, questo processo di accettazione genererebbe dibattito e conflitto intensi”.
Quale migliore opportunità per una tale discussione di un sabato mattina al Met Office? Forse ho avuto una guida impreparata. Forse tutti gli altri ricevono il tipo di presentazione che ho suggerito sopra, a parte il mio gruppo. Forse l'esperienza di coloro che tengono le visite guidate è che se discutono il cambiamento climatico in un modo significativo le persone si ribellano e cominciano a tirar loro i cestini della carta e le spillatrici. O forse è semplicemente più facile prenderla alla leggera per mandare la gente a casa con l'impressione che il cambiamento climatico non è colpa loro e che non ci sia niente che possano fare. Se avessimo un grave problema di salute, uno che abbiamo negato, uno per cui riempiamo i nostri giorni di distrazioni per evitare di riconoscerlo realmente e uno per il quale evitiamo gli amici che ti voglio dire cosa sia realmente, poi abbiamo bisogno di circostanze particolari per portarci ai nostri sensi. Come ha mostrato il pezzo di Marshall, anche un episodio di mala sanità può essere giustificato ed attribuito a qualcos'altro. Ciò di cui abbiamo bisogno è di trovarci in un ambulatorio e che un dottore/dottoressa ce lo racconti per quello che è, per definire un prognosi con chiarezza e compassione. Giungere al punto di trovarsi in quell'ambulatorio può essere in sé un viaggio, ma una volta che ti trovi lì, dipende dall'abilità del dottore l'essere in grado di raccontarti come stanno le cose. Se questi ci scherza sopra e ti dice quanto sia uno sforzo inutile migliorare, come sia orribile la medicina che non la prenderebbe lui stesso ed è più divertente non farlo, questo sarebbe la più spaventosa inadempienza al proprio dovere. Il mio giro all'Hadley Centre mi ha fatto sentire come se avessi incontrato un dottore del genere. Vergogna.  




mercoledì 19 giugno 2013

Il 97% del consenso sul Riscaldamento Globale trova resistenza nel negazionismo scientifico

Il robusto consenso sul clima incontra la resistenza da parte delle teorie della cospirazione, del 'cherry picking' (selezionare dati secondo la convenienza) e delle mistificazioni

Di Dana Nuccitelli

Da “Common Dreams”. Traduzione di MR


Il riscaldamento globale potrebbe cambiare le nostre mappe e far spostare la gente dalle città e dalle isole tropicali (foto: national Geographic). L'indagine di Skeptical Science che ha scoperto un 97% di consenso da parte degli esperti sul riscaldamento globale antropogenico ha attratto una grande attenzione mediatica. Centinaia di storie mediatiche hanno documentato la nostra indagine e i suoi risultati. L'autore principale, John Cook, ed io abbiamo partecipato a numerose interviste per discutere il saggio, anche su Al Jazeera, CNN e ABC. Il Presidente Obama ha anche tweetato i nostri risultati ai suoi 31 milioni di iscritti. La storia è stata così popolare principalmente perché i risultati presentano un messaggio semplice ma cruciale. C'è un grande divario fra la consapevolezza pubblica e la realtà del consenso fra gli esperti sul riscaldamento globale antropogenico.


In aggiunta, come ha detto John Cook, la ricerca ha mostrato che la percezione del consenso è legata al sostegno della politica climatica. Questo è vero su tutto lo spettro ideologico – quando la gente è consapevole del consenso degli esperti sul riscaldamento globale antropogenico, è più probabile che sostenga l'azione per risolvere il problema. Gli oppositori dell'azione climatica sono consapevoli della forte influenza del consenso scientifico per decenni. Già nel lontano 1991, la Western Fuels Association ha lanciato una campagna da 510.000 dollari per “riposizionare il riscaldamento globale come teoria (non un fatto)” nella percezione pubblica. Una memoria dello stratega delle comunicazioni Frank Luntz emersa nel 2002 consigliava i repubblicania continuare a fare della mancanza di certezza scientifica il punto principale del dibattito”.

Così, anche se i nostri risultati lineari e coerenti con le ricerche precedenti, non siamo stati sorpresi del fatto che abbiano incontrato la resistenza di certi gruppi ed abbiamo anticipato le critiche nelle FAQ. Tuttavia, passando in rassegna le varie critiche al nostro saggio, abbiamo notato alcune discussioni comuni fra loro. Un saggio del 2009 pubblicato sull'European Journal of Public Health da Pascal Diethelm e Martin McKee discuteva cinque caratteristiche comuni nel negazionismo scientifico:

1) il cherry picking;
2) i falsi esperti;
3) mistificazioni e fallacia logica;
4) aspettative impossibili su ciò che può produrre e
5) teorie della cospirazione
Queste caratteristiche sono state presenti in tutte le critiche al nostro saggio e infatti abbiamo trovato esempio di ognuna delle 5 caratteristiche fra di esse.

Per esempio, l'autore di un post ha contattato un gruppo di scienziati i cui saggi erano contenuti nella nostra indagine ed hanno dichiarato che abbiamo “classificato in modo falso” i loro saggi. L'economista climatico Tol ha fatto eco alle critiche al nostro saggio nello stesso post. Questo criticismo specifico riesce a contenere tre delle cinque caratteristiche del negazionismo scientifico.

Contattare specificamente quei pochi scienziati è un esempio classico di cherry picking. La nostra indagine ha ricevuto risposte da 1.200 ricercatori climatici; l'autore di questo post ne ha accuratamente selezionati alcuni, tutti guarda caso ben conosciuti per essere degli “scettici” del clima. E' anche una variante della caratteristica del falso esperto, come ha spiegato John Cook nel suo libro scritto con G. Thomas Farmer, Cambiamento Climatico: una sintesi moderna.

“Una variazione del Falso Esperto è quella di prendere un pugno di scienziati del clima che continuano a dissentire ed amplificare le loro voci per dare l'impressione di un'opposizione più significativa di quella che c'è nella realtà”.

Il gruppo di scienziati contattati per questo post sono parte di quel meno del 3% dei ricercatori climatici che contestano il riscaldamento globale antropogenico. Di conseguenza, le voci di questa piccola minoranza di “scettici” vengono amplificate. Terzo, l'argomento di questo post è una mistificazione del nostro studio. La squadra di Skeptical Science ha categorizzato i saggi basandosi unicamente sui loro abstract, laddove è stato chiesto agli autori scientifici dei contenuti dei loro saggi completi. Abbiamo invitatogli autori scientifici a categorizzare i loro saggi così, se hanno risposto, le loro classificazioni “corrette” dei saggi completi sono contenuti nel nostro database. Come illustrato nel grafico sotto, abbiamo trovato lo stesso 97% di consenso sia col metodo del solo abstract sia in quello dell'auto classificazione. Un'altra caratteristica dei movimenti che negano un consenso è quella di avere aspettative impossibili. L'industria del tabacco ha perfezionato questo approccio negli anni 70, richiedendo livelli di prove sempre più stringenti del fatto che il fumo causasse il cancro, in modo da ritardare la regolamentazione dei loro prodotti da parte del governo. Questa tecnica delle aspettative impossibili è stata illustrata in un altro post che dichiara che solo i saggi che quantificano il contributo umano al riscaldamento globale contano per avallare il consenso. Gran parte delle ricerche legate al clima non quantificano quanto riscaldamento stiano causando gli esseri umani, specialmente nell'abstract. Semplicemente non ce n'è ragione. Non ci aspettiamo che gli scienziati si addentrino nei dettagli di una scienza stabilita nel breve e prezioso spazio dell'abstract (il sommario breve all'inizio del saggio). Tuttavia, ci aspettavamo di vederlo fare più spesso nel saggio completo ed è esattamente ciò che abbiamo osservato. Quando agli scienziati è stato chiesto di valutare il livello di avallo dei loro saggi, nei 237 saggi che hanno veramente specificato la proporzione del riscaldamento globale antropogenico, oltre il 96% era d'accordo che gli esseri umani hanno causato più della metà del recente riscaldamento globale.

In un altro post ancora, Christopher Monckton, del quale il mio collega John Abraham mi ha spiegato come mistifichi abitualmente la ricerca degli scienziati del clima, ha a sua volta mistificato i nostri risultati. Monckton ha paragonato mele e arance guardando gli studi precedenti sul consenso, nel tentativo di sostenere che i nostri risultati mostrano un 'collasso' del consenso. Al contrario, usando una comparazione mela-a-mela coerente in un lasso di oltre due decenni, abbiamo mostrato che il consenso sul riscaldamento globale antropogenico sta crescendo.

La crescita del consenso scientifico sul riscaldamento globale antropogenico nella letterature peer-reviewed dal 1991 al 2011 da Cook et al. (2013)

In anni recenti, alcuni saggi hanno preso una posizione sulle cause del riscaldamento globale nell'abstract. Ciò è stato previsto da Naomi Oreskes nel 2007, che notava che gli scienziati stavano procedendo nel focalizzarsi su questioni non assodate. Alcuni blog hanno sviluppato una fallacia logica conseguente dichiarando che questo mostra 'un aumento dell'incertezza'. Tuttavia, se l'incertezza sulle cause del riscaldamento globale stesse aumentando, ci aspetteremmo di vedere un aumento della percentuale di saggi che rifiutano o minimizzano il riscaldamento globale antropogenico. Al contrario, la percentuale dei studi che rifiutano è in declino a sua volta. Gli scienziati sentono il problema  è assodato, la scienza di fatto suggerisce che c'è più certezza sulle cause del riscaldamento globale.

Infine, è stata proposta una teoria della cospirazione, che suggerisce che il consenso è semplicemente un risultato del rifiuto da parte delle riviste scientifiche di pubblicare saggi che rifiutano il riscaldamento globale antropogenico. Le nostre analisi comprendevano i risultati di 1980 riviste in tutto il mondo. Per tutte queste quasi 2000 riviste scientifiche internazionali, bloccare la ricerca “scettica” comporterebbe davvero una cospirazione enorme. A causa dell'importanza dei nostri risultati, ci aspettiamo pienamente che la resistenza continui e ci aspettiamo pienamente che chi resiste alle nostre scoperte continui a mostrare le 5 caratteristiche del negazionismo scientifico. Tuttavia, abbiamo usato due metodi indipendenti e confermato lo stesso 97% degli studi precedenti. Questo accordo schiacciante sul riscaldamento globale antropogenico manifesta in molti modi indipendenti che il consenso scientifico è una realtà robusta. 

martedì 18 giugno 2013

Cinismo nell'era del declino

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel

Cari lettori,

è normale, da qualche anno, che le dichiarazioni pubbliche di diversi organismi ed istituzioni internazionali pubbliche riguardo ad un possibile scenario di scarsità energetica siano sprezzanti. In molti casi un tale atteggiamento riflette un'ignoranza di alcuni aspetti tecnici associati all'arrivo del picco del petrolio, il che non sorprende, visto che coloro che governano questi organismi di solito sono economisti e sappiamo già il perché gli economisti non capiscono l'Oil Crash (e nemmeno il problema specifico posto dalla diminuzione dell'EROEI). In altri casi, abbiamo a che fare con autentici spacconi, esperti nel fabbricare il dubbio con fini del tutto illegittimi (generalmente favorire la liberalizzazione amministrativa e continuare con la festa come se nulla fosse). In alcuni casi, tuttavia, tale opposizione si trova nei media governativi, che si basano su una confusione di concetti favorita da quegli organismi che hanno la funzione di consigliarli in materia di sicurezza energetica. Il motivo per il quale questi organismi di consulenza agiscano in questo modo è difficile da sapere. Può darsi che abbiano paura delle conseguenze del parlare chiaramente, può darsi che ai loro responsabili vengano imposte direttive politiche per non riconoscere la verità... Comunque sia, il fatto è che ora che il tramonto del petrolio è qui, sto rilevando un aumento di dichiarazioni sempre più stentoree da parte dei diversi responsabili, senza che in realtà ci siano argomenti nuovi per negare che le risorse del mondo siano finite e, ciò che è più grave, che la disponibilità possibile delle stesse abbia i suoi limiti. Al margine delle loro motivazioni, è chiaro che il loro atteggiamento è piuttosto cinico.

Il fatto è che alcuni lettori mi hanno chiesto ripetutamente, negli ultimi tempi, di alcune di queste dichiarazioni di abbondanza energetica che stanno in piedi solo sulla carta e, data la frequenza e l'impatto delle stesse, ho pensato che sarebbe stata una buona idea compilarle in un post, anche se. Come vedrete, non c'è davvero niente di nuovo sotto il Sole. Ecco la mia relazione sommaria:


Non ci sono problemi col petrolio, ce n'è tanto quanto quello estratto finora: Questa affermazione è stata fatta da un responsabile di CORES in una recente conferenza a ESADE, a Barcellona. La cosa divertente è che la seconda affermazione è di fatto corretta. Effettivamente, se pensiamo al petrolio greggio, è stata consumata poco più di 1000 miliardi di barili di petrolio e le riserve restanti stimate si crede siano altri 1000 miliardi, approssimativamente. Tuttavia, a chi lavora a CORES non può sfuggire che il problema sia la produzione e non le riserve. A che mi serve avere 100 milioni di euro in banca se mi lasciano prendere solo 100 euro al mese? Giustamente, il problema è che la prima metà delle riserve – quella a cui era più facile accedere – l'abbiamo estratta in una fase di produzione crescente (ogni anno si estraeva più petrolio di quello precedente) mentre la seconda metà – quella di più difficile estrazione – uscira ad un ritmo sempre più lento (ogni anno si estrarrà di meno che in quello precedente).


Pertanto, quella che pretende di essere una affermazione ottimista è in realtà un modo illegittimo di camuffare la realtà; un argomento convincente per i non informati, mera propaganda. 

Il problema della produzione è di mero investimento: chi fa questa affermazione non sa, o finge di non sapere, del il Ritorno sull'Investimento Energetico (EROEI) e le sue implicazioni. Perché il punto non è se è tecnicamente possibile estrarre tutto quel petrolio che c'è nel sottosuolo, ma se possiamo estrarlo in modo redditizio. Per l'economista, che vede solo i soldi, è solo una questione di miglioramento delle tecniche estrattive e, con l'investimento adatto, si potrà fare. Tuttavia, la chiave è la redditività energetica, la quale evolve lentamente e in realtà ha la tendenza a diminuire nonostante i miglioramenti tecnologici. E se l'affare non è conveniente energeticamente è impossibile che lo sia economicamente. 

Le riserve strategiche di petrolio degli Stati Uniti si trovano ai massimi degli ultimi 5 anni. Picco del petrolio? Perdonatemi se rido: questo commento, praticamente preso alla lettera, l'ho letto settimane fa da un noto gestore di fondi. Questa persone, in concreto, è solito insistere sulla dimensione delle riserve strategiche degli Stati Uniti, quando difficilmente si può trovare un termometro peggiore per quanto riguarda la situazione del petrolio. Per cominciare, spieghiamo cosa sono le riserve strategiche di un paese. Si tratta di petrolio stoccato in grandi serbatoi in luoghi chiave e il cui scopo è garantire la continuità della fornitura ai servizi e ai settori chiave nel caso di una interruzione della fornitura di petrolio. Sono state create negli anni 70 proprio per ammortizzare gli effetti associati alle interruzioni di quel periodo (embargo arabo, guerra Iran-Iraq). Tutti i paesi dell'OCSE, ed alcuni che non appartengono a questa organizzazione, hanno le proprie. Per legge, devono coprire almeno 60 giorni di consumo o 60 giorni delle importazioni tipiche di quel periodo dell'anno, la cifra più alta fra le due. Dato questo obbligo legale, normalmente queste riserve si muovono intorno a questa cifra, 60 giorni (il petrolio entra ed esce continuamente da queste installazioni perché una volta estratto si degrada a contatto con l'aria e pertanto non si può lasciare stoccato così com'è. Così, queste riserve strategiche variano poco e probabilmente tendono a diminuire al diminuire del consumo del paese. In ogni momento dell'anno la variazione del volume di riserve strategiche rispetto alla media dei 5 anni precedenti nella stessa data è insignificante in percentuale, essendo molto più importanti le variazioni durante l'anno (posto che non si consumi la stessa quantità in inverno o estate che in primavera ed autunno). E in ogni caso, siccome questa quantità varia, non ci dice nulla sull'evoluzione futura della produzione, ma sui modelli attuali di consumo degli Stati Uniti. 

Sulla stessa linea, a parte le riserve strategiche, la stessa industria conserva del petrolio da usare come cuscinetto in caso di contingenze comuni (un petroliere che ritarda, un'avaria ad un oleodotto...). Questo cuscinetto è, nel caso degli Stati Uniti, di una trentina di giorni, senza che esista un mandato concreto circa la sua dimensione. Le sue variazioni percentuali sono più rapide di quelle delle riserve strategiche, a causa del fatto che rispondono più alle previsioni sul mercato che fa l'industria. Negli Stati Uniti, durante gli ultimi mesi, queste riserve hanno raggiunto il massimo in 5 anni, anche se ora stanno tornando ai valori medi. Come prima, questo indicatore a sua volta non è significativo per quanto riguarda la produzione (per quanto l'homo economicus pretenda che la produzione risponde ai cambiamenti della domanda riflessi in questi grafici – fallacia assoluta che si sfalda vedendo l'attuale inelasticità della produzione di petrolio di cui abbiamo già parlato).

Negli Stati Uniti, negli ultimi 5 anni, si sta vivendo un boom del gas naturale grazie alla produzione di gas di scisto, che è il combustibile del futuro: sembra un bugia che, con l'abbondanza di dati disponibili, si continuino a dire queste sciocchezze. A parte che la produzione di gas di scisto è semplicemente una rovina dal punto di vista economico, io non vedo nessun boom di gas naturale negli Stati Uniti. Ovviamente ciò dipende cosa definiamo “boom”. 

Vediamo come si è evoluto il consumo di gas naturale negli Stati Uniti (dati della Energy Information Administration):



Il grafico ci indica i consumi aggregati di gas durante i 12 mesi precedenti. Pensate che, sebbene il consumo di gas recupera qualcosa del 2005, nel 2009 era ancora al di sotto dei livelli del 2000. Solo dal 2010 al 2012 il consumo arriva a salire ad un ritmo significativo, di circa un miliardo di piedi cubici di consumo aggiuntivo all'anno. E' così piccolo che ce ne vuole per parlare di boom: sarebbe di circa 1 miliardi di piedi cubici in tre anni, cioè di meno di un 1,5% annuale se lo guardiamo dal 2010 e dello 0,3% se lo guardiamo dal 2000. Infine, ciò significa che i nostri commentatori stanno esagerando l'importanza della crescita del consumo.

Esagerazioni varie sul futuro della produzione di petrolio negli Stati Uniti: questa è stata un'altra delle affermazioni del responsabile di  CORES a ESADE. Sicuramente avrete letto che gli Stati Uniti saranno il primo produttore di petrolio del mondo verso il 2020 ed esporterà petrolio a partire dal 2035; in alcuni siti, facendo la ola ad affermazioni tanto rocambolesche, arrivano ad affermare che esporterà petrolio l'anno prossimo – in realtà gli Stati Uniti commercia diversi tipi di petrolio e di diversa provenienza e, con la diminuzione delle qualità dei petroli disponibili ed i problemi con le raffinerie (che abbiamo già discusso qui) si prevede di esportare eccedenze di petrolio pesante verso altri siti dove si possa raffinare, anche se si mantenessero o anche aumentassero le importazioni di altri tipi di petrolio.

Tutte le esagerazioni che circolano attualmente sul futuro energetico degli Stati Uniti si basano su affermazioni o rapporti della IEA, che lo scorso novembre ha fatto il suo rapporto annuale e da poco lo ha rinnovato per mezzo del rapporto semestrale. Tuttavia, da dire al fare c'è di mezzo il mare potete leggere la traduzione di un eccellente post di Matthieu Auzanneau sul questo tema su questo stesso blog). Quando abbiamo analizzato l'ultimo rapporto annuale della IEA, abbiamo evidenziato questo grafico:


Il grafico mostra come si evolveranno le importazioni di petrolio negli Stati Uniti (curva azzurra in basso) secondo lo scenario centrale proposto dalla IEA. Come vedete, anche nel 2035 gli Stati Uniti continuerebbero ad importare più di 3 Mb/g (sui più di 18 Mb/g che consumano in questo momento), ma qui la IEA fa un divertente trucco contabile. Secondo la IEA, gli Stati Uniti saranno autosufficienti in modo netto perché le eccedenze di gas naturale che produrrà equivarranno alle mancanze di petrolio. Poco importa che a parità di contenuto energetico il petrolio valga più del doppio del gas naturale e che probabilmente non hanno mercato sufficiente per il loro gas: questo salto nel vuoto serve per creare una narrativa stimolante. Tuttavia, la cosa davvero grave di questo grafico (come abbiamo commentato a suo tempo) è che si assume come ipotesi naturale che gli Stati Uniti ridurranno la propria domanda estera (quello che nel grafico chiamano “Demand-side efficiency”) a 4 Mb/g, cioè a più del 20% del proprio consumo attuale. Prendendo l'insieme del consumo di petrolio, la IEA prevede una discesa del consumo di petrolio degli Stati Uniti del 31%, il che è abbastanza grave se si tiene conto che grandi scivoloni del consumo, e non di questa importanza, sono sempre e soltanto state accompagnate da una profonde recessione economica. Certamente, se l'industria degli Stati Uniti sprofonda, il paese può smettere di importare petrolio, ma non sono molto sicuro che questa sia una buona notizia... Come non lo è, in realtà, che gli Stati Uniti potrebbero arrivare ad essere il primo produttore del mondo prima del 2020, visto che lo sarebbe con un segno simile a quello attuale di Arabia Saudita e Russia, e se gli Stati Uniti occupassero il primo posto sarebbe per il declino di quei due paesi. Insomma, che si trucchino da buone notizie quelle che in realtà sono notizie orribili, è la massima espressione del cinismo.

Senza dubbio i lettori identificheranno ora o nei prossimi mesi informazioni dello stesso tenore. Se volete sapere cosa c'è di certo e cosa di esagerato in una promessa di abbondanza energetica, la mia raccomandazione è quella di cercare i dati originali sui quali si basano le dichiarazioni originali (sulla stampa, particolarmente quella spagnola – ma anche italiana, ndt – le notizie a volte arrivano molto falsificate a causa di una certa sciatteria o mancanza di rigore di alcuni giornalisti che non verificano i dati originali). E, una volta che avete i dati alla mano, prendete una calcolatrice e comparate i dati: se parliamo di nuove riserve di petrolio, comparatele col consumo del pianeta (90 Mb/g), per vedere se sono tanto grandi; se parliamo di miglioramenti presunti fondamentali, verificate se alla fine non hanno che un impatto marginale nel consumo o nella produzione di quel paese; se si parla della tale tecnologia rivoluzionaria, verificate se si trova già in fase commerciale o se parliamo solo di prototipi o peggio ancora, di esperimenti ancora in laboratorio, ecc. In molti casi, senza grande fatica, vedrete come si abusa dell'anumerismo del lettore. Il che è preoccupante nel caso di un giornalista ed è praticamente un tradimento degli interessi generali nel caso dei gestori pubblici. Ed è che, in alcune circostanze, tanto cinismo non è scusabile.

Saluti.

AMT














domenica 16 giugno 2013

Il grande errore dei biocombustibili

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR



Di Antonio Turiel

Cari lettori,

già da un paio di decenni nella maggior parte dei paesi occidentali è obbligatorio per legge che una parte di ciò che viene distribuito dalle pompe delle stazioni di servizio sia quello che la legge denomina biocombustibile. Per biocombustibile si intende un liquido di origine vegetale che può supplire, almeno parzialmente, ai carburanti convenzionali di origine fossile. La percentuale della miscela che deve essere biocombustibile conforme dal punto di vista legale, oscilla dal 7%, come obbliga l'Unione Europea, al 15% vigente in molti stati degli USA. 

Perché è stato introdotto quest'obbligo di miscelare i carburanti di origine fossile un un surrogato povero, con minore potere energetico e che, come vedremo, porta molti problemi? C'è stata, a suo tempo, una motivazione principale: diminuire la dipendenza dall'esterno. L'idea che avevano i legislatori era che i nostri agricoltori occidentali avrebbero coltivato il nostro combustibile. Tuttavia, come mostrano numerosi studi, il ritorno energetico (EROEI) della maggior parte dei biocombustibili è talmente basso che in realtà quello di “coltivare la nostra energia” è un affare disastroso. Tanto disastroso che finora l'aggiunta di biocombustibili era sovvenzionata dagli Stati, nella speranza che la tecnologia si sviluppasse sufficientemente da far aumentare la redditività energetica e con essa la redditività economica e che alla fine ne sarebbe valsa la pena. 

Tuttavia, quello che è successo nella pratica è che, al calore della normativa che da un lato obbliga l'aggiunta di biocombustibili e che dall'altro li sovvenziona, è nata una grande industria su scala globale, destinata alla coltivazione su grande scala di diverse piante per la produzione di biocombustibile. Di sicuro conviene chiarire che il nome più corretto per queste sostanze è agrocombustibili, visto che il prefisso “bio” potrebbe dar da intendere che siano prodotti naturali e tutto sommato rispettosi dell'ambiente e/o della biodiversità, mentre in realtà si tratta di prodotti derivati dall'attività su grande scale del settore alimentare e coltivati a livello industriale. E giustamente, a causa dell'uso delle tecniche di grande scala necessarie per coprire una tale mole di domanda, questo è il motivo per cui l'EROEI è così basso: per produrre i 2 milioni di barili giornalieri di “biocombustibili” (agrocombustibili in realtà, insisto) che si producono oggigiorno nel mondo, si utilizza una quantità enorme di fertilizzanti, pesticidi, trattori, mietitrebbie e diverse macchine di macchina per la lavorazione, con grandi input di energia. Un vero e proprio spreco energetico, ma che fino ad ora poteva essere marginalmente redditizio – con le sovvenzioni – visto che finora l'energia era a buon mercato. 

Come abbiamo frequentemente denunciato, la produzione di agrocombustibili è in competizione con gli usi alimentari, portando a situazioni aberranti. Per esempio, nel 2011 gli Stati Uniti hanno dirottato il 43% della produzione di mais verso il bioetanolo – con un EROEI di 1 (!!) - mentre a livello mondiale il 6,5% dei cereali e l'8% degli oli vegetali sono stati destinati ai biocombustibili (come spiega il ricercatore Tim Searchinger). L'Argentina ora coltiva grandi quantità di soia destinata all'esportazione e alla produzione di biodiesel (e con un EROEI che non arriva a 2), la produzione di bioetanolo da canna da zucchero del Brasile è solo marginalmente redditizia e l'unica grande coltivazione davvero redditizia su scala globale è quella dell'olio di palma proveniente dall'Indonesia e dalla Malesia (anche se è difficile che possa continuare a lungo termine, visto che le pratiche di coltivazione utilizzate non sono affatto sostenibili). E nel frattempo, grazie al fatto che vengono dirottati questi alimenti per sfamare le macchine dei ricchi, i poveri muoiono di fame.

E se questo fosse poco, l'introduzione di agrocombustibili genera problemi nuovi, a volte di particolare gravità. Per esempio, l'etanolo di origine vegetale è corrosivo (come in realtà lo solo la maggior parte dei composti derivati dal petrolio), il che obbliga ad introdurre più inibitori della corrosione. Dall'altra parte, il biodiesel non equivale perfettamente al petrodiesel, la sua molecola è polare e più igroscopica, per cui può accumulare acqua con più facilità. Quest'acqua diminuisce il potere combustibile della miscela, ma in più genera un problema anche peggiore: in questa interfaccia troppo spesso proliferano colonie di batteri ed altri microorganismi che generano una gelatina che può produrre ostruzione nel motore e che se arriva agli iniettori possono causare una grave avaria. Per evitare reclami, i proprietari delle stazioni di servizio fanno trattamenti periodici dei propri depositi con biocidi, che sono essenzialmente antibiotici – non negherete questa è una grande, grande ironia: togliendo il cibo agli uomini per darlo alle macchine abbiamo ottenuto che le macchine soffrono di malattie da uomini. Aggiungete a ciò che alcuni biodiesel, come l'olio di palma, hanno punti di fusione abbastanza alti, per cui a temperature moderatamente basse solidificano e causano problemi simili – il che obbliga la grande distribuzione di carburante a tenere un occhio sulle previsioni meteorologiche a vari giorni, al fine di decidere la miscela (e, se avete una macchina diesel, non stupitevi se in giorni repentinamente freddi la macchina abbia dei considerevoli cali di potenza). 

Tutti questi problemi, insomma, presuppongono un incremento notevole dei costi aggiunti. A volte, per evitare l'escalation dei costi, alcuni controlli indispensabili con l'attuale complessità dei carburanti (controlli sulla contaminazione batterica nelle botti del combustibile e sulla separazione degli elementi della miscela) semplicemente non si fanno, con conseguenze a volte fatali. Per aggravare la situazione, il governo spagnolo ha recentemente ritirato la sovvenzione ai biocombustibili ma ha mantenuto l'obbligatorietà di avere il 7% nella miscela finale. Insomma, tutti questi problemi si convertono in maggiori costi che in genere sono sostenuti dall'ultimo anello della catena di distribuzione, le stazioni di servizio, che in un contesto di domanda decrescente e costi crescenti possono vedersi condannate alla chiusura (come sta accadendo a molte in Spagna e probabilmente in altri paesi dell'OCSE).

C'è qualche buona prospettiva tecnica riguardo ai biocombustibili che giustifichino gli attuali svantaggi? In realtà no. Un recente e molto esteso studio sui biocombustibili realizzato dall'esercito degli Stati Uniti mostra che non solo gli attuali biocombustibili sono un controsenso energetico, ma che persino i previsti biocombustibili di seconda generazione (che proverrebbero dalla frazione di cellulosa dei vegetali e delle alche marine) avranno sempre un EROEI molto basso. 

Ma i biocombustibili hanno vantaggi di tipo politico:

- Servono a convertire il gas naturale in qualcosa di simile al petrolio. Effettivamente, la maggior parte del consumo di energia nelle coltivazioni industriali si deve all'uso di fertilizzanti, i quali consumano grandi quantità di gas naturale. Con questa strategia possiamo ovviare parzialmente alla mancanza di petrolio (che, ricordiamo, è avviato al suo tramonto). Ma questa strategia non è esente dal problema, al contrario. Da un lato, la produzione massima di agrocombustibili è molto limitata, tenendo conto del fabbisogno di terre coltivabili, acqua e fertilizzanti. E' difficile che arrivi mai ai 4 milioni di barili giornalieri (Mb/g, di fronte ai 90 Mb/g di tutti i liquidi del petrolio che si consumano in tutto il mondo proprio ora). Dall'altro lato, il picco del gas è dietro l'angolo (anche tenendo conto della truffa del gas di scisto estratto con la tecnica del fracking – truffa che abbiamo già segnalato due anni e mezzo fa su questo blog). 

- Aiutano a mantenere l'illusione che non sta succedendo niente. Effettivamente, grazie a questi 2 Mb/g che forniscono ad oggi possiamo, da una parte, trasferire l'energia del gas all'energia assimilata al petrolio e, dall'altra parte, nelle statistiche di produzione del petrolio contiamo due volte una certa quantità (perché contiamo il petrolio che va ai trattori, alle mietitrebbie, ecc. e dopo i barili di agrocombustibili prodotti, anche se sappiamo già che l'EROEI è praticamente di 1 in molti casi, cioè, l'energia consumata per la produzione degli agrocombustibili è più o meno la stessa che ci forniscono). E, nella misura in cui aumentiamo la produzione di agrocombustibili, potremo mostrare una maggiore quantità di barili giornalieri prodotti, anche se in realtà l'energia che forniscono è la stessa o inferiore a quella consumata. Così l'energia netta che arriva alla società è in realtà la stessa o inferiore. Questo sì, può mascherare le statistiche di produzione di petrolio, ma aumentando la produzione di agrocombustibili aggraviamo il problema della fame nel mondo. 

- Sono una parte importante delle esagerazioni e dei miti sul futuro della produzione di petrolio degli Stati Uniti. Lo analizzeremo più in dettaglio nel prossimo post. Basti dire qui che gli agrocombustibili sono una percentuale apprezzabile di ciò che si suppone farà aumentare la produzione di tutti i liquidi del petrolio degli Stati Uniti (presupponendo anche che i problemi di produzione agricola non si aggravino, il che è dubitabile). La cosa più divertente è che si pretende di far credere che la base del futuro energetico presumibilmente brillante degli Stati Uniti sono i petroli di scisto, quando questi scenari presuppongono che gli agrocombustibili avranno una produzione maggiore. Cosa succede qui? Che si devono mantenere le aspettative sul petrolio da fracking e sperare che la bolla non scoppi.  

Se ci pensate, le tre motivazioni evidenziate qui sopra sono completamente false e miopi  e in nessun modo rispondono alle ragioni che a suo tempo hanno portato alla piantagione obbligata degli agrocombustibili. Perché, allora, si mantiene una strategia sbagliata? Perché non si fa una rivalutazione degli obbiettivi comparata coi dati reali? Finché non si fa questo, andremo a mettere sotto pressione un altro settore, questo già molto compromesso, aumentando il rischio di collasso repentino e sistemico

Saluti.
AMT

sabato 15 giugno 2013

La cosa importante è fare qualcosa


Di Max Iacono
Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR



Post di Max Iacono, inspirato al post di Ugo Bardi sull'incontro sul cambiamento climatico tenutosi nella città di Fiesole



Un incontro come quello che ha avuto luogo a Fiesole, potrebbe essere facilmente visto come il primo di una lunga serie di incontri fra le parti interessate convocati come parte di un programma per lo sviluppo economico e sociale locale e partecipativo della durata di diversi anni. Mi vengono in mente due paradigmi o modelli di “sviluppo”. Uno è lo “sviluppo della comunità”e l'altro è lo “sviluppo economico locale” o più in generale lo “sviluppo locale”. “Sviluppo locale” è un termine più ampio che può includere tipi di sviluppo locale economico, sociale, politico e amministrativo, culturale ed ambientale ed un adeguata risposta locale al cambiamento climatico può essere vista come impegno in un particolare tipo di programma di “sviluppo ambientale locale” . In realtà i vari tipi “dimensionali” di sviluppo locale citati sopra sono tutti interrelati e si sostengono o si limitano vicendevolmente.

Senza inoltrarci nelle distinzioni fra sviluppo di comunità ed economia locale o altri tipi di sviluppo locale, ognuno perseguito in modo diverso, siccome l'esperienza internazionale è ampie e diversificata, è utile notare che spesso le iniziative per lo sviluppo locale partecipato cominciano con una valutazione della situazione corrente nella quale la località si trova. Le parti interessate locali guardano sia ai problemi sia alle opportunità che la comunità affronta e cercano quindi di identificare strategie e programmi per lo sviluppo della località o comunità alla quale appartengono. Se l'incontro di Fiesole , o nelle innumerevoli altre località nel mondo dove possano essere avvenuti incontri del genere, viene pensato in questo modo, all'ora l'incontro può essere visto come giusto il primo di una lunga serie orientata alla valutazione dei problemi e dei bisogni locali, per sviluppare strategie e quindi attuare una serie di misura ed azioni pratiche appropriate.

Naturalmente è molto difficile, di fatto impossibile, sapere in anticipo quali misure pratiche potrebbero o dovrebbero essere attuate alla fine dalle parti interessate, per la comunità o a livelli locali nelle milioni di comunità e località esistenti in tutto il mondo, per mitigare il cambiamento climatico ed i suoi tanti e diversi effetti in ogni posto specifico. Le misure necessariamente varieranno enormemente da luogo a luogo, da contesto a contesto.

Un effetto generale piuttosto ovvio sul cambiamento climatico, tuttavia, è che il tempo sta “impazzendo” in diversi modi. Quindi ci sono – e continueranno ad esserci – più siccità, più incendi, più piogge e nevicate molto intense, più alluvioni, più uragani, più tornado e stagioni che sono sempre più fuori dal normale – per esempio più lunghe o corte ed estati o inverni più intensi – che in tal modo colpiscono l'agricoltura in molti modi diversi, così come le piante, gli animali, gli insetti, gli impollinatori, le malattie trasmesse da vettori, ecc.

Sembra che la prima cosa di cui ogni comunità o località abbia bisogno o voglia di fare è capire: i) come è stata già colpita esattamente in qualcuno dei modi citati sopra o in altri modi durante un singolo anno di calendario e ii) come verrà probabilmente colpita nei successivi, diciamo, 5 anni basandosi sulle tendenze attuali nel peggioramento del cambiamento climatico. Siccome questo è lo scenario più probabile, visto che le ppm di CO2 continuano ad aumentare di circa 3 all'anno, sempre maggiori quantità di metano vengono a loro volta rilasciate e si fonde sempre più ghiaccio. Ma può essere utile guardare alla storia degli eventi atmosferici estremi nelle località ed intorno la sua area generica durante gli ultimi 50-100 anni, se disponibile. Questo perché un'alluvione che potrebbe essere avvenuta una sola volta in 100 anni, ora potrebbe avvenire una volta ogni 10.

Una volta che questa valutazione generale sia fatta, sarà più facile per le parti interessate locali discutere sensibilmente cosa si dovrebbe fare e cosa si potrebbe pianificare e fare da parte della comunità locale, o dalla provincia, o dalla regione, o dal paese in cui questa si trovi.

L'altro aspetto che penso ogni parte interessata locale ha probabilmente bisogno di capire è la differenza fra i vari tipi di azione e misura che sono possibili, cioè quelle che appartengono a quattro categorie: i) prevenzione ii) mitigazione iii) adattamento e iv) inversione. Misure attuate in ogni categoria possono avere effetti anche in alcune delle altre, ma in generale ci sono diverse misure per diversi obbiettivi.

Per esempio, nonostante Fiesole potrebbe volersi concentrare nel prepararsi meglio rispetto agli incendi che potrebbero avvenire, niente impedisce ai suoi residenti di essere consapevoli di cosa comporti la decisione sull'oleodotto di Keystone negli Stati Uniti, cosa che influenzerà la prevenzione probabilmente più di ogni singolo sviluppo, al momento. E, nonostante non voglia sostenerlo perché penso che sarebbe in gran parte inefficace, potrebbero anche scrivere una lettera su questo al presidente Obama, di modo che egli possa almeno sapere che persone in tutto il mondo stanno guardando ciò che fa o non fa. Fare qualcosa per prepararsi agli incendi (mitigazione locale) mentre si scrive lettera del genere (prevenzione internazionale) aiuterebbe a mettere in sinergia e ad attivare ulteriormente la preoccupazione e l'azione per il cambiamento climatico da coloro che vi sono coinvolti. La cosa importante è di fare realmente qualcosa e di ricordare che è in gran parte facendo – spesso provando e sbagliando – che impariamo sempre di più su cosa fare, come farlo e sviluppare ulteriormente le nostre capacità, la nostra fiducia e la nostra motivazione per intraprendere ulteriori azioni.


venerdì 14 giugno 2013

Rotta di collisione

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR

di Antonio Turiel

Cari lettori,

In un post recente concludevo che uno dei problemi più grandi che abbiamo è l'incapacità di fare un progetto intelligente fin dal primo momento ed al posto di questo adottiamo soluzioni evoluzionistiche. Ciò che facciamo, pertanto, è adottare soluzioni che qui e ora vanno bene anche se non andranno bene in futuro e quando le circostanze cambiano e i problemi emergono. Così, facciamo variazioni a partire dalle soluzioni vigenti per trovare nuove soluzioni che affrontino il nostro problema in modo soddisfacente. Tale approssimazione, per quanto logica possa apparire, ci può portare solo verso un'inevitabile collisione contro uno scoglio che si trova alla fine della catena evoluzionistica che abbiamo seguito. E se avessimo potuto vedere il problema nel suo complesso avremmo potuto scegliere un'altra soluzione seguendo una direzione del tutto diversa. 

Questo tipo di logica evoluzionistica (o meglio, di fuga in avanti) è presente in molti problemi che affrontiamo oggi con la tecnologia. Introduciamo tecnologie che risolvono i problemi senza renderci conto che quelle stesse tecnologie introducono altri problemi, per i quali proponiamo più tecnologia e così di seguito, fino a che non ci scontriamo contro i limiti del nostro ingegno e delle risorse disponibili. Questo problema è compreso all'interno del cosiddetto Principio delle Conseguenze  Inaspettate, che è stato introdotto dal sociologo Robert Merton il secolo scorso. Vediamo ora un esempio pratico.  

Sappiamo che ad oggi c'è un grave problema col diesel: la produzione del diesel potrebbe essere giunta al suo massimo nel 2008 perché, nonostante questi surrogati del petrolio che chiamiamo “altri liquidi” siano riusciti a dissimulare la caduta della produzione di petrolio greggio, il fatto è che per fare diesel manca il petrolio greggio e inoltre la miscela usata per raffinare il diesel deve avere una certa percentuale di petrolio leggero, del quale ce n'è sempre di meno (l'Iran non lo produce già più, il Venezuela molto poco e in Arabia Saudita comincia a scarseggiare). Tutto ciò ha fatto sì che la produzione di diesel ne stia già risentendo. Alcune raffinerie nel mondo occidentale stanno facendo grandi investimenti per adattarsi alla mancanza di petrolio leggero ed agli alti costi della materia prima e dell'energia (vedete qui un esempio nel Regno Unito), mentre molte altre raffinerie chiudono direttamente (potete trovarne un elenco su questa pagina Web). Insomma, il finalmente riconosciuto arrivo del peak oil ha generato molti effetti non lineari nel nostro mondo complicato, fra questi la chiusura di raffinerie e la diminuzione anche maggiore dell'accesso ai combustibili. 

Uno degli aspetti riconosciuti che hanno reso più grave questa crisi del diesel è lo storico cambiamento delle auto a benzina con auto diesel in Europa durante gli ultimi due decenni. Tale movimento ha risposto ad una logica evoluzionistica, di mercato: dato che in modo naturale si produceva una certa quantità di diesel nelle raffinerie e il diesel da trazione è più economico della benzina, in modo naturale il mercato ha avuto la tendenza a trovare un posto al carburante relativamente più abbondante ed economico; il diesel. Come vedete, tutta logica evoluzionistica e tutto libero mercato. 

Tuttavia, per le ragioni spiegate prima, l'arrivo del picco del diesel è stato anticipato rispetto a quello del picco della benzina ed ora ci rende conto dell'errore di aver fomentato tale 'dieselizzazione' massiccia del parco automobilistico. Arrivati a questo punto, cosa possiamo fare? Tornare alla benzina non è facile: i motori diesel non sono compatibili con la benzina e forzare un cambiamento massiccio di veicoli privati nel bel mezzo di una crisi che sta giustamente portando ad una caduta delle vendite di auto, non sembra né facile né molto popolare. D'altro canto, lasciare che il libero mercato regoli questa situazione non è a sua volta la migliore opzione, visto che il trasporto su gomma e le macchine in generale usano lo stesso tipo di gasolio. Stiamo già avendo problemi col trasporto su strada, che sta collassando a causa degli alti costi di trasporto e della caduta della domanda di prodotti per permettere che si aggravi ancora di più e finisca per far schizzare l'inflazione, cosa che porterebbe una maggior caduta del consumo e l'aggravamento della crisi. Insomma, siamo giunti ad una strada senza uscita. Qualsiasi opzione che venga scelta provocherà molte conseguenze sgradevoli. Stiamo andando nella direzione di una collisione inevitabile. 

Rispetto a questo problema, è significativa l'evoluzione del governo francese. A metà dello scorso hanno c'è stato un certo sommovimento e dibattito pubblico all'interno dei mezzi di comunicazione sulla convenienza di accantonare il diesel, almeno nelle grandi città. Secondo la relazione ripetuta come un mantra dai media gallici, un nuovo rapporto dell'Organizzazione Mondiale della Salute ratificava quanto nocivi fossero per la salute i gas di scarico dei motori diesel e ciò apriva il dibattito “urgente” sulla necessità di cambiare. In realtà, si sa da vari decenni che i motori diesel sono più inquinanti di quelli a benzina, nonostante le numerose e significative migliorie fatte nella sua ingegneria. Dall'altra parte, in Francia come nell'insieme dell'OCSE (e non parliamo della Spagna), il traffico su ruota è diminuito, come conseguenza della crisi, il che riduce relativamente l'urgenza di questo dibattito (almeno da un punto di vista politico; il tema dell'inquinamento da diesel è certamente serio ed avrebbe dovuto essere affrontato seriamente molti anni fa). Pertanto, da più l'impressione che questo dibattito, spronato dai media, obbedisca alla necessità di passare alla cittadinanza la necessità di disfarsi del diesel anche se i motivi reali di questa necessità svengono presentati camuffati. 

Quasi un anno dopo, il governo francese continua ancora a sfogliare la margherita, senza sapere tanto bene dove andare. Sanno di volersi disfare del diesel, ma all'interno del governo gallico ci sono sensibilità contrapposte e nessuno è in grado di proporre un piano realistico e fattibile per realizzare questo abbandono. Tale empasse ha portato alcuni a prendersi gioco della soppressione radicale del diesel in Francia (ridicola rispetto a quella di cui io stesso mi sono fatto eco). Nel frattempo, la disponibilità di diesel continua a diminuire, si prevedono nuove chiusure di raffinerie quest'anno e la situazione è sempre più frenetica... ma non si fa un solo passo avanti. 

Un governo debitamente informato avrebbe avuto 40 anni per anticipare questo problema e la società avrebbe potuto adattarsi gradualmente e con un certo successo. Tale strategia è quella conosciuta come “progettazione intelligente”: si guarda il problema nella sua globalità e si progetta la risposta migliore, con un monitoraggio costante del risultato. Tuttavia, la strategia che abbiamo seguito è quella della risposta evoluzionistica: continuare a dare risposte ai problemi che si presentavano man mano, uno per uno, fino ad arrivare ad una strada senza uscita (come quello che si potrebbe presentare ora in Venezuela ed Egitto). E' la strategia del breve periodo, del beneficio immediato. E' il prodotto della logica di ciò che chiamiamo libero mercato (anche se in realtà è mercato naturale, come abbiamo già discusso). 

La strategia evoluzionistica può essere paragonata ad una scala che costruiamo aggiungendo un piolo alla volta, una scala che continuiamo a salire senza nessuna garanzia di arrivare concretamente da nessuna parte. E a volte queste scale finiscono improvvisamente, facendoci precipitare nel vuoto. Questo succede anche con l'evoluzione delle specie, che a volte arriva a punti morti e le specie associate si estinguono. Qui si vede, ancora una volta, la logica perversa di imporre una certa concezione del darwinismo alla sfera sociale, cioè che la selezione del più adatto in ogni momento non è una garanzia di successo, ma che a volte lo è di un fallimento totale e definitivo. La cosa più crudele di questo fallimento totale – l'estinzione – è che è il coronamento di una lunga serie di successi. 

Se vogliamo sopravvivere come specie, se vogliamo dare una continuità all'esperimento umano, dobbiamo provare a superare la logica del breve termine ed affrontare i problemi globalmente. Tutta le gente che propone piccole toppe (questa nuova fonte di energia qui, questa nouva fiscalità qua...) per “risolvere il problema” non si rende conto che la chiave è “ripensare il problema”. E il primo passo è dire la verità, cruda, in faccia. Il secondo, passare all'azione

Saluti.
AMT