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martedì 13 ottobre 2020

Cosa è "contro natura"? Di Chimere e Cavalli Alati

 

Pegaso, il cavallo alato

Questa volta cercherò di toccare il cuore della Questione (quella con la Q maiuscola).

Tante volte abbiamo sentito condannare i comportamenti “contro natura” dai più disparati pulpiti.

Per lo più a usare questa espressione sono esponenti ecclesiastici. Ma non solo.

Cosa intende dire chi utilizza questa locuzione? Intende dire che in natura per ogni specie, per ogni fenomeno, per ogni evento, esiste un determinato ventaglio di possibilità di accadimenti, e i comportamenti che rientrano all’interno di questo ventaglio sarebbero “secondo natura”, gli altri “contro natura”.

Ma, se tutto è natura, come è possibile che esistano comportamenti non solo al di fuori della natura, ma addirittura contro la natura stessa?

Qui, come si vede, il discorso si ingarbuglia. Ma è un discorso estremamente importante, per cui è opportuno approfondirlo e cercare di sgarbugliarlo.

Iniziamo col dire che effettivamente tutto ciò che conosciamo è natura. Abbiamo un determinato numero di sensi e attraverso loro ci giungono le immagini, i suoni, gli odori, i sapori e le sensazioni che il mondo esterno ci trasmette.

Poi tutti questi “input” vengono elaborati dal nostro organo di comando, il quale è in grado di abbinarli anche in modo da immaginare cose, oggetti ed esseri non esistenti in natura.

Il primo esempio che mi viene in mente per illustrare questo concetto è il centauro, metà uomo e metà cavallo, ma la mitologia ci tramanda molte altre creature inventate di sana pianta, dalla chimera al minotauro, dall’unicorno alla sfinge e così via.

Ecco dunque che troviamo un primo elemento interessante sul percorso che ci dovrebbe condurre a stabilire se esiste qualcosa “contro natura” e, in caso affermativo, in cosa consisterebbe: il cervello umano è in grado di concepire, partendo da elementi della natura, cose che in natura non esistono.

Possono farlo anche i cervelli di altre specie animali? Probabilmente sì, ma solo a livello di rappresentazione onirica. Tutti gli animali dormono e, per analogia con quanto accade a noi, non abbiamo motivo di dubitare che anche essi sognino. In questa fase le cose o gli esseri visti, sentiti, percepiti da svegli probabilmente possono trasformarsi in cose o esseri non esistenti realmente ovvero in rappresentazioni mentali storpiate dal meccanismo del sonno. Ma sono illusioni che terminano al momento del risveglio.

Solo encefali con un grandissimo numero di neuroni possono far credere a chi li possiede che in natura esistano cose o esseri partoriti unicamente dalla fantasia di chi li ha concepiti.

Con questo giro di parole ci imbattiamo nel cosiddetto “pensiero astratto”, ovvero in quella facoltà tipica del cervello umano di dedurre da alcune caratteristiche reali altre caratteristiche non più reali (ovvero non esistenti in natura) ma in grado di raggruppare idealmente un insieme di soggetti all’interno di determinate categorie.

Dal mondo delle idee di platonica memoria in avanti, una infinita schiera di pensatori si è avventurata in questo tipo di esercizio mentale.

L’intera disciplina che si è autodefinita “amante del sapere” (la filosofia), nasce e si basa sulle fantasticherie del pensiero astratto.

Senonché questo tipo di pensiero, che partorisce costruzioni mentali non esistenti nel mondo reale, è in grado poi di trasformare queste creazioni intellettuali in oggetti concreti frutto dell’assemblaggio di “pezzi” di natura (pietre, legni, ossa …) realizzato “ad arte”.

Con questo nuovo giro di parole passiamo dal “pensiero astratto” al “mondo artificiale”, il primo in contrapposizione al “pensiero concreto” e il secondo al “mondo naturale”.

Se questi ultimi due esistono da milioni e milioni di anni, i primi due sono molto recenti (datano poche decine di secoli), e in questo breve volgere di tempo hanno stravolto un equilibrio che era andato consolidandosi con estrema gradualità.

Dalla clava e dall’arco si è passati alla polvere da sparo e alla bomba atomica. Dal cibarsi raccogliendo frutti e andando a caccia si è passati alle monocolture agricole e agli allevamenti intensivi. Con tutte le conseguenze nocive e destabilizzanti che ormai ben conosciamo.

Ma lasciamo per un attimo da parte i concetti fin qui acquisiti e divaghiamo verso un altro tipo di ragionamento, all’interno del quale troveremo elementi utili allo scopo che ci siamo prefissi.

Il fenomeno che ci interessa più da vicino, la vita, ha un andamento lineare? Ovvero: sappiamo che tutto evolve e che la continuità della vita è garantita dalla capacità di riproduzione delle singole specie. Ma questo “meccanismo” non incontra mai intoppi?

La domanda è di tipo retorico, perché in realtà sappiamo che in natura non vi è nulla di lineare, bensì la vita nasce dal caos, dallo scontro infinito e casuale degli elementi.

Non uso il termine di lotta, perché questo implica concetti partoriti dal pensiero astratto, (bene e male, giusto e ingiusto ecc.). Anche l’idea di linea retta e di andamento lineare, nascono da questo tipo di pensiero. In natura esiste un numero infinito di linee e di forme, bidimensionali e tridimensionali. Tra queste vi sono anche la linea retta, il quadrato e il cubo, ma mischiati a infinite altre linee e forme. Solo il pensiero astratto isola le categorie “perfette”, quelle che rispondono a determinati criteri da esso stabiliti.

Nello scontro infinito e casuale degli elementi si verificano situazioni “costruttive” e altre “distruttive”. Con le prime intendo il verificarsi di aggregazioni accrescitive di determinate realtà, con le seconde il verificarsi di fenomeni disgregativi delle medesime.

Se prevalgono le prime la vita prospera, se prendono il sopravvento le seconde la vita soffre e arretra.

L’esempio della malattia ci aiuta a comprendere meglio questo concetto. I virus che ci fanno ammalare o le cellule che da sane si trasformano in tumorali, fanno entrambi parte della natura, ma non per questo favoriscono la diffusione della vita, né la sua conservazione. Anzi la ostacolano in quel continuo accavallarsi di elementi da cui poi fuoriesce l’evolversi di tutti i fenomeni naturali.

Ma allora cosa è “contro natura”, se anche questi elementi ostili alla vita fanno parte della natura?

Praticamente nulla, visto che tutto è natura.

Ma se proprio vogliamo trovare un elemento che contrasta più degli altri con l’ordinato svolgimento della vita sul pianeta, dobbiamo tornare a quel concetto di pensiero astratto cui facevo cenno più sopra.

È lui, solo lui, in grado di contravvenire alle cosiddette leggi di natura. Non a tutte, ovviamente. La legge di gravità, ad esempio, è ineludibile. Ma anche in questo caso, che pare uno dei più inoppugnabili, l’uomo, tramite il pensiero astratto, è riuscito a realizzare dispositivi con cui volare e solcare i cieli.

In un altro articolo recentemente apparso su Effetto Cassandra ho menzionato come anche le consuetudini sessuali e le stagioni degli amori siano stati modificati dall’uomo a seguito delle sue accresciute capacità cerebrali (vedi “La ripugnanza del sesso, perché ci vergogniamo di certe cose”).

Molti altri esempi di questa capacità di plasmare i nostri comportamenti in modo diverso da quanto previsto dall’evoluzione naturale della vita sono rintracciabili negli ultimi millenni e, fatto ancor più rilevante, questi comportamenti “artificiali” sono andati crescendo con un ritmo sempre più accelerato di secolo in secolo, sino all’andamento parossistico dei nostri giorni.

L’avanzamento di questo modus vivendi artificiale si è verificato ai danni di un’infinità di altre specie animali e vegetali, la cui sparizione è andata crescendo in parallelo alla crescita del primo.

Ecco dunque che abbiamo individuato qualcosa che osteggia lo statu quo esistente in natura e il suo lento, pigro modificarsi millennio dopo millennio!

Questo qualcosa, che agisce “contro natura” pur se originato all’interno del mondo della natura, è il cervello dell’uomo dopo il superamento di una imprecisata soglia di crescita.

Il limite è determinato dal formarsi della neocorteccia? Dal numero di neuroni superiore a una determinata quantità? Dalla ragnatela dei collegamenti inter-sinaptici sempre più fitta?

Non è dato saperlo e non è neppure particolarmente importante conoscerlo.

Ciò che conta è che l’intelligenza è cresciuta e ha iniziato a modificare il mondo circostante con criteri diversi da quelli sino a quel momento utilizzati dal caso, il vero motore dell’evoluzione.

Non è stata una colpa (concetto figlio del pensiero astratto), ma un caso (si veda in proposito il mio articolo “Il caso e la colpa” scritto in risposta a un articolo di Igor Giussani dedicato al Cancrismo).

Se dunque esistono atti definibili come “contro natura” (nel senso che contrastano con quanto sarebbe accaduto nel mondo della natura in assenza di interventi determinati dal pensiero astratto) questi sono tutti riconducibili a quell’unico grande evento cui ho fatto cenno più volte, e cioè a quella abnorme evoluzione patìta dal nostro encefalo che ci ha resi più intelligenti di ogni altro essere vivente e proprio per tale motivo ci ha trasformati in cellule tumorali della biosfera.


sabato 31 agosto 2019

La Rete Sinaptica Mondiale



di Bruno Sebastiani


La potenza elaborativa del nostro cervello dipende dallo straordinario numero di neuroni che vi si sono sviluppati (circa 100 miliardi) e dall’ancor più strabiliante numero di sinapsi che li collegano l’un l’altro (circa 125 mila miliardi).
Da un articolo reperito in rete apprendo che le sinapsi sono così piccole (meno di un millesimo di millimetro di diametro) che gli esseri umani fino ad oggi non sono stati in grado di vedere la loro struttura e le loro funzioni e che alcuni ricercatori della Stanford University School of Medicine (California) hanno condotto uno studio in base al quale hanno scoperto che la complessità del cervello va al di là di quello che avevano immaginato (affermazione di Stephen Smith, professore di fisiologia molecolare e cellulare, autore principale dello studio).
Apprendo anche che «Una sinapsi, da sola, è più simile a un microprocessore, con la memoria di archiviazione ed elementi di elaborazione delle informazioni, rispetto a un altro interruttore on/off. Infatti, una sinapsi può contenere l'ordine di 1000 switch su scala molecolare. Un unico cervello umano ha più switch di tutti i computer e i router e le connessioni internet sul nostro pianeta.» (https://it.emcelettronica.com/cervello-come-microprocessore)
Tralascio di appurare se le affermazioni riportate corrispondono esattamente a realtà: appaiono sufficientemente verosimili e il mio scopo qui è solo di assumerle come punto di partenza di un ragionamento più ampio.
Intendo infatti concentrarmi su un fenomeno che in via analogica richiama a livello planetario la funzione svolta dalle connessioni inter-sinaptiche all’interno del nostro cervello.
Mi riferisco alla rete mondiale di fonia e dati (internet) e, più in particolare, ai dispositivi portatili di dimensioni ridotte che oramai ci seguono dappertutto.
Attraverso questi apparecchi siamo in grado di comunicare con ogni persona con cui entriamo in contatto esattamente come ogni neurone del nostro cervello dialoga con gli altri neuroni (mutatis mutandis).
Non solo. Attraverso questi apparecchi possiamo attingere ad ogni banca dati esistente sul pianeta (l’equivalente della nostra “memoria”), e in futuro il numero e l’ampiezza di questi “depositi di sapere” aumenteranno a dismisura.
Ma non sarà solo la mole dei dati a nostra disposizione ad accrescersi.
Massicci investimenti sono in programma (e già in parte in corso di impiego) per rendere più veloci ed efficienti i sistemi di comunicazione esistenti e per crearne di nuovi.
E questo è uno degli aspetti più preoccupanti della questione.
Citerò tre casi concreti.
1) I satelliti. SpaceX, l’azienda aerospaziale statunitense con sede a Hawthorne (California) costituita nel 2002 da Elon Musk, è stata autorizzata al collocamento in orbita bassa di migliaia di satelliti, nell'ambito di un progetto denominato “Starlink” che ha per obiettivo portare Internet ultraveloce anche nelle zone più isolate del pianeta. Ad oggi sono stati lanciati i primi 60 satelliti quale avanguardia dei 12.000 previsti a regime. Altre aziende di altri Paesi vorranno seguire l’esempio? Da notare che qui si parla solo di dispositivi satellitari per le comunicazioni, mentre esistono già sciagurati progetti per utilizzarne altri a scopi pubblicitari! In questo caso l’azienda è russa, ma con un nome americano StartRocket. Il sistema si chiama “space advertising” e si prefigge di proiettare in cielo di notte immensi cartelloni pubblicitari luminosi. C’è da augurarsi che qualcuno rinsavisca prima di autorizzare un simile oltraggio alla bellezza dell’Universo!
2) I cavi sottomarini. Per comprendere come il mondo sia collegato ad internet bisogna guardare nei fondali degli oceani: sott’acqua passano centinaia di cavi in fibra ottica che sostengono l’intera infrastruttura di connessione. La rete è stata realizzata negli ultimi decenni ad opera soprattutto di società private.
Microsoft e Facebook hanno completato nell’oceano Atlantico una dorsale in fibra ottica (denominata “Marea”) in grado di trasmettere sino a 160 terabit di dati al secondo. È un cavo lungo 6.500 chilometri collocato ad una profondità di oltre 5.000 metri sotto la superficie del mare.
Sempre Facebook ha in programma la posa di un altro cavo destinato a circumnavigare l’intero continente africano. Nome del progetto: Simba.
Google entro il 2020 poserà “Dunant” tra Francia e USA. Il volume di traffico che Google muove ogni giorno è straordinario, il 25% del totale mondiale, ma la capacità della rete non è infinita. Per questo motivo la società di Mountain View intende ampliare le sue infrastrutture di rete collegando con cavi sottomarini proprietari diverse aree del globo, come il Cile con Los Angeles, gli Stati Uniti con la Danimarca e Hong Kong con l'isola di Guam.
Anche la cinese Huawei Marine Networks, azienda nata nel 2008, sta investendo ingenti risorse per realizzare nuovi cavi sottomarini.
3) La rete 5G. Se le infrastrutture sin qui citate (satelliti e cavi sottomarini) sono destinati a sostenere il traffico dati di maggiori dimensioni, l’incombente rete 5G avrà il compito di portare l’informatica “veloce” in ogni casa e di far dialogare tra loro in tempo reale tutti i dispositivi dotati di una scheda elettronica di comunicazione.
Il 5G permetterà infatti di usare la rete mobile per tutta una serie di servizi che finora sono stati appannaggio di altri mezzi. In futuro dovrebbe soppiantare le attuali connessioni in fibra dando vita all’era degli apparati sempre connessi, senza necessità di passare continuamente da Wi-Fi a rete mobile.
Ma quali i rischi? Secondo l’appello internazionale Stop al 5G sulla Terra e nello spazio (firmato al 31 agosto 2019 da 126.962 persone e organizzazioni di 203 nazioni) «Il 5G aumenterà in modo massiccio l'esposizione alle radiazioni a radiofrequenza (RF) sulle reti 2G, 3G e 4G per le telecomunicazioni già installate».
Che influenza potrà avere un simile bombardamento di onde radio a frequenze assai elevate su piante e animali, esseri umani compresi?
Inoltre. Le alte frequenze garantiscono l’aumento della velocità, ma rendono la propagazione del segnale più difficile, perché maggiormente sensibili agli ostacoli fisici. Quanti alberi andranno abbattuti per far transitare liberamente le onde del 5G in città e in campagna? Quanti più ripetitori di segnale ci vorranno per una copertura capillare del segnale?
Obiettivo è modificare la rete da fisica a virtuale, definita da software, composta da slices definiti da algoritmi: il network slicing è la capacità di creare dinamicamente “fette” di rete per rispondere ai requisiti delle diverse applicazioni ed è una delle tecnologie chiave del 5G.
Cosa si aspetta l’essere umano da questa “rete sinaptica mondiale” che sta costruendo? Vi sono senz’altro importanti aspetti economici e commerciali che spingono a realizzare questa nuova tecnologia, ma di questi non ci occupiamo perché attengono al lato “venale” dell’uomo.
Vi è invece a mio avviso un aspetto molto, ma molto, più inquietante, sbandierato dai fautori del 5G come assai positivo: essi sostengono, a ragione, che la nuova rete consentirà livelli di interconnessione finora mai raggiunti. Ma, posto che l’uomo pur in assenza di tali livelli è riuscito a devastare ampiamente la biosfera, fin dove si spingerà questa opera distruttiva con l’avvento di una rete di collegamento tanto più efficiente?
La massima ambizione prometeica (o diabolica?) dell’uomo è di accrescere a dismisura il suo potere sulla Terra. Per realizzarla occorre una dose supplementare di intelligenza sia individuale che collettiva. Relativamente alla prima si veda il mio precedente articolo: “Verso cervelli più potenti e con più memoria”. La rete sinaptica mondiale di cui abbiamo parlato risponde al secondo tipo di intelligenza da implementare, quella collettiva.
Vi è poi la concretizzazione dell’intelligenza artificiale quale ulteriore sistema di assoggettamento e dominio della biosfera. Di questa parlerò in altro articolo.
Resta il fatto che tutti questi progetti convergono verso quella attività umana di aggressione alle cellule sane del pianeta che ricorda assai da vicino l’attività svolta dalle cellule cancerogene ai danni delle altre cellule dell’organismo ospitante.


domenica 20 aprile 2014

L’UNICITA’ DELLA SPECIE UMANA NE DETERMINA IL FATO? Parte 3 – Il presente.

Terza parte della serie di Jacopo Simonetta sull'origine e il destino degli esseri umani

Prima parte.
Seconda parte.




di Jacopo Simonetta.
        Ci sono volute circa 10.000 generazioni  perché la popolazione umana raggiungesse 1 miliardo nel 1800 circa ed altri 130 anni per raggiungere i 2 miliardi di individui verso il 1930; poi, nell’arco di una sola vita umana, siamo passati ad oltre 7 miliardi in ulteriore, rapido aumento.   E’ vero che il tasso di crescita sta diminuendo costantemente dalla metà degli anni ’60, ma il tasso record del 2,19% del 1963, applicato ad una popolazione di 3,2 miliardi di persone, comportò un aumento di poco più di 70 milioni di bocche da sfamare.    Nel 2013, un tasso di crescita pari a “solamente” 1,14 %, applicato ad una base di 7,16 miliardi, ha portato quasi 82 milioni di bocche in più attorno al desco globale.

La densità di popolazione media mondiale oggi è all'incirca di una persona ogni 2 ettari, compresi i deserti e le alte montagne.   Se si considera la sola superficie agricola, le stime della FAO del 2006 davano una persona ogni 2.000 mq circa, altre fonti danno cifre un po’ diverse, ma poco importa la differenza, da momento che tutte concordano sul fatto che tale cifra si è dimezzata in 40 anni circa e che la tendenza è ad un’ulteriore, rapida, riduzione. In Italia, nel 2004 avevamo “ben” 2.280 mq di terra agricola a persona (ISTAT), ma considerando che diminuisce di circa 30 mq l’anno a causa dell’incremento demografico e dell’urbanizzazione; oggi dovremmo averne poco più di 2.000 mq con “rating” negativo. Eppure il costo medio del cibo nel corso degli ultimi 50 anni è diminuito, come è possibile un simile miracolo?

Figura 1
Semplicemente è stato reso possibile dal fatto che abbiamo trovato il modo di utilizzare petrolio e gas per produrre cibo. Chiunque pensi che l’attuale popolazione possa sopravvivere senza avere a disposizione combustibili fossili di alta qualità, in quantità praticamente illimitate ed a prezzo molto basso osservi bene questo grafico (fig.1):



Meccanizzazione, irrigazione e concimi sintetici hanno infatti consentito un aumento delle rese ad ettaro comprese fra il 50 ed il 200% a seconda delle colture e delle zone, ma tutto ciò è fattibile solo con grandi consumi di energia.   Oggi si stima che l’agricoltura consumi in media 4 joule fra petrolio e gas per produrre 1 joule sotto forma di cibo, ma le colture ad altissima produttività (quelle che fanno i 180-200 q/ha e che nutrono le megalopoli del mondo) consumano oltre 10-12 joule di energia fossile per ogni joule di granella raccolta.   E bisogna ancora trasportarla, macinarla, impacchettarla, cuocerla, ecc.   Stime ragionevoli valutano in una media globale di 40 joule di energia fossile consumata per mangiare un joule di cibo; che ci si trovi a New York, a San Paolo, a Shanghai  od al Cairo fa poca differenza.

Figura 2

In termini energetici, stiamo letteralmente mangiando petrolio condito con metano; tutto il resto serve sostanzialmente renderlo più gustoso e digeribile.

Niente di strano, dunque, che il prezzo del cibo segua quello del petrolio (fig.2).

Figura 3

Con tutto ciò, la produzione mondiale pro- capite di cereali  ha raggiunto un picco nel 1985 per poi declinare (fig.3). Le scorte strategiche mondiali sono ai minimi storici e non riescono a risollevarsi neppure nelle annate migliori, mentre abbiamo visto che ogni anno ci sono circa 80-90 milioni di bocche in più da sfamare.



Figura 4.
Parallelamente, la quantità di persone denutrite è andata diminuendo dal 1960 fino al 1995, per poi circa triplicare nei 20 anni successivi.(fig. 4).
Forse la resa agricola potrebbe ancora aumentare, ma anche in questo caso l’effetto della legge dei “ritorni decrescenti” è evidente (fig.5).   Quali sarebbero dunque i costi, quali conseguenze e con quali risultati? 

Figura 5
Sappiamo inoltre che il cambiamento climatico in corso già grava sulla produzione agricola mondiale e che sempre di più lo farà. In un disperato tentativo di compensazione, ogni anno circa 1.500.000 di ettari vengono annualmente messi a coltura mediante bonifiche e disboscamenti.   E’ impossibile sapere con esattezza di quanto annualmente diminuisca la superficie forestale sia per motivi politici (ovvi),  sia tecnici (cosa è classificato come “foresta” cambia a seconda degli autori).   Comunque, pare che dal 8.000 a.C. al 1.900 d.C (10.000 anni) siano state distrutte circa il 50% delle foreste originarie; fra il 1900 ed il 2.000 (100 anni) la metà di quelle rimaste; entro il 2020-30 (10-20 anni) la metà di quelle che rimangono oggi (anzi, ieri). Le conseguenze sui suoli, le acque, la biodiversità ed il clima sono semplicemente incalcolabili.
Eppure la superficie agricola continua a diminuire (dal 1980 al 2000 è calata dell’11%, pari a 80 milioni di ettari) in conseguenza di una serie di fenomeni, perlopiù dipendenti dall'eccessivo sfruttamento cui è sottoposta (desertificazione, erosione, edificazione, salinizzazione, ecc.). Oramai, questo immane sforzo produttivo fa si che praticamente tutti i suoli accessibili siano più o meno seriamente degradati, compresa la maggior parte di quelli forestali (fig. 6).   

Figura 6

Forme più moderne di agricoltura (come la permacoltura, l’agricoltura biologica e biodinamica) hanno consumi energetici che sono circa la metà di quelli dell’agricoltura industriale e non danneggiano il suolo, ma comunque necessitano di petrolio sia per la meccanizzazione, sia per tutti i servizi collegati (consumi domestici degli agricoltori, trasporti, ecc.).    Sulle rese gli effetti sono diversi: in grossolana approssimazione si può ritenere che nei paesi temperati i raccolti diminuiscono leggermente, mentre nelle zone tropicali aumentano.   Nell'insieme, si può quindi ritenere che, passando a forme di agricoltura più sostenibili, la produzione mondiale di cibo potrebbe restare circa costante, a fronte di un netto rallentamento nel degrado dei suoli e nei consumi di energia.   Un vantaggio enorme, ma che da solo non sarebbe sufficiente a risolvere il problema della sovrappopolazione.   Anzi, potrebbe addirittura peggiorarlo consentendo un ulteriore aumento della popolazione, analogamente a quanto accaduto con la "rivoluzione verde".
Figura 7

L’impronta ecologica è un modello di valutazione della sostenibilità approssimativo, ma è comunque indicativo.   E’ interessante vedere che il numero di giorni in cui siamo andati in “debito ecologico” ha continuato ad aumentare di anno in anno, a partire dal 1976 quando, probabilmente, l’umanità superò per la prima volta la capacità di carico complessiva del pianeta (fig. 7).   Com'è possibile che la gente sopravviva?   Semplice: si stanno usando ed esaurendo le riserve di energia fossile, acqua, fertilità, biodiversità.   E man mano che le riserve si erodono, la capacità di carico del pianeta si riduce ed il debito ecologico si accumula, analogamente a quello finanziario di cui tanto si parla in questi anni.   Eppure, il debito ecologico, di cui non si parla, è molto più grave giacché non è possibile azzerarlo in altro modo che morendo in quantità sufficiente.   E quanto è sufficiente?   Nessuno può saperlo, ma sappiamo che ogni anno è un po’ di più del precedente.

Tuttavia da molte parti ci dicono di non preoccuparsi perché la natalità diminuisce spontaneamente con l’aumento del benessere, quindi la crescita economica ridurrà la natalità: è solo una questione di tempo e di sviluppo.  In realtà la natalità è correlata con la capacità di decisione autonoma delle donne e non con il reddito (anche se donne benestanti ed istruite sono spesso più autonome di donne povere ed analfabete, ma non sempre).   All'atto pratico, la cosiddetta “transizione demografica” rappresenta abbastanza bene quello che è accaduto nei paesi “occidentali” al netto dell’immigrazione, ma non nel resto del mondo (v. tabella).   Fra i paesi a crescita più rapida troviamo sia i poverissimi che i ricchissimi, mentre fra quelli a crescita negativa troviamo praticamente solo poveri (v. energia-e-crescita-demografica).  Questa  è una grossa fortuna perché il livello di benessere sta diminuendo per moltissima gente in tutto il mondo e molto di più diminuirà nei prossimi decenni senza che ciò, per ora, provochi una recrudescenza della natalità.   

 Al di là di imprevedibili fluttuazioni di dettaglio, sappiamo infatti che siamo attualmente in una fase di picco della  disponibilità energetica e che nel giro di 10-20 anni la disponibilità globale non potrà che diminuire (fig. 8), con quali conseguenze sulle economie e le popolazioni?  

Figura 8