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sabato 7 febbraio 2015

Spiegazione dei miti energetici

Da “Our finite world”. Traduzione di MR

Di Gail Tverberg

Repubblicani, Democratici e ambientalisti, tutti hanno i loro miti energetici preferiti. Persino chi crede nel picco del petrolio ha i suoi miti preferiti. Quelle che seguono sono alcune credenze sbagliate provenienti da diverse prospettive energetiche. Comincerò con un mito recente e poi parlerò di quelli che esistono da più tempo.

Mito 1. Il fatto che i produttori di petrolio stiano parlando di volere esportare petrolio greggio significa che gli Stati Uniti hanno più che sufficiente petrolio greggio per il proprio fabbisogno.

La storia vera è che i produttori vogliono vendere il loro petrolio greggio al prezzo più alto possibile. Se hanno una scelta fra raffinerie A, B e C in questo paese a cui vendere il petrolio, la quantità massima che possono ricevere per il loro petrolio è limitata dal prezzo che pagato da queste raffinerie, meno il costo di spedizione del petrolio a queste raffinerie. Se diventa improvvisamente possibile vendere petrolio greggio a raffinerie altrove, emerge la possibilità che sia disponibile un prezzo più alto in un altro paese. Le raffinerie sono ottimizzate per un particolare tipo di greggio. Se, per esempio, le raffinerie in Europa sono a corto di greggio leggero e dolce per tale petrolio dalla Libia è in gran parte ancora indisponibile, una raffineria europea potrebbe essere disposta a pagare un prezzo più alto per il petrolio greggio di Bakken (che a sua volta produce greggio leggero e dolce) che una raffineria in questo paese. Anche coi costi di spedizione, un produttore di petrolio potrebbe essere in grado di fare un profitto maggiore sul suo petrolio venduto fuori dagli Stati Uniti che non su quello venduto all'interno degli Stati uniti.

Gli Stati Uniti hanno consumato 18,9 milioni di barili al giorno di prodotti petroliferi durante il 2013. Per soddisfare il loro fabbisogno di petrolio, gli Stati Uniti hanno importato 6,2 milioni di barili al giorno nel 2013 (compensando i prodotti petroliferi esportati con il petrolio greggio importato). Così, gli Stati Uniti sono, e continueranno probabilmente ad essere, dei grandi importatori di petrolio greggio.

Se la produzione e il consumo rimangono ad un livello costante, aggiungere esportazioni di petrolio greggio richiederebbe a sua volta un'aggiunta di importazioni. Queste importazioni di petrolio greggio potrebbero essere un diverso tipo di petrolio rispetto a quello esportato – molto probabilmente greggio acido e pesante anziché dolce e leggero. O forse le raffinerie statunitensi specializzate in petrolio greggio leggero e dolce saranno costrette ad aumentare il loro prezzo di acquisto perché sia compatibile coi prezzi del petrolio greggio mondiali di quel tipo di prodotto.

La ragione per cui le esportazioni di petrolio greggio hanno senso dal punto di vista di un produttore di petrolio è che questo si muove per fare più soldi esportando il suo greggio verso raffinerie oltreoceano che pagheranno di più. Come questo funzionerà alla fine non è chiaro. Se le raffinerie statunitensi di greggio leggero e dolce vengono costrette ad aumentare i prezzi del petrolio che comprano e il prezzo di vendita dei prodotti petroliferi americani non aumenta per compensare, allora altre raffinerie di greggio leggero e dolce andranno fuori mercato, sistemando un eccesso di offerta di tali raffinatori. O forse i prezzi  dei prodotti finiti statunitensi cresceranno, a riprova del fatto che gli Stati Uniti in passato hanno in qualche misura ricevuto un contratto (collegato al divario fra i prezzi del petrolio Brent europeo e WTI statunitense), relativo ai prezzi mondiali. In questo caso i consumatori statunitensi finiranno per pagare di più.

La sola cosa che è molto chiara il desiderio di spedire petrolio greggio all'estero non riflette troppo il totale di petrolio greggio prodotto negli Stati Uniti. Al massimo, quello che significa è una sovrabbondanza di raffinerie, nel mondo, adatte al greggio leggero e dolce. Questo succede perché negli anni il mix mondiale di petrolio è generalmente passato a tipi di petrolio più pesante ed acido. Forse se c'è più petrolio dalle formazioni di scisto, il mix comincerà a tornare come in origine. Questo è un “se” molto grande, tuttavia. I media tendono a esagerare anche le possibilità di tale estrazione.

Mito 2. L'economia non ha realmente bisogno di tanta energia.

Noi esseri umani abbiamo bisogno di cibo del tipo giusto che ci fornisca l'energia di cui abbiamo bisogno per svolgere le nostre attività. L'economia è molto simile: ha bisogno di energia dei tipi giusti per svolgere le proprie attività.

Un'attività essenziale dell'economia è quella di coltivare e lavorare il cibo. Nei paesi in via di sviluppo, nelle zone calde del mondo, la produzione, immagazzinamento, trasporto e preparazione del cibo conta per la maggior parte dell'attività economica (Pimentel e Pimentel, 2007). Nelle società tradizionali, gran parte dell'energia proviene dal lavoro umano ed animale e dalla combustione di biomasse. Se un paese in via di sviluppo sostituisce i combustibili moderni alle fonti energetiche tradizionali per la produzione e la preparazione del cibo, l'intera natura dell'economia cambia. Possiamo vedere che questa cosa è iniziata ad accadere su base mondiale dai primi anni dell'800, quando energie diverse dall'uso della biomassa si sono diffuse.


Figura 1. Consumo mondiale di energia per fonte, sulla base delle stime di Vaclav Smil da “Transizione energetica: storia, requisiti e prospettive” insieme ai dati statistici della BP sul 1965 e successivi

La Rivoluzione Industriale è cominciata nel tardo 700 in Gran Bretagna. E' stata resa possibile dall'uso del carbone, che ha reso possibile fare metalli, vetro e cemento in quantità molto più grandi che in passato. Senza carbone, la deforestazione sarebbe diventata un problema, soprattutto in prossimità di aree urbane fredde come Londra. Col carbone, è diventato possibile usare i processi industriali che richiedevano calore senza il problema della deforestazione. I processi che usano alti livelli di calore sono anche diventati più economici, perché non era più necessario tagliare alberi, fare carbonella da legna e trasportarla per lunghe distanze (perché i boschi vicini erano già stati esauriti).

La disponibilità di carbone ha permesso che si diffondesse l'uso di nuove tecnologie: Per esempio, secondo Wikipedia, il primo motore a vapore è stato brevettato nel 1608 e il primo motore a vapore commerciale è stato brevettato nel 1712. Nel 1781, James Watt ha inventato una versione migliorata del motore a vapore. Ma per attuare davvero il motore a vapore usando treni di metallo che corrono su binari, serviva il carbone, per rendere relativamente a buon mercato grandi quantità di metallo. Cemento e metallo potevano essere usati per fare moderni impianti idroelettrici, permettendo la produzione in quantità di elettricità. Dispositivi come le lampadine (che usano vetro e metallo) potevano essere costruite in quantità, così come i cavi per trasmettere l'elettricità, permettendo un giorno lavorativo più lungo.

L'uso del carbone ha anche portato a cambiamenti in agricoltura, tagliando le necessità di agricoltori e allevatori. Sono stati costruiti dispositivi come gli aratri d'acciaio, mietitrebbie e ranghinatori, che potevano essere trainati da cavalli, trasferendo il lavoro dagli esseri umani agli animali. La recinzione di filo spinato ha permesso alla parte occidentale degli Stati Uniti di diventare terreno agricolo, piuttosto che un grande spazio non recintato. Con meno persone necessarie in agricoltura, ne sono diventate disponibili di più per il lavoro in città e fabbriche. La nostra economia ora è molto diversa da quella che era introno al 1820, a causa dell'aumento dell'uso di energia. Abbiamo grandi città con cibo e materie prime trasportate da lontano ai centri popolati. I trattamento di acqua e fogne riducono grandemente il rischio di trasmissione di malattie di gente che vive in tale promiscuità. I veicoli alimentati a petrolio o a elettricità eliminano la confusione del trasporto animale. Molte più strade possono essere pavimentate. Se dovessimo provare a lasciare il sistema ad alta energia di oggi e tornare a un sistema che usi biocombustibili (o solo biocombustibili con l'aggiunta di dispositivi che possono essere fatti coi biocombustibili), ciò richiederebbe cambiamenti enormi.

Mito 3. Possiamo facilmente transitare alle rinnovabili.

Nella Figura 1, le sole rinnovabili sono l'idroelettrico e i biocombustibili. Mentre la fornitura energetica è aumentata rapidamente, la popolazione è aumentata altrettanto rapidamente.

Figura 2. Popolazione mondiale, basata sulle  stime di Angus Maddison, interpolate dove necessario.

Quando guardiamo l'uso di energia su base pro capite, il risultato è quello mostrato nella Figura 3, sotto.


Figura 3. Consumo energetico mondiale pro capite, calcolato dividendo il consumo energetico mondiale (sulla base delle stime di Vaclav Smil da Transizioni energetiche: Storia, Requisiti e Prospettive insieme ai dati statistici della BP del 1965 e successivi) per le stime della popolazione, sulla base dei dati di Angus Maddison.

Il livello di consumo energetico del 1820 sarebbe al livello base – Sufficiente solo a coltivare e ad elaborare cibo, calore per le case, produrre vestiti e rifornire industrie molto fondamentali. Sulla base della Figura 3, anche questo ha richiesto un po' più di 20 gigajoules di energia pro capite. Se sommiamo i biocombustibili pro capite e l'idroelettrico sulla Figura 3, daranno come risultato solo 11 gigajoules di energia pro capite. Per tornare al livello del 1820 di consumo pro capite di energia, avremmo bisogno di aggiungere qualcos'altro, come il carbone, o aspettare molto, molto tempo finché (forse) le rinnovabili che comprendono l'idroelettrico possano diffondersi abbastanza.

Se vogliamo parlare di rinnovabili che possano essere fatte senza combustibili fossili, la quantità sarebbe ancora più piccola. Come osservato precedentemente, l'energia idroelettrica moderna è permessa dal carbone, quindi questo lo dovremmo escludere. Dovremmo anche escludere i biocombustibili moderni, come l'etanolo fatto col mais e il biodiesel fatto coi semi di colza, perché sono in gran parte permessi dall'agricoltura e dai mezzi di trasporto di oggi e indirettamente dalla nostra capacità di fare metalli in quantità. Ho incluso eolico e solare nella categoria dei “Biocombustibili” per convenienza. Sono anche così pochi in quantità che non sarebbero visibili come una categoria separata, essendo l'eolico solo l'1,0% della fornitura energetica mondiale nel 2012 e il solare lo 0,2%, secondo i dati BP. Dovremmo escludere anche loro, perché richiedono a loro volta combustibili fossili per essere prodotti e trasportati.

In totale, la categoria dei biocombustibili senza tutte queste aggiunte moderne potrebbe essere vicino alla quantità disponibile nel 1820. La popolazione ora è circa sette volte più grande, il che suggerisce che solo un settimo di energia pro capite. Naturalmente, nel 1820 la quantità di legna usata ha portato ad una deforestazione significativa, quindi anche questo livello di uso del biocombustibile non era l'ideale. E ci sarebbe il dettaglio aggiuntivo del trasporto della legna ai mercati. Nel 1820, avevamo i cavalli per il trasporto, ma non avremmo abbastanza cavalli per questo scopo oggi.

Mito 4. La popolazione non è collegata alla disponibilità di energia.

Se confrontiamo le Figure 2 e 3, vediamo che l'ondata della popolazione che ha avuto luogo immediatamente dopo la Seconda Guerra Mondiale ha coinciso col periodo in cui l'uso di energia pro capite si stava espandendo rapidamente. L'aumento dell'abbondanza degli anni 50 (alimentata dai bassi prezzi del petrolio e dall'aumento della capacità di acquistare beni usando petrolio) ha permesso ai genitori di avere più figli. Migliori condizioni igieniche e innovazioni come gli antibiotici (resi possibili dai combustibili fossili) hanno a loro volta permesso a un numero maggiore di questi bambini di raggiungere la maturità.

Inoltre, alla Rivoluzione Verde, che ha avuto luogo durante questo periodo, viene riconosciuto di aver salvato miliardi di persone dalla fame. Ha diffuso l'uso dell'irrigazione, dei fertilizzanti sintetici e dei pesticidi, dei semi ibridi e lo sviluppo di sementi ad alto rendimento. Tutte queste tecniche sono state permesse dalla disponibilità di petrolio. Un uso maggiore di attrezzature agricole, che permettono che i semi vengano seminati più vicini fra loro, ha a sua volta aiutato ad aumentare la produzione. In quel periodo, l'elettricità ha raggiunto le comunità agricole, permettendo l'uso di attrezzature come le mungitrici automatiche. Se diamo uno sguardo più lungo alla situazione, scopriamo che è avvenuta una “curva” nella popolazione mondiale più o meno ai tempi della Rivoluzione Industriale e della diffusione dell'uso del carbone (Figura 4).


Figura 4. Popolazione mondiale sulla base dei dati dal “Atlante della storia del mondo”, McEvedy e Jones, Penguin Reference Books, 1978 e di Wikipedia-Popolazione mondiale.

Inoltre, se guardiamo i paesi che hanno avuto grandi diminuzioni nel consumo di energia, tendiamo a vedere il declino della popolazione. Per esempio, a seguito del collasso dell'Unione Sovietica, ci sono state diminuzioni nel consumo di energia in diversi paesi la cui energia è stata colpita (Figura 5).


Figura 6. Popolazione come percentuale come percentuale della popolazione del 1985, per paesi selezionati, sulla base dei dati EIA.  

Mito 5. E' facile sostituire un tipo di energia con un'altra.

Ogni passaggio da un tipo di energia ad un altro è probabile che sia lento e costoso, sembre che possa riuscire. Un grande problema è il fatto che diversi tipi di energia hanno usi molto diversi. Quando la produzione di petrolio si è diffusa, durante e a seguito della Seconda Guerra Mondiale, ha aggiunto nuove capacità, in confronto al carbone. Col solo carbone (e l'idroelettrico, permesso dal carbone), potevamo avere auto alimentate a batteria, con una portata limitata. Oppure auto alimentate ad etanolo, ma l'etanolo richiedeva una quantità enorme di terreno per coltivare le colture necessarie. Potevamo avere treni, ma questi non andavano da una porta all'altra. Con la disponibilità di petrolio, siamo stati capaci di avere un veicolo per il trasporto personale che andava di porta in porta e camion che consegnavano beni da dove venivano prodotti al consumatore, o in qualsiasi altro luogo desiderato.

Siamo stati anche in grado di costruire aerei. Con gli aerei, siamo stati in grado di vincere la seconda Guerra Mondiale. Gli aerei hanno anche reso possibili gli affari internazionali su scala molto maggiore, perché è diventato possibile, per i dirigenti, visitare le operazioni all'estero in un lasso di tempo relativamente breve e perché è stato possibile portare lavoratori da un paese all'altro per la formazione, se necessario. Senza il trasporto aereo, è dubitabile che l'attuale numero di attuali affari integrati a livello internazionale possano essere mantenuti.

Il passare del tempo non cambia le differenze intrinseche fra diversi tipi di combustibili. Il petrolio è ancora il combustibile preferito per il viaggio a lunga distanza, perché (a) è energia densa, quindi sta in un serbatoio relativamente piccolo, (b) è un liquido, quindi è facile da distribuire alle stazioni di servizio e (c) ora siamo impostati per l'uso di combustibile liquido, con un numero enorme di auto e camion sulla strada che usano petrolio e stazioni di servizio che servono i loro veicoli. Inoltre, il petrolio funziona molto meglio dell'elettricità per il trasporto aereo.

Passare all'elettricità per il trasporto è probabile che sia un processo lento e costoso. Un punto importante è che il costo dei veicoli elettrici deve essere abbassato fino a che i compratori se li possano permettere, se non vogliamo che il passaggio abbia un effetto fortemente avverso sull'economia. E' osì perché i salari non cresceranno per permettere di pagare auto care e il governo non può permettersi grandi sussidi per tutti. Un altro problema è che la gamma di veicoli elettrici dev'essere aumentata, se i proprietari di veicoli devono essere in grado di continuare ad usare i loro veicoli per la guida a lunga distanza. A prescindere dal tipo di passaggio che viene fatto, questo passaggio necessita di essere attuato lentamente, in un periodo di 25 anni o più, cosicché i compratori non perdano il valore di scambio dei loro veicoli alimentati a petrolio. Se il passaggio viene fatto troppo rapidamente, i cittadini perderebbero il loro valore di scambio delle loro auto alimentate a petrolio e a causa di questo non sarebbero in grado di permettersi i nuovi veicoli.

Se un passaggio a veicoli da trasporto elettrici deve essere fatto, anche molti veicoli, oltre alle auto, dovranno essere fatti elettrici. Ciò includerebbe i camion a lunga percorrenza, gli autobus, gli aerei, i macchinari da costruzione e quelli agricoli, tutti dovrebbero essere fatti elettrici. Il costo dovrebbe essere abbassato e le apparecchiature di ricarica necessarie dovrebbero essere installate, aggiungendosi ulteriormente alla lentezza del processo di trasformazione. Un altro problema è che anche a prescindere dagli usi energetici, il petrolio viene usato in molte applicazioni come materia prima. Per esempio, viene usato per fare erbicidi e pesticidi, strade asfaltate e scandole per i tetti, medicine, cosmetici, materiali da costruzione, tinte e aromatizzanti. Non c'è alcuna possibilità che l'elettricità possa essere adattata a questi usi. Forse il carbone potrebbe essere adattato a questi usi, perché è a sua volta un combustibile fossile.

Mito 6. Il petrolio “finirà” perché è limitato in quantità e non rinnovabile.

Questo mito in realtà è più vicino degli altri alla realtà. La situazione è un po' diversa dal “finire”, tuttavia. La situazione reale è che i limiti del petrolio è probabile che distruggano l'economia in diversi modi Questa distruzione economica è probabile che sia la cosa che porta ad un improvviso crollo della fornitura di petrolio. Una possibilità probabile è che una mancanza di disponibilità di debito e i salari bassi impediranno ai prezzi del petrolio di salire al livello di cui hanno bisogno i produttori per la sua estrazione. In questo scenario, i produttori di petrolio avranno poco interesse ad investire in nuova produzione. Ci sono prove del fatto che questo scenario stia già cominciando a verificarsi. C'è un'altra versione di questo mito che è ancora più sbagliata. Secondo questo mito, la situazione della disponibilità di petrolio (e della disponibilità di altri tipi di combustibili fossili) è come segue:

Mito 7. La disponibilità di petrolio (e la disponibilità di altri combustibili fossili) comincerà ad esaurirsi quando la disponibilità è esaurita per il 50%. Possiamo pertanto aspettarci un declino lungo e lento dell'uso dei combustibili fossili. 

Questo è il mito preferito di chi crede al picco del petrolio. Indirettamente, convinzioni simili sono alla base dei modelli del cambiamento climatico. Ciò si basa su ciò che io credo sia una, lettura sbagliata degli scritti di Marion King Hubbert. Hubbert era un geologo e un fisico che ha previsto un declino della produzione del petrolio statunitense e, alla fine, di quella mondiale, in vari documenti, compresi energia nucleare e combustibili fossili, nel 1956. Hubbert ha osservato che in certe circostanze, la produzione di vari combustibili fossili tende a seguire una curva piuttosto simmetrica.


Figura 7. Immagine del 1956 di Marion King Hubbert della previsione della produzione di petrolio greggio mondiale, assumendo una quantità di petrolio recuperabile finale di 1.250 miliardi di barili. 

Una ragione importante per cui questo tipo di previsione è sbagliata è perché è basata su uno scenario in cui qualche altro tipo di fornitura energetica è in grado di diffondersi prima che la disponibilità di petrolio cominci a declinare.

Figura 8. Figura dal saggio di Hubbert del 1956 Energia nucleare e combustibili fossili.

Con questa diffusione di fornitura energetica, l'economia può continuare come in passato senza grandi problemi finanziari che emergono in relazione alla ridotta disponibilità di petrolio. Senza una diffusione di una disponibilità energetica di qualche altro tipo, ci sarebbe un problema troppo elevato di popolazione in relazione al declino della disponibilità di energia. La disponibilità di energia pro capite diminuirebbe rapidamente, rendendo sempre più difficile produrre beni e servizi a sufficienza. In particolare, mantenere i servizi di governo è probabile che diventi un problema. Le tasse necessarie è probabile che aumentino troppo in relazione a ciò che i cittadini si possono permettere, portando grandi problemi, persino il collasso, sulla base delle ricerche di Turchin e Nefedov (2009).

Mito 8. L'energia rinnovabile è disponibile in quantità essenzialmente illimitate.

Il problema con tutti i tipi di fornitura energetica, dai combustibili fossili al nucleare (basato sull'uranio), al geotermico, all'idroelettrico all'eolico e al solare, sono i ritorni decrescenti. A un certo punto, il costo della produzione di energia diventa meno efficiente e a causa di ciò il costo di produzione comincia ad aumentare. E' il fatto che i salari non aumentano che per compensare questi costi più alti, e che i sostituti più economici non diventano disponibili, che causa problemi finanziari per il sistema economico. Nel caso del petrolio, l'aumento dei costi di estrazione arriva perché il petrolio economico da estrarre viene estratto prima, lasciando solo il petrolio costoso da estrarre. E' questo il problema che stiamo sperimentando di recente. Problemi simili sorgono col gas naturale e col carbone, ma il rialzo netto dei costi potrebbe arrivare più tardi perché sono disponibili in qualche modo in quantità maggiori rispetto alla domanda.

L'uranio ed altri metalli hanno lo stesso problema coi ritorni decrescenti, in quanto le porzioni più economiche da estrarre vengono estratte prima e alla fine dobbiamo passare ai minerali di densità inferiore. Parte del problema con le cosiddette rinnovabili è che sono fatte di minerali e questi minerali sono soggetti agli stessi problemi di esaurimento degli altri. Ciò potrebbe non essere un problema se i minerali sono molto abbondanti, come ferro ed alluminio. Ma se i minerali hanno una disponibilità inferiore, come le terre rare e il litio, l'esaurimento potrebbe portare all'aumento dei costi di estrazione e infine a costi più alti dei dispositivi che usano quei minerali.

Un altro problema è la scelta dei siti. Quando gli impianti idroelettrici vengono costruiti, i luoghi migliori tendono ad essere scelti per primi. Gradualmente, vengono aggiunti i luoghi meno adatti. Lo stesso vale per le pale eoliche. Le pale eoliche offshore tendono ad essere più costose di quelle a terra. Se i luoghi sulla terraferma, vicini ai centri popolati, fossero stati disponibili in abbondanza per la recente costruzione europea, sembra probabile che questi sarebbero stati usati al posto delle pale offshore.

Quando si tratta di legna, l'uso eccessivo e la deforestazione è stato un problema costante nei secoli. Quando la popolazione cresce e altre risorse energetiche diventano meno disponibili, è probabile che la situazione diventi anche peggiore. Infine, le rinnovabili, anche se usano meno petrolio, tendono tuttavia ad essere dipendenti dal petrolio. Il petrolio è importante per far funzionare le attrezzature di estrazione e per trasportare i dispositivi dal luogo in cui vengono costruiti al luogo dove devono essere messi in servizio. Vengono usati elicotteri (che richiedono petrolio) per la manutenzione delle pale eoliche, specialmente offshore, e per la manutenzione delle linee di trasmissione dell'elettricità. Anche se le riparazione possono essere fatte coi camion, per far funzionare quei camion serve in genere petrolio. La manutenzione delle strade richiede a sua volta petrolio. Persini trasportare legna sul mercato richiede petrolio.

Se ci fosse una vera carenza di petrolio, ci sarebbe un enorme crollo della produzione di rinnovabili e la manutenzione delle rinnovabili esistenti diventerebbe più difficile. I pannelli solari che vengono usati fuori dalla rete elettrica potrebbero durare più a lungo, ma le batterie, gli inverter, le linee di trasmissione dell'elettricità a lunga distanza e molte altre cose che ora diamo per scontate è probabile che scompaiano. Quindi, le rinnovabili non sono disponibili in quantità illimitata. Se la disponibilità di petrolio viene gravemente limitata, potremmo persino scoprire che molte rinnovabili esistenti non durano nemmeno troppo a lungo.



mercoledì 28 gennaio 2015

Colpo di frusta!

Da “Club Orlov”. Traduzione di MR

do Dmitri Orlov

Nel corso del 2014 i prezzi che il mondo paga per il petrolio greggio sono precipitati da oltre 125 dollari al barile ai circa 45 di adesso e potrebbero facilmente scendere ulteriormente prima di ricominciare a salire, prima di collassare ancora e risalire ancora. Avete afferrato l'idea. Alla fine, la folle altalena del mercato del petrolio, e quella persino più selvaggia dei mercati finanziari, delle valute e dei rutilanti fallimenti delle società energetiche, poi delle entità che le hanno finanziate, i default nazionali dei paesi che hanno sostenuto queste entità, causeranno a tempo debito il collasso delle economie industriali. E senza un'economia industriale funzionante il petrolio greggio verrà riclassificato come rifiuto tossico. Ma questo è fra due o tre decenni nel futuro.


giovedì 25 dicembre 2014

Buon Natale petrolifero



Questo arnese viene comunemente chiamato "Albero di Natale". Serve per gestire gli ingressi e le uscite di un pozzo petrolifero. (immagine da Wikipedia)

Non è proprio un albero di Natale come lo si intende di solito ma, insomma, vista la strana situazione del mercato petrolifero, sembra appropriato per gli auguri di quest'anno.

Buon Natale a tutti!





lunedì 22 dicembre 2014

World Energy Outlook 2014: il picco di tutto?

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel

Cari lettori,
negli ultimi giorni, a parte dedicare tempo ai molteplici impegni professionali e di divulgazione, sono stato occupato a preparare il tema del post di oggi: la mia analisi del rapporto per eccellenza del panorama energetico mondiale, il World Energy Outlook, che nella sua edizione del 2014 è stato presentato dalla IEA il 12 novembre scorso. Un rapporto come al solito molto lungo (748 pagine), con moltissime informazioni su ciò che le menti pensanti di questa agenzia della OCSE credono che sarà il futuro della fornitura energetica del pianeta. Data la lunghezza di questo post, nel quale analizzo molti aspetti di questo rapporto, lo organizzerò in diverse parti per facilitarne la lettura, vale a dire: Prospettiva storica; Strutture del WEO 2014; Petrolio; Carbone; Nucleare; Gas; Ciò che rimane nel calamaio e Conclusioni.

Prospettiva storica

Come abbiamo discusso in numerose occasioni, la IEA è sempre restia ad accettare la cruda realtà di un mondo finito con risorse finite, ma lentamente i problemi associati alla fornitura di petrolio hanno trasceso i suoi rapporti, nei quali la IEA ha sempre cercato di presentare la faccia più favorevole degli eventi che i suoi modelli di previsione di offerta e domanda le offrivano. Così, nel 2010, la IEA ha riconosciuto per la prima volta che il petrolio greggio era giunto alla sua produzione massima, che dovrebbe mantenersi costante fino al 2035, ma si consolava pensando a quali altri idrocarburi avrebbero preso in gran parte in mano la situazione. Nel 2012, coloro che hanno avuto la pazienza immergersi nel rapporto, hanno trovato la sorpresa del riconoscimento del declino della produzione di petrolio greggio, anche se la stampa si è concentrata solo sulla fantasia secondo la quale gli Stati Uniti sarebbero diventati autosufficienti nel prossimo futuro, anche se semplicemente esaminando il grafico originale di quel rapporto nel quale si sosteneva un'affermazione così azzardata, era già possibile vedere che tale autosufficienza si sarebbe potuta ottenere soltanto, a parte che facendo molte ipotesi  e molto ottimistiche, se in più gli Stati Uniti avessero rinunciato a più del 30% del consumo attuale.


Evoluzione prevista per le importazioni di petrolio degli Stati Uniti  secondo il WEO 2012. Come si vede, gli Stati Uniti non giungono mai all'autosufficienza, dovendo importare ancora più di 3 Mb/g nel 2035. Sopra si ipotizza che altri 3 Mb/g verranno da una maggiore “efficienza da parte della domanda”, cosa che finisce per essere un eufemismo per dire che si distruggerà la domanda come conseguenza di un'importante recessione economica. Altri dettagli nel post World Energy Outlook 2012: fare di necessità virtù.


Nello stesso 2012 ho elaborato un'analisi abbastanza dettagliata, incrociando dati di diverse fonti con le previsioni della IEA, per cercare di offrire una prospettiva sull'evoluzione dell'energia netta del petrolio, la quale ci ha indicato un panorama piuttosto preoccupante.


Evoluzione dell'energia netta del petrolio in uno scenario realista, derivato dallo scenario delle Nuove Politiche del WEO 2012. Altri dettagli su Il tramonto del petrolio

L'anno scorso, il WEO 2013 ci ha mostrato un grafico ancora più inquietante. In questa occasione non ho neanche dovuto lavorare sui dati. Il grafico 14.6 ci ha mostrato una rapida riduzione della produzione di petrolio nei prossimi anni se non si fosse continuato ad investire a sufficienza.


E come abbiamo spiegato ripetutamente in questo blog, nonostante questo “avviso ai naviganti” da parte della IEA, la politica delle grandi compagnie è stata piuttosto quella di annunciare tagli degli investimenti. La ragione di tale strategia di disinvestimento è che l'affare non è più tanto redditizio, visto che gli investimenti in produzione non convenzionale sono rovinosi. Non solo questo, ma tutte le tensioni accumulate nel sistema aumentano il rischio di uno scollegamento improvviso per il quale alcuni paesi potrebbero collassare, specialmente se si protrae l'attuale situazione dei prezzi del petrolio in ribasso. In questo contesto, ho analizzato con attenzione i parametri del WEO 2014, cercando di verificare quali tendenze raccoglie, di quelle enunciate sopra, e quali si permette di tralasciare o di addolcire e in quel caso per quale motivo. E i mie risultati sono piuttosto sorprendenti, come vedrete.

Struttura del WEO 2014

Il WEO 2014 è strutturato in tre parti:

- La parte A parla delle tendenze energetiche globali, secondo i suoi tre scenari di riferimento: Politiche attuali, in cui si suppone che non ci siano cambiamenti delle tendenze attuali; Nuove politiche, in cui si ipotizza che le politiche che si stanno profilando entrino in vigore e Scenario 450, in cui il mondo il mondo si imbarca nell'ambizioso programma di lotta al cambiamento climatico con l'obbiettivo di mantenere la concentrazione di gas ad effetto serra al di sotto delle 450 ppm equivalenti di CO2. Lo scenario di base per la IEA, come sempre, è quello delle Nuove politiche, salvo quando venga detto esplicitamente il contrario, tutti i grafici si riferiscono a questo scenario.

- La parte B è dedicata alla descrizione in dettaglio dell'energia nucleare.

- La parte C si occupa delle prospettive energetiche dell'Africa. In questo post non mi occuperò di questa parte.

L'inizio della parte A è dedicato alla spiegazione di alcuni dettagli dei modelli economici usati per comporre gli scenari. Richiamano l'attenzione, per esempio, i cambiamenti introdotti nello Scenario 450, visto che si riconosce che è poco probabile che ci sia un'azione concentrata prima del 2020. Nella parte delle ipotesi economiche, la IEA ci offre un grafico aggiornato sul rapporto fra energia e PIL per diverse regioni della Terra:



Di questo grafico è interessante evidenziare che anche se il rapporto fra crescita del consumo di energia e crescita del PIL non è costante (non sono linee rette), in generale le inclinazioni sono positive, cioè, che il PIL cresce sempre quando cresce il consumo di energia e decresce quando diminuisce il consumo di energia. Pertanto, la relazione fra energia e PIL è quasi sempre dello stesso tipo, tanto nei periodi di crescita economica quanto nei periodi di recessione. Le poche aree con inclinazioni negative (in cui tipicamente il PIL cresce nonostante la diminuzione del consumo di energia) sono rare e corrispondono a periodi transitori a seguito di una grossa recessione, periodi nei quali l'economia non ha ancora trovato il proprio punto di equilibrio. Di fatto, il periodo più prolungato con inclinazione negativa sembra corrispondere agli ultimi anni dopo il 2008 e soltanto nel caso degli Stati Uniti. Dato che negli Stati Uniti durante questo periodo si sono verificati due effetti di distorsione del rapporto economico (l'importazione di energia esportando inflazione da un lato e l'eccessivo indebitamento delle società energetiche che estraggono idrocarburi di bassa qualità dall'altro), entrambi transitori e difficilmente ripetibili, è difficile credere che si possa convertire questo breve periodo in un paradigma, vi starete forse dicendo. Ma non è ciò che dice la IEA, che invece ha convertito una tale anomalia nella parte centrale del proprio scenario delle Nuove politiche. Da un lato, la IEA ipotizza che la crescita media annuale del PIL in termini reali nell'OCSE sarà del 1,9%, ma allo stesso tempo ipotizza una situazione di stagnazione energetica per il mondo attualmente più industrializzato: gli Stati Uniti passerebbero da un consumo totale di energia primaria di 2135 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtoe, nell'acronimo inglese) nel 2012 a 2190 Mtoe nel 2040, l'Europa passerebbe da 1769 a 1697, il Giappone da 452 a 422 e la Russia da 749 a 819 (ma tenendo conto che nel 1990 consumava 880 Mtoe). Vale a dire: una crescita esigua, dello 0,3% annuale per gli Stati Uniti e leggermente negativa per l'Europa e per il Giappone. Il resto del mondo, invece, vedrà crescere il proprio consumo di energia a ritmi fra l1 e il 2% all'anno, piuttosto considerevoli, ma inferiori alle medie storiche di crescita del consumo energetico: Con questa crescita, il resto del mondo garantirebbe una crescita del PIL reale a un ritmo del 4,6% all'anno, roba da niente.


Come si verificherà un tale prodigio, che contraddice l'intuito ed anche i dati sperimentali che ci offre la stessa IEA sull'evoluzione del PIL rispetto al consumo di energia? La risposta ce l'abbiamo a pagina 53: “Nello scenario di Nuove politiche la domanda di energia primaria mondiale aumenta di circa il 37%fra il 2012 e il 2040. La domanda cresceva più rapidamente nei decenni passati; questo rallentamento della crescita della domanda si avrà dai guadagni in efficienza energetica e cambiamenti strutturali nell'economia globale a favore di attività meno intensive energeticamente" (il grassetto è mio). Cioè: la IEA identifica che l'energia non fluirà con la stessa intensità di prima (anche se non ammette apertamente che ci saranno problemi con diversi combustibili) ma ci dice di non allarmarci, perché il PIL continuerà a crescere nonostante il consumo energetico non lo segua (e che nella OCSE addirittura ristagni), grazie al fatto che i nostri processi energetici sono più efficienti (pare non abbiano ancora sentito parlare del paradosso di Jevons) e propone perché inoltre ci concentreremo in attività di maggior valore aggiunto. Questa riflessione dovrebbe allarmare i paesi come la Spagna, dove non si è predisposto nulla per settori del genere e dove non si stanno ponendo le condizioni per fare questa fortissima e rapidissima transizione, ma dove piuttosto avviene il contrario, con un'espulsione in massa dei giovani attraverso l'emigrazione.

Un punto chiave per il miracolo che sta chiedendo la IEA è l'evoluzione dello sviluppo tecnologico: A pagina 46 da i dettagli di quali sono le principali conquiste che si aspetta: più rinnovabili (anche se riconosce una caduta dell'investimento nelle stesse), più nucleare (la questione sulla quale sembra puntare questo rapporto), sistemi di cattura e sequestro del carbonio (CCS; è interessante evidenziare che, secondo i regolamenti della EPA americana, le nuove centrali termiche a carbone dovranno essere equipaggiate con CCS entro 10 anni – vedremo di cosa si tratta), più biocombustibili negli Stati Uniti (si riconosce che c'è stato un forte crollo nel 2012 – coinciso con la fine dei sussidi negli Stati Uniti – ma che c'è stato un grande recupero nel 2013), più veicoli ibridi ed elettrici e la proverbiale efficienza energetica (Lord Jevons, questo sconosciuto). Tutte idee vecchie, tutte già verificate, in alcuni casi, per decenni e tutte hanno dimostrato di avere dei limiti pratici che negano qualsiasi possibilità che possano avere un impatto significativo su grande scala. Per esempio, nonostante queste espressioni di buona volontà, possiamo leggere più avanti nel rapporto (box 2.2, pagina 61) che il fotovoltaico fornirà nel 2040 il 4% dell'elettricità mondiale, mentre l'eolico darà l'8% della stessa elettricità. Risulta che l'incremento dell'elettrificazione in questo periodo sarà, secondo questo scenario, moderato, per cui il contributo delle rinnovabili all'energia primaria del mondo passerebbe dal 12% nel 2012 al 19% nel 2040 (e non dimenticate che la maggior parte delle rinnovabili sono biomassa – principalmente le legna che usano i contadini di tutto il mondo – e idroelettrico). In nessun punto si discute con quale rame si produrrà questo incremento di elettrificazione, soprattutto tenendo conto del fatto che il picco di produzione del rame sembra essere in un orizzonte prossimo; non ci sono neanche allusioni ai possibili problemi di forniture di terre rare, che sono necessarie per le tecnologie più efficienti. Come vedete, non si profila niente di realmente eccitante nell'orizzonte energetico, non è affatto evidente che si possa ottenere un aumento della nostra fornitura di energia da parte di nuove fonti e da una migliore efficienza. Eppure, sta lì la scommessa della IEA per il futuro.

Petrolio

Per la IEA è chiaro che il consumo di energia continuerà a crescere nei prossimi anni, in modo tale da soddisfare la domanda crescente di una popolazione che vedono in continuo aumento. Ricordiamo che, a parità di altri fattori, la crescita della popolazione è il fattore che contribuisce di più all'aumento del PIL e con il pensiero economico classico – la dottrina religiosa imperante – il PIL deve sempre aumentare, per cui la via più facile è mediante l'aumento della popolazione. Nel caso particolare del petrolio, si prevede un aumento, nei prossimi 26 anni, di circa 14 Mb/g, fino a raggiungere il livello dei 104 Mb/g. Quanto è lontano il WEO del 2007, in cui ci si aspettava di giungere ai 120 Mb/g nel 2025 (secondo il WEO 2014, nel 2025 la produzione di tutti gli idrocarburi liquidi – che non sono esattamente petrolio – sarà circa di 96 Mb/g. Il panorama potrebbe sembrarci un pochino meno promettente di quello dell'anno scorso e la IEA si sforza di proporre un messaggio positivo, anche se non può evitare di dare avvertimenti sul fatto che il cammino verso il futuro può avere delle gravi complicazioni. Così, a pagina 74 possiamo leggere: “Le risorse restanti economicamente sfruttabili dei combustibili fossili e dell'uranio su scala globale sono più che sufficienti per coprire la crescita prevista della domanda fino al 2040, nello scenario Nuove politiche (…). Ma se queste risorse saranno finalmente sviluppate e un po' meno chiaro, date le incertezze risultanti dalla confluenza di fattori geopolitici, economici e politici e all'impatto del cambiamento tecnologico”. Per alimentare maggiormente la confusione, la IEA mostra a pagina 75 il tipico grafico degli anni rimanenti per ogni combustibile: è l'errore tipico Q/P (Quantità di petrolio/Produzione di petrolio), della quale abbiamo già parlato in alcune occasioni, che di solito serve ad illustrare alcuni articoli d'opinione che appaiono sulla stampa. Per evitare che vi disturbiate a cercare il grafico in questione, ve lo copio qui. Naturalmente, non c'è alcun riferimento all'EROEI in tutto il rapporto.


A pagina 76 si riconosce, a parole, che la produzione di petrolio greggio convenzionale diminuirà leggermente: dai 70 Mb/g del 2005 (questo dato non è menzionato in questo WEO, ma ma è stato presentato nelle edizioni precedenti) si manterrebbe a 68 Mb/g fino al 2030 e poi diminuirebbe fino ai 66 Mb/g nel 2040. Il fatto è che questo WEO è molto testuale e meno grafico, meno basato su dati di quelli precedenti, per quanto riguarda il petrolio. Non c'è alcun grafico come quello del 2012, col quale ho fatto l'analisi del post “Il tramonto del petrolio”, ma c'è qualcosa di meglio: una tavola a pagina 117 coi valori numerici di produzione per tipo ed anno (secondo la quale, di sicuro) la produzione di petrolio greggio nel 2013 è stata di 68,6 Mb/g. Traetene le vostre conclusioni). L'analisi di questa tavola sarà il tema del prossimo post. In generale la IEA  da in questo WEO le informazioni col contagocce e le poche cose che mostra le presenta in modo inusuale, cercando di dissimulare i fatti: guardate questo grafico che occupa la pagina 79:




In realtà sono grafici della produzione stimata dei paesi esaminati, ma a tutti è stato sottratto il livello di produzione del 2013. Se guardiamo bene, questi grafici non stanno dicendo che la produzione di petrolio (non dicono “convenzionale, così dobbiamo intendere che si riferiscano a tutti gli idrocarburi liquidi) diminuirà in Russia e nel Mare del Nord (molto leggermente, se si confronta con altre stime), aumenterà molto poco e solo a partire dal 2025 in Arabia Saudita, toccherà il suo massimo produttivo negli Stati Uniti verso il 2017 o 2018 (dove sono finiti i sogni di indipendenza energetica?) e realmente dipenderà principalmente dal Canada e in misura maggiore da Brasile ed Iraq il fatto che non cominci un declino irreversibile. Tenendo conto che in Brasile le prospettive nella pratica non si stanno rivelando tanto buone e che in virtù di ciò che abbiamo visto è possibile che nel 2040 non esista uno stato chiamato Iraq, sembra tutto un esercizio di volontarismo piuttosto che una cosa concreta. Una delle sezioni più interessanti del WEO 2014 è quella che parla degli investimenti nella produzione di energia. Estrapolo alcune frasi che credo siano abbastanza significative:

Pagina 85: “La decisione di impegnare capitale nel settore energetico viene sempre più modellata da misure politiche e incentivi dei governi, più che dai segnali di un mercato competitivo [riferimento ad un rapporto sull'investimento pubblicato dalla IEA qualche mese fa]. Nel settore del petrolio, ci si attende che la dipendenza da paesi con un accesso più restrittivo alle risorse cresca, nella misura in cui la produzione di petrolio del Nord America [NOTA: cioè, Canada, Stati Uniti e Messico] torni piatta dal 2030 in avanti. Le turbolenze geo-politiche come quelle presenti in Iraq, Libia ed altre parti del Medio oriente e del Nord Africa, sono la base dei rischi negativi sulla produzione di petrolio a lungo termine, cosa che indica un rischio significativo del fatto che l'investimento non arrivi in tempo, durante il decennio in corso, per evitare un deficit di fornitura a partire dal 2020”. Come vedete, i problemi possibili “sul terreno”, come piace dire alla IEA, sarebbero la causa del fatto che non si verifichi in tempo l'investimento, se alla fine succede questo. E, come vedete, nessuno si addentra ad analizzare se questi problemi sono il risultato di una instabilità intrinseca frutto dei crescenti costi di estrazione e il crollo del beneficio che corrisponde all'estrazione di fonti con EROEI molto bassi. Come sappiamo, l'incremento della produzione di petrolio degli Stati Uniti non sta portando ad un aumento del consumo della preziosa materia prima in quel paese. In realtà, lo scenario che maneggia la IEA, che è già abbastanza inquietante per l'OCSE, è molto preoccupante in termini di petrolio: dato che la produzione di tutto ciò che la IEA chiama petrolio aumenterebbe solo di 14 Mb/g da qui al 2040 al di sopra degli attuali 90 MB/g di produzione, il suo scenario prevede una drastica redistribuzione del consumo.


Come si vede nel grafico, il consumo dell'OCSE diminuirebbe a 10 Mb/g, cioè, intorno al 23% del suo consumo attuale, perché soprattutto Cina ed India possano aumentare il proprio. Pertanto, lo scenario di riferimento per la IEA, che contempla una stagnazione del consumo energetico per l'OCSE, è in realtà uno scenario di forte discesa del consumo di petrolio in questa area, che dovrà essere compensato da gas, nucleare e rinnovabili. Se si analizzano in modo critico le tendenze degli ultimi anni, una transizione tanto ordinata e di questa dimensione sembra, quanto meno, molto improbabile. Non c'è da meravigliarsi che alla pagina 104 venga dedicato tutto un paragrafo per parlare dei vantaggi del car sharing negli spostamenti e si menziona persino che probabilmente abbiamo superato il picco delle auto nell'OCSE (picco del petrolio non si può dire, ma la sua ombra è lunga). Analizzando le riserve tecnicamente recuperabili di petrolio, il WEO 2014 da da intendere chiaramente che considera che siano più che sufficienti per coprire la domanda prevista in uno qualsiasi dei tre scenari. Detto così non è chiaro se stanno tenendo conto dei ritmi reali di produzione, visto che la questione non è solo se le riserve saranno sufficienti (lo sono senza dubbio), ma se la quantità che si potrà estrarre a ritmi realistici potrà coprire la domanda (cosa abbastanza più incerta, come sappiamo). Come si dice a pagina 111, le risorse mondiali di idrocarburi liquidi non rinnovabili (che comprendono petrolio greggio convenzionale, liquidi del gas naturale, super pesanti, kerogene e tight oil) sarebbero di circa 6 miliardi (spagnoli) di barili di greggio, dei quali 1,7 miliardi sono considerati riserve provate (espressi in termini del quoziente Q/P che da luogo in seguito a tante confusioni, circa 50 anni ai livelli di consumo attuali se si potesse estrarre questo petrolio al ritmo che pare a noi, ma già sappiamo che non è così). Ci sono diverse cose curiose qui. Un miliardo di queste risorse corrispondono al kerogene, che non è chiaro come si possa estrarre economicamente (vedete la discussione nel post sulla redditività del fracking). Ci sono altri quasi 2 miliardi che corrispondono ai petroli superpesanti, alcuni dei quali sono di redditività molto bassa o nulla, e 344.000 milioni sono di tight oil. Non sappiamo a quante di queste tre risorse sia stata assegnata la categoria di “riserve provate”. Dato che per l'insieme di risorse di petrolio si verifica un rapporto di 3,5 a 1 tra risorse e riserve, sembra ragionevole che esista una relazione simile per queste tre risorse concrete e le loro riserve provate, pertanto c'è una quantità sicuramente non molto lontana dai 900.000 milioni di barili di riserve che vengono considerate provate ma che sarà piuttosto difficile sviluppare completamente.

Un'altra cosa curiose è che la IEA dice che, nonostante le riserve provate siano sufficienti a coprire la domanda attesa, è molto importante che se ne trovino di nuove a causa del fatto che la maggior parte delle attuali riserve sono controllate dall'OPEC e, pertanto, non sono troppo affidabili (controllano troppo il prezzo, dice la IEA). Qui si introduce tutta una discussione sul fatto che la classificazione attuale di riserve provate e probabili sia adeguata tenendo conto del modello di estrazione delle risorse non convenzionali, anche se a me pare un po' ipocrita e soltanto una giustificazione al fatto di dire che si continueranno a trovare risorse ad un buon ritmo nei prossimi anni, grazie a queste nuove pratiche contabili.


Infilandolo nella discussione sulle nuove riserve, il WEO 2014 approfitta per dire che due terzi di ciò che si spera di trovare  nei prossimi anni dovranno essere in estrazioni nel mare (off shore). Niente è casuale: la IEA ha il Messico nel mirino e nonostante non ci presenti alcun grafico sull'evoluzione della produzione globale di petrolio per tipologia, ce lo offre invece nel caso del Messico.


Come vedete, ipotizzano una fortissima caduta della produzione di petrolio a partire dai giacimenti attualmente in estrazione nel paese nordamericano (nella notazione della IEA), che verrà compensata da un aumento incredibilmente grande della produzione proveniente da giacimenti ancora da scoprire, principalmente offshore. Si aspettano che accada tutto questo, come dicono esplicitamente, sulle ali della famosa riforma energetica del Messico, che deve permettere che il capitale privato inverta la pessima tendenza produttiva attuale (cosa che non pochi mettono in dubbio). Qui la IEA si allinea con questi interessi economici e, con questo grafico che allego sopra, fornisce argomenti a favore dell'apertura energetica (che temo molto che scatenerà un mare d'inchiostro in Messico, sullo stile del meme falso dell'indipendenza energetica degli Stati Uniti). E' il caso di dire che un incremento tanto rapido e brutale della produzione di petrolio proveniente da giacimenti non ancora conosciuti in un'area in cui, seppure poca, esiste già un'estrazione ed un'esplorazione, risulta difficile da credere. I commenti che si fanno su Iraq ed Iran sono sulla stessa linea: un ottimismo difficile da sottoscrivere. Vi lascio, senza ulteriori commenti, la curva che stimano per l'Iran. Fino al 2013 sono dati, a partire da lì è la loro previsione.


Non riesco a finire l'analisi di questa parte senza tradurre alla lettera un paragrafo sulle “Prospettive di produzione” (pagina 114), nel quale la IEA fa la sua previsione a breve e medio termine, poiché credo che i prossimi anni metteranno a dura prova queste affermazioni.

“La produzione di petrolio fino al 2040 nello scenario di Nuove politiche si può dividere in maniera utile in due periodo, con la transizione fra i due che avviene nel decennio degli anni 20 di questo secolo (Figura3.10). Il primo periodo è caratterizzato da una produzione sostenuta nei paesi non OPEC: il tight oil (e in misura minore il petrolio da acque profonde) degli Stati Uniti, le sabbie bituminose del Canada, i giacimenti in acque profonde del Brasile e la crescente produzione di liquidi del gas naturale da diverse fonti fanno sì che la produzione non OPEC si stabilizzerà e comincerà a retrocedere, a causa della diminuzione della produzione convenzionale in Russia, Cina, più tardi in Kazakistan e alla fine di una saturazione negli Stati Uniti”.

Carbone

Qui troviamo una delle sorprese (relative) di questo WEO: la IEA prevede praticamente una stagnazione del consumo di carbone a partire dal 2020 (crescite fra lo 0,2% e lo 0,3% annuali), dando luogo ad un plateau produttivo che ricorda quello che nel 2010 si era verificato per il petrolio greggio convenzionale. Il grafico si può trovare nella presentazione alla stampa.



Dato che nel 2012 è stato verificato che tale plateau non si era verificato, ma che il petrolio convenzionale in realtà stava già diminuendo, è legittimo chiedersi se qualcosa del genere succederà anche col carbone. In linea di principio ciò non è troppo probabile, poiché questo limite estrattivo sembra essere originato più da una difficoltà intrinseca di consumare più carbone da parte del suo maggior utilizzatore, la Cina, a causa dei problemi logistici ed ambientali che causa, non tanto all'impossibilità di aumentare la produzione. Cioè, che è possibile che in questo caso ciò che prevede il WEO 2014 è un picco della domanda e non della produzione, che alla fine viene a mettere in dubbio una volta di più la perfetta sostituibilità delle diverse fonti di energia. In questo modo, sarebbe possibile mantenere una produzione di carbone approssimativamente costante per vari decenni, come i dati delle riserve sembrano avvallare. In aggiunta, non si deve scartare il fatto che il messaggio che sta mandando la IEA contenga un certo contenuto politico: al prossimo vertice di Parigi si deve decidere come si taglieranno le emissioni di CO2 e il carbone è il combustibile più inquinante e che produce più CO2 per caloria prodotta (anche se, come sembra, le estrazioni da fracking non gli vanno molto lontano). E' piuttosto significativo il grafico delle emissioni previste a seconda del tipo di combustibile:


Come si vede, si pensa che le emissioni associate al petrolio ed al carbone rimangano praticamente costanti a partire dal 2020 (di fatto il petrolio salirebbe ancora leggermente, mentre il carbone manterrebbe il livello più o meno dal 2017), mentre le emissioni di CO2 associate al gas salirebbero a buon ritmo. Obbiettivamente questa è una visione di come dovrebbe essere il mix energetico nei prossimi anni e che favorisce gli interessi degli Stati Uniti grazie al gas di scisto (purtroppo nella IEA, nonostante le numerose notizie apparse sulla stampa, non hanno ancora imparato che il gas di scisto è una rovina). Anche così, queste proiezioni rispetto al carbone contraddicono le attuali tendenze, come quella della Germania (che sta consumando più carbone, principalmente la sua lignite nazionale). Ciononostante, il WEO 2014 afferma che il consumo di carbone in Europa scenderà, principalmente a causa dell'aumento della produzione energetica rinnovabile (che in Europa dicono che raddoppierà), anche se il totale dell'energia primaria consumata sarà inferiore (ma il PIL crescerà, a causa immagino della presunta maggiore efficienza nello sfruttamento dell'energia elettrica negli usi finali, il che è sicuro, se parliamo di motori, abbastanza meno certo se parliamo di altri usi). Per maggiore contraddizione, in un'altra sezione del WEO si afferma che la produzione di petrolio (o meglio, di idrocarburi liquidi) si farà più complessa e diversificata grazie all'introduzione massiccia di impianti di conversione del gas liquido e di trasformazione del carbone in liquido grazie al processo di Fischer-Tropsch, nonostante le prove della sua attuale piccolezza (il WEO parla di una decina di migliaia di barili al giorno di produzione). L'ipotesi di un picco della domanda di carbone sembra, pertanto, abbastanza ragionevole. Tuttavia, a pagina 190 troviamo questo grafico rivelatore, in cui la produzione di carbone è ripartita per tipo di miniera: 



La striscia azzurra corrisponde alle miniere esistenti, che a quanto pare soffriranno di un abbassamento della produzione che accelererà a partire dal 2025. La striscia marrone corrisponde a progetti di espansione, basati su miniere già esistenti. Apportano qualcosa, ma non invertono la tendenza né modificano sensibilmente i tempi. La chiave si trova, pertanto,  nella striscia verde, che corrisponde a miniere nelle quali non è ancora stato fatto il primo buco (e nelle quali pertanto il volume delle riserve e la produzione ottenibile hanno una componente speculativa). La IEA sta preparando il terreno per discutere del picco del carbone nei prossimi anni?Il resto di questa sezione è abbastanza inutile. Evidenzio che, seguendo la moda del momento, una sotto sezione è dedicata alla discussione della cattura e dell'immagazzinamento del carbonio (Carbon Capture and Storage, CCS). I sistemi di CCS si basano sull'iniezione dei gas di combustione delle centrali termiche a carbone in alcuni bacini sotterranei o, allungandone il ciclo, il suo uso nel recupero secondario o terziario del petrolio (nel quale si favorisce il flusso di petrolio iniettando gas in pressione). Dato che l'obbiettivo è catturare il il CO2 per continuare a bruciare carbone, si pongono una serie di difficoltà pratiche. Qualsiasi studente del primo anno di Fisica sa che la resistenza di un gas all'essere iniettato in un bacino aumenta esponenzialmente con la quantità di gas già accumulato al suo interno, cosicché questi sistemi consumano una grande quantità di energia ed alla fine si saturano ad un certo valore, raggiunto il quale non è più possibile iniettare altro gas. I bacini geologici a disposizione di uno di questi impianti ha sicuramente limiti di capacità inferiori alla produzione potenziale di CO2 della centrale termica, quindi, cosa si fa del CO2 in eccesso? C'è anche la questione della tenuta stagna del bacino: se si creano delle crepe, il CO2 uscirà nell'atmosfera e lo sforzo sarà stato vano (e questo senza contare il fatto che le alte pressioni potrebbero, in determinate situazioni, indurre sismicità: i lettori spagnoli ricorderanno senza dubbio il fiasco del magazzino Castor, di fronte alle coste di Castellón. Per ultimo, c'è la questione per cui l'iniezione di gas nel sottosuolo consuma una grande quantità di energia (nei prototipi più avanzati di CCS, un 25% della produzione dell'impianto), proprio in un momento nel quale sicuramente non ci interessa perdere altra energia. Tutte queste cose sono conosciute già da anni eppure si continua ad insistere ripetutamente su questa idea, che è sconfitta in anticipo dalla realtà. 

Gas

Secondo questo WEO, il gas supererà il petrolio come fonte principale di energia degli Stati Uniti prima del 2030, in parte a causa della diminuzione della domanda di quest'ultimo (suppongo che sia perché presumono che le auto elettriche alimentate da rinnovabili prenderanno il sopravvento nei trasporti o perché presumono che i liquidi associati al gas verranno maggiormente usati nell'autotrazione). Questa affermazione della IEA servirà ad alimentare per qualche anno ancora l'idea che la rivoluzione del gas di scisto sia la panacea, finché questa bolla finanziaria non finisca per scoppiare. Significativamente, l'epigrafe di questa sezione è: “Liquidi del gas naturale alla riscossa?”. Per i disinformati, dire che la maggior parte del contenuto dei liquidi del gas naturale , e in modo analogo nei gas di petrolio liquefatti o GPL, è una miscela variabile di butano e propano. Cioè che tutti i progressi nell'autotrazione basati su questi combustibili consistono fondamentalmente nel recuperare, in versione moderna, quei taxi alimentati con bombole di butano che erano frequenti nella Spagna degli anni 70 e 80, cosa interessante ora che la gente usa meno butano nelle abitazioni, ma che ha un percorso limitato perché il prezzo di questa alternativa andrà alle stella quando il mercato cresce. In quanto al gas naturale in sé stesso, secondo le proiezioni della IEA, il suo uso principale sarebbe per la generazione di elettricità. Nonostante le difficoltà di creare nuovi mercati per il gas naturale, soprattutto se il petrolio ed il carbone non andranno ad alimentare più crescita economica, la IEA scommette che il gas crescerà a buon ritmo, prendendo in qualche modo il posto degli altri combustibili. 


Il posto nel mondo in cui dovrebbe crescere di più la domanda di gas naturale sarebbe la Cina, ad un ritmo impressionante del 5,2% all'anno. Evidentemente è questo il modo in cui la Cina potrà livellare il proprio consumo di carbone. Date le tendenze attuali, questa supposizione sembra abbastanza azzardata, tenendo in considerazione inoltre che il commercio e la distribuzione del gas necessita di costose infrastrutture che richiedono anni per essere ripagate. I prossimi anni metteranno alla prova le ipotesi della IEA. La seconda regione col maggior incremento del consumo di gas naturale è il Medio Oriente (2% di crescita annuale). Come ha già fatto per il petrolio, la IEA non vede alcun problema futuro nella produzione di gas, nonostante che a questo punto ci troviamo già a pochi anni dal suo picco produttivo, il quale potrebbe essere accelerato dalle turbolenze col petrolio. Così, con l'animo di poter continuare a comprare le diverse revisioni che si faranno nel prossimo decennio sulla produzione di gas naturale, includo qui il grafico corrispondente a questo WEO. Sicuramente, siccome non vedono ancora arrivare il picco di produzione del gas convenzionale, qui ci suddividono la produzione per tipologie: un dettaglio che sarà utile per riferimenti futuri. 


Merita una menzione anche il fatto che dedichino una sottosezione a discutere dei problemi di sicurezza della fornitura di gas, in particolare alla luce del recente e crescente conflitto fra Russia e Unione Europea alla cui basa c'è l'Ucraina. Mostrano un grafico molto interessante sul quali sono state le importazioni di gas naturale per l'Europa (non l'Unione Europea), che a sua volta può essere utile per tracciare la strada del nostro futuro.


Nucleare

Il WEO 2014 dedica una parte enorme alla discussione di questa fonte di energia, nonostante il suo carattere minoritario (circa il 4% dell'energia primaria generata nel mondo) e delle sue scarse proiezioni di futuro. Perché? Perché fondamentalmente la IEA abbraccia la tesi secondo la quale le riserve di uranio sono enormi e che l'evoluzione tecnologica permetterà di ampliare enormemente le risorse che passeranno ad essere economicamente disponibili – abbiamo molto bisogno di una tecnologia che a breve termine cominci a dare un apporto in mezzo a tante carenze. Ma l'evoluzione dell'energia nucleare negli ultimi decenni non è stata molto brillante, essendo passata dal fornire il 18% dell'elettricità mondiale nel 1998 al 11% di adesso (vedete il grafico più in basso). Ma per la IEA la questione chiave sono le basse emissioni di CO2 di questa fonte: di fatto, nello scenario 450, l'energia nucleare cresce ad un ritmo vertiginoso.


Il WEO 2014 presume che si installeranno 332 Gw di potenza in più da qui al 2040 (il che è una castroneria: attualmente ci sono 392 Gw), principalmente in potenze emergenti e negli Stati Uniti, mentre scommette sul fatto che si prolunghino la vita delle licenze di esercizio in occidente. Richiama l'attenzione l'ipotesi poco delicata secondo la quale il Giappone recupererà progressivamente la sua forza nucleare, a partire dal 2020 per non ferire suscettibilità nei dintorni e soltanto ai tre quarti di quello che avevano prima dell'incidente di Fukushima. In seguito c'è una lunghissima discussione sui costi, scomponendo i diversi fattori che contribuiscono agli stessi e la sensibilità che hanno a diversi fattori (compreso il prezzo dei combustibili fossili). Mi è sembrato interessante vedere che il prezzo del combustibile è già intorno al 10% dei costi della centrale (quando ho cominciato a fare questo, i sostenitori di questa tecnologia si vantavano del fatto che il combustibile rappresentava soltanto l'1% dei costi) e poi un'altra discussione, non meno lunga, sulla percezione pubblica di questa energia. Qui si presentavano tre sotto-scenari disaggregati da quello di riferimento; in uno di questi (Low nuclear) nel 2040 ci sarebbe un po' meno energia nucleare installata (366 Gw). In quanto alle risorse, si dice che c'è uranio sufficiente per alimentare uno qualsiasi dei tre sotto-scenari. C'è anche un certo cinismo implicito, per esempio nel grafico che ci informa quale dovrebbe essere il ritmo di chiusura delle attuali centrali nucleari e qual è quello che prevedono nello scenario di riferimento, dando per scontato che ci saranno molti prolungamenti delle licenze operative oltre la vita utile nominale delle centrali e che di fatto verranno estese per molti decenni. 


Ma quello che risulta estremamente scioccante è il riconoscimento aperto del fatto che con le miniere di uranio esistenti e con l'uranio immagazzinato dei decenni antecedenti (riserve secondarie, nel gergo del settore), presumendo inoltre che tutte le miniere attualmente previste si realizzino in tempo, mancherà uranio a partire dal 2020 e verso il 2040 non si potrà coprire tutta la domanda ma meno del 60% (mancheranno circa 45.000 tonnellate di uranio naturale equivalente su circa 105.000 richieste).


Questo è né più né meno il picco dell'uranio. Sono sicuro che a Pedro Prieto piacerà vedere emergere le fauci di uraniator in questo “supply gap” (“mancanza di fornitura”) che ci ricorda tanto quello già visto un decennio fa nelle previsioni per il petrolio. La sola cosa che la IEA riesce a fare per cercare di scongiurare prospettive così pessime è il paragrafo che segue e che accompagna il grafico che vi ho appena indicato: 

“L'estrazione di risorse di uranio ancora da scoprire potrebbe aggiungere forniture di uranio nel futuro, sempre che si faccia esplorazione e sviluppo su scale significative. Inoltre, le risorse di uranio non convenzionali (acqua di mare e fosfati), così come i cicli di combustibili alternativi come quelli che si basano sul torio, promettono di fornire combustibile nucleare a lungo termine se si fa il necessario sviluppo tecnologico. Un'ampia gamma di tecnologie nucleari è attualmente in via di sviluppo (per esempio, i reattori di quarta generazione), il che congiuntamente alla rielaborazione potrebbero anche contribuire ad allontanare di un tempo ancora maggiore qualsiasi scarsità di combustibile”. 

Ciò che mi sembra preoccupante di questo paragrafo è che tutti questi argomenti vengono usati da decenni senza che nessuno dei progressi desiderati si sia verificato per ragioni tecniche che sono ben conosciute (per me il massimo del ridicolo è il riferimento all'uranio dell'acqua di mare). E' triste giungere a pagina 430 di questo rapporto per vedere che dopo tanto parlare siano rimasti senza parole.

Ciò che rimane nel calamaio

E' tantissimo: ci sono diverse sezioni interessanti, come quella dedicata alle rinnovabili, all'efficienza e all'elettrificazione. E tutta la parte dedicata all'Africa. Secondo il WEO le rinnovabili occuperanno una grande percentuale della produzione energetica futura ed è abbastanza fiducioso soprattutto rispetto al fotovoltaico, data la riduzione del costo dei pannelli, anche se riconosce che i recenti cambiamenti legislativi in diversi paesi lo stanno ostacolando e ricorda che le sovvenzioni statali ai combustibili fossili sono 6 volte maggiori che alle rinnovabili (anche se dimentica di commentare che i combustibili fossili stanno producendo più di 10 volte più energia delle rinnovabili). Nel paragrafo dell'efficienza non c'è il minimo riferimento al Lord Jevons. In quanto all'elettricità, c'è un'interessante discussione sulla sicurezza della fornitura energetica, che potrebbe vedersi compromessa, dice la IEA, a causa della maggior inclusione di energia rinnovabile e la perdita di interesse degli investitori in impianti convenzionali che tuttavia dovrebbero esserci per dare sostegno. Il quadro di questa discussione porta il titolo significativo di: “Mantenere accese le luci” (pagina 209).

Conclusioni

Il linguaggio tranquillizzante che viene sempre impiegato dalla IEA sulle prospettive di futuro in quanto alla fornitura di energia, risulta nettamente smentito quando si entra nei dettagli dei dati da essa stessa forniti. Nel rapporto di quest'anno possiamo trovare riferimenti per nulla velati ai problemi di produzione di petrolio se non c'è sufficiente investimento, a un picco del carbone che si potrebbe interpretare come un picco della domanda (fondamentalmente dovuto alla Cina) ma che in realtà potrebbe giungere ad essere un picco produttivo reale  e al riconoscimento, ormai senza perifrasi, che, senza un cambiamento radicale, la produzione di uranio comincerà a diminuire nel prossimo decennio. L'unica materia prima non rinnovabile per cui i grafici non mostrano problemi è il gas naturale, ed anche questa è abbastanza discutibile. Dati i dubbi crescenti sul buon passo dell'economia mondiale (che verranno confermati o smentiti nei prossimi mesi) non si può escludere che si verifichi una pericolosa retroazione negativa fra la produzione di questi materiali e i cicli di investimento e disinvestimento nella loro produzione. La produzione di petrolio, carbone e uranio (e in realtà anche quella del gas naturale) accumula tensioni tali che, lasciata al suo sviluppo naturale, porterebbe all'arrivo dei picchi contemporanei di tutte e di conseguenza di molte altre materie prime non energetiche. E' il temuto Peak Everything, il cui effetto sociale è la Grande Scarsità

Ponendo lo sguardo indietro, guardando a ciò che facciamo come società con questo corpo di prove crescente sui limiti della crescita, la sola cosa che vedo è che continuiamo a guardare, così come a seguire, le linee di evoluzione e di degrado più o meno previste dai modelli. Insomma, vedo come ci stiamo avvicinando al disastro finale. Se mai ci fosse un momento per reagire, è sicuramente questo. 

Saluti.
AMT


giovedì 18 dicembre 2014

Dirupi di Seneca del terzo tipo: come il progresso tecnologico può generare un collasso più rapido

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi




L'immagine sopra (da Wikipedia) mostra il collasso delle riserve di merluzzo del Nord Atlantico. Il disastro della pesca dei primi anni 90 è stato il risultato di una combinazione di avidità, incompetenza e supporto governativo ad entrambe. Sfortunatamente, è solo uno dei numerosi esempi di come gli esseri umani tendono a peggiorare i problemi che cercano di risolvere. E' una cosa che il filosofo Lucio Anneo Seneca aveva capito già 2000 anni fa, quando ha detto "Sarebbe una consolazione per la nostra debolezza e per i nostri beni se tutto andasse in rovina con la stessa lentezza con cui si produce e, invece, l'incremento è graduale, la rovina precipitosa.” 


Il collasso della pesca al merluzzo del Nord Atlantico ci fornisce un buon esempio del collasso improvviso della produzione di risorse – anche di risorse che in teoria sono rinnovabili. La forma della curva degli sbarchi del merluzzo mostra una certa analogia con la “curva di Seneca”, un termine generale che ho proposto da applicare a tutti i casi in cui si osserva un rapido declino della produzione di una risorsa non rinnovabile o lentamente rinnovabile. Ecco la forma tipica della curva di Seneca:


L'analogia con gli sbarchi di merluzzo è solo approssimativa ma, chiaramente, in entrambi i casi abbiamo un declino molto rapido dopo una crescita lenta che, nel caso della pesca del merluzzo, è durato per più di un secolo. Cosa ha causato questo comportamento? La curva di Seneca è un caso particolare della “curva di Hubbert”, che descrive lo sfruttamento di una risorsa non rinnovabile in una ambiente di libero mercato. La curva di Hubbert è “a campana” e simmetrica (ed è l'origine del famoso concetto di “picco del petrolio”). La curva di Seneca è simile, ma inclinata in avanti. In generale, l'inclinazione in avanti può essere spiegata col tentativo dei produttori di mantenere la produzione di una risorsa in via di esaurimento ad ogni costo.

Ci sono diversi meccanismi che possono alterare la curva. Nella mia prima nota su questo tema, ho osservato come il comportamento Seneca potrebbe essere originato dall'aumento dell'inquinamento e, in seguito, come potrebbe essere invece il risultato dell'impiego di più risorse per la produzione come conseguenza dell'aumento dei prezzi di mercato. Tuttavia, nel caso della pesca del merluzzo, nessuno dei due fattori sembra essere fondamentale. L'inquinamento sotto forma di cambiamento climatico potrebbe aver svolto un ruolo, ma non spiega il picco verso l'alto degli anni 60 nella produzione di pesce. Inoltre, non abbiamo prove di aumenti netti dei prezzi del merluzzo durante questa fase del ciclo di produzione. Piuttosto, ci sono prove chiare che il picco ed il successivo collasso siano stati originati dai miglioramenti tecnologici. L'effetto di tecnologie migliori e nuove viene chiaramente descritto da Hamilton et al. (2003).

La pesca è cambiata quando si è sviluppata una nuova tecnologia per pescare merluzzo e gamberi e i pescherecci sono aumentati di dimensioni. Un pugno di pescatori sono passati alla pesca a strascico o agli attrezzi “da traino”. Il governo federale ha svolto un ruolo decisivo introducendo nuova tecnologia e fornendo risorse finanziarie ai pescatori che erano disposti a prendersi il rischio di investire in nuovi attrezzi e barche più grandi.
... I pescatori su imbarcazioni aperte e i palangari hanno continuato a pescare merluzzi, aragoste e foche verso la costa. Nel frattempo i pescherecci a strascico ed altri palangari si sono spostati in oceano aperto, pescando merluzzo e gamberi quasi tutto l'anno. Al culmine del boom, i capitani dei pescherecci a strascico guadagnavano 350.000-600.000 dollari all'anno dal solo merluzzo... Il governo federale ha aiutato a finanziare miglioramenti delle navi,  fornendo contributi che coprivano il 30-40% dei loro costi. 
...

Per la fine degli anni 80, alcuni pescatori hanno riconosciuto segni di declino. Le imbarcazioni aperte e i palangari raramente potevano raggiungere le loro quote. Per trovare il merluzzo rimasto, i pescatori hanno navigato sempre più verso nord, dispiegato più attrezzi e intensificato i loro sforzi. Alcuni hanno cominciato a spostarsi su specie alternative come i granchi. Infrangere le regole della pesca – vendendo il pescato non dichiarato di notte, usando reti a maglie piccole e buttando il pesce indesiderato in mare – si diceva che fosse una pratica comune. Grandi catture illegali, oltre a quote legali troppo alte, hanno ridotto la risorsa. Alcuni dicono di ever percepito il problema in arrivo, ma si sono sentiti impotenti nel fermarlo. 

Non ci servono quindi modelli complicati (ma vedete sotto) per capire come l'avidità umana e l'incompetenza – e l'aiuto da parte del governo – abbia generato il disastro del merluzzo. I merluzzi sono stati uccisi più rapidamente di quanto si potessero riprodurre e il risultato è stato la loro distruzione. Notate anche che nel caso della caccia alle balene del 19° secolo, la tecnologia di pesca non poteva “progredire”, non poteva essere così radicale come è stata nel 20° secolo. Il collasso di Seneca della pesca del merluzzo dell'Atlantico è solo uno dei molti casi in cui gli esseri umani “tirano la leva dalla parte sbagliata”, generando direttamente il problema che cercano di evitare. Se c'è una qualche speranza, un giorno, che la pesca del merluzzo possa riprendere, la situazione è ancora più chiara con le risorse completamente non rinnovabili come petrolio e la maggior parte dei minerali. Sembra che nessuno si preoccupi del fatto che più velocemente lo si estrae, più velocemente lo si esaurisce: tutto il concetto della curva di Seneca è qui. Quindi fate attenzione: c'è un dirupo di Seneca in vista anche per il petrolio!
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Un modello dinamico semplice per descrivere come il progresso tecnologico possa generare il collasso della produzione di una risorsa lentamente rinnovabile, come nel caso della pesca 

Di Ugo Bardi

Nota: questo non è un saggio scientifico formale, solo una breve nota per tratteggiare come possa essere costruito un modello dinamico che descrive la pesca eccessiva. Vedete anche un modello analogo che descrive l'effetto dei prezzi sulla produzione di una risorsa non rinnovabile.

I fondamentali di un modello di dinamica dei sistemi che descrive lo sfruttamento di una risorsa non rinnovabile in un libero mercato sono descritti nei dettagli in un saggio del 2009 di Bardi e Lavacchi. Secondo il modello sviluppato in questo saggio, viene ipotizzato che la risorsa non rinnovabile (R) esista sotto forma di riserva iniziale di misura determinata. La riserva di risorsa viene gradualmente trasformata in una riserva di capitale (C) che a sua volta declina gradualmente. Il comportamento delle due riserve come funzione del tempo è descritto da due coppie di equazioni differenziali.

R' = - k1*C*R 
C' = k2*C*R – k3*C,

dove R' e C' indicano il flusso delle riserve come una funzione del tempo (R' è ciò che chiamiamo “produzione”), mentre le “ks” sono costanti. Questo è un modello essenziale che, ciononostante, può riprodurre la curva “a campana” di Hubbert e adattarsi ad alcuni casi storici. Aggiungere una terza riserva (inquinamento) al sistema genera la “Curva Seneca”, che è una curva di produzione, col declino più rapido della crescita. Il sistema a due riserve (che non tiene conto dell'inquinamento) può a sua volta produrre una curva Seneca se l'equazione sopra viene leggermente modificata. In particolare, possiamo scrivere:

R' = - k1*k3*C*R 
C' = ko*k2*C*R – (k3+k4)*C.

Qui, “k3” indica esplicitamente la percentuale di capitale reinvestito in produzione, mentre k4 è proporzionale al deprezzamento del capitale (o qualsiasi altro uso non produttivo). Possiamo quindi ipotizzare che la produzione è proporzionale alla quantità di capitale investito, cioè a k3*C. Notate come il rapporto di R' rispetto al flusso di capitale nella creazione di risorsa descriva la produzione energetica netta (EROEI), che risulta essere uguale a k1*R. Notate anche che “ko” è un fattore che definisce l'efficienza della trasformazione di risorse in capitale. Può essere visto come collegato all'efficienza tecnologica.

Il modello descritto sopra vale per una risorsa completamente non rinnovabile. Avendo a che fare con la pesca, che in teoria è rinnovabile, dovremmo aggiungere un fattore di crescita ad R', sotto forma di k5*R. Ecco il modello come l'ho implementato usando il software Vensim (TM) per la dinamica dei sistemi. Alle “ks” sono stati dati dei nomi espliciti. Sto anche usando la convenzione di “modelli a portata di mente” con riserve di energia libera maggiori che appaiono al di sopra delle riserve di energia libera minore.


Se le costanti rimangono costanti durante il run, il modello è lo stesso del famoso “Lotka-Volterra”. Se il tasso di riproduzione viene regolato a zero, il modello genera una curva di Hubbert simmetrica. Per simulare il progresso tecnologico, la costante di “efficienza di produzione” è ipotizzata raddoppiare intorno metà ciclo. Un possibile risultato è il seguente, che qualitativamente riproduce il comportamento della pesca del merluzzo del Nord Atlantico.


Fra le altre cose, questo risultato conferma le conclusioni di un mio saggio (2003) su questo tema, sulla base di un diverso metodo di modellazione.

Lasciate che sottolinei ancora una volta che questo non è un saggio accademico. Sto semplicemente mostrando i risultati di prove fatte con semplici ipotesi riguardo alle costanti. Ciononostante, questi calcoli mostrano che il dirupo di Seneca è un comportamento generale che si verifica quando i produttori tendono il loro sistema allocando percentuali sempre maggiori di capitale in produzione. Se ci fosse qualche volontario per darmi una mano a fare modelli migliori, sarei felice di collaborare!