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mercoledì 14 aprile 2021

Come i nostri cervelli vengono distrutti dalla troppa informazione

 

 
 L'ameba Amelia, è la protagonista di un capitolo del mio libro "Before the Collapse" (Springer 2019). Amelia è una Naegleria Fowleri che ha l'abitudine no troppo simpatica di divorare i cervelli umani ma, a parte questo, si è gentilmente prestata a fare da esempio per il libro dei meccanismi di crescita delle creature viventi. Nel post che segue, Alessandro Chiometti usa ancora l'esempio delle creature monocellulari per un'interessante ragionamento su come i nostri cervelli vengano distrutti, non da un'ameba antropofaga, ma da un eccesso di informazione disponibile. Va un po' contro i principi dell'informazione "usa e getta" moderna, nel senso che comincia facendovi una lezione di chimica. Ma se avete voglia di leggerlo, vedrete che è un post estremamente interessante e originale. 


Aspettando la fine del mondo – Il paradosso dello zucchero e dell’informazione.

Scritto da


Ciò che siamo abituati a chiamare commercialmente “zucchero” è in realtà il saccarosio, uno dei tanti “zuccheri” esistenti e indicati in chimica organica come carboidrati. Questi possono essere formati da una molecola di un qualunque zucchero (monosaccaridi) o da più molecole di questi (polisaccaridi).
Il saccarosio è un disaccaride formato dall’unione dei due monosaccaridi glucosio e fruttosio.

Se pur le molecole di questi due hanno la stessa formula bruta (C6H12O6) in realtà sono molto diverse, tanto per dire il glucosio forma un anello a sei elementi mentre il fruttosio lo forma a cinque, ma soprattutto è il glucosio che è la fonte primaria di ogni richiesta di energia di ogni essere vivente.





Il suo ruolo nei vari cicli aerobiotici o anaerobiotici è fondamentale per la produzione di ATP e quindi per ogni motore cellulare che richiede energia.  Tutti nutrienti che assumiamo nel corso della vita sono trasformati dal corpo in glucosio o immagazzinati come precursori di questo in varie forme (ad es. glicogeno) pronte per l’uso.

Insomma si può dire che il glucosio (e quindi suoi vari precursori presenti in natura) è ciò che consente la “vita” così come la conosciamo, nel senso di di mobilità, spostamento, sport, sforzo fisico ed intellettuale, crescita. Non è certo un caso che quando si vuole coltivare una coltura batterica con un apposito terreno di crescita l’apporto zuccherino deve essere sempre garantito. Anche i batteri e gli altri microrganismi crescono, e si moltiplicano, grazie al glucosio e quindi allo zucchero ovviamente.

Tuttavia, avete mai fatto caso che il saccarosio lo conserviamo per decenni a temperatura ambiente e non gli succede nulla?

Non va a male, non ci crescono le muffe e, se non ci mettono le mani i figli golosi o le formiche in campeggio, anche dopo anni lo troviamo esattamente dove l’abbiamo lasciato e possiamo consumarlo tranquillamente senza paura che ci sia cresciuto qualche batterio.

E questo, ve lo garantisco per ogni soluzione di zucchero in cui la percentuale di questo sia maggiore del 70% (ad esempio il miele).

Questo perché i microrganismi sono molto sensibili all’azione di ciò che chiamiamo pressione osmotica e per loro depositarsi su cristalli di sale (o di zuccheri) puri, o in soluzioni troppo concentrate di questi, significa morte istantanea.

La cellula del microrganismo è tenuta insieme dalla membrana cellulare che in chimica fisica è ciò che si definisce “membrana semipermeabile“, ovvero una barriera che applicata ad una fase liquida lascia passare il solvente ma non i soluti in esso disciolti. In una soluzione acquosa in pratica attraverso questa membrana passerebbe l’acqua ma non il sale disciolto in essa.

Ma cosa succede quando una membrana semipermeabile separa due soluzioni a diversa concentrazione di soluto? Succede che il solvente (acqua in genere) passi attraverso di questa dalla parte più diluita alla parte più concentrata (grazie alla forza della pressione osmotica per l’appunto) per DILUIRE la stessa fino a quando quelle due concentrazioni non saranno identiche.

Ma se stiamo parlando di un sistema chiuso come una cellula è ovvio che questa più di tanta acqua non la può contenere e finirà per esplodere o, viceversa, se ciò che è all’esterno è più concentrato di quel che è all’interno il batterio esaurirà l’acqua per il tentativo di diluire la concentrazione esterna. Quindi, riassumendo il batterio se si trova a contatto con una soluzione di acqua distillata muore perché l’acqua entrerà al suo interno fino a farlo scoppiare, se si trova in presenza di soluzioni molto concentrate (o dei cristalli di sali e zuccheri puri) muore perché l’acqua che è al suo interno fuoriesce per tentare un impossibile diluizione dell’ambiente esterno.

Lo so, ho fatto una premessa lunghissima ma era necessaria per tentare l’azzardato ragionamento speculativo su ciò che sta succedendo nella nostra società per ciò che riguarda la possibilità di accesso alle informazioni.

Più passa il tempo e più mi sembra evidente che l’enorme mole di sapere che abbiamo a nostra disposizione o, per meglio dire,  a  cui abbiamo possibilità di accesso, non ha aumentato in nessun  la conoscenza delle persone o la loro capacità di elaborare conclusioni in seguiti a queste. Anzi.

Al netto di fake news e di disinformazione orchestrata, tutti noi oggi abbiamo accesso a una quantità di dati e di informazioni impensabile fino a qualche decennio fa. Possiamo accedere al sito della Nasa per sapere come va lo scioglimento del permafrost in tempo reale, possiamo accedere alla John Hopkins University per sapere ogni morto e ogni contagio a causa della Covid sul pianeta terra, possiamo metter ein relazione i provvedimenti presi da ogni paese e capire chi ha indovinato o meno la gestione della pandemia, possiamo accedere ai siti di biologia evoluzionistica e conoscere l’andamento della sesta estinzione di massa.

Eppure c’è qualche meccanismo che si intoppa. L’analfabetismo funzionale è alle stelle, non sappiamo distinguere fra un sito di astronomia e uno di astrologia, di fronte a un grafico a tre variabili abbiamo lo stesso atteggiamento degli scimmioni di kubrikiana memoria di fronte al monolite nero.

Molte persone hanno sempre più difficoltà a completare la lettura di un articolo che rientra in una pagina A4 a carattere 12. (A proposito, state ancora leggendo?)

E molte di esse anche se lo leggono restano convinte che l’articolo gli dia ragione anche se c’è scritto l’opposto di quello che loro sostenevano.

Dov’è l’intoppo? Dov’è il paradosso osmotico che possa giustificare ciò?

A voler trovare una correlazione (avviso: speculazione sul ragionamento già speculativo di per se)  con il “paradosso” dello zucchero sembra che più la quantità di informazione disponibile arriva a contatto con le le nostre menti e più il buon senso holbachiano esce dalle nostre teste. Quel buon senso che non si apprende sui libri forse, ma che pure una volta sembrava essere sufficiente per distinguere un ciarlatano da uno scienziato.

Lo dichiariamo a scanso di equivoci: sappiamo benissimo che non c’è mai stata nessun età dell’oro e che gli approfittatori della buona fede ci sono sempre stati (lo “schema Ponzi” nasce nel 1918 mica l’altro ieri); però forse peccavamo di ottimismo positivista lo riconosciamo senza vergona, ma si sperava davvero che avendo al possibilità dell’accesso a tutte queste informazioni le persone sarebbero state se non migliori almeno più consapevoli.

E invece no, direbbe Brunori Sas.

Pazienza, sarà per la prossima specie.

mercoledì 12 novembre 2014

Paul Krugman e la Tartaruga. Perché i Limiti della Crescita sono reali

DaCommmon Dreams”. Traduzione di MR


Nel mondo astratto della filosofia, Achille non può mai superare la tartaruga; nel mondo reale non è così. (Fermo immagine: OpenEdu video)

Di Ugo Bardi

Uno dei paradossi di Zenone più famosi dice che Achille non sarà mai in grado di superare la tartaruga che ha davanti, a prescindere da quanto corre velocemente. Perché. Perché Achille prima deve raggiungere il punto da cui la tartaruga è partita, il che significa che la tartaruga è sempre davanti. E' una buona illustrazione di quanto sia facile costruire teorie astratte che hanno poco a che fare con la realtà.

Paul Krugman sembra aver creato un paradosso simile in un recente articolo sul New York Times (“Rallentamento della velocità e Limiti della Crescita”) in cui lo espone per dimostrare che il prodotto interno lordo mondiale (PIL) può continuare a crescere anche mentre si riduce la produzione di energia. Lo fa per mezzo dell'esempio di “rallentamento della velocità”. Osservando che il consumo di energia delle navi cresce più che linearmente come funzione della velocità, Krugman sostiene che si può sempre risparmiare energia rallentando le navi ed aumentandone il numero. Se il rapporto fra velocità ed energia consumata è, diciamo, al quadrato, allora raddoppiando il numero di navi e dimezzando la loro velocità, si può ridurre l'energia consumata alla metà. Così, è possibile mantenere una costante produzione economica riducendo l'ingresso di energia nel sistema. Quod Erat Demonstrandum? Be', sfortunatamente le cose non sono così semplici.

La storia delle navi rallentate appare sospetta come uno dei paradossi di Zenone, nel senso che si potrebbe continuare all'infinito a raddoppiare le navi e all'infinito a ridurre l'energia consumata – proprio come Achille continua a correre all'infinito senza mai raggiungere la tartaruga. Semplicemente non suona giusto nel mondo reale e, infatti, se si guarda con attenzione nella tesi di Krugman, vediamo che c'è una cosa importante che ha trascurato. Il trucco funziona se – e solo se – il costo delle navi rimane costante mentre se ne aumenta il numero. Ciò è ben lontano dall'essere ovvio.

Una nave mercantile non è solo uno scafo vuoto che riempito di container; servono metalli, ceramica e semiconduttori per la sua elettronica, i suoi motori, il suo sistema di controllo ed altro. Fare più navi significa che devono essere prodotti  ed utilizzati più minerali. Ma i minerali sono risorse limitate, nel senso che i giacimenti a più alta densità dai quali li estraiamo esistono in quantità limitate. Un tentativo esteso di sostituire l'energia col capitale nell'economia mondiale risulterebbe in una grave sollecitazione sull'industria mineraria che sarebbe costretta a produrre a costi elevati da giacimenti a bassa densità. La conseguenza è che i prezzi dei beni minerali salirebbero (questo non è solo in teoria, è esattamente ciò che sta succedendo nel mondo reale, dovuto al graduale esaurimento dei giacimenti ad alta densità). Ma se i prezzi salgono, la domanda viene distrutta e, di conseguenza, il PIL scende, non sale, come sostiene Krugman.

Quindi la tesi di Krugman potrebbe di fatto essere un paradosso nel senso che il tentativo di aumentare il PIL risparmiando energia potrebbe ritorcesi contro, creando l'effetto opposto. Ma perché Krugman (e molti altri) è così preoccupato dell'energia e disinvolto rispetto alle risorse minerali? E' perché si sa che oggi l'energia è ottenuta principalmente da combustibili fossili ed è anche comunemente risaputo che i combustibili fossili esistono in quantità limitate e non sostituibili, che stiamo gradualmente consumando. Così, passare da una risorsa minerale limitata (combustibili fossili) ad altre risorse minerali limitate (metalli ed altre) equivale a spostare meramente il problema da un settore all'altro dell'economia. Il risparmio di energia è una cosa buona, ma non dobbiamo prenderlo come il miracolo che fa continuare la crescita del PIL per sempre. 

L'articolo di Krugman non tratta semplicemente di spostare le risorse da un posto all'altro, ma cerca di demolire il concetto stesso che esistono limiti alla crescita del PIL (vedete anche un suo articolo precedente), per esempio asserendo che Bill Nordhaus (il suo vecchio mentore) aveva efficacemente demolito, quaranta anni fa, il libro sui limiti di Jay Forrester che aveva preceduto il famoso studio del 1972 intitolato “I Limiti dello Sviluppo (Crescita)”. Ahimè, ho paura che non sia così.E' vero che nel 1973, William Nordhaus ha affermato di aver trovato errori fondamentali nel modello di Forrester. Tuttavia, Forrester è stato in grado di mostrare, nella sua replica che Nordhaus aveva semplicemente fatto un errore nell'interpretazione delle equazioni del modello. Nordhaus stesso è sembrato fare un passo indietro rispetto alla sua interpretazione precedente in un articolo sullo stesso tema che ha pubblicato nel 1992, visto che non ha più parlato di questi supposti errori. La storia di questo dibattito è raccontata con qualche dettaglio nel mio libro I Limiti della Crescita Rivisitati (Springer 2012). Tutto ciò non significa che i “Limiti della Crescita” non abbia dei limiti nel suo approccio, ma semplicemente che non può essere liquidato così facilmente, specialmente in considerazione del fatto che sta diventando sempre più chiaro che è stato capace di descrivere correttamente la realtà, fino ad ora. 

Nel regno astratto della filosofia, Achille non può mai superare la tartaruga. Nel mondo reale, non è così. Nel regno astratto dell'economia, il PIL può crescere senza risorse naturali. Nel mondo reale, non è così. Alla fine, dobbiamo diffidare delle teorie astratte e ricordare che il limiti alla crescita sono reali.


Ugo Bardi insegna all'Università di Firenze, Italia. E' un membro del Club di Roma e l'autore di “Extracted, come la ricerca della ricchezza minerale sta saccheggiando il pianeta” (Chelsea Green 2014)