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lunedì 27 ottobre 2014

Un'astronave chiamata Escatologia

DaResource Crisis”. Traduzione di MR

Questo articolo è apparso su “Virgin.com” il 12 agosto 2014.


Immagine: NASA 


Di Ugo Bardi

“Escatologia” è una parola di origine greca che significa “la scienza della fine”. Nei tempi antichi era popolare presso i teologi, ma oggi sembra aver raccolto interesse per descrivere diversi tipi di catastrofi che potrebbero accadere in futuro. Cose come asteroidi giganti che cadono sulla Terra o, in un futuro lontano, il Sole che diventa così forte che causerà l'evaporazione degli oceani e spazzerà via tutta la vita.

Ora, se l'escatologia significa cambiamenti intensi, rapidi ed irreversibili, possiamo arguire che stiamo attraversando un evento escatologico a tutti gli effetti proprio adesso. E' un'escatologia minerale causata dagli esseri umani. Gigantesche quantità di minerali sono stati estratti, trattati e dispersi nell'atmosfera, negli oceani e nella terra. Ci sono voluti milioni di anni per creare i depositi minerali che abbiamo distrutto in pochi secoli. Centinaia di milioni di anni serviranno per ricrearli – se questo accadrà mai. La Terra non è più quella che era quando gli esseri umani sono apparsi per la prima volta e non sarà mai più la stessa.

Sembra che abbiamo costruito un'astronave chiamata escatologia che ci sta trasportando in un pianeta alieno in un viaggio di sola andata. Un pianeta più caldo di quello in cui siamo abituati a vivere a causa dei gas serra generati dall'attività estrattiva e dalla combustione di combustibili fossili. Un pianeta con molte caratteristiche che potremmo trovare assai sgradevoli: dalle inondazioni provocate dalla fusione dei ghiacciai all'inquinamento persistente causato dai metalli pesanti e dai minerali radioattivi che abbiamo disperso ovunque. Ma forse la differenza maggiore è che in questo nuovo pianeta non troveremo più i ricchi depositi minerali che ci hanno fornito l'energia e le risorse che abbiamo usato per costruire la nostra civiltà industriale.

Potremmo essere in grado di adattarci ad un pianeta più caldo, anche se questo potrebbe significare una sofferenza enorme per la specie umana. Entro certi limiti, possiamo anche ripulire l'inquinamento che abbiamo generato. Ma come vivere in un pianeta senza risorse minerali a buon mercato? E' vero che i minerali non vengono mai distrutti – quindi saranno ancora lì e, in parte, potrebbero essere recuperati dai rifiuti industriali. Ma, sul lungo termine, per continuare ad produrre minerali avremmo bisogno di estrarli dalla crosta indifferenziata e questo sarebbe impensabile: troppo costoso in termini di energia necessaria. Per non parlare del disastro che sarebbe in termini di inquinamento. L'essenza dell'evento escatologico in cui stiamo vivendo è che il tempo dell'estrazione mineraria è quasi finito per noi, almeno nella forma in cui l'abbiamo conosciuto per secoli. Cioè, nella forma di minatori con elmetti e piccozze nei profondi tunnel sotterranei. I minatori sono ormai parte della storia planetaria che non tornerà mai più, come i tirannosauri e i pteranodonti.

Ma se escatologia significa la fine di qualcosa, potrebbe anche significare l'inizio di qualcos'altro. Se l'estrazione mineraria sta per finire, possiamo ancora avere i minerali se siamo disposti a cambiare i modi dispendiosi ed inefficienti che abbiamo usato per ottenerli. Dobbiamo chiudere il ciclo di sfruttamento e riciclare completamente ciò che usiamo. E' possibile, ma serve energia – molta di più di quella che ci serviva per estrarre dai depositi minerari puri. Questa energia non può provenire dal carbonio fossile: accelererebbe semplicemente l'esaurimento e peggiorerebbe il problema climatico. Ci serve energia pulita ed inesauribile: principalmente dal sole e dal vento.

E' improbabile che questa energia sarà mai così a buon mercato ed abbondante quanto l'energia che ci è stata fornita dai combustibili fossili all'inizio del loro ciclo di sfruttamento. Quindi, dovremo usarla in modo saggio. Dovremo essere molto più efficienti di quanto lo siamo oggi: dovremo creare prodotti industriali più duraturi, usare con attenzione l'energia e sostituire i minerali rari con quelli più comuni sulla crosta terrestre.

Energia pulita, riciclaggio ed efficienza. Quest'insieme di strategie è il nostro biglietto per la sopravvivenza in questo viaggio interplanetario. Alla fine, l'astronave Escatologia potrebbe darci una possibilità di abbandonare la civiltà sempre in crescita e mai felice di oggi e creare una nuova civiltà che potrebbe avere sufficiente saggezza da vivere e prosperare su ciò che c'è e nulla di più.


Ugo Bardi è docente di Chimica Fisica all'Università di Firenze ed autore di Extracted: come la ricerca della ricchezza minerale sta saccheggiando il pianeta (Chelsea Green Publishing, 2014).


martedì 20 maggio 2014

La crisi delle terre rare: un segno dei tempi in arrivo?

Da2degrees”. Traduzione di MR

La crisi di disponibilità di terre rare sembra essersi allontanata, ma è un'anticipazione dei problemi che avremo?


Le terre rare non si trovano tipicamente in depositi economicamente sfruttabili.

di Ugo Bardi

L'embargo petrolifero del 1972 ci ha lasciati con una forte percezione di quanto siamo vulnerabili alle interruzioni della fornitura di risorse minerali. Queste preoccupazioni avrebbero potuto materializzarsi di nuovo quando nel 2010 la Cina ha annunciato che le sue esportazioni di terre rare sarebbero state ridotte. Visto che la Cina ha quasi il monopolio delle terre rare, i prezzi sono andati rapidamente alle stelle e tutto il mercato è stato in agitazione per alcuni anni, con diverse segnalazion di scarsità per applicazioni cruciali nell'industria elettronica. Ciononostante, la crisi delle terre rare sembra essere stata sopravvalutata, più che altro risultato delle nostre stesse paure. Oggi, la bolla è scoppiata e i prezzi delle terre rare sono crollati. Sono ancora più alti di quanto fossero in precedenza, ma la produzione non è calata e le paure di scarsità sembrano essersi ridimensionate. Quindi, come dovrebbe essere interpretata questa crisi? E' stato solo un fenomeno speculativo o segnala l'arrivo di problemi reali?

“Dopo la grande crisi petrolifera degli anni 70, il mondo non ha più conosciuto grandi crisi di risorse attribuite a fattori politici”.

Di certo la crisi delle terre rare ha colto di sorpresa molti di noi. Dopo la grande crisi petrolifera degli anni 70, il mondo non aveva più conosciuto grandi crisi di risorse attribuite a fattori politici. Questa calma è stata, molto probabilmente, il risultato del trionfo del fenomeno che chiamiamo “globalizzazione”. Col mondo che diventa un unico, enorme mercato per ogni tipo di bene, se un paese rifiuta di vendere una risorsa, i compratori possono semplicemente ottenerla altrove. La competizione spinge anche i venditori a tagliare i prezzi il più possibile e questo spesso significa trascurare il costo dell'inquinamento generato dall'estrazione.

Ma c'è un problema in questo mercato globale: è basato su un paradigma di abbondanza. Funziona finché le risorse sono sufficientemente abbondanti da permettere ai compratori di scegliere i venditori. Quando i venditori sono di meno o, peggio ancora, qualcuno ha il monopolio di una risorsa, allora le cose cambiano. I prezzi aumentano, i costi dell'inquinamento non vengono più trascurati e coloro che hanno il controllo della preziosa e rara risorsa sono tentati di usarla come arma economica, politica o persino militare. Questi fattori potrebbero essere stati alla base della crisi delle terre rare. I cinesi potrebbero aver ragionato sul fatto che le loro risorse erano preziose e limitate quindi che valesse la pena di conservarle. Un altro fattore che potrebbe averli portati a questa decisione è l'orrendo costo del danno causato dall'estrazione delle terre rare, spesso estratte con operazioni su piccola scala, pericolose ed inquinanti. Infatti, anche al di là del caso delle terre rare, il paradigma dell'abbondanza delle risorse minerali sembra che stia per uscire di scena.

Una serie di fattori stanno causando un aumento dei costi di estrazione; compresi più alti costi energetici, degrado dei minerali di alta densità e inquinamento in aumento. Questi maggiori costi generano ritorni economici decrescenti dell'estrazione e, di conseguenza, prezzi più alti per tutti i beni minerali. Allo stesso tempo, l'inquinamento collegato all'estrazione sta aumentando, per esempio in termini di emissioni di CO2 generati bruciando carbonio fossile. Vista sotto questa luce, la crisi delle terre rare di qualche anno fa, anche se non è più preoccupante in sé stessa, potrebbe essere stato un primo sintomo di quello che avverrà. Solo pochi anni dopo, stiamo assistendo ad una crisi molto più pesante per la globalizzazione con il conflitto in Ucraina che sembra segnalarci un ritorno ad un mondo a due blocchi (o, forse, più di due). Un fattore importante che ha creato questa crisi potrebbe essere stata la percezione che l'Ucraina potrebbe avere grandi risorse di gas di scisto nella valle di Lublin, nelle provincie occidentali. In una percezione di abbondanza, non avrebbe senso giungere a grandi crisi geopolitiche per queste risorse (o per qualsiasi singola risorsa). Ma in una percezione di scarsità è vero il contrario. Questi due effetti, infatti, sono due facce della stessa medaglia, una conseguenza del graduale esaurimento dei depositi di alta densità. Ciò che abbiamo visto con le terre rare è solo un sintomo di un nuovo mondo che sta arrivando.


Elaborato sulla base di dati da:  "Extracted, come la ricerca di ricchezza minerale sta saccheggiando il pianeta" di Ugo Bardi. Sarà pubblicato il 12 giugno da Chelsea Green e sarà disponibile attraverso tutti i canali principali e i rivenditori online. E' stato presentato nel 2013 come rapporto al Club di Roma, un think-tank internazionale, la cui missione è di intraprendere l'analisi e far crescere il dibattito su come ottenere un pianeta più resiliente e sostenibile. Per leggere altro, comprate il libro di Ugo Extracted: come la ricerca di ricchezza minerale sta saccheggiando il pianeta

martedì 11 marzo 2014

Il marmo sulle Alpi Apuane: ritorni economici decrescenti e costi per la comunità sempre più elevati.


L'estrazione del marmo sulle Alpi Apuane sta diventando un'operazione talmente costosa e distruttiva che la si può paragonare al fracking per il petrolio e il gas naturale - la potremmo chiamare "marming" secondo questa analisi di Jacopo Simonetta. E' un'illustrazione molto chiara del problema che stiamo avendo con tutte le risorse minerali. Non stiamo esaurendo niente, ma ci troviamo di fronte a ritorni economici decrescenti e costi ambientali crescenti. In questo caso, Simonetta fa vedere come il tentativo di mantenere in vita a tutti i costi il processo estrattivo finisca per diventare un costo per l'intera comunità

Di Jacopo Simonetta


"In ultima analisi, la nostra economia è un sistema di incentivi alla distruzione delle risorse" H. Daly, J. Farley.


Qualunque processo industriale si alimenta di risorse e produce contemporaneamente beni/servizi da un lato, costi ambientali e sociali dall'altro.  In queste pagine, ci riferiremo quindi a “costi interni” per indicare le spese che figurano come uscite nei bilanci aziendali.   Chiameremo invece “costi esterni” tutti quei costi che non figurano nei bilanci aziendali e che vengono spalmati sulla popolazione a livello locale (ad es. il traffico, l’esaurimento delle risorse, ecc.) o globale (ad es. emissioni di CO2).
Tenuto conto che le voci in uscita dal punto di vista aziendale (stipendi, tasse, acquisti, ecc.) sono le voci in entrata dal punto di vista collettivo, mentre le voci in uscita per il bilancio collettivo sono in parte le entrate di quello aziendale (consumo risorse), in parte altre (inquinamento, traffico, alterazione/distruzione habitat, paesaggio, ecc.), possiamo avere quattro combinazioni possibili:

Osservando questo schema, si comprende che il fattore discriminante fra le diverse situazioni è dato dal diverso rapporto fra costi di produzione interni ed esterni.   In sintesi:
   ·         Se i costi interni ed esterni sono in equilibrio, l’attività avrà effetti economicamente positivi sia dal punto di vista aziendale che da quello collettivo.  Se, invece, i costi esterni sono lievi e quelli interni forti, l’azienda si troverà in cattive acque.     Se entrambi i costi sono pesanti l’attività sarà passiva sia per l’azienda che per la comunità.    Se, infine, i costi esterni sono più importanti di quelli interni, l’azienda potrà essere florida, ma contribuirà ad impoverire anziché arricchire il territorio e la popolazione.  In pratica, in situazioni come questa, la collettività si fa carico di una serie di spese e di danni per permettere all'attività industriale di proseguire.

Questi temi stanno diventando critici in un numero crescente di casi ed, assieme ad un gruppo di operatori del settore lapideo, abbiamo cercato di capire come si declinassero nel caso del marmo apuano.   Senza alcuna pretesa di completezza, i nostri risultati sono stati reiteratamente presentati a tutti i livelli decisionali per anni, nella speranza, perlomeno, di suscitare un più completo ed approfondito studio, ma invano: nessuno pare aver voglia di veder chiaro sulla questione. Probabilmente il rischio di scoprire che abbiamo ragione è troppo alto.

L’industria lapidea in Versilia.

Per secoli l’estrazione e la lavorazione del marmo hanno costituito una delle basi economiche della Versilia, contribuendo in modo sostanziale a delinearne l’ambiente, il paesaggio, la storia e la società. Nel corso degli ultimi 30 anni circa,  il settore è però andato incontro a progressivi cambiamenti nella sua struttura tecnica, operativa, economica e finanziaria, modificando in modo sostanziale i tradizionali rapporti fra il settore lapideo stesso, il territorio e la società. In particolare, la sempre più spinta meccanizzazione ha comportato un fortissimo aumento dei volumi estratti e dei consumi di energia, riducendo di pari passo la manodopera impiegata.  

Nel contempo, la quota di mercato rappresentato dall'esportazione dei blocchi grezzi è salita del 54% a discapito della vendita di materiali lavorati in loco, diminuiti del 65%.   Questi ultimi, anzi, trovano sempre di più a fronteggiare il “dumping” dei prodotti lavorati all'estero a partire dai blocchi apuani esportati. Anche in questo caso, dunque, si verifica una forte contrazione nel numero di aziende e di addetti, ma un aspetto ancora più preoccupante è quello della lievitazione costante dei costi esterni.

Come qualsiasi altra attività produttiva, infatti, l’estrazione e lavorazione del marmo comporta una serie di vantaggi e di svantaggi, anche limitandosi ai soli aspetti economici. Ma mentre i vantaggi sono direttamente correlati al fatturato ed al numero di addetti, gli svantaggi sono proporzionali ai volumi di materiale mosso.   E’ quindi evidente che la politica di aumentare i quantitativi, abbassando i costi unitari  e la manodopera impiegata crea una situazione perversa in cui i vantaggi gradualmente diminuiscono, mentre gli svantaggi aumentano. Certamente questi problemi sono determinanti nel fare dell’area apuana una delle 10 zone di maggiore criticità ambientale ed economica a livello toscano. Ed anche la più difficile da approcciare, a giudicare dal fatto che è questa l’unica fra le aree di crisi della Toscana per la quale non è stato neppure possibile attivare il tavolo istituzionale di concertazione previsto dal Piano Regionale di Azione Ambientale fin dal 2007.

Trattandosi di un lavoro preliminare, ci siamo concentrati su tre fasi critiche della filiera: escavazione, trasporto a valle, segagione e prima lucidatura delle lastre. Per ognuno di questi passaggi sono state valutate le principali spese inerenti i costi interni (stipendi tasse, acquisto di beni/servizi, ecc.) ed esterni (consumo risorse, inquinamento, impatto sulle infrastrutture pubbliche, consumo di suolo, ecc.). Abbiamo poi considerato il valore commerciale del materiale in entrata ed in uscita da ogni fase della filiera e, quindi, abbiamo avanzato un’ipotesi di saldo aziendale e di saldo collettivo Le cifre si riferiscono ad una “tonnellata tipo”,  vale a dire sui valori medi di una tonnellata costituita per il 15% da blocchi squadrati, 15% da blocchi informi e 70% da pietrame.  Sono valori comuni sulle Apuane, ma singole cave presentano valori anche molto diversi a seconda dei filoni, delle tecniche, ecc.  Inoltre, le cifre sono ai valori del 2008, ma ai nostri fini quello che conta sono le proporzioni fra i diversi costi e ricavi, non la cifra assoluta.

La prima osservazione che balza evidente è che tutti i passaggi della filiera presentano un saldo collettivo negativo, così da piazzare l’attività lapidea nell'area economica in cui il bilancio risulta attivo per le aziende e gli addetti, ma negativo per la collettività. Tuttavia, tale saldo passivo risulta di importanza assai diversa a seconda delle fasi.  

Nel trasporto e nella lavorazione, infatti,  il passivo collettivo appare inferiore al vantaggio aziendale.   Ciò significa che, almeno teoricamente, sarebbe possibile imporre una serie di compensazioni e mitigazioni tali riportare sostanzialmente in equilibrio la situazione. Viceversa, nell’estrazione le esternalità sono superiori di un fattore dieci al valore commerciale del prodotto. Questo dato da solo, per quanto preliminare, rende evidente che, nelle condizioni attuali di mercato,  l’attività di cava di per sé comporta una perdita di ricchezza collettiva considerevole e non realisticamente compensabile. E ciò malgrado le aziende interessate realizzino guadagni consistenti e gli addetti percepiscano stipendi di tutto rispetto.

Un’altra considerazione che risulta evidente, è che l’esportazione di materiale grezzo può essere interessante per le ditte, mentre rappresenta una grave perdita per la comunità.  Un fatto questo empiricamente già ben noto, ma che siamo ora in grado di quantificare nell'ordine di oltre 150 € per tonnellata di roccia scavata. Ciò porterebbe a considerare l’industria lapidea come del tutto negativa nell'economia della Versilia, ma il problema non è così semplice in quanto nel bilancio sociale le perdite sono rappresentate da costi indiretti ed in parte dilazionati nel tempo, mentre le entrate sono dirette ed immediate.  Fra queste, ovviamente, la principale è l’occupazione. 

Abbiamo quindi stimato, come ordine di grandezza, quanta parte della montagna sia necessario rimuovere per generare un posto di lavoro nelle tre fasi della filiera.   Ne è emerso che, mentre per far lavorare un operaio in fabbrica è necessario distruggere annualmente circa 1.000 ton. di roccia (circa 300 mc), per far lavorare un cavatore ne sono necessarie dieci volte tanto (10.000 ton.), mentre per far lavorare un camionista si arriva alla cifra di circa 200.000 ton./anno!

Infine, abbiamo considerato quando rende/costa all'azienda ed alla società un addetto a queste tre, diverse fasi della filiera.

Emerge immediatamente evidente che la collettività si fa carico di costi considerevoli per permettere ad un certo numero di persone di lavorare, ma in misura molto diversa a seconda del lavoro che fanno.    Anche da questo punto di vista infatti, il costo sociale di un camionista o di un operaio in fabbrica potrebbero essere riportati sotto controllo con opportuni provvedimenti, mentre ogni singolo cavatore rappresenta un buco da  oltre 1.000.000 di euro all'anno che vanno spalmati in parte sulla collettività locale, in parte su quella globale.    Ma sempre, si badi bene, in termini non direttamente monetari e dunque difficili da definire ed ancor più difficili da spiegare, specialmente quando sull'altro piatto della bilancia ci sono “soldi subito”.    E molti soldi, i titolari dei permessi di escavazione mettono a bilancio attivi compresi fra i 5 ed i 10 milioni di € l'anno, al netto di tutte le tasse e le spese, comprese quelle di "rappresentanza".  In pratica, quello del marmo apuano è un affare in cui alcune decine di persone si arricchiscono in modo difficile a credere, alcune centinaia ne ricavano un buono stipendio; tutti gli altri pagano per loro.

Una situazione molto ben conosciuta da tutti coloro che si occupano di risorse naturali e su cui sono state scritte intere biblioteche, senza spostare di una virgola l’ago della bilancia decisionale degli enti preposti, siano questi il governo federale degli USA per il “fracking” del gas e del petrolio, od il comune di Stazzema per questa operazione che potremmo chiamare, per analogia, “marming”.





domenica 9 marzo 2014

Effetto Risorse: il vero problema

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Tavola per gentile concessione di Steven Rocco. E' impressionante come il costo del combustibile sia quasi raddoppiato in pochi anni a fronte di una diminuzione della produzione.


di Ugo Bardi

L'immagine sopra è una delle migliori illustrazioni del vero problema che abbiamo con l'estrazione mineraria. Come è già stato detto nello studio del 1972 “I Limiti dello Sviluppo”, NON finiremo nessun minerale. La cosa che finiremo sono le risorse necessarie per l'estrazione mineraria, a fronte di costi dei combustibili in aumento e della diminuzione della densità dei minerali. "

Nella tavola di Steven Rocco si vede che il costo del combustibile diesel usato per l'estrazione dell'oro è quasi raddoppiato negli ultimi quattro anni, arrivando a rappresentare, al momento, circa il 10% del prezzo di mercato dell'oro. Possiamo ancora permetterci di estrarre l'oro, ma il suo destino è segnato. E non solo il suo. Il costo dell'estrazione sta aumentando per tutti i beni minerali, compresi i combustibili fossili, risultato inevitabile dell'esaurimento progressivo. Ovviamente, questa non è una buona notizia per l'economia e le sempre maggiori psese necessarie per l'estrazione sono una delle ragioni degli attuali problemi economici.

La questione dell'esaurimento è il tema principale del mio nuovo libro “Extracted”, pubblicato (solo in inglese) da Chelsea Green e che dovrebbe essere disponibile da Aprile di quest'anno.