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mercoledì 9 luglio 2014

Cronaca di un pianeta gravemente malato

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR



Di Antonio Turiel

Cari lettori,

cosa succederebbe se per un momento lasciassimo il nostro tran-tran quitidiano e gettassimo uno sguardo alla salute ecosistemica del nostro pianeta, del nostro habitat? Tutti sono consapevoli del fatto che ci sono molti problemi, ma probabilmente non tutti hanno un'idea chiara di quanti possano essere e della loro gravità, non dico tanto per le altre specie quanto per la nostra. Sono talmente tanti questi problemi, e tanto gravi, che dovrebbero occupare le prime pagine dei giornali, anziché rimanere relegati (e anche questo solo di tanto in tanto) in quelle di Scienza e Società. Forse pensate che non siano così gravi, che su questi temi si esageri. Con una certa conoscenza di alcuni dei problemi odierni chiave dell'Umanità, alcuni minuti di pazienza, un browser e selezionando solo le fonti più ragionevoli, di fronte a noi si disegna un panorama sicuramente desolante...

Il danno alla Grande Barriera Corallina è irreversibile se non si intraprendono azioni radicali.


Le stelle marine si sciolgono in una materia gelatinosa e nessuno sa il perché.



La grande moria di ostriche e smerli sulla costa nordoccidentale degli Stati Uniti – Milioni di frutti di mare muoiono – Non si era mai vista una cosa simile – In luglio la mortalità arriverà al 95%. 


La grande moria della vita marina lungo la costa orientale degli Stati Uniti, Radiazioni di Fukushima... o altro?




Le zone morte dell'oceano (zone povere di ossigeno dove non c'è vita) hanno incrementato la loro area di 10 volte durante l'ultimo secolo.



Il Mediterraneo si riscalda e si acidifica ad un ritmo senza precedenti.



Il cambiamento climatico e la quantità decrescente di pesci permettono di prevedere un livello di cattura stagnante.


L'inquinamento rende ermafroditi alcuni pesci nel Mediterraneo.


Il ghiaccio marino artico è inquinato da microplastiche.


Le microplastiche minacciano la salute degli ecosistemi e degli esseri umani nel Nordest dell'Ohio.


Come le microplastiche domestiche comuni minacciano la fertilità.


Le meduse stanno invadendo il mare e potrebbe essere troppo tardi per fermarle.


L'estensione massima annuale del ghiaccio artico è la quinta minore da quando si hanno rilevamenti.



L'esercito americano prevede un Artico senza ghiaccio nel 2016.


Segni evidenti nel Pacifico dell'avvicinarsi di un El Niño travolgente.


Allarme per un'estate più calda in conseguenza del fenomeno de 'El Niño'.


Stati Uniti, fra freddo estremo e siccità.


La Corrente a Getto Polare (Jet Stream) sta cambiando direzione? Un flusso di aria più ondulato potrebbe portarci inverni più lunghi e rigidi.



OMS: L'inquinamento atmosferico è il responsabile di un morto su otto su scala globale.


I livelli "sicuri" di inquinamento atmosferico possono ugualmente essere nocivi.



I biocombustibili possono aumentare l'inquinamento da ozono più della benzina, secondo uno studio.



Le morti per inquinamento aumentano del 10% a Dehli dal 1991.


I tubi di scarico delle macchine confondono le api fino ad ucciderle.


 L'inquinamento proveniente dall'Asia fa diventare più forti le tormente del Pacifico.


Una Scuola Medica del Cile avverte dell'alta presenza di metalli pesanti ad Antofagasta.


Il mercurio nel pesce ha portato l'inquinamento degli alimenti nel 2013.


Riso al cadmio: inquinamento da metalli pesanti delle coltivazioni di riso in Cina.



Preoccupa l'inquinamento da mercurio in Perù.


L'inquinamento da arsenico delle acque sotterranee potrebbe essere uno dei casi peggiori di avvelenamento di massa della storia dell'Umanità.


Il primo rapporto mondiale del OMS sulla resistenza agli antibiotici rende manifesta una grave minaccia per la salute pubblica in tutto il mondo.


La metà dei petti di pollo esaminati sono risultati positivi ad un superbatterio in un test negli Stati Uniti.


 La Banca Mondiale suona l'allarme per i prezzi crescenti degli alimenti.


Il grano aumenta di prezzo a causa del conflitto in Ucraina e della siccità negli Stati Uniti.


Gli Stati Uniti subiscono una grave crisi idrica a causa dell'estrazione di gas e petrolio.


Come le super erbe maligne Frankenstein hanno invaso 60 milioni di acri negli Stati uniti... e non si possono eliminare.


Parassiti divoratori di coltivazioni assediano i contadini sudafricani.


Un parassita misterioso minaccia le coltivazioni del Texas per un valore di migliaia di milioni di dollari.


I parassiti delle coltivazioni si stanno diffondendo a causa del cambiamento climatico.


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E non ho nemmeno cercato di essere esaustivo, ma già per i temi semplicemente enunciati in questo post servirebbero ore ed ore di discussione. Tutte queste notizie sono esclusivamente degli ultimi 12 mesi , ma anche così l'elenco e terribilmente lungo. Tuttavia, nessuno parla di questi temi, tutto si muove con una falsa apparenza di normalità, di effimera tranquillità, di fragile sicurezza... Mentre si parla di banalità, si distoglie la concentrazione dalla gravità della situazione globale, con l'obbiettivo di continuare con l'unico scopo socialmente accettabile: la crescita economica, la ripresa ad oltranza. Crescita economica che già sappiamo non essere possibile, ma nel cui nome stiamo minando sempre di più gli unici attivi reali e indispensabili alla nostra sopravvivenza come specie.

Saluti.
AMT

domenica 15 giugno 2014

Una proposta di futuro

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR (Bentornato Antonio)



Di Antonio Turiel

Cari lettori,

vengo rimproverato con una certa frequenza del fatto che le analisi dei diversi tipi di risorse naturali che facciamo qui (fondamentalmente quelle di tipo energetico, sia rinnovabili che non rinnovabili) finiscono per concludere che nessuna fonte di energia in sé o in combinazione con le altre potrà produrre in un futuro (per nulla lontano) una quantità di energia simile alla attuale, ma una quantità di molto inferiore. Questo blog è tacciato di essere disfattista ed apocalittico perché la mera analisi fattuale e spassionata dei dati nudi e crudi ci mostra che l'unica strada possibile oggigiorno è quella della decrescita energetica. Per mia formazione scientifica, il mio proposito è di mostrare la realtà nel modo più oggettivo possibile, lasciando da parte le mie possibili preferenze o desideri, disgraziatamente, nulla ci ciò che viene proposto o ricercato in questo momento promette alcuna uscita dall'attuale pantano e, peggio ancora, il corso degli eventi da quando il blog ha iniziato (gennaio 2010) confermano che il nostro cammino inesorabile continua ad essere la decrescita energetica. Vedo spesso alcuni post commentati in diversi forum e c'è sempre una certa quantità di commenti che dicono che mi sbaglio perché non ho considerato questo o quel miracolo energetico che in realtà è già stato analizzato qui in altri post dimostrando che si tratta di un fiasco. Alla fine, il mio atteggiamento da guastafeste, del “non funziona niente” disturba tanto che viene considerato socialmente inaccettabile da alcuni e molte persone finiscono per concludere che se dico quello che dico è perché ho un programma (politico) pregiudiziale, una visione contorta delle cose e che semplicemente non sto bene di testa. Qualsiasi cosa pur di non avvicinarsi ai dati e vedere ciò che mostrano, o di guardarsi intorno e vedere che in nostro soccorso non sta accorrendo alcun miracolo energetico, dopo che sono passati 7 anni di questa crisi che non finirà mai.

Poco tempo fa una persona mi chiedeva una nota di ottimismo, che dessi una qualche alternativa, che proponessi qualcosa che potesse funzionare. Abbiamo già discusso che questo in realtà non è il mio compito, anche se è certo che in realtà posso proporre misure efficaci e che ci offrirebbero un futuro che meriterebbe di essere vissuto ( e non il futuro di esclusione e neo-feudalesimo nel quale potremmo ritrovarci se continuiamo sulla strada attuale). Posso proporle perché sono misure semplici, di buon senso, una volta accettata la semplice diagnosi di ciò che sta accadendo. Allo stesso tempo, non sono misure realmente tecniche, perlomeno non collegate alla ricerca di nuove fonti e ad aumentare la produzione di energia. Tuttavia, sono misure inaccettabili socialmente perché comportano la rotture di un paradigma sociale ed economico che viene considerato insostituibile e immutabile, nonostante abbia meno di 200 anni. E il fatto è che queste misure comportano la necessaria e prioritaria modifica del nostro sistema economico e finanziario.

Casualmente, i compagni di Véspera de Nada hanno passato questi giorni a raccogliere idee sulle misure per aumentare la nostra resilienza e proporle al nuovo Parlamento Europeo che voteremo fra qualche giorno. La maggior parte delle misure che sono state proposte sono quelle logiche, provenendo da associazioni di carattere tecnico centrate sul problema delle risorse: migliorare l'efficienza, incentivare le rinnovabili, porre fine all'obsolescenza programmata, evitare la mercificazione dell'acqua... Da parte mia, riflettendo su ciò che si dovrebbe proporre, ho introdotto questo elemento di dibattito, quello per cui il cambiamento necessario e che deve avvenire per primo sia quello del sistema economico e finanziario. Un tema insolito, ma se si guarda con attenzione è il più logico di tutti.

Introduzione: il problema della crescita

La cosa è semplice. Il nostro sistema finanziario funziona sulla base del credito. Quando qualcuno presta 100 euro con un interesse del 5% crede (credito proviene dal latino credere) che la persona alla quale viene concesso sarà in grado non solo di produrre valore pari ai 100 euro che ha investito, ma anche per gli altri 5 euro di interesse. Cioè, un capitale di 100 euro diventerà di 105, al di fuori del beneficio aggiuntivo che questo possa lasciare a colui che ha richiesto il credito. Tutti considerano normale oggigiorno che quando si prestano dei soldi questi vengano restituiti con un interesse percentuale. Tuttavia, questa non era assolutamente la visione dominante fino a pochi secoli fa. Per esempio, fino al 18° secolo la Chiesa Cattolica condannava il prestito con interesse, che veniva definito genericamente come usura (pecunia pecunima parere non potest, i soldi non possono partorire soldi, diceva San Tommaso D'Aquino). Ed è logico che durante la maggior parte della storia dell'Umanità il credito con interesse fosse visto come nocivo. Pensate che se il capitale venisse prestato a un interesse di soltanto un 5% all'anno, e una volta recuperato venisse prestato all'infinito, questo capitale crescerebbe a un ritmo esponenziale. In soli 14 anni il capitale raddoppierebbe, in 28 anni verrebbe moltiplicato per 4, in 42 per 8, in 56 per 16... In un solo secolo quel capitale sarebbe 131 volte più grande e in duecento anni 17.161 volte. In un solo millennio il capitale aumenterebbe di un fattore astronomico a 21 cifre, quasi paragonabile al numero di stelle che ci sono nell'Universo e nei 10.000 anni di storia dell'Umanità si dovrebbe moltiplicare per una quantità con 211 cifre, molto di più del numero di atomi del Sistema Solare.

Naturalmente tale crescita è impossibile (non possono esserci più euro che atomi) e naturalmente alcuni investimenti falliscono e il ritmo di crescita non è mai tanto veloce, ma in ogni caso la logica del nostro sistema è quella della crescita continua, illimitata, la quale prima o poi dovrà fermarsi per la semplice ragione che il pianeta è finito. Durante la maggior parte della Storia dell'Umanità, gli uomini hanno convissuto coi limiti: di risorse, di popolazione, di velocità dei trasporti... e così la crescita era scarsa o inesistente e tipicamente avveniva dopo di una catastrofe di popolazione e di qualche evento che permetteva di superare i limiti precedenti (qualche miglioramento sociale o tecnico, o la colonizzazione di nuovi territori – per esempio, l'espansione Occidentale in America o in Africa). Gli antichi hanno compreso che la logica dell'interesse composto spingeva gli uomini ad un ricrca di più ricchezza che era semplicemente impossibile (in media; c'è sempre chi si arricchisce) in un mondo con dei limiti e così le diverse chiese condannavano il prestito con interesse, che in alcuni paesi era perseguito come delitto.

Ma è arrivata la Prima Rivoluzione Industriale, con l'introduzione del carbone e poi la Seconda, con l'introduzione dell'elettricità e del petrolio, e improvvisamente le possibilità si sono moltiplicate. Il mondo ha potuto espandersi, e con esso il capitale, a ritmi sconosciuti per secoli. In quel momento si sono poste le basi della teoria economica attualmente vigente, la quale non ha dato il valore economico corretto alle risorse e, in particolare, all'energia, questo fluido potente ed invisibile che ha reso possibile questa rapida espansione. Sono passati quasi due secoli, non ci sono più economisti di vecchio stampo ed il ricordo di un modo diverso di fare le cose è andato praticamente perduto. Tutti accettano acriticamente che per uscire dalla crisi ciò di cui abbiamo bisogno è la crescita e non si pensa ad altre alternative. Ed ora che alcune voci dicono che la disponibilità di energia è giunta al suo massimo e che la quantità di energia che consumiamo ogni anno, seppur enorme, non crescerà più sensibilmente e addirittura che alcune fonti come il petrolio stanno cominciando a retrocedere, ad essere disponibile ogni anno in quantità minore, gli economisti formati in questi decenni di iper-abbondanza insistono sul fatto che l'energia e le risorse non sono e non saranno un problema, dicendolo per convinzione dogmatica, visto che né si fermano a guardare i dati in maniera oggettiva anziché parlare per sentito dire, né cercano di capire la geologia, la fisica e la biologia che stanno alla base all'economia, pensando che questa disciplina sia regina e sovrana anziché suddita e subordinata alla Natura.

Rispetto al primo, troppe volte mi sono ritrovato col tipico “esperto in economia” che fa affermazioni ridicole e facili da confutare, come per esempio esagerare l'importanza dei movimenti a breve termine del prezzo del petrolio (per esempio dire enfaticamente che “il prezzo del petrolio è appena crollato” perché è diminuito di 2 o 3 dollari che poi recupera nel giro di un paio di giorni) o che la produzione di petrolio continua ad aumentare senza problemi (come sempre, confondendo petrolio greggio coi cattivi succedanei coi quali completiamo la categoria di “tutti i liquidi del petrolio”). La realtà è che la produzione di tutti i liquidi del petrolio aumenta a malapena quella del petrolio greggio convenzionale diminuisce dal 2005 e il prezzo si conserva in modo abbastanza stabile ai massimi storici, come mostra questo grafico di un articolo di qualche mesa fa di Gail Tverberg:


Altre volte, nel loro tentativo di negare il problema col petrolio, evocano la chimera degli Stati Uniti energeticamente indipendenti (travisando un'informazione contenuta nell'edizione del 2012 del rapporto annuale della IEA), basandosi sull'operazione mediatica montata per promuovere la bolla finanziaria del fracking (e che ha già iniziato a sgonfiarsi). E se questo fallisce si attaccano a nuove prospezioni e ad altre fonti miracolose delle quali si parla da anni senza che si arrivi mai a materializzarle pienamente. Tale livello di autoinganno è pericoloso perché gli anni passano senza che il problema energetico migliori, anzi, al contrario, si va aggravando e perché a volte porta persino a movimenti geopoliticamente assurdi (come gli appelli degli Stati Uniti a esportare gas naturale in Europa perché questa superi la propria dipendenza dalla Russia, quando in realtà non possono fare un cosa del genere nemmeno nei loro sogni migliori e su scala più locale i patetici tentativi della Spagna di proporsi come distributrice di gas algerino senza tenere conto dei problemi crescenti della nazione africana, che ha già superato il suo picco nazionale di petrolio e gas). E questo senza tenere conto del fatto che la crescita ad oltranza porterebbe anche a conseguenze assurde e pericolose quando si traduce in domanda di energia.

Rispetto al secondo, per il pensiero economico dominante, l'evoluzione della produzione di qualsiasi materia è questione semplicemente di investimento e se è necessario di sostituzione, la quale viene considerata sempre possibile. L'accettazione acritica di questi dogmi impedisce di capire che in realtà, come dice il rapporto di Tullett Prebon, “In ultima istanza l'economia è – ed è sempre stata – un'equazione di eccedenze energetiche, governata dalle leggi della termodinamica e non da quelle del mercato” (pagina 11). Il concetto chiave del rendimento energetico, cristallizzato nel cosiddetto EROEI, è completamente alieno all'economista tradizionale, che dimostra una perseverante incapacità di comprenderlo. Alcuni economisti tuttavia si rendono conto che effettivamente può esserci un problema con l'energia, per cui evocano la smaterializzazione dell'economia, quando non c'è alcuna prova storica del fatto che l'economia possa crescere senza che aumenti il consumo di energia, per quanto ci auto-inganniamo coi miglioramenti dell'intensità energetica che hanno raggiunto i paesi occidentali, sulla base dell'esternalizzazione delle attività industriali più fondamentali in altri paesi per poi importare i beni prodotti (aumentando così il consumo energetico pro capite anziché ridurlo, in realtà). Di fatto, le prove indicano che non si può slegare l'energia dal PIL in nessun modo.

Come non risolvere il problema

Il modo in cui non si otterrà assolutamente nulla è quello di concentrarsi sugli aspetti tecnici, cercando nuove fonti energetiche e metodi migliori di sfruttamento. Lo so che il fatto che dica questo è scioccante, visto che so che secondo alcuni (casualmente, di orientamento economicista in maggioranza) l'analisi meramente tecnica dell'energia dovrebbe essere l'unico obbiettivo di questo blog. Tuttavia, migliorare l'efficienza o incentivare il risparmio, cose di per sé desiderabili, non portano ad una riduzione del consumo di energia, in virtù del Paradosso di Jevons: il consumo di energia ha sempre un senso economico (se io consumo più energia potrò produrre più beni o servizi e pertanto guadagnare più soldi). In un sistema in cui si deve sempre crescere, non si possono disdegnare opportunità di investimento e di crescita, così che non si smetterà mai di consumare un'energia disponibile finché ce la possiamo permettere. Al contrario: se ora si riduce il consumo di energia in Occidente è proprio perché non possiamo pagarla, con le note conseguenze di contrazione dell'economia e di disoccupazione crescente.

Ancora peggio: non servono assolutamente a nulla tutte le campagne destinate a incrementare la consapevolezza dei cittadini e incentivare il risparmio di energia (qui un link che lo spiega molto bene). Calmano le coscienze inquiete, certo, ma i risparmi prodotti, sempre piuttosto marginali, sono su una percentuale del consumo di tutta la società che è sempre abbastanza inferiore del consumo dell'industria. E l'industria non fa nessuno sforzo per consumare meno energia; può farlo, se gli risulta economicamente attraente, consumandola in modo più efficiente, ma non di meno, perché deve crescere, crescere e crescere e, insisto, se si consuma meno è per necessità, non per volontà. Con lo sforzo dei cittadini questi riducono le proprie bollette energetiche e lasciano più energia a disposizione dell'industria, ma alla fine il risparmio energetico non si traduce in risparmio economico nel lungo termine. Pensate al caso della Spagna, per quanto riguarda l'energia elettrica – che anche se è una frazione minoritaria di tutta l'energia consumata, è significativa – le aziende elettriche hanno modificato le bollette domestiche aumentando il fisso e diminuendo quella variabile, per cui alla fine la gente paga di più anche se consuma di meno. Così che la strada per la consapevolezza ed il risparmio volontario spinge la popolazione verso una frugalità necessaria, preambolo alla Grande Esclusione.

E' questa contraddizione fra l'obbiettivo della nostra industria, il nostro sistema economico e il nostro sistema finanziario (la crescita infinita) e la necessità di superare la scarsità crescente di risorse e gli effetti ambientali di tanto spreco (non solo il cambiamento climatico, ma tutto l'inquinamento gettato senza sosta nella Natura) ciò che porta al fatto che non si faccia nulla o praticamente nulla per risolvere questi problemi. E' indifferente quello che si dice in faccia alla gente: non si prendono misure perché non si trova il modo di evitare il loro grande impatto economico e, in ultima istanza, la necessità di mettere fine alla crescita. Frutto di questa contraddizione insormontabile sono i discorsi assurdi, schizofrenici, che sono trasversali a tutta la nostra società ed evidenziano la nostra confusione. Come si spiegano altrimenti tutte le campagne finanziate da una moltitudine di think tanks creati ad hoc per fabbricare e diffondere il dubbio sul cambiamento climatico che buttano via il lavoro di migliaia di scienziati specialisti di tutto il pianeta? Da dove viene il discorso ricorrente sul fatto che si può fare una transizione ad una economia verde (sottintendendo anche in crescita) basata sulle energie rinnovabili, nonostante la moltitudine di prove (1,2,3,4,5,6,7) del fatto che lo sfruttamento dell'energia rinnovabile è molto minore di quello che consumiamo attualmente di energia non rinnovabile? O che l'energia nucleare è un'energia che ha un futuro, nonostante l'uranio sia giunto al suo limite, il MOX ha un riutilizzo limitato, i reattori commerciali di IV generazione non arrivano dopo 60 anni di sperimentazione con gli stessi e il mitico reattore a fusione si trova in un futuro lontano (sempre che esista da qualche parte)? Per non parlare delle infinite promesse mai mantenute dei biocombustibili di seconda generazione, degli idrati di metano, delle nuove fonti di idrocarburi, della transizione al gas naturale o all'auto elettrica o all'idrogeno, o al carbone pulito o, all'estremo più folle, le promesse assurde delle energie libere. Bugie che si ripetono anno dopo anno, decennio dopo decennio, senza alcun progresso perché questo non è fisicamente possibile; autoinganni di una società malata che nega a sé stessa di accettare la cosa più semplice (che non si può crescere all'infinito in un pianeta finito) e per questo accampa scuse della cosa più complicata (un'infinità di soluzioni miracolose che non si materializzeranno mai).

La nostra società sembra un uomo molto obeso che si inganna da sé sul suo stato di salute e che non adotta un fine fermo di cambiamento di abitudini finché non gli viene un infarto. Disgraziatamente è questa la strada che abbiamo intrapreso, accettando la mercificazione degli ultimi beni indispensabili (ieri la terra, oggi l'acqua, forse domani l'aria) come un'evoluzione logica del capitalismo che si rifiuta di cambiare e che ci porta di un passo più vicino all'esclusione sociale di massa. E questo infarto della società sarà una grande distruzione, un'interruzione repentina di molti servizi essenziali, una mancanza repentina di mercanzie che oggi diamo per scontate, compresi gli alimenti... E siamo a questo punto, in attesa dell'inevitabile infarto di questo sistema ipertrofizzato e insostenibile, nel desiderio che il danno che causa non sia letale, che dopo che sia arrivato si possa fare tabula rasa e finalmente metterci a dieta, finalmente imparare a vivere entro i limiti ecologici della biosfera che ci sostiene.

Una proposta di futuro

Sedersi ad aspettare un grave fallimento del nostro sistema produttivo con conseguenze serie sulla vita delle persone, che dipendono molto dal buon funzionamento di questo sistema non è, ovviamente, la risposta migliore ai nostri problemi. Di fatto è la più sciocca, la più stupida. Coloro che tacciano di catastrofismo questo blog dovrebbero capire che, se quanto detto sopra è sicuro (ed è per questo che ho dedicato tanto tempo all'esposizione iniziale), allora l'inazione è l'atteggiamento catastrofista, quello che ci porta irrimediabilmente verso lo scenario indesiderabile, persino apocalittico. Ma io sono ottimista, perché  credo che ancora possiamo cambiare. E tornando a ciò che mi diceva la persona che mi ha chiesto una nota ottimista: cosa possiamo fare per migliorare? Ecco qua la mia proposta:


  • Annullamento degli attuali debiti: forse alcuni si potrebbero restituire, ma in generale sarà impossibile ripagarne la grande maggioranza, per non parlare di pagare gli interessi. Il mondo sta cambiando, si sta trasformando, e le regole che lo definiscono devono a loro volta cambiare. Non si può cominciare con un fardello pesante che probabilmente non si potrebbe risalire. 
  • Riforma radicale del sistema finanziario: non si può sperare di continuare a chiedere interessi per il prestito di denaro. Se il settore finanziario è cruciale per il buon funzionamento della società (e lo sarà durante il periodo di transizione), non si può affidare alla gestione privata (che tende a privatizzare i guadagni e a socializzare le perdite, che a partire da adesso saranno crescenti e inevitabili), come minimo orientata alla crescita. 
  • Ridefinizione dei soldi: la politica monetaria non può essere espansiva e in un primo momento sarà piuttosto in contrazione. I soldi sono una rappresentazione del valore, non il valore in sé e la loro gestione dev'essere controllata dai settori direttamente coinvolti: produttori, commercianti, consumatori... Le persone tenderanno a usare monete locali prima della moneta nazionale, per la maggior difficoltà di garantire il valore di quest'ultima in una società che collassa. Le monete locali non possono essere controllate da interessi speculativi esteri e pertanto non può essere permesso che vengano messe a tesoro o si capitalizzino (l'analisi economica classica ci dirà che in questo modo si perdono opportunità di investimento e di crescita). 
  • Riforma degli Stati: dalla loro nascita, gli Stati e il capitalismo hanno condiviso obbiettivi e sono stati complementari, con grande efficacia sociale decenni fa in alcuni paesi (lo Stato del Benessere p un buon esempio) ma inevitabilmente lo Stato-nazione entra anche in crisi quando il capitalismo smette di essere sostenibile. E' necessario rilocalizzare i centri decisionali e avvicinare la gestione agli amministrati, ma realmente, non a parole. La gestione deve essere prima di tutto municipale più che locale, prima di tutto locale che regionale, prima di tutto regionale più che nazionale. La mancanza di energia porterà ad una logica di rilocalizzazione che tenderà gradualmente a rendere gli ambiti amministrativi sempre più locali, ma durante la transizione l'inefficienza di un potere amministrativo nazionale ipertrofizzato può porre troppi legacci, soprattutto di tipo legale. 
  • Definizione di piani di transizione locali: ogni popolazione deve determinare quali siano i suoi maggiori problemi e deve investire risorse per controllarli. In alcune comunità mancherà l'acqua, in altre il problema sarà la mancanza di suolo fertile, in altre l'eccesso di popolazione, l'inquinamento o la scarsità di risorse fondamentali... Si deve analizzare la situazione attentamente, comprendendo che non vivremo una continuazione del sistema attuale, ma un cambiamento radicale. Una volta identificati i punti sensibili si devono investire risorse e sforzi per modellarli per rendere possibile la transizione, anche se da un punto di vista capitalistico attuale tale investimento non sia redditizio. Questo sarà uno dei grandi ostacoli, anche se sufficientemente minore della cancellazione dei debiti e dell'interesse composto.
  • Preservare i servizi fondamentali: proprio questa sarà una delle difficoltà maggiori della transizione: all'opposizione del capitale al fatto di perdere i suoi privilegi si unirà la difficoltà di mantenere un afflusso di risorse sufficiente a permettersi certi privilegi. A seconda del grado di scarsità al quale si veda sottoposta ogni località, si potranno mantenere più o meno servizi. I più fondamentali sono l'educazione, la sanità e l'assistenza alle persone più anziane e bisognose. Per poter conservare questi servizi fondamentali ogni località dovrà decidere che sistema di finanziamento impiegherà, se per mezzo di tasse o con il lavoro volontario dei cittadini. Il poter offrire più servizi dipenderà dalla ricchezza relativa di ogni luogo. 


Nessuna di queste misure parla esplicitamente di energia ma di organizzazione sociale; tuttavia, tutte hanno implicazioni a lungo raggio sull'uso e la disponibilità di energia. Di fatto, sono le misure che hanno più impatto energetico, molto di più delle modeste misure di risparmio ed efficienza che vengono abitualmente proposte. Inoltre, le misure sopra abbozzate sono le uniche che hanno senso in una situazione di decrescita energetica.

Ciò che propongo è fattibile? Oggi come oggi no. Qualsiasi economista o politico che lo legga lo considererà utopico perché eccessivamente radicale. Forse lo può essere un domani se si fa sufficiente pedagogia, se la gente impara ad accettare la verità detta in faccia. Ma è fondamentale fare questa pedagogia. L'alternativa è aspettare questa grande distruzione, questo infarto forse fatale per la nostra società.

Saluti.
AMT

lunedì 17 marzo 2014

L'importante e il secondario

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR

Secondario

di Antonio Turiel

Cari lettori,

Il problema della disponibilità di energia sta diventando sempre più evidente e questo inspessisce la discussione pubblica di questo problema in tutti gli ambiti, il che comprende i commenti delle notizie dei quotidiani online ma anche i forum delle pagine web più disparate, che vanno da quelle degli appassionati di automobili a quelle di coloro che denunciano le prossime bolle finanziarie spagnole; dalle pagine web ecologiste e ambientaliste a quelle degli appassionati di pallacanestro. Con troppa frequenza, ancora, si osservano errori di concetto che sono ricorrenti anche nella discussione pubblica, come per esempio identificare l'energia con l'energia elettrica (quando quest'ultima rappresenta solo il 21% dell'energia finale in Spagna e il 10% nel mondo) o confondere risorse con riserve, o riserve con produzione. Questo blog ha portato il suo granello di sabbia in questa discussione e vedo che di tanto in tanto viene citato questo o quell'articolo pubblicato qui per sostenere alcune argomentazioni. Parlo di questo perché ultimamente ho visto che vengono criticate le posizioni di chi divulga il problema della scarsità di risorse, e in particolare la posizione di questo blog, perché secondo i nostri detrattori prendiamo le previsioni peggiori, per quanto riguarda la produzione di petrolio ed altre risorse. A mo' di esempio, vi mostro un confronto recente fra diversi modelli della produzione di petrolio per i prossimi anni da parte di varie persone e gruppi di ricerca: 

Come si vede, c'è una certa disparità rispetto alla data esatta del picco di produzione di petrolio (inteso come tutti i liquidi del petrolio, visto che come sappiamo il petrolio greggio ha raggiunto il suo picco verso il 2006). Chi si trova in questa faccenda da poco tempo non si renderà conto di un dettaglio rilevante: le differenze fra le date stimate da parte diversi gruppi che con metodologie rigorose cercano di stimarle, sono sempre più piccole. Fino a solo 5 anni fa era comune trovare differenze che arrivavano fino a qualche decennio (lasciando da parte qualche sproposito senza basi tecniche che parlava di secoli, ovviamente non sostenuto da nessuno che fosse legato a questo campo). Oggigiorno, le differenze si riducono approssimativamente a un decennio e la maggior parte delle previsioni di trovano separate di pochi anni l'una dall'altra. E' ovvio che all'approssimarsi della data in questione (di nuovo insisto, per tutti i liquidi del petrolio, visto che il petrolio greggio, che è più del 80% del petrolio consumato, è già in declino) le possibili differenze diminuiscono e alla fine l'unica cosa che rimane da discutere è la rapidità del declino. Ma il fatto è che queste differenze, come ora spiegheremo, sono del tutto secondarie, visto che ci sono altri fattori che pesano molto di più sul corso che prenderanno gli eventi. 

La prima cosa che si deve capire è che non si possono fare correttamente modelli della parte destra della curva di produzione di petrolio. Tutti i modelli presumono sempre tassi di declino post-zenit abbastanza leggeri e progressivi, per cui si deve sempre supporre che ci sia un'altra fonte di energia a raccogliere il testimone. Pensate che la disponibilità di energia è fondamentale per poter produrre i metalli e il cemento che richiedono sia gli stessi sistemi di produzione di energia come l'industria, sia le abitazioni, per non parlare dell'energia consumata dai diversi macchinari. Se comincia a mancare l'energia anche semplicemente per la manutenzione, tutta la società potrebbe collassare rapidamente come un castello di carte. Ma non è chiaro quale fonte possa raccogliere il testimone in tempo (eccetto il carbone) e per un tempo prolungato (cosa che nemmeno il carbone potrà fare). Di fatto, la diminuzione dell'EROEI – il rendimento energetico – dei giacimenti che rimangono disponibili è da un po' che si verifica. Questa diminuzione di rendimento è ciò che ha fatto sì che le grandi compagnie petrolifere si siano lanciate in una folle corsa nella quale le loro spese aumentano ad una velocità frenetica, ma disgraziatamente la quantità di petrolio che producono è sempre più piccola, come mostra questo grafico preso dall'articolo del Wall Street Journal linkato sopra.   

E nonostante quanto quest'investimento sia colossale e poco profittevole, dal punto di vista della IEA, come riflette il suo ultimo rapporto, c'è un problema di mancanza di investimento. Di fatto, la IEA invia un messaggio ai naviganti per dire che se non si realizzano investimenti adeguati, la prospettiva per la produzione di petrolio è abbastanza nera, come illustra il seguente grafico preso dal rapporto annuale del 2013 (WEO 2013):

Questo discorso sulla necessità di aumentare l'investimento upstream (a monte) incorre nell'errore abituale di slegare l'economia dall'energia. Proprio perché l'energia è più difficile da ottenere (in termini energetici), per questo - si dice - bisogna investire più soldi per arrivare però a cosa? Soltanto ad estrarre meno petrolio. Il problema, alla fine, è che quelle petrolifere sono compagnie private come tutte le altre e logicamente ciò che cercano è aumentare il profitto. Gli amministratori delegati di queste compagnie sono sempre più criticati per il basso rendimento delle loro strategie di investimento e, anche se cercano di rimanere nell'affare, alla fine l'opzione più sensata consiste nello smettere di investire nella produzione di petrolio. Cosicché alla fine c'è da aspettarsi che il declino sia molto più rapido e improvviso di quello che risulta dai modelli ideali. 

Di fatto, non solo è difficile fare modelli del declino, non si possono fare nemmeno modelli accurati del picco: ci sono fattori che tendono a diminuire la produzione rispetto al modello, ma anche altri fattori che tendono ad aumentarla. Gli anni precedenti all'arrivo del picco si caratterizzano per un aumento della produzione inferiore a quello dei decenni passati, il che implica che neanche la domanda potrà crescere al tasso abituale. Ciò scatena molti meccanismi. In primo luogo, carenza di petrolio scatena una crisi economica. Ma poi provoca la mobilitazione di risorse di qualità peggiore per cercare di aumentare la produzione. Queste risorse, oltre a non poter essere prodotte che su una scala piuttosto limitata, hanno un rendimento energetico molto minore, cioè un EROEI più basso, generalmente al di sotto del valore limite di 10 che di solito segna la differenza fra ciò che è redditizio e ciò che non lo è. La produzione di questi petroli meno redditizi è coperta da quelli di maggior rendimento (EROEI alto) che sono ancora maggioritari, ma che sono già in declino. La combinazione di entrambi permette certamente di aumentare la produzione, ma fa abbassare l'EROEI dell'insieme, cosa pericolosa perché rende più probabile un collasso repentino, ma permette anche di prolungare un po' di più la festa. Ricordiamo, tuttavia, che l'energia netta che ci arriva dal petrolio è già in netta diminuzione.

Ma c'è dell'altro. Il crollo della produzione dell'energia mondiale non dice come lo vivranno i diversi paesi, ed anche prima di giungere al picco del petrolio certi paesi possono già iniziare il proprio declino. In un post recente, Ugo Bardi ci mostra che in meno di 10 anni in Italia il consumo di petrolio è sceso di più del 30%, mentre se si considera l'insieme degli idrocarburi (vedi grafico in basso), si trova intorno al 25%. Un tale crollo è stato accompagnato da un crollo del PIL, anche se di minor entità (e, significativamente dal punto di vista causale, il picco del consumo di idrocarburi precede di uno o due anni quello del PIL). 


I seguenti grafici (per gentile concessione di Juan Carlos Barba) illustrano il caso della Spagna, che è solo leggermente migliore di quello dell'Italia. Il primo grafico mostra che il consumo di petrolio della Spagna è crollato di più del 22% (non stagionale) dai sui massimi storici

mentre il PIL (espresso in indice normalizzato, a prezzi costanti, prendendo a riferimento il 2008) è crollato di più del 7%

(ancora una volta, il disaccoppiamento più che significativo fra consumo di petrolio e PIL suggerisce che le cifre ufficiali del PIL spagnolo vengano alterate). 

C'è ancora grasso da bruciare, come spiega Ugo Bardi nel suo post sull'Italia: in primo luogo si abbandonano gli usi ricreativi e voluttuari del petrolio (le gite nel fine settimana, l'acquisto di prodotti superflui), il che permette di mitigare la discesa del PIL associata alla mancanza di petrolio. Tuttavia, il consumo di energia ha sempre un significato economico, anche se all'inizio colpisce i settori meno produttivi e, ahimè, i redditi delle classi inferiori. Pero dopo un po' il grasso, il superfluo, finisce. E se continua ad arrivare meno petrolio si arriva all'osso e quindi il nucleo del sistema produttivo e della società si vedono compromessi. 

Pertanto, discutere se il picco del petrolio sia un po' prima o un po' dopo è una discussione vuota, visto che alla fine discutiamo del nostro arrivo ad un punto pericoloso, i cui effetti si stanno già manifestando. Tentare di sapere se con tutti i liquidi del petrolio si può arrivare un po' più lontano quando il petrolio greggio è arrivato al suo picco significa non voler vedere la gravità della situazione attuale. E non vi fate ingannare: il fracking è solo una bolla e gli Stati Uniti non saranno mai energeticamente autosufficienti. Solo con un grande sforzo contabile, mescolando tutte le categorie, riescono ad arrivare quasi al livello del 1970, come mostra il seguente grafico sulla previsione fatta dal Dipartimento dell'Energia sull'evoluzione della produzione di tutti i liquidi del petrolio negli Stati Uniti (il grafico è stato estratto da un post del blog di riferimento in francese Oilman): 

Come si vede, gli Stati Uniti non giungeranno mai ad essere autosufficienti (la fascia azzurra in alto rappresenta le importazioni nette), Peggio ancora, nella falsa percezione di abbondanza petrolifera degli Stati Uniti ifluisce molto l'aver confuso la definizione di quello che è il petrolio, come spiega Kurt Cobb in questo articolo

Chi si diverte a discutere se il picco sarà un po' più tardi o un po' prima si concentra sul superfluo, visto che non c'è niente che indichi che questo punto si possa posticipare se non di qualche anno, con conseguenze funeste, visto che non stiamo ammortizzando convenientemente il capitale investito nelle nostre infrastrutture. Tale atteggiamento somiglia a quello dei negazionisti del cambiamento climatico: un richiamo all'inattività centrato su dubbi di carattere tecnico e con poco contenuto reale, in realtà del tutto secondari. E la cosa che l'espressione di tali dubbi nasconde è il desiderio di non cambiare ciò che è importante: il nostro sistema economico in modo che sia sostenibile. 

Si può semplificare questa posizione (quella di concentrarsi sul dettaglio – quando avverrà esattamente il picco – e ignorare la cosa fondamentale – l'inesorabile necessità di cambiare il sistema economico) dicendo che è un processo di negazione di una realtà sgradevole (la prima fase del processo descritto da Kübler-Ross). Spesso, tuttavia, la cosa è più sottile. La critica al sistema capitalista e l'annuncio che è arrivata alla fine del suo ciclo utile è visto con molto sospetto da molti settori della popolazione, generalmente ben informati, che vedono la denuncia dei problemi del cambiamento climatico e della scarsità di risorse come scuse per introdurre un ordine del giorno “di sinistra” per smantellare il sistema economico che ha portato molto progresso e sviluppo all'umanità. Tuttavia, la critica che si fa da parte della Scienza (tanto per il Cambiamento Climatico quanto per lo studio della disponibilità di risorse naturali) non sono di carattere ideologico, solo di carattere logico. Non si tratta di introdurre dietro le quinte ricette di sinistra, visto che oltretutto queste, in generale, non mettono in discussione il sistema produttivo, pertanto non apportano un'alternativa reale al problema. Non si tratta, quindi, di un problema di sinistra e destra, così come vengono concepite in occidente. Si tratta di lasciare un futuro ai nostri figli, si tratta di aprire gli occhi e di accettare la realtà così com'è. Si tratta, insomma, di smettere di perder tempo su ciò che è secondario e approcciarsi a ciò che è importante. 

Saluti.
AMT


venerdì 16 dicembre 2011

Costruire il futuro guardando le cose dall'alto



Guest post di Antonio Turiel da "The Oil Crash" dell'8 Novembre 2011
Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti





Cari lettori,

nel programma di Radio Libertad di giovedì scorso Juan Carlos Barba ha annunciato che questa settimana avremmo parlato delle misure che si dovrebbero prendere per adattarsi al futuro della Grande Scarsità. Siccome c'è stato un cambio di invitati (io stesso non potrò partecipare questa settimana), è possibile che ci sia anche un cambio di dibattito, anche se il tema in questione finirà un giorno per essere discusso. Inoltre, è una domanda assai logica che già è solita emergere nei discorsi sull'Oil Crash e che, semplificando e abbreviando, si potrebbe formulare in questo modo: che raccomandazioni farebbe al Governo (o ai Governi) per gestire l'Oil Crash, se l'ascoltassero?

Mi preoccupa abbastanza mettermi in questo pasticcio, quello cioè di dare consigli o linee d'azione, perché più che in altri ambiti, mi rendo conto dei miei limiti o carenze. Non so praticamente nulla di economia e nemmeno delle difficoltà di gestione della cosa pubblica, per non parlare di come legiferare correttamente. Un errore fatale in qualsiasi di questi o altri indirizzi e le nostre migliori intenzioni lastricheranno il cammino per l'inferno. Ma, d'altro canto, non sarebbe onesto da parte mia eludere completamente la responsabilità di fare osservazioni dure che avranno bisogno di elaborazione, e non poca, prima che si possano interpretare in chiave di azione politica. D'altra parte, credo che in questa missione, quella di definire adeguate linee guida di attuazione, i diversi commentatori che sono soliti leggere questo blog apporteranno i loro diversi punti di vista e, sicuramente, dal dibattito che un post come questo susciterà, si potranno tirar fuori idee interessanti di fronte a quello che potrebbe essere un piano di Governo di Transizione. Perciò, credo che possa essere utile ed istruttivo, in particolare per me stesso, aprire finalmente questo dibattito e vedere cosa possiamo mettere in chiaro.

Naturalmente altri prima, e con maggior merito e conoscenza, hanno affrontato questo compito: ecco, per esempio il Real New Deal del Post Carbon Insitute. A livello più locale, c'è il piano di Transizione elaborato dall'associazione galiziana Véspera de Nada (guardate sulla colonna di destra della sua pagina web, Misure per far fronte al picco del petrolio), che mi ha fatto l'onore di chiedere la mia opinione. Io, senza arrivare ai particolari di quest'ultima, vorrei raccogliere alcune idee che credo debbano far parte di questo piano di transizione governato dall'alto. Ecco alcune di queste idee chiave:


Lasciare il BAU (Business as usual, continuare come al solito)

Questo è il più difficile dei compiti da intraprendere e quello che ha più implicazioni. Dobbiamo far comprendere ai nostri governanti che il BAU, il modo di fare degli ultimi decenni, non ha senso in un mondo dove le risorse sono limitate, in diminuzione e non sostituibili. Lo abbiamo discusso molte volte: l'accesso sempre più limitato al petrolio, in particolare, e all'energia in generale implicano il fatto che questa crisi economica non finirà mai, perché all'interno del nostro sistema economico dobbiamo sempre crescere a un certo ritmo; questo è il motivo per cui la nostra società è chiamata “la società dei consumi” ed il motivo di tanto spreco. I nostri leader reagiscono sulla base di ricette economiche apprese durante gli ultimi cento anni, secondo le quali la crescita è la miglior garanzia per avere un alto tasso di impiego ed evitare rivolte sociali, oltre che per accontentare e soddisfare i poteri economici e industriali. Tutta la politica attuale di tagli della spesa pubblica e la diminuzione dello stato sociale è diretta a risparmiare sulla parte non produttiva della società per concentrare il flusso economico sulle parti produttive, con la speranza che queste si riprendano, generino un nuovo ciclo di crescita economica e nuovo impiego, così si potrà far marcia indietro nella politica dei tagli che mette tanto a disagio il cittadino medio. Il problema è che la premessa è falsa: destinare maggiori risorse per concentrarsi nel riscatto del settore finanziario e nell'alleviare la pressione delle imposte nel settore industriale e dei servizi non ci porterà ad una nuova crescita dell'economia, perché andando avanti l'energia ed i materiali consumati saranno più cari e più scarsi. E non per mancanza di investimenti nella loro estrazione e produzione, ma per ragioni fisiche e geologiche di cui tante volte abbiamo discusso in questo blog. Tuttavia, c'è tanta teoria economica sviluppata ignorando il fatto che non si può crescere per sempre, e contrastare questa idea falsa ed autoconvincersi della necessità di un cambio di paradigma, di schema mentale, ci prenderà molto, molto tempo.

Un nuovo ordine sociale

Una volta compreso che il BAU non può continuare, si devono ristabilire le priorità, perché la priorità fino ad ora è stata sempre la crescita, poiché da essa derivavano le soluzioni alla gran parte delle necessità, come corollario. Se non c'è una crescita, bisogna tornare a fare una politica della verità e decidere cosa si deve fare a come. A mio parere, la prima priorità è quella di garantire il lavoro in modo generalizzato come mezzo fondamentale per preservare la pace sociale – per intenderci: dare impiego alla gente di modo che si possa guadagnare da vivere degnamente. Alcune persone obiettano che la pace sociale non sia importante, che la sola cosa che interessa al poteri economici (che usano i leader politici per attuare il loro programma) è guadagnare sempre più denaro, anche se per far questo devono sottomettere con la forza tutta la popolazione. Evitando di metterci a discutere se questa sia o no l'intenzione di questi poteri economici, un tale metodo non è sostenibile a lungo termine: oggi come oggi il potere economico si basa sul vendere molti prodotti a molta gente, ma se la gente perde la capacità economica perché è disoccupata o sottoccupata è evidente che i benefici precipiteranno e molte grandi imprese sprofonderanno, come di fatto sta già accadendo ora (quale credete che sia il futuro a breve termine della BMW o, a più lungo termine, della Apple?). Altro è che alcune persone ben posizionate intendano garantirsi una posizione di privilegio in un nuovo ordine feudale che potrebbe sopraggiungere, anche se, a mio parere, analogamente a quanto accadde nel Medioevo, se sopraggiungesse il caos anticipato dai sostenitori di questo futuro, avrebbe più possibilità di diventare un neo-barone un capo di un gruppo di comando elitario che non un banchiere grasso che agita mazzette di dollari senza più valore o brandendo carissimi ed inutili pezzi di oro e argento. Ma, infine, supponiamo che i nostri leader abbiano compreso l'impossibilità del BAU e cerchino ciò che è socialmente più conveniente. Come dicevo, la prima cosa è stabilire un sistema che dia impiego a tutti e questo in un contesto di un'economia che non cresce. Cosa che non appare facile, anche se non impossibile.
 

Economia stazionaria


Se gli introiti non possono crescere, come sembra, la smaterializzazione assoluta dell'economia non è un obbiettivo possibile (e, soprattutto, efficacie) a breve termine, è chiaro che ad un determinato momento l'economia debba smettere di crescere e tornare stazionaria, vale a dire di dimensione costante, e questo probabilmente dopo un periodo di decrescita. Un'economia stazionaria ha approcci completamente diversi da una di crescita. La forza lavoro non può modificarsi sostanzialmente durante il tempo, né il numero di fabbriche, né i mezzi di produzione in generale. Peggio ancora, si deve stabilire un qualche tipo di pianificazione su grande scala (non sulle attività specifiche, ma sul consumo generale di risorse sì) per evitare che si producano grandi scompensi. La competitività nel tempo in cui si impongono restrizioni è un compito che trovo piuttosto complicato. In ogni caso, le variabili da controllare sono fisiche (energia consumata, tonnellate di materiale) e non monetarie. Se possibile, la miglior unità di misura di questa economia è l'energia di lavorazione o, meglio ancora, l'exergia.

Funzione del lavoro

Si deve ripensare il lavoro, la sua funzione sociale e il grado di soddisfazione che si potrà dare alle necessità umane, quelle reali e quelle percepite. E' fondamentale garantire cibo, acqua, vestiario e alloggio alla popolazione. E' conveniente e rilevante fornire anche educazione e sanità. A partire da lì, è naturale lasciare che la gente sviluppi la propria iniziativa personale, per ragioni buone e convincenti; il come lo stabiliranno le persone con più capacità e conoscenza. Ciò che non è facile né banale è garantire la produzione con mezzi sostenibili di questi beni fondamentali. E' pertanto importante identificare le risorse locali, le capacità locali di produzione e verificare come mantenere reti sufficienti per il commercio di quei prodotti di cui ciascun territorio sia deficitario o abbia un'eccedenza. Avendo accesso a quantità di petrolio e gas in diminuzione a medio termine ed a nessuna quantità a lungo termine, è importante decidere come si può mantenere la meccanizzazione dell'agricoltura e dei trasporti. Si deve stimare qual è la quantità di biocombustibile che sia ragionevole produrre senza compromettere l'alimentazione umana ed animale e dove risulta più conveniente. Si deve anche decidere quanti animali si possono ragionevolmente allevare, come distribuire la popolazione sul territorio, come evitare l'erosione del suolo, come assicurare l'acceso all'acqua per l'irrigazione ed il consumo umano e animale, come potabilizzarla e ripulirla avendo accesso a minori quantità di prodotti chimici specialistici e via ancora un lunghissimo eccetera di questioni tecniche che richiederanno lunghi studi specialistici e che devono essere adeguatamente coordinati.

Pianificazione e limitazione nell'accesso alle risorse

Il fatto che le risorse siano finite (nel senso di limitate, ndT) e, ancora più importante, la disponibilità limitata delle stesse a causa dell'impossibilità di incrementarne la produzione (e distribuirle da parte dei produttori), implica che tanto per cominciare si devono lasciar perdere certi usi superflui delle risorse non rinnovabili (quelli che le bruciano o le disperdono fino a renderle irrecuperabili), incluse quelle risorse rinnovabili per le quali non si sono ancora trovati usi di interesse generale – in previsione che in futuro possano essere importanti. Si dovrà assicurare sia il risparmio sia il riciclaggio dei materiali, il che implica un cambiamento della progettazione (quindi l'abbandono dell'obsolescenza programmata, ndT) per facilitare la riparazione ed il recupero dei materiali, anche se ciò implicasse la produzione di beni meno efficienti di quelli attuali. E questo richiede uno sforzo ingegneristico su grande scala in tutta la società, sforzo che porti a ripensare completamente i cicli di vita dei prodotti.

Un punto complicato è la necessaria pianificazione, più o meno centralistica, dell'accesso ai materiali, sia quelli rinnovabili, sia quelli non rinnovabili, perché anche i secondi hanno dei limiti e mal gestiti possono deteriorarsi e diminuire (di questo abbiamo molti esempi oggigiorno, dall'erosione del suolo coltivabile all'esaurimento dei bacini di pesca). L'ideale sarebbe lasciare al libero mercato la regolamentazione di questo accesso, ma l'esperienza ci dimostra che, forse per l'imperfetta psiche umana, il libero mercato è solito portare a squilibri ed abusi di potere da parte di coloro che hanno di più, e ciò snatura il mercato da libero a ostaggio dei loro interessi. Ma anche un sistema di pianificazione è tendente all'abuso, soprattutto se chi lo gestisce approfitta della propria posizione per ricevere prebende o favorire i propri interessi. Non sembra esserci una soluzione semplice in questo caso.

Libertà e informazione: democrazia piena

Uno dei grandi problemi che ha la nostra società occidentale è la tendenza all'opacità nei temi chiave della gestione politica; peggio ancora, si è arrivati al punto che una parte importante della popolazione creda che alcuni temi siano troppo complicati perché l'opinione di un cittadino comune possa contare. In realtà, la cosa logica sarebbe informare quel cittadino perché possa avere un'opinione informata, anziché prescindere da essa. In più, non è vero che le grandi linee concettuali siano tanto complicate da capire come spesso si vuol far credere: molte volte si ingrandiscono i dettagli più astrusi perché sembrino sostanziali anziché secondari. Manca una gestione onesta che rappresenti i grandi indirizzi politici riassumendo i dettagli e le difficoltà senza complicare e pasticciare le discussioni (che è ciò che oggi fanno i nostri politici e che fa sì che sopra lo stesso tema tirino fuori statistiche apparentemente contraddittorie, anche se in realtà dicono la stessa cosa, al fine di aumentare la confusione del pubblico). 


E' importante che in un futuro complesso e che in alcuni momenti richiederà importanti sacrifici, la gente abbia consapevolezza chiara di quali siano i veri problemi e che possa verificare, senza sensazionalismo né cortine di fumo, che le misure che si sono prese stiano andando a buon fine e quelle che si rivelino sbagliate possano essere corrette rapidamente senza confusione né denunce incrociate. Insomma, è importante coinvolgere di più i cittadini, cioè quel popolo da cui emana l'unica sovranità, nella gestione e nella decisione, il che si può ottenere soltanto attraverso un'informazione chiara e vera e che non venga confusa con migliaia di sciocchezze senza senso.


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Il lettore si renderà conto che questo programma di attuazione è molto vago e generico e non si focalizza sui dettagli. Ma anche così implica cambiamenti strutturali profondi da fare nella nostra società, cambiamenti che saranno molto difficili da realizzare partendo da dove ci troviamo ora. Soltanto con molta costanza e con l'informazione si può provare a girare pagina ed avanzare in direzione del cambiamento necessario, un cambiamento di cui non dovranno essere protagonisti né i politici professionisti di oggi, né i tecnici come me, che siamo solo di aiuto, ma dalla popolazione stessa.



Saluti,

AMT