lunedì 17 marzo 2014

L'importante e il secondario

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR

Secondario

di Antonio Turiel

Cari lettori,

Il problema della disponibilità di energia sta diventando sempre più evidente e questo inspessisce la discussione pubblica di questo problema in tutti gli ambiti, il che comprende i commenti delle notizie dei quotidiani online ma anche i forum delle pagine web più disparate, che vanno da quelle degli appassionati di automobili a quelle di coloro che denunciano le prossime bolle finanziarie spagnole; dalle pagine web ecologiste e ambientaliste a quelle degli appassionati di pallacanestro. Con troppa frequenza, ancora, si osservano errori di concetto che sono ricorrenti anche nella discussione pubblica, come per esempio identificare l'energia con l'energia elettrica (quando quest'ultima rappresenta solo il 21% dell'energia finale in Spagna e il 10% nel mondo) o confondere risorse con riserve, o riserve con produzione. Questo blog ha portato il suo granello di sabbia in questa discussione e vedo che di tanto in tanto viene citato questo o quell'articolo pubblicato qui per sostenere alcune argomentazioni. Parlo di questo perché ultimamente ho visto che vengono criticate le posizioni di chi divulga il problema della scarsità di risorse, e in particolare la posizione di questo blog, perché secondo i nostri detrattori prendiamo le previsioni peggiori, per quanto riguarda la produzione di petrolio ed altre risorse. A mo' di esempio, vi mostro un confronto recente fra diversi modelli della produzione di petrolio per i prossimi anni da parte di varie persone e gruppi di ricerca: 

Come si vede, c'è una certa disparità rispetto alla data esatta del picco di produzione di petrolio (inteso come tutti i liquidi del petrolio, visto che come sappiamo il petrolio greggio ha raggiunto il suo picco verso il 2006). Chi si trova in questa faccenda da poco tempo non si renderà conto di un dettaglio rilevante: le differenze fra le date stimate da parte diversi gruppi che con metodologie rigorose cercano di stimarle, sono sempre più piccole. Fino a solo 5 anni fa era comune trovare differenze che arrivavano fino a qualche decennio (lasciando da parte qualche sproposito senza basi tecniche che parlava di secoli, ovviamente non sostenuto da nessuno che fosse legato a questo campo). Oggigiorno, le differenze si riducono approssimativamente a un decennio e la maggior parte delle previsioni di trovano separate di pochi anni l'una dall'altra. E' ovvio che all'approssimarsi della data in questione (di nuovo insisto, per tutti i liquidi del petrolio, visto che il petrolio greggio, che è più del 80% del petrolio consumato, è già in declino) le possibili differenze diminuiscono e alla fine l'unica cosa che rimane da discutere è la rapidità del declino. Ma il fatto è che queste differenze, come ora spiegheremo, sono del tutto secondarie, visto che ci sono altri fattori che pesano molto di più sul corso che prenderanno gli eventi. 

La prima cosa che si deve capire è che non si possono fare correttamente modelli della parte destra della curva di produzione di petrolio. Tutti i modelli presumono sempre tassi di declino post-zenit abbastanza leggeri e progressivi, per cui si deve sempre supporre che ci sia un'altra fonte di energia a raccogliere il testimone. Pensate che la disponibilità di energia è fondamentale per poter produrre i metalli e il cemento che richiedono sia gli stessi sistemi di produzione di energia come l'industria, sia le abitazioni, per non parlare dell'energia consumata dai diversi macchinari. Se comincia a mancare l'energia anche semplicemente per la manutenzione, tutta la società potrebbe collassare rapidamente come un castello di carte. Ma non è chiaro quale fonte possa raccogliere il testimone in tempo (eccetto il carbone) e per un tempo prolungato (cosa che nemmeno il carbone potrà fare). Di fatto, la diminuzione dell'EROEI – il rendimento energetico – dei giacimenti che rimangono disponibili è da un po' che si verifica. Questa diminuzione di rendimento è ciò che ha fatto sì che le grandi compagnie petrolifere si siano lanciate in una folle corsa nella quale le loro spese aumentano ad una velocità frenetica, ma disgraziatamente la quantità di petrolio che producono è sempre più piccola, come mostra questo grafico preso dall'articolo del Wall Street Journal linkato sopra.   

E nonostante quanto quest'investimento sia colossale e poco profittevole, dal punto di vista della IEA, come riflette il suo ultimo rapporto, c'è un problema di mancanza di investimento. Di fatto, la IEA invia un messaggio ai naviganti per dire che se non si realizzano investimenti adeguati, la prospettiva per la produzione di petrolio è abbastanza nera, come illustra il seguente grafico preso dal rapporto annuale del 2013 (WEO 2013):

Questo discorso sulla necessità di aumentare l'investimento upstream (a monte) incorre nell'errore abituale di slegare l'economia dall'energia. Proprio perché l'energia è più difficile da ottenere (in termini energetici), per questo - si dice - bisogna investire più soldi per arrivare però a cosa? Soltanto ad estrarre meno petrolio. Il problema, alla fine, è che quelle petrolifere sono compagnie private come tutte le altre e logicamente ciò che cercano è aumentare il profitto. Gli amministratori delegati di queste compagnie sono sempre più criticati per il basso rendimento delle loro strategie di investimento e, anche se cercano di rimanere nell'affare, alla fine l'opzione più sensata consiste nello smettere di investire nella produzione di petrolio. Cosicché alla fine c'è da aspettarsi che il declino sia molto più rapido e improvviso di quello che risulta dai modelli ideali. 

Di fatto, non solo è difficile fare modelli del declino, non si possono fare nemmeno modelli accurati del picco: ci sono fattori che tendono a diminuire la produzione rispetto al modello, ma anche altri fattori che tendono ad aumentarla. Gli anni precedenti all'arrivo del picco si caratterizzano per un aumento della produzione inferiore a quello dei decenni passati, il che implica che neanche la domanda potrà crescere al tasso abituale. Ciò scatena molti meccanismi. In primo luogo, carenza di petrolio scatena una crisi economica. Ma poi provoca la mobilitazione di risorse di qualità peggiore per cercare di aumentare la produzione. Queste risorse, oltre a non poter essere prodotte che su una scala piuttosto limitata, hanno un rendimento energetico molto minore, cioè un EROEI più basso, generalmente al di sotto del valore limite di 10 che di solito segna la differenza fra ciò che è redditizio e ciò che non lo è. La produzione di questi petroli meno redditizi è coperta da quelli di maggior rendimento (EROEI alto) che sono ancora maggioritari, ma che sono già in declino. La combinazione di entrambi permette certamente di aumentare la produzione, ma fa abbassare l'EROEI dell'insieme, cosa pericolosa perché rende più probabile un collasso repentino, ma permette anche di prolungare un po' di più la festa. Ricordiamo, tuttavia, che l'energia netta che ci arriva dal petrolio è già in netta diminuzione.

Ma c'è dell'altro. Il crollo della produzione dell'energia mondiale non dice come lo vivranno i diversi paesi, ed anche prima di giungere al picco del petrolio certi paesi possono già iniziare il proprio declino. In un post recente, Ugo Bardi ci mostra che in meno di 10 anni in Italia il consumo di petrolio è sceso di più del 30%, mentre se si considera l'insieme degli idrocarburi (vedi grafico in basso), si trova intorno al 25%. Un tale crollo è stato accompagnato da un crollo del PIL, anche se di minor entità (e, significativamente dal punto di vista causale, il picco del consumo di idrocarburi precede di uno o due anni quello del PIL). 


I seguenti grafici (per gentile concessione di Juan Carlos Barba) illustrano il caso della Spagna, che è solo leggermente migliore di quello dell'Italia. Il primo grafico mostra che il consumo di petrolio della Spagna è crollato di più del 22% (non stagionale) dai sui massimi storici

mentre il PIL (espresso in indice normalizzato, a prezzi costanti, prendendo a riferimento il 2008) è crollato di più del 7%

(ancora una volta, il disaccoppiamento più che significativo fra consumo di petrolio e PIL suggerisce che le cifre ufficiali del PIL spagnolo vengano alterate). 

C'è ancora grasso da bruciare, come spiega Ugo Bardi nel suo post sull'Italia: in primo luogo si abbandonano gli usi ricreativi e voluttuari del petrolio (le gite nel fine settimana, l'acquisto di prodotti superflui), il che permette di mitigare la discesa del PIL associata alla mancanza di petrolio. Tuttavia, il consumo di energia ha sempre un significato economico, anche se all'inizio colpisce i settori meno produttivi e, ahimè, i redditi delle classi inferiori. Pero dopo un po' il grasso, il superfluo, finisce. E se continua ad arrivare meno petrolio si arriva all'osso e quindi il nucleo del sistema produttivo e della società si vedono compromessi. 

Pertanto, discutere se il picco del petrolio sia un po' prima o un po' dopo è una discussione vuota, visto che alla fine discutiamo del nostro arrivo ad un punto pericoloso, i cui effetti si stanno già manifestando. Tentare di sapere se con tutti i liquidi del petrolio si può arrivare un po' più lontano quando il petrolio greggio è arrivato al suo picco significa non voler vedere la gravità della situazione attuale. E non vi fate ingannare: il fracking è solo una bolla e gli Stati Uniti non saranno mai energeticamente autosufficienti. Solo con un grande sforzo contabile, mescolando tutte le categorie, riescono ad arrivare quasi al livello del 1970, come mostra il seguente grafico sulla previsione fatta dal Dipartimento dell'Energia sull'evoluzione della produzione di tutti i liquidi del petrolio negli Stati Uniti (il grafico è stato estratto da un post del blog di riferimento in francese Oilman): 

Come si vede, gli Stati Uniti non giungeranno mai ad essere autosufficienti (la fascia azzurra in alto rappresenta le importazioni nette), Peggio ancora, nella falsa percezione di abbondanza petrolifera degli Stati Uniti ifluisce molto l'aver confuso la definizione di quello che è il petrolio, come spiega Kurt Cobb in questo articolo

Chi si diverte a discutere se il picco sarà un po' più tardi o un po' prima si concentra sul superfluo, visto che non c'è niente che indichi che questo punto si possa posticipare se non di qualche anno, con conseguenze funeste, visto che non stiamo ammortizzando convenientemente il capitale investito nelle nostre infrastrutture. Tale atteggiamento somiglia a quello dei negazionisti del cambiamento climatico: un richiamo all'inattività centrato su dubbi di carattere tecnico e con poco contenuto reale, in realtà del tutto secondari. E la cosa che l'espressione di tali dubbi nasconde è il desiderio di non cambiare ciò che è importante: il nostro sistema economico in modo che sia sostenibile. 

Si può semplificare questa posizione (quella di concentrarsi sul dettaglio – quando avverrà esattamente il picco – e ignorare la cosa fondamentale – l'inesorabile necessità di cambiare il sistema economico) dicendo che è un processo di negazione di una realtà sgradevole (la prima fase del processo descritto da Kübler-Ross). Spesso, tuttavia, la cosa è più sottile. La critica al sistema capitalista e l'annuncio che è arrivata alla fine del suo ciclo utile è visto con molto sospetto da molti settori della popolazione, generalmente ben informati, che vedono la denuncia dei problemi del cambiamento climatico e della scarsità di risorse come scuse per introdurre un ordine del giorno “di sinistra” per smantellare il sistema economico che ha portato molto progresso e sviluppo all'umanità. Tuttavia, la critica che si fa da parte della Scienza (tanto per il Cambiamento Climatico quanto per lo studio della disponibilità di risorse naturali) non sono di carattere ideologico, solo di carattere logico. Non si tratta di introdurre dietro le quinte ricette di sinistra, visto che oltretutto queste, in generale, non mettono in discussione il sistema produttivo, pertanto non apportano un'alternativa reale al problema. Non si tratta, quindi, di un problema di sinistra e destra, così come vengono concepite in occidente. Si tratta di lasciare un futuro ai nostri figli, si tratta di aprire gli occhi e di accettare la realtà così com'è. Si tratta, insomma, di smettere di perder tempo su ciò che è secondario e approcciarsi a ciò che è importante. 

Saluti.
AMT