E così, questa volta gli americani avevano ragione: nella notte fra il 23 ed il 24 febbraio la Russia ha lanciato un attacco in grande stile sull’intero territorio ucraino senza neppure darsi la briga di una dichiarazione formale di guerra. Tutti, legittimamente, si chiedono se intenda conquistarla tutta o solo una parte. Sotto alcuni aspetti somiglia ad una riedizione dell’invasione dell’Ungheria del 1956 su ben più vasta scala, ma in un contesto completamente diverso ed un rischio consistente di escalation a livello continentale, se non mondiale, in ragione di molti fattori ignoti. Per esempio: cosa faranno gli USA con i loro satelliti (non la NATO come tale che interviene solo in caso di attacco al territorio di uno dei membri)? Esistono degli accordi segreti sulla partizione dell’Ucraina? La Cina approfitterà dell’occasione per attaccare Taiwan? E molti altri.
In un articolo apparso sul “Fatto Quotidiano”, Loretta Napoleoni ha ricordato che Putin da ragazzo andava a caccia di topi e che è solito chiosare le sue memorie ricordando che questo sport gli ha insegnato che non bisogna mai intrappolare un grosso ratto nell’angolo senza una via di fuga perché allora attacca e può fare molto male. Eccellente metafora, solo che in questo caso l’impressione è che ci siamo cacciati in trappola tutti quanti, a cominciare proprio da Putin. Forse, gli unici che ci guadagneranno qualcosa saranno proprio gli americani, ma vedremo.
Il contesto.
Tutti, nessuno escluso, stiamo impattando brutalmente contro il Limiti della Crescita (chi non conoscesse il libro lo legga, è fondamentale). Solo per dirne qualcuna, abbiamo certamente superato il picco del greggio e probabilmente anche quello di tutti i petroli. Il picco del gas e del carbone è alle spalle per molti e nel prossimo futuro per tutti, ergo il temuto “picco di tutto” è alle porte. Assai più grave è che la biosfera è stata devastata a tal punto che ha almeno parzialmente perduto la capacità di controllare i cicli bio-geo-chimici. Ciò significa che le variabili chimico-fisiche del pianeta sono fuori controllo e che più nulla ci garantisce che restino ancora a lungo compatibili con la vita o, perlomeno, con una civiltà complessa.
Anche se nessuno ne parla, tutto questo ha già da parecchi anni delle conseguenze dirette sulle persone, una delle quali è che le condizioni di vita della stragrande maggioranza peggiorano e sempre di più peggioreranno, mentre quelle di alcuni migliorano a vista d’occhio. I modi ed i tempi con cui questo accade differiscono profondamente a seconda dei luoghi e delle classi sociali, ma la tendenza è generale perché generali sono le forzanti principali alla base di essa (ivi compresa l’incapacità della classe dirigente ad affrontare e mitigare questo fenomeno). In UE questa tendenza è assai meno sviluppata che nella maggior parte degli altri paesi (inclusi Russia, USA e Cina), ma comunque è evidente e crescente.
Questo crea malcontento e delegittimazione della classe dirigente. Chi vuole scalare il potere soffia sul questo fuoco in molti modi spesso disonesti. Chi invece lo detiene cerca di mantenerlo ed i metodi disponibili sono molti: rafforzare la polizia segreta e non, controllo sempre più capillare della popolazione, perseguitare i dissidenti, ecc. Ogni oligarchia sceglie il mix che preferisce, ma arriva un punto in cui tutto questo non basta più ed occorre qualcosa che ricompatti la popolazione sotto la propria bandiera. Costi quel che costi e di solito si ricorre ad una minoranza interna (etnica, culturale, politica o altro) come capro espiatorio; oppure ad un bel nemico estero, specie se già conosciuto e temuto per tradizione.
Le due opzioni possono anche andare insieme ed è per questo che il nazionalismo è quasi sempre la carta che viene giocata sia da chi teme di perdere il potere, che da chi vi spira. Quasi sempre funziona benissimo perché fa appello a sentimenti molto profondamente radicati e già sapientemente manipolati per un paio di secoli. La fregatura è che rappresenta una strada a senso unico: una volta imboccata si può solo alzare progressivamente la posta, anche se diventa controproducente, perché altrimenti si passa di colpo da “eroe nazionale” a “Traditore della Patria”. In una parola, è una trappola.
Una politica estera aggressiva può quindi essere tanto la manifestazione di una potenza imperialista in fase espansiva, quanto il disperato tentativo di un’oligarchia in declino di restare attaccata al potere. Distinguere i due casi è spesso difficile, ma importante perché i risultati sono spesso opposti.
Vediamo telegraficamente i principali protagonisti di questa tragicommedia:
Ucraina.
Il governo provvisorio pensò però di legittimarsi giocando sulle mal sopite rivalità storiche fra ucraini e russi annunciando lo sfratto della base russa di Sebastopoli. Trappola: il governo ucraino non aveva alcuna possibilità di sloggiare i russi da un territorio per loro fondamentale sotto tutti i punti di vista (militare, politico, psicologico, ecc.). Dunque dirlo servì solo a porsi con le spalle al muro, senza più alcuna possibilità né di recuperare il territorio perduto, né di trattare e nemmeno di normalizzare la propria posizione sia con il potente vicino, sia con gli altri paesi del mondo. A livello internazionale, avere contese territoriali irresolubili preclude infatti moltissime opzioni fra cui quella di entrare nella famigerata NATO.
Russia.
Tuttavia, fino al 2014, si è sempre mosso con abilità, riuscendo ad avere risultati tangibili per i suoi fans, senza creare crisi internazionali irreparabili. Anche il colpo di mano con cui occupò la Crimea quasi senza colpo ferire fu accolto con un “minimo sindacale” di proteste internazionali: tutti sanno che nessun governo russo, per nessuna ragione, può rinunciare alla Crimea senza cadere. Ma con l’annessione è invece scattata la prima trappola. Questa ha infatti degradato in maniera irreparabile i rapporti della Russia con la maggior parte degli altri paesi, ma soprattutto ha galvanizzato eccessivamente i nazionalisti russi che, circa un mese più tardi, hanno lanciato la rivolta nelle regioni orientali dell’Ucraina (a larga maggioranza russa). Un pasticcio irreparabile che già prima dell’invasione era costato caro sia agli ucraini che ai russi, entrambi intrappolati nella logica nazionalista secondo cui il primo che fa una cosa sensata “è un vile che vende la patria al nemico”. Trappola rilanciata in questi mesi con la minaccia di guerra e poi di nuovo l’occupazione formale delle due città contese, fino ad oggi con l’avvio di una guerra senza precedenti fin dal 1945, che mette ancora di più la Russia in un angolo dal quale può oramai solo attaccare.
Fra le poche cose certe di questa vicenda vi è che Putin ha deciso di giocarsi il tutto per tutto, visto che non mette sul piatto solo il suo paese, ma anche il suo formidabile patrimonio personale, pazientemente accumulato in decenni di potere ininterrotto.
Europa.
Oggi, anche volendo e nessuno lo vuole, un simile programma non sarebbe possibile perché non ci sono più né i tempi, né le risorse necessarie. Non ci rimane dunque altro da fare che seguire più o meno diligentemente le veline che ci vengono da Washington, sperando che non ci costino troppo care (il che non è detto).
Bielorussia.
Per Lukashenko la crisi russo-ucraina è stata una benedizione. Nel suo ruolo di mediatore, ha fatto ottimi affari con tutti i soggetti in causa sia a livello personale che nazionale, ma tutto questo è finito. Con una situazione interna esplosiva ed il paese di fatto sotto occupazione russa l’ex “ultimo dittatore d’Europa” è oramai solo un patetico burattino nelle mani di Putin che lo terrà finché gli farà comodo, non un giorno di più. Nel frattempo i bielorussi pagano il conto.
USA.
Se Atene piange, Sparta non ride. L’assalto al Campidoglio da parte di migliaia di cittadini che volevano sovvertire il risultato delle elezioni presidenziali è stata la clamorosa dimostrazione che gli USA sono ormai uniti solo di nome, ma non più di fatto. Il rischio di una parziale disintegrazione delle stato non è più un’ipotesi fantascientifica e sembra che la politica interna non sia in grado di farci molto. Così, come spesso accade, la politica estera può sopperire al bisogno con un nemico per combattere il quale occorre fare nuovamente fronte comune. Non sempre funziona (talvolta l’effetto è anzi contrario), ma spesso si. Riguardo all’Ucraina, finora l’amministrazione Biden si è limitata ai discorsi roboanti e poco più; nulla lascia pensare che davvero sia disposto ad intervenire militarmente. Del resto, la sua preoccupazione principale rimane la Cina, ma non è detto che non cambi idea. Presentarsi alle elezioni di medio termine come paladino della libertà dei popoli oppressi è una cosa che può far molto comodo.
Comunque, già ora ha incassato alcuni dei regali di Putin: ha rafforzato la presa statunitense sull’Europa, rimesso i fila anche i più riottosi dei suoi satelliti e dimostrato per l’ennesima volta che per parlare con “il mondo occidentale” esiste un unico numero di telefono: quello della casa Bianca. Del resto, indebolire l’UE è sempre stato forse l’unico interesse comune fra i governi americani e russi succedutisi negli ultimi 50 anni, con l’unica eccezione di Gorbaciov che tentò la carta contraria, invano.
Possibili sviluppi.
L’esercito ucraino non può competere con quello russo in campo aperto, ma assediare le grandi città potrebbe richiedere molti morti e, soprattutto, molto tempo ai russi. Forse, un tempo sufficiente per convincere gli USA ed alcuni dei suoi satelliti, per esempio la Polonia, ad intervenire. Se preparare l’invasione ha richiesto ai russi alcuni mesi di lavoro, preparare una contro-invasione non può essere fatto nel giro di giorni e neppure di settimane.
Potrebbe quindi finire con la capitolazione dell’Ucraina, o potrebbe nascerne una vera grande guerra o, forse, una partizione fra un’Ucraina est occupata dai russi e un’Ucraina ovest occupata dagli americani. Nel mezzo la Bielorussia che si troverebbe quasi accerchiata, mentre con l’occasione probabilmente si chiuderebbe la partita in Transnistria (dove sono di stanza altre truppe russe) e la NATO imbarattolerebbe Kaliningrad come a suo tempo la Russia aveva imbarattolato Berlino. Come minimo, tutti i dispositivi militari euroamericani saranno rafforzati (anzi si stanno già rafforzando). In pratica, se davvero Putin voleva allontanare la Nato dai suoi confini, rischia di ottenere il risultato esattamente opposto.
Ci sono ben pochi punti sicuri in questa vicenda ed uno di questi è che europei, russi, bielorussi ed ucraini hanno tutto da perdere; forse gli americani invece ci guadagneranno qualcosa, vedremo. Ma se allarghiamo un tantino lo sguardo, vediamo che siamo tutti nella stessa trappola globale in cui ci siamo cacciati viribus unitis fra gli anni ’80 e ’90, quando abbiamo deciso di rilanciare il consumismo e globalizzare il capitalismo, anziché usare il poco tempo che ancora avevamo a disposizione per smantellare entrambi e tentare di slittare in una “steady state economy” senza scossoni troppo dolorosi.
E’ all’interno di questo trappola planetaria che i topi, non contenti del loro destino, si incantonano da soli per poi azzuffarsi fra loro.
Comunque vada, questa guerra accelera ulteriormente il consumo delle residue risorse che abbiamo e, se poi davvero scoppierà una guerra in grande stile, le distruzioni saranno tali da essere solo in parte recuperabili. Come disse credo Einstein: “Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la terza Guerra Mondiale, ma la quarta sarà combattuta coi bastoni e con le pietre”. Lui temeva l’uso di armi nucleari, ma oggi non ne abbiamo più bisogno: anche con armi convenzionali abbiamo i mezzi per distruggere molta più roba di quella che potremmo poi ricostruire.
Forse, quello cui mira Putin è riconquistare più territorio possibile prima di calare una nuova “cortina di Ferro” attraverso l’Europa e sembra che su su questo punto USA, Russia e Cina siano d’accordo: una bella guerra fredda è quello che ci vuole per rifondare il potere degli stati più importanti. In effetti la “Cortina di Ferro” giocò un ruolo molto stabilizzante per 50 anni, ma il contesto era completamente diverso da oggi. Allora, le economie dei soggetti principali erano quasi completamente indipendenti, tutti avevano a disposizione abbondanti materie prime ed usufruivano di una biosfera funzionale. Oggi non c’è più nessuno di questi presupposti. Solo pochi mesi fa abbiamo sperimentato come il banale incagliamento di una grande nave in un canale possa mettere in crisi le economie mondiali, figuriamoci cosa accadrà se la guerra dovesse sbrodolare fuori dall’Ucraina o, perfino, coinvolgere la Cina. Per non parlare della catena di disastri irreparabili se qualcuno cominciasse a colpire obbiettivi strategici come piattaforme petrolifere, centrali nucleari e simili.
Ma forse chissà? Questa potrebbe essere la strada che inconsapevolmente abbiamo scelto per ridurre definitivamente la nostra impronta ecologica e la nostra popolazione. La peggiore possibile, come spesso accade, ma sempre meno peggio della “Sindrome di Venere”.