Post di Bruno Sebastiani
Il titolo di questo articolo può sembrare un gioco di parole o uno scioglilingua. L’antinomia che sottintende ha invece l’ambizione di far emergere una verità fondamentale per la nostra storia passata e futura.
Vediamo dunque di
esaminare partitamente le due frasi e cosa si cela dietro ad ognuna di esse.
Il “sapere di non sapere”,
come noto, è l’insegnamento base del metodo socratico. Il filosofo ateniese,
secondo la testimonianza che ci ha lasciato Platone, dichiarò davanti ai suoi
accusatori:
“[…] di
cotest’uomo [un tale che aveva fama di sapiente, NdA] ero più sapiente io:
in questo senso, che l’uno e l’altro di noi due poteva pur darsi non sapesse
niente né di buono né di bello; ma costui credeva sapere e non sapeva, io
invece, come non sapevo, neanche credevo sapere; e mi parve insomma che almeno
per una piccola cosa io fossi più sapiente di lui, per questa che io, quel che
non so, neanche credo saperlo.” (Apologia, 21c, in Platone, Opere,
vol. I, Laterza, Bari 1967)
Questa consapevolezza
di sapere di non sapere è stata storicamente all’origine della sete di sapere,
che Socrate seppe coltivare tanto abilmente mediante la “maieutica”, il metodo
che conduceva i suoi interlocutori ad accorgersi della propria ignoranza e a
riconoscere la verità, di contro alle proprie precedenti false presunzioni.
A buon diritto si può
ritenere che questo metodo sia stato il primo pilastro del sapere scientifico.
Se uno sa di non sapere cerca di accrescere le sue conoscenze cautamente, dando
credito solo a prove provate. Da qui trasse origine l’abiura dei miti
fantasiosi ai quali tutti i popoli primitivi si erano sempre affidati per dare
un significato alle realtà che il loro intelletto non era in grado di spiegare.
Il nuovo modo “razionale”
di osservare i fenomeni della natura diede concretamente avvio allo sviluppo di
scienza e tecnica, il cui percorso di crescita era stato fino ad allora di tipo
prevalentemente empirico.
Il “sapere di non
sapere” accelerò dunque in modo decisivo il cammino dell’uomo verso quel
progresso materiale di cui oggi stiamo vivendo lo stadio terminale, pre-agonico
per il mondo della natura.
In questo momento,
tanto tragico quanto decisivo per la prosecuzione della nostra avventura sulla
Terra (e per quella di tanti altri esseri viventi da noi assurdamente compromessi),
è quanto mai opportuno a mio avviso ripensare a quella locuzione e vedere come
avrebbe dovuto essere formulata per limitare i danni che il nostro intelletto
ha causato alla biosfera (e per ridurne i futuri).
Il “non sapere”
cui si fa cenno è infatti privo di condizioni. Possiamo non sapere come si
costruisce una casa, come si progetta una centrale nucleare, come si assembla
una bomba atomica. Ma il non saperlo implica che possiamo anche impararlo, e
quindi poi saperlo fare, come di fatto si è verificato. E se abbiamo imparato a
costruire case, centrali nucleari e bombe atomiche, perché non dovremmo essere
in grado di impiantare microchip nel cervello, colonizzare Marte o divenire
immortali?
Sennonchè c’è anche
il risvolto della medaglia, e cioè l’insieme dei problemi che la nostra
dissennata opera di devastazione del pianeta pone oggi sotto gli occhi di
tutti.
Sapevamo di non
sapere, abbiamo immaginato che il sapere ci avrebbe resi onnipotenti, l’abbiamo
in parte raggiunto e messo in pratica senza tener conto dei limiti delle nostre
capacità cognitive.
Il nostro cervello ha
subìto una evoluzione tanto abnorme quanto eccezionale rispetto a ogni altro
essere vivente, ma le sue capacità elaborative sono rimaste infime rispetto alla
complessità del mondo della natura.
Vi è anche un
elemento dimensionale da prendere in considerazione: siamo minuscoli organismi
abbarbicati su una briciola di materia che vaga nell’immensità dello spazio.
Anche senza far ricorso a elaborati concetti filosofici, come possiamo
immaginare che nella nostra scatola cranica risieda un sistema informatico in
grado di padroneggiare l’intero universo?
La riprova dell’impossibilità
di un siffatto padroneggiamento ci deriva proprio dai danni irreparabili che
abbiamo causato all’ambiente e che ci stanno conducendo all’ecocatastrofe. Ogni
avanzamento della nostra condizione materiale ha sempre generato squilibri nel
mondo della natura, dapprima minimi, poi via via sempre maggiori fino ai
livelli di guardia ora raggiunti. Tutto ciò a causa delle limitate capacità del
nostro intelletto, non in grado di intervenire positivamente sugli ingranaggi
ultra sofisticati della biosfera.
Quale avrebbe dovuto
essere quindi la corretta locuzione che, in alternativa al “sapere di non
sapere”, avrebbe potuto limitare i danni che stiamo procurando al pianeta?
Avremmo dovuto essere
consapevoli della limitatezza delle nostre possibilità intellettive e avremmo
dovuto coltivare il “sapere di non poter sapere”.
Ciò ci avrebbe indotto
a minimizzare i nostri interventi nel corpo vivo della natura consigliandoci di
accontentarci di quel poco (in realtà molto!) che la natura dispensa equamente
a tutti i suoi figli.
Non avremmo dovuto
desiderare di accaparrarci la fetta più grossa delle risorse della Terra,
schiavizzando o portando all’estinzione le altre specie viventi, non fosse
altro per non innescare quel processo distruttivo che alla lunga condurrà anche
alla nostra autodistruzione.
Tutto questo ragionamento
prescinde dall’altro elemento che ci ha sospinti su questa strada, e cioè
quella “volontà di potenza” di nietzschiana memoria, che a mio avviso altro
non è che la sublimazione dell’istinto di conservazione prodotta dall’abnorme
evoluzione del cervello verificatasi nell’uomo.
Ma di questo elemento
avremo occasione di parlare in altra sede.
Avendo citato
Nietzsche mi sembra invece opportuno riportare il pensiero introduttivo di “Su
Verità e Menzogna in senso extramorale” che il filosofo tedesco scrisse nel
1873, a soli 29 anni:
“In un angolo
remoto dell’universo scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari
c’era una volta un astro, su cui animali intelligenti scoprirono la conoscenza.
Fu il minuto più tracotante e più menzognero della “storia del mondo”: ma tutto
ciò durò soltanto un minuto. Dopo pochi respiri della natura, la stella si
irrigidì e gli animali intelligenti dovettero morire.”
Un’ultima notazione
di tipo personale.
Dal 2018 all’inizio del
2020 ho tenuto su Neuroscienze.net una rubrica dal titolo “I limiti dell’intelligenza”,
il cui obiettivo era di argomentare come il nostro cervello, per quanto
abnormemente evoluto e superiore in potenza elaborativa a quello di ogni altro essere
vivente, non potesse oltrepassare una determinata soglia cognitiva,
relativamente elevata ma in assoluto infima.
Terminata la
collaborazione con quel sito, ho provveduto a inserire i quattordici articoli
pubblicati nel mio blog personale, in modo da renderli liberamente disponibili
a chiunque.
Questo l’indirizzo dove
reperirli: https://ilcancrodelpianeta.wordpress.com/2019/10/06/i-limiti-dellintelligenza/.
se il nostro anfitrione mi consentirà pongo due spine in un discorso impeccabile.
RispondiEliminaSapere di non sapere è un punto elevatissimo della coscienza umana, un traguardo per pochi, i peggiori distruttori sono coloro che credono di sapere. Siamo circondati da "portatori di verità", per pigrizia o convenienza impermeabili al dubbio, inseguitori permanenti della moda del momento. Un esempio comico è il super ecologista da salotto che ha il pannello solare e fà la differenziata ma viaggia con un suv (ibrido magari) che cambia ogni 2 anni, proprietario di un azienda di trasporti con una flotta vetusta al limite dell'Euro0 per risparmiare sui costi ed una passione per dimostrarsi "il più furbo" grattando su ogni margine di legge possibile per ottenere di più. Per sapere di non sapere bisogna prima sapere, esiste infatti l'effetto Dunning-Kruger (https://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_Dunning-Kruger).
La seconda spina è la questione dell'intelligienza in sè, il nostro encefalo ha una potenza di calcolo enorma ma finita e su questo non ci piove ma proviamo a fare un analogia, un singolo neurone ha una capacità elaborativa minima ma coordinandone molti milioni abbiamo una potenza di calcolo spaventosa. Il sistema nervoso di un insetto probabilmente non raggiunge il grammo ma le api volano a chilometri e tornano a casa, comunicano il percosro alle altre e si coordinano, mentre il singolo individuo è relativamente poco adattivo l'alveare è un organismo immensamente versatile in grado di rivaleggiare con i vertebrati superiori.
La capacità dell'umanità di conoscere è praticamente infinita nonostante la capacità individuale sia oggettivamente limitata, superata l'adolescenza la nostra specie potrebbe dar vita al primo "superorganismo" monospecie del pianeta..... La prima affermazione è sufficientemente oggettiva, la seconda una previsione credibile ma forse troppo ottimistica!
"la nostra specie potrebbe dar vita al primo "superorganismo" monospecie del pianeta"
EliminaUno scenario distopico tra i peggiori nei quali mi sia mai capitato di imbattermi.
matrix?
EliminaIo ho sempre preferito A. C. Clarke con il suo "Childhood's end" (https://it.wikipedia.org/wiki/Le_guide_del_tramonto ).
EliminaQuella è fantascenza ma noi siamo effettivamente vicini al limite noetico iniziale (https://it.wikipedia.org/wiki/Noesi) dove le possibilità offerte dall'intelletto "puro" sono superiori a quelle possibili per la materia, lo stesso fatto che possiamo discutere di come migliorare la vita non solo umana è stupefacente: 2000 anni fà era un intrattenimento vedere uomini uccidersi a vicenda nei colossei, oggi vorremmo impedire le sofferenze di ciò che non è neanche umano e a tentonistiamo anche tentando di renderlo reale!
Matrix ormai non è più uno scenario distopico, è semplicemente un'iperbole simbolicamente estremizzata della realtà corrente. A mio modo di vedere, ovviamente. Non ho la verità in tasca.
Eliminahai ragione. Matrix non è uno scenario distopico, perchè si verifica ora e sempre, anche se pochi iniziano la battaglia per liberarsi da Matrix, in quanto credono solo a quello che vedono, senza chiudere gli occhi e sentire quello che i 5 sensi non sentono. D'altra parte le cose migliori della vita si fanno ad occhi chiusi.
EliminaAl contrario, direi che occorre riscoprire con la massima rapidità la nostra normale capacità di indagare quel che ci giunge tramite i sensi per ricavarne conclusioni di prima mano. Al momento, la "ipnosi" passa attraverso la mediazione (leggi: manipolazione) delle informazioni circa il reale che ci viene iniettata in modo ridondantemente invasivo tramite mezzi di conoscenza indiretti, alcuni più moderni, altri meno (non serve pensare a tv, web o chissà quali altre diavolerie, perché già un testo scritto su un foglio di carta è informazione mediata e, come tale, si presta a manipolazione; addirittura è informazione mediata a rischio un semplice resoconto verbale, un racconto di qualcosa che ci viene riportato da altri). Raccogliere un'informazione tramite i cinque sensi, passarla al nostro organo "elaboratore" affinché possa confrontarla con le conoscenze già in suo possesso, giungere a conclusioni "parziali" e quindi mai definitive, aggiungere la conclusione alle conoscenze già in archivio, quindi ripetere il ciclo senza posa. Forse in questo modo diventa possibile tentare di evitare almeno una parte degli inganni.
EliminaBellissimo articolo, Bruno.
RispondiEliminaGianni Tiziano
Sinceramente sono critico sull'affermazione "sapere di non sapere" perché in un approccio pratico, implica che dovresti sapere quello che non conosci. Ma credo che li si annidi un sottile errore logico, perché secondo me, la vera affermazione corretta è che NON puoi sapere quello che NON sai. Vi prego di valutare con attenzione quello che dico, perché lo vedo in pratica nel mio umile mestiere di informatico. Quando fai una valutazione di un progetto, c'è sempre una parte di teconologia sconosciuta, di specifiche non approfondite di cui viene lo stesso richiesta una stima di tempo di apprendimento e soluzione che regolarmente viene disattesa. Quindi di qui la mia rassegnazione ed affermazione "Non puoi sapere quello che non sai".
RispondiEliminaE' vera l'affermazione
Elimina"Non puoi sapere quello che non sai".
Sono altresì convinto che è frutto di saggia e umile meditazione e consapevolezza, il "sapere di non poter sapere tutto".
Io ho 63 anni, sono in pensione, ho lavorato come informatico anche io, ho programmato computers dal 1979 al 2001, linguaggi Assembler, RPG e COBOL. Mi ero diplomato programmatore elettronico nel 1976, esercitandomi con linguaggio Fortran. Dal 2001 al 2019 ho lavorato come impiegato (ero anche ragioniere).
Gianni Tiziano
sapere di non sapere significa avere l'umiltà di riconoscere la propria piccolezza intellettuale, mentre non poter sapere significa capire di aver raggiunto i propri limiti intellettivi. Anche qui ci vuole umiltà. Tutto il resto è noia. O boria.
RispondiEliminaOttima osservazione, Mago.
EliminaMa la frase "sapere di non poter sapere" è secondo me incompleta.
Più corretto sarebbe dire "Sapere di non poter sapere tutto".
In effetti io so di poter sapere alcune cose.
Ad esempio so di poter sapere che Gino Bartali era un ciclista agonista.
So di poter sapere che in questo blog spesso trovo commenti di Mago.
So di non poter sapere qualunque cosa, proprio perchè non sono Dio onnisciente.
Ciao Mago, buona giornata.
- Tiziano
makati1 mercoledì 21 ottobre 2020 16:11
RispondiEliminaQuindi, stanno producendo elettricità con alcune "rinnovabili", ma poi l'elettricità è una percentuale molto piccola dell'energia TOTALE utilizzata ogni anno. Meno del 4%, anche se WIKI aggiunge il 7% per l'energia idroelettrica, nessuna delle quali è totalmente “rinnovabile” in quanto le dighe e le turbine, i pannelli, i mulini a vento (più le batterie) necessitano di manutenzione e sostituzione che non può essere fatta senza FF.
https://www.bing.com/videos/search?q=l%27estate+sta+finendo+youtube&docid=608008992361152884&mid=C0DC8F1B37D473181477C0DC8F1B37D473181477&view=detail&FORM=
quando, nel 1985, i Righeira cantavano chi poteva immaginarsi che l'estate stava finendo veramente. Un altro caso di sapere di non sapere, perchè ci se ne accorge dopo. Godiamoci la grande musica dei Righeira.
Una certezza è una breve sosta in mezzo a due dubbi.
RispondiElimina(Fabrizio Caramagna)
Dice bene Mago. Se si rilegge la citazione platonica che Sebastiani ha riportato: Socrate quello che non sa NON CREDE di saperlo (non gli passa proprio per la testa di azzardare un sapere che non possiede), mentre il sapiente s'illude di sapere anche quello che non sa.
RispondiEliminaMa, mi pare sostenga Sebastiani, se da un lato il metodo socratico ha gettato le basi per quello scientifico, mandando in soffitta il mito per sempre, dall'altro ci ha condotti qui dove siamo ora. E dove siamo ora? Nel la mer..., pressapoco.
A differenza di Sebastiani, reputo che il sapere socratico non debba essere ritenuto colpevole: ad un certo punto della storia (con l'Illuminismo?) l'uomo ha smesso di sapere di non sapere e ha cominciato a osare. Ha cominciato a credere di sapere più di quello che in realtà sapeva. Ha insomma cominciato a scommettere. E di fatto il pianeta è diventato pian piano ma sempre più cavia, vittima del falso sapere dell'uomo: scommessa persa? Paga l'ambiente. Ed eccoci qua ad attendere che una superintelligenza ci tolga le castagne dal fuoco.
Credo che la superintelligenza sia l'intelligenza della natura, di cui facciamo parte. Dovremmo essere più umili e ascoltare il resto della natura, che è intelligente, in un certo senso, molto più di noi.
EliminaVoglio dire che siamo parte della natura, non i padroni della natura. Ci comportiamo come padroni, ma il nostro sapere è così piccolo, che facciamo innumerevoli danni. Credo che dobbiamo farci umili, "sapere di non poter sapere" tutto, come ben dice Bruno Sebastiani nell'articolo meraviglioso che ha scritto, illuminato da "ILLUMINAZIONE". Io credo che esista l' "ILLUMINAZIONE", esistono tante "ILLUMINAZIONI" parziali. Questa di Bruno è notevole. Tanto di cappello. Come si dice ?
chapeau !
Gianni Tiziano
A integrazione/sviluppo di quanto scritto da Bruno Sebastiani nell'articolo, sarebbe buona cosa indagare sulla qualità del sapere, sulla sua utilità. Il sapere tutto infatti è composto da tanti innumerevoli saperi parziali. Sapere tutto è una prerogativa di Dio : è l'onniscienza.
RispondiEliminaEppure, si può vivere bene senza essere onniscienti : è sufficiente sapere quel che serve, e sapere di più è un di più, e talvolta addirittura è in intralcio.
E' importante lo scopo : è sufficiente sapere il necessario, e non di meno, al fine dello scopo.
Sono gli scopi che fanno la differenza : noi esseri umani civilizzati abbiamo tanti scopi la cui compatibilità con gli equilibri naturali è palesemente insostenibile a breve, talvolta medio, talvolta lungo periodo.
Gianni Tiziano
Io so che amo la natura, di cui faccio parte, e so che aborrisco la tecnologia che va al di la di selce, arco e frecce.
RispondiEliminaIo so che esisto, e so che sono destinato a morire.
Io so che mi viene da piangere a vedere tutto il male che facciamo alla natura.
Questo, io so.
Gianni Tiziano
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