martedì 28 agosto 2018

L'Italia Fuori dal'Europa: Il Ritorno di Cecco Beppe




Il vostro corrispondente dal Forum Europeo di Alpbach, Ugo Bardi. Notate la maglietta di Seneca e, sullo sfondo, lo slogan del governo austriaco: "Un Europa che connette." Quello che segue è un impressione "a caldo" dopo qualche giorno di Forum. Forse troverete un po' di cattiveria in quelta mia riflessione - scusate, è uno sfogo.


Anni fa, mi è capitato di attraversare in macchina il confine fra la California e il Messico. Sarebbe esagerato dire che i Messicani odiano gli Americani e viceversa, ma credo che si possa dire che non si trovano reciprocamente simpatici, come confermato dalla recente storia del "muro" che il presidente Trump vuol costruire al confine. Così, venendo dal Messico e entrando in California, ci si accorge subito del cambio nettissimo di atmosfera. L'America, decisamente, non è il Messico.

Qualcosa di simile mi è successa questa settimana passando il confine dall'Italia verso l'Austria, ti accorgi subito del nettissimo cambio di atmosfera. L'Austria non è l'Italia e, al Forum Europeo di Alpbach, vedi veramente un abisso di differenza.

Come dice il nome: il forum di Alpbach è "Europeo" - nel senso che ti accorgi subito che l'Europa esiste ancora. Esiste un'Unione Europea che non è soltanto un'entità da infamare in vari modi, ma qualcosa di importante che ci deve aiutare in tante cose. Ma questo è soltanto sul lato Nord delle Alpi. C'erano personalità da tutta l'Europa ma, da quello che ho visto, i politici italiani hanno disertato in massa il Forum. Forse non sono stati invitati, o forse hanno ritenuto che non fosse conveniente per loro farsi vedere insieme a persone che sono abituati a infamare tutti i giorni - avendo notato che questo gli porta voti e consensi.

Non vi so dire cosa sia successo in Italia che ha trasformato l'Unione Europea da una speranza in un nemico. Il fatto è che è successo. Al forum stavo parlando con uno dei pochissimi italiani presenti, il quale mi ha raccontato che lui ha lasciato l'Italia da un pezzo e ora vive a Berlino. Lavora sulla collaborazione internazionale e ha fatto un sondaggio sull'opinione che gli Italiani hanno della Germania. Non so se è una cosa confidenziale che mi ha detto, ma credo che vi potete immaginare i risultati. Per qualche ragione gli Italiani si sono convinti che i Tedeschi sono il male, una visione non diversa da quella degli anni della prima guerra mondiale.

In effetti, il forum mi ha dato nettamente l'impressione di un ritorno a certe strutture che esistevano un secolo fa. Con l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea, il centro politico di tutto il sistema si è spostato verso Est, formando una specie di nuovo impero centrale, un asse Vienna-Berlino come al tempo del Kaiser e dell'imperatore Cecco Beppe. Tutto gira intorno a questo centro, con le varie entità statali che lo circondano interessate a costruire una specie di "zona di co-prosperità centro-Europea": ad Alpbach c'erano tutti, olandesi, rumeni, polacchi, Russi, eccetera.

E l'Italia? Beh, sembrerebbe che abbiamo preso la decisione di diventare il Messico d'Europa, dopotutto abbiamo già il "muro" incorporato nella forma delle Alpi. In cambio della nostra "sovranità", uscendo dall'Eurozona diventeremo una specie di "maquilladora" a basso costo dove saremo pagati in lire quel tanto che basta (se va bene) per avere qualcosa da mangiare tutti i giorni. Ma volete mettere la soddisfazione? Sembra, in effetti, che sia un destino che tutti desiderano. Bene, in politica quello che uno desidera può diventare la realtà - salvo poi subirne le conseguenze. 


Come piccola nota finale, vedete qui i miei libri tradotti in tedesco in vendita al Forum di Alpbach. Molti mi domandano se ci sono anche in Italiano e su questo vi posso dire che avevo contattato un editore italiano di quelli abbastanza importanti per sentire se era interessato a pubblicarli. La risposta è stata "gli Italiani non leggono queste cose." Che vi devo dire? Forse è il caso di mettersi tutti a imparare il tedesco.






mercoledì 22 agosto 2018

Ponte Morandi: un Commento a Caldo



Il ponte sullo Stretto di Messina? Perché no? Non crollerebbe mai. . . No di sicuro. . .  Come potrebbe mai succedere?



Due giorni dopo il crollo del ponte Morandi a Genova, avevo pubblicato sul "Fatto Quotidiano" il commento che trovate più sotto. Era un tentativo di ragionare su quella che io consideravo e considero una tragedia causata da ragioni "sistemiche." In sostanza, il declino dell'EROEI della nostra società ci rende difficile, se non impossibile, manutenzionare strutture che in epoche di abbondanza potevamo costruire senza problemi. 

Come avrete notato, questo tipo di interpretazione non ha avuto molto successo e siamo arrivati alle conclusioni più o meno condivise da tutti, che:


1. E' colpa di quelli che dicono sempre di no a tutto. Ma anche di Benetton. E poi, dell'Europa che non ci da i soldi. In ogni caso c'entrano di mezzo le banche, i capitalisti, gli Gnomi di Zurigo, il Grande Vecchio di Montecatini, i Rettiliani e forse anche gli immigrati.

2. Bisogna punire i colpevoli anche prima di sapere esattamente cosa è successo e perché. Basta con il garantismo e chi non è d'accordo offende le vittime innocenti del crollo del ponte. 

3. Bisogna costruire di più e costruire opere sempre più grandi in modo tale da far ripartire la crescita. 

4. Più un politico urla, più riceve consensi.




Dal "Fatto Quotidiano" del 16 Agosto 2018
di Ugo Bardi

Siamo ancora tutti sotto l’impressione della tragedia di Genova ma, prima ancora di sapere esattamente cosa è successo e perché, è partita la caccia al colpevole. E’ normale: di fronte a un disastro immane e inaspettato, la prima reazione è sempre di cercare qualche responsabile da punire. Così, vediamo i ministri, assessori, opinionisti e notabili vari che si lanciano contro i tangentisti degli anni 60, la politica, la società autostrade, il capitalismo, il governo, i comitati per il no, e quant’altro.

E’ probabile che qualcuno abbia fatto degli errori, questo va accertato e quel qualcuno va punito. Ma il problema è più profondo e più difficile di quanto sembri, e non un problema che si possa risolvere dando la caccia agli untori di turno. Quello che è successo al ponte Morandi di Genova ci apre davanti un abisso, non solo quello creato della campata crollata, ma un abisso ben più preoccupante per il futuro. Tutta la stagione delle Grandi Opere degli anni 60 e 70 è a rischio. Era un epoca di grande innamoramento nel cemento armato, ma nessuno poteva sapere esattamente quanto a lungo le strutture che si costruivano sarebbero durate. Il ponte Morandi è durato poco più di 50 anni, sarà forse un esempio particolarmente disgraziato, ma se leggete i commenti degli ingegneri sul web vedete come sia forte la preoccupazione per tutta la nostra infrastruttura in cemento armato: viadotti, ponti, gallerie, edifici e tutto quanto.

Certo, tutte queste strutture possono resistere a lungo se sono oggetto di manutenzione appropriata. Ma il problema è che le grandi infrastrutture in cemento armato furono costruite in un periodo di rapida crescita economica. La crescita assicurava un surplus tale da potersi permettere queste e altre cose. Ma sono anni, ormai, che il paese decresce o, comunque, non cresce più in modo significativo. Allo stesso tempo, l’obsolescenza delle infrastrutture costruite nel passato costringe a investimenti sempre maggiori per la manutenzione.

E qui sta il grosso problema: si è detto che il ponte Morandi aveva raggiunto il punto in cui demolirlo e costruirne un altro sarebbe costato meno che continuare ad effettuare la manutenzione. Probabilmente questo non è ancora valido per tutto quello che è stato costruito negli anni 50 e 60, ma ci dobbiamo arrivare e probabilmente ci arriveremo prima di quanto non si pensi. E allora ci troveremo nella necessità per un’economia in declino di impegnarsi nella ricostruzione di quello che era stato costruito in un’economia in crescita. Forse non impossibile, ma non c’è più il surplus di una volta bisogna tirar fuori le risorse da qualche altro settore che ne avrebbe altrettanto bisogno: sanità, istruzione, previdenza, eccetera. Scelte dure, per non dire altro.

A questo punto, qualcuno dirà, “bisogna far ripartire la crescita” – slogan ormai assai logoro ma ancora popolare. Il problema è che siamo di fronte a una crisi strutturale di cui ci aveva allertati già nel 1972 lo studio “I Limiti dello Sviluppo.” Ve ne ricordate? Eh, si, si parlava appunto di allerte inascoltate!

E allora, che facciamo? Cerchiamo di tenere in piedi quello che abbiamo e evitiamo di impegnarci in imprese folli che ci metterebbero in guai ancora peggiori: vi rendete conto che solo pochi anni fa si parlava ancora del ponte sullo stretto di Messina come una cosa da farsi? E speriamo bene, perché la questione della manutenzione si pone in modo ancora più critico per certe strutture che sono altrettanto instabili e che richiedono una manutenzione prolungata, costante e costosa: mi riferisco alle centrali nucleari. Per fortuna, in Italia non ne abbiamo, ma fa impressione ricordare come fino a non tanti anni fa se ne parlava come di un obbiettivo importante e utile. Perlomeno su quelle, non abbiamo creato un debito che sarebbe spettato alle future generazioni pagare.


sabato 18 agosto 2018

Pianto sul Polcevera

Tu lo vorresti d'arcobaleno fatto
così da non dovere macinare pietra
squadrarla arrostirla costiparla
così da non fondere lega siderurgica
e doverla estrudere temprare tendere
ma vorresti l'arco unire gli argini
più di quel baleno successivo la tempesta
lo vorresti in piedi mille anni
ma poi per decenni trami traffici
che porteranno guerra tra due sponde
tu l'hai fabbricato ardito e incauto
sfidante la malizia della ruggine
la passione del gelo per le crepe
la libidine del sale per la corrosione
certo che il calcolo sposato ad eleganza
avrebbe domato la più grave delle forze
tu che da millenni unisci i lembi
di valli scarpate e fossi e getti
dovunque fra essi ponti e stralli
hai trascurato di controllare i giunti
fra la tua anima e i tuoi desideri
hai reso nel vuoto la caduta quindi
inevitabile.

Marco Sclarandis

lunedì 13 agosto 2018

Cosa c'è in fondo alla tana del bianconiglio?

Un post di Michele Migliorino (pubblicato anche su Appello per la Resilienza)


Chi ha il coraggio di guardare "cosa c'è in fondo alla tana del bianconiglio" (cit. da Matrix)?



Chi afferma che "la società potrebbe collassare" si spinge molto in là rispetto a quanto può essere accettato dal senso comune (che è dominato dalla paura); chi afferma che "la società collasserà" senza aver dubbi, si spinge ancora oltre e ha ancora meno speranze di essere ascoltato, perchè viene scambiato o per un cialtrone o per un esaltato, un "millenarista" o altro ancora.

La mia impressione è che nella seconda categoria di collassologi vi siano però molti che, consciamente o meno, tendono a spostare avanti l'asticella. "Si, crollerà tutto (fra 20 anni)" per esempio. In effetti, non è rassicurante sapere di avere ancora degli anni davanti per poter sistemare le cose? 

Non intendo dire che io sono sicuro che sarà presto - come potrei? - ma osservo una diffusa convinzione, umana troppo umana, secondo la quale Demain (come recita un film recente...) saremo in pericolo, mai "oggi".

L'atteggiamento dominante non mira a operare dei cambiamenti concreti nell'esistenza quotidiana, non mette in opera strategie nel presente di adattamento creativo e aumento della resilienza qui e ora. Generalmente si punta sull'informare gli altri; sono in pochi quelli che "fanno" qualcosa, anche perchè non si sa bene cosa fare. Del resto cosa si dovrebbe fare? Costruirsi un bunker? Cominciare ad accumulare riserve di cibo?

In breve il nostro alibi è questo: poichè non si sa quando sarà, come avverrà e che conseguenze avrà - nel frattempo continuo con la mia vita attuale.

Bisogna ammettere che la nostra mente e tutta la nostra essenza - in particolare per noi che siamo occidentali e dunque temiamo la morte più di ogni altra cosa - non può accettare l'idea di un cambiamento troppo grosso. Figuriamoci dell'estinzione della vita umana. In molti lo affermano, ma lo rimandano alla fine del secolo. E' quasi impossibile accettare che il collasso dell'economia potrebbe anche accadere nei prossimi anni o addirittura mesi.

In realtà è proprio questo il tema di cui volevo parlare: collasso economico. Parlare di collasso senza parlare di come l'economia in ultima istanza ne sarà affetta, è parlare di nulla. E' come dire che una casa sta crollando senza sapere dove sono le crepe (il che significa che non si può neanche essere davvero certi che stia crollando, se ne ha solo un sentore).

Come crollerà l'economia? Per Effetto domino - ecco qual è la risposta che otteniamo se vogliamo guardare in fondo alla tana. Fino adesso il dibattito si è focalizzato sul picco del petrolio e sulle dinamiche ad esso inerenti: come varierà la domanda e l'offerta con l'aumentare dei costi di estrazione?

La nostra mente è portata a pensare che vi sarà un lento declino o magari una stagnazione secolare... sebbene "qualcuno" da un pò di tempo ci inviti a pensare che non sarà così. Sto parlando ovviamente dell'Effetto Seneca: il declino sarà molto più rapido della crescita. Ma, ancora, come sarà questo declino?

Si parlava del Grande Rollover che dovrà accadere quando "l'offerta non sarà più in grado di sostenere la domanda" perchè avremo raggiunto il picco massimo della produzione. Bene, ma cosa accadrà esattamente? Qualcuno è in grado di dirlo?

Vorrei parlare di David Korowicz - ancora sconosciuto in Italia - come dell'unico (che io conosca) che è entrato da scienziato nei meccanismi economici specifici che porteranno la società contemporanea alla rovina.

Immagine correlata

Ritengo che Trade-Off: Financial system supply-chain cross contagion - a study in global systemic collapse sia uno dei lavori più illuminanti e importanti che ci siano su questo tema.

 Vi sarà un punto, un Tipping Point (altro testo di Korowicz) superato il quale cominceranno degli effetti a catena? Qui sotto ho riprodotto lo schema di Korowicz traducendo in italiano i riquadri.

Risultati immagini per david korowicz trade off


Korowicz considera il "declino nella produzione di petrolio a buon mercato" come l'innesco di una reazione a catena che porta al crollo dell'economia - un'economia, la nostra totalmente irresiliente vale a dire completamente integrata e interdipendente nelle sue parti. Il grande problema infatti è la mancanza assoluta di Resilienza del sistema economico, concepito com'è allo scopo di centralizzare il potere invece che modulandolo e decentralizzandolo.

Con il declino del petrolio comincia una spirale deflattiva (frecce rosse) di "declino delle attività economiche" fino a che quelli che chiama "keyston-hub", i pilastri-chiave che reggono il super-sistema, escono dal loro equilibrio. Ne elenca 7, di cui il principale è il sistema bancario e monetario che agisce nella nostra società come una infrastruttura invisibile ma che governa tutte le cose.

Tale spirale deflattiva (diminuzione generale dei prezzi) porta a ciò che si chiama feedback positivo o circolo vizioso in cui il primo mutamento genera delle strutture che lo alimentano sempre di più.

Parlando più semplicemente, ciò che ci possiamo aspettare innanzitutto, è che l'effetto del picco della produzione globale di petrolio sarà il fallimento di quelle aziende e corporations che incorporano il prezzo al barile nelle loro merci (per esempio quelle che dipendono dal trasporto su gomma).

Una volta generato il contagio, questo si espanderà sino ad infettare una serie di altri settori che dipendevano dai primi e così via fino alla destabilizzazione di tutti i pilastri su cui si regge la nostra economia (basta pensare alle catene di produzione e distribuzione del cibo). Questa infatti, nella forma che conosciamo, si regge su di un flusso continuo sempre crescente di energia che può essere fornito solo estraendo e raffinando ogni anno una quantità di fossili maggiori del precedente. Questo è ciò che vuole la crescita economica.

graph of world energy consumption by energy source, as explained in the article text

E' fondamentale comprendere che la "fiducia" nella nostra organizzazione sociale basata sul denaro, si basa sulla disponibilità (illimitata) di energia. Quando questa comincia a declinare (e gli economisti non riescono a capirlo) comincia ad influenzare le attività economiche, che entrano in fase di recessione, fino a che, più gravemente, comincia anche a diminuire la domanda di energia e di beni, ed è proprio questo a far precipitare la situazione.

E poi? quando i fallimenti cominciano ad espandersi? E' probabile che ci potremo aspettare fenomeni di bank-run, corsa agli sportelli, ognuno a ritirare in fretta i propri risparmi, così aggravando ancora di più la crisi e accelerando il circolo vizioso. Se questo processo si spingerà fino alle ultime conseguenze - e non sembrano affatto esserci vie di mezzo dato che non vi è resilienza del sistema, non c'è una sorta di generatore ausiliario che si possa accendere per fare andare ancora il sistema - dobbiamo aspettarci l'annullamento del valore del denaro. Il denaro non avrà più valore: ecco il grande problema. Da qui le immani conseguenze del collasso. 




venerdì 10 agosto 2018

Le Regole del Blog di Cassandra




Allora, mi sa che i commenti a questo blog abbiano preso una certa china che non va per niente bene. Capisco che siamo tutti stressati, che abbiamo bisogno di sfogarci ogni tanto, che le cose sono difficili. Bene, però mi sembra il caso di non peggiorare, quantomeno.

Fino ad oggi, mi sono limitato a eliminare lo spam e anche i commenti esplicitamente offensivi. Ora, mi sembra il caso di intervenire in modo un tantino più - diciamo - "pro-attivo." Ovvero, da ora in poi, non saranno passati i seguenti commenti (se non nel caso siano selezionati come cattivi esempi da additare al generale ludibrio).

1. Commenti gratuitamente offensivi nei riguardi di altri commentatori o persone comunque identificate o identificabili.

2. Commenti ripetitivi, insistenti, rognosi, polemici e batti e ribatti, e ho ragione io, ed è perchè ho ragione io, e com'è che non ve ne accorgete?

5. Commenti razzisti, biologicamente, culturalmente, o ideologicamente che siano.

4. Commenti complottisti vari, in particolare saranno eliminati con una certa soddisfazione tutti quelli che parlano di complotti catto-comunisti per sostituire la popolazione europea con più controllabili masse islamiche, come pure quelli che parlano di un complotto delle elite o della chiesa cattolica e del papa per nascondere il problema della sovrappopolazione.

5. In compenso, si accettano volentieri i commenti dei Troll Russi, casomai arrivassero. Si accettano anche poemi in endecasillabi e rime baciate, haiku in stile giapponese, e messaggi da pianeti alieni.
 

Ah.... non saranno passate nemmeno lamentele a proposito delle regole di cui sopra. 


sabato 4 agosto 2018

Perché, in pochi anni, nessuno parlerà più di cambiamento climatico

Nota: questo testo è tradotto usando "google-translate" per cui risulta un po' legnoso, anche se comprensibile.

Nel libro " I volenterosi carnefici di Hitler " (1996) di Daniel Goldhagen sostiene che i tedeschi non potevano non sapere che il loro governo stava sterminando gli ebrei e altri gruppi etnici. Ma è anche possibile che la maggior parte dei tedeschi siano stati tratti in inganno dalla tecnica di "inganno per omissione" giocato su di loro. Si tratta di una potente tecnologia di gestione della percezione che il governo Trump ha iniziato a utilizzare in settori quali il cambiamento climatico. E sembra funzionare.

di Ugo Bardi (da "Cassandra's Legacy")

Immaginatevi di essere un cittadino tedesco che vive nei primi anni 1940. Potevate sapere che il governo tedesco era impegnato nello sterminio di milioni di ebrei e di altri gruppi etnici? La questione è controversa: un'interpretazione è che i tedeschi non potevano non essere a conoscenza di quello che stava succedendo. Ma, è anche vero che lo sterminio è stato mai menzionato dai media tedeschi. I cittadini tedeschi comuni avrebbero potuto essere consapevoli del fatto che gli ebrei venivano maltrattati, ma non avevano modo di sapere l' entità di quello che stava succedendo. Nella cacofonia di notizie sulla guerra in corso, la questione degli ebrei non è mai diventata qualcosa di veramente importante. Qualcosa di simile è accaduto in Italia con la sconfitta dell'esercito italiano in Russia nel 1943. Il disastro non è stato mai menzionato nei media e non ha giocato un ruolo nella percezione pubblica di quello che stava succedendo.

Le tecniche di propaganda usate in Germania e in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale erano ancora primitive, ma erano comunque efficaci nel campo che chiamiamo oggi "gestione della percezione". La tecnica di negare informazioni si chiama "inganno per omissione". Una buona descrizione è riportata da Carlo Kopp .
Un prerequisito per Deception per omissione è che la vittima abbia scarsa conoscenza a priori o nessuna conoscenza a priori o di comprensione di ciò che l'attaccante sta presentando come un'immagine della realtà. Un'errata percezione della realtà favorevole per l'attaccante può essere impiantata se la vittima può essere indotta a formare un quadro della realtà basata solo su ciò che l'attaccante presenta. ..  L'inganno per  omissione è una tecnica molto popolare nel marketing di un prodotto commerciale e marketing politico in quanto permette attacchi senza ricorrere a rendere dichiarazioni mendaci dimostrabilmente. .. L'inganno per omissione ha spesso successo a causa di pigrizia o incompetenza da parte di una popolazione vittima.
Kopp rileva inoltre come l'inganno per omissione è spesso accoppiato con altri due tecniche note come "inganno per saturazione" (saturano il bersaglio con informazioni irrilevanti) e "inganno da Spin" (presentazione di informazioni corrette, ma favorevoli ad un'interpretazione specifica) .

Ora vediamo come la tecnica funziona nel nostro tempo. Iniziamo con un esempio: sicuramente saprete che il governo americano è impegnato in un programma di "omicidi mirati" Le operazioni vengono eseguite principalmente utilizzando droni assassini. Quante persone vengono uccise? I dati parlano di centinaia - al massimo migliaia - di vittime all'anno, ma sono dati accurati? Provengono da fonti che già ci hanno palesemente truffati e non abbiamo fonti indipendenti. Attenzione, non sto dicendo che le vittime potrebbero essere milioni di persone, come lo erano in Germania durante la seconda guerra mondiale. E' solo che non abbiamo idea. Sappiamo che un certo numero di persone vengono uccise, ma non sappiamo quanti e, a causa dello tsunami delle notizie che riceviamo ogni giorno, tendiamo a pensare che questo è solo un problema marginale.

La cosa interessante, qui, è come il pubblico percepisce le guerre dei droni. qui ci sono alcuni risultati di Google Trends.

Vedete come l'interesse del pubblico, misurato in termini di ricerche sul Web, ha raggiunto il picco intorno al 2013, per declinare dopo. Non ci sono prove che il numero di attacchi di droni sia diminuito, al contrario, ci sono suggerimenti che sono aumentati sotto l'amministrazione Trump. Così, un'interpretazione ragionevole è che l'interesse è in declino perché i media menzionano gli omicidi mirati meno frequentemente.

Non v'è alcun modo semplice per misurare la copertura stampa di un evento o di una serie di eventi specifici, ma possiamo usare le tendenze di Google per una misurazione indiretta. Ecco lo stesso termine, "Drone kills" in termini di click nella sezione "News" del motore di ricerca Google.



Possiamo ragionevolmente supporre che ogni picco nel grafico è causato da notizie apparse sui media che, a loro volta, hanno fatto si che la gente ne cercasse ancora. Così, sembra che i media siano diventati molto silenziosi, ultimamente, sugli omicidi mirati. Ancora, notate che non sto dicendo che il governo degli Stati Uniti controlla i mezzi di comunicazione nello stesso modo come il governo nazista lo faceva durante la seconda guerra mondiale. Ma il governo degli Stati Uniti può controllare la fonte della notizia. Se il governo non fornisce notizie su qualcosa (o fornisce solo notizie scarse) poi i giornalisti hanno poco da mostrare al pubblico. Se il soggetto non appare spesso sui media, il pubblico perde interesse in essa. E se il pubblico perde interesse in qualcosa, i giornalisti sono ancora meno motivati ​​a scrivere su di esso. Si tratta di un ciclo di feedback:

Vediamo ora come lo stesso meccanismo potrebbe essere al lavoro nel caso del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici. Prima di tutto, ecco alcuni risultati di Google Trends.

Qui, non vediamo lo stesso evidente calo di interesse che abbiamo visto per il caso di "drone kills," ma sembra ragionevole dire che c'è stato un calo rilevabile durante lo scorso anno o giù di lì (si noti che il picco del 2017 corrisponde all'annuncio di Trump che gli Stati Uniti si sarebbero ritirati dal trattato di Parigi del clima). Questa interpretazione può essere confermata dal più recente sondaggio Gallup. Anche in questo caso, la tendenza al calo è ancora incerta, ma sembra di esserci. Nel mese di marzo 2018, gli americani erano meno convinti che il cambiamento climatico è una minaccia di quanto non fossero nel 2017.


Altri dati del sondaggio stesso indicare che il cambiamento è principalmente causato da una diminuzione del numero di persone "interessate", mentre la frazione di scettici e disinteressati rimane circa la stessa.

Allora, che cosa sta succedendo? La spiegazione più probabile è che è il risultato della gestione Trump di tecniche di inganno per omissione. Non v'è dubbio che Trump sta imbavagliando gli scienziati e le agenzie scientifiche sono forzate a tacere: Trump stesso ha taciuto sui cambiamenti climatici, nonostante i suoi molti tweets. Da nessuna parte, la strategia dell'amministrazione è più chiara che con la storia della "squadra blu/squadra rossa," il dibattito sul clima proposto dal ex amministratore dell'EPA, Scott Pruitt. L'idea è stata subito bocciata dall'amministrazione, correttamente se vista nel quadro di una strategia di inganno da omissione. Se ci fosse stato un tale dibattito, non importa quale parte avrebbe potuto dare l'impressione di essere nel giusto, il pubblico avrebbe percepito il cambiamento climatico come una questione importante.

Ora, naturalmente, quando si parla di queste cose uno rischia sempre di essere bollato come un cospirazionista e ignorato. Ma non dobbiamo pensare che alcune persone si siano riunite in una stanza segreta per pianificare cose oscure e terribili contro di noi. E' solo che ignorare i cambiamenti climatici è nell'interesse di diversi settori della società. Le élite attuali o non credono che il cambiamento climatico sia un problema serio o, se lo credono, hanno deciso che la loro migliore strategia è di lavorare per salvare se stessi, lasciando che il resto di noi muoia di fame, affoghi, o bruci (io lo chiamo l' effetto di Kiribati). Poi, per molte lobby industriali, agire contro i cambiamenti climatici significa perdere denaro. In tutti i casi, la strategia logica per loro è quella di ignorare il problema - almeno in pubblico. E il governo americano sta semplicemente utilizzando tecniche che sa usare e che ha usato in passato.

Non è nemmeno così difficile da ingannare il pubblico sui cambiamenti climatici. Siamo tutti sottoposti alla  "fatica da catastrofe" e la maggior parte delle persone non sono in grado di mantenere la loro attenzione su qualcosa che cambia lentamente nel corso degli anni. E siamo tutti sensibili all'inganno per omissione. Il risultato dell'azione combinata del governo e di questo atteggiamento comune è un "feedback killer palpabile" per tutte le novità per quanto riguarda il cambiamento climatico. Odio citare il blog abominevole di Anthony Watts, ma ha correttamente osservato la tendenza. E anche il blog anti-scienza di Watts è stato colpito dagli effetti dell'inganno per omissione! Si tratta di un rullo compressore di propaganda che spreme via dal dibattito tutto ciò che si occupa di cambiamenti climatici.

Così, è possible che stiamo vedendo un cambiamento epocale nella percezione pubblica dei cambiamenti climatici. La fine del mondo diventerà una notizia vecchia, come osservato da David Wallace-West. Qualche speranza di evitarlo? Non è facile: è una battaglia quasi impossibile da combattere contro le forze combinate del governo, le lobby industriali, e di apatia del pubblico. Per lo meno, dobbiamo renderci conto che c'è il rischio serio di perderla. Ovvro, potremmo essere di fronte un futuro in cui il concetto stesso di "scienza del clima" diventerà lo zimbello di tutti (vi ricordate quello che è successo a " I limiti dello sviluppo "?). Sarà un epocale sconfitta per la scienza .

Certo, la negazione del cambiamento climatico sta avvenendo in un contesto di aumento delle temperature e dei disastri climatici associati - eventi che sembrano essere difficili da ignorare. Ma, in pratica, vengono ignorati. Di cosa avremmo bisogno per spingere le persone fuori dalla loro apatia? Incendi giganti? Li stiamo avendo. Ondate di caldo cocente? Eccoli qua. La siccità? Certo  Nessuno di questi eventi sta avendo un impatto significativo sulle opinioni del pubblico sul clima. Immaginiamo che, in pochi anni, potessimo vedere l'Oceano Artico privo di ghiaccio in estate. Potete immaginare la reazione? Ho-hum, sì, l'Oceano Artico era libero da milioni di ghiaccio di anni fa. Il clima cambia sempre, non lo sapevi?

Stiamo giocando, a quanto pare, con una versione stile giorno del giudizio della storia di Riccioli d'oro e dei tre orsi. Una catastrofe climatica che è troppo piccola non avrà alcun effetto sulle opinioni della gente, ma se è troppo grande sarà tardi per evitare un disastroso Dirupo di Seneca per l'intera civiltà umana. Avremmo bisogno di una catastrofe di dimensioni "giuste"- ma è quantomeno improbabile che il clima della Terra ce la fornirà gentilmente.

Per lo meno, dovremmo riconoscere che abbiamo fatto qualcosa di sbagliato in termini di gestione della percezione pubblica dei cambiamenti climatici. E a questo punto, abbiamo bisogno di una sorta di "piano B".  Suggerimenti?




Nota aggiunta dopo la pubblicazione: chiaramente, io non sono l'unico a notare questa tendenza al ribasso (le uniche persone totalmente che sembrano totalmente mancare il punto sono i pomposi scienziati del clima). Due esempi "Il cambiamento climatico è il suo corso" di Tyler Durden, citando Steven Hayward (h / t Peter Speight)   " il cambiamento climatico non è la principael preoccupazione"- Ancora una volta il solito blog abominevole, ma non sono stupidi.