mercoledì 27 dicembre 2017

Blog: Abbiamo Sbagliato Tutto? (Una mela che costa un'iradiddio)




Qui sopra, vedete una foto che ho fatto in questi giorni di un prodotto in vendita in un negozio vicino a casa mia. Sono circa 10 fettine di mela essiccate dentro un barattolo di plastica trasparente per un peso netto di 30 g. Il prezzo lo vedete sull'etichetta, Eur 3,50.

Scusate se ho fatto uno smudge sul nome del prodotto. In ogni caso, se per caso il produttore ritenesse che il suo prodotto è comunque riconoscibile, mi affretto a dire che questo post non deve essere visto come una critica alla bontà del prodotto stesso e neppure inteso a scoraggiare i lettori dall'acquistarlo (viviamo nell'era del "disclaimer")

Ciò detto, facciamoci un ragionamento sopra. Dai dati di etichetta vediamo che queste fettine costano quasi 120 Euro/kg. Sono sicuramente mele di altissima qualità (disclaimer), ma mi sa che forse queste fettine di mela sono un po care considerando che le mele si vendono a meno di 1 Euro/kg al supermercato. Fa venire in mente la barzelletta di Adamo ed Eva, quando una mela costava un'iradiddio.

D'altra parte, è anche vero che ognuno compra quello che gli pare e se vuol comprare delle fettine di mela a 120 euro al chilo, sono scelte sue (dopotutto, per una mela, Adamo ed Eva ci hanno rimesso il loro appezzamento di terra). Quello che veramente non va in questa confezione è il barattolo di plastica. Un caso classico di "iperimballaggio", questo barattolo è un costo non solo per chi lo compra, ma per tutti quanti. Se finisce in un inceneritore diventerà uno di quei gas serra che cerchiamo disperatamente di limitare. Altrimenti, finirà dispersa da qualche parte e andrà lentamente a pezzi che poi potrebbero finire nella catena alimentare e da lì nei nostri piatti. O magari finirà ad aumentare le dimensioni della grande "isola della plastica" nel mezzo dell'oceano.

Tutte queste cose sono ben note, ciononostante nessuna legge regola la vendita di questi prodotti iperimballati. E questo è uno solo dei tantissimi casi di follia in cui si continuano a produrre cose del tutto inutili, costose, inquinanti, e che fanno danno a tutti.

E allora com'è che stiamo dicendo queste cose da anni e nessuno muove un dito in pratica? Serve a qualcosa tenere un blog come "Effetto Cassandra" dove un gruppo di brave persone (Corna,  Migliorino, Molfese, Simonetta, Rupalti, e tanti altri) fanno del loro meglio per raccontare cose che ritengono utili per vivere meglio e fare meno danni? Come sta che il dibattito sui media è su tutto, salvo che sulle cose veramente importanti (ovvero, quelle che ci fanno vivere)?

Queste sono domande per i lettori di "Effetto Cassandra". Cosa ne dite? Vale la pena continuare con questo blog? Con l'Internet che sta diventando sempre di più un triumvirato (Facebook/Google/Amazon) ha ancora senso tenere un blog, o dovremmo pensare a qualche altra forma di comunicazione? E se si, che tipo di comunicazione? E come potremmo essere più efficaci nel muovere qualcosa?

Se avete un minuto, fatevi sentire. I commenti del blog sono riaperti dopo la pausa di riflessione.




sabato 23 dicembre 2017

Piccola Storia Natalizia





Questa non è proprio una storia natalizia, ma ha qualche caratteristica di un'"operetta morale" che la rende proponibile come tale. L'autrice, Elena Corna, ha una notevole capacità di vedere il mondo da punti di vista diversi, anche non umani. Per esempio, un racconto precedente, è scritto dal punto di vista dei batteri, mentre qui sono i cani a parlare. E' una capacità di cui avremmo molto bisogno - mettersi nei panni (o magari, "nel pelo") delle creature che ci circondano. Sarebbe il modo di evitare di distruggere l'ecosistema e, nel process, noi stessi. Ma non sembra che molti di noi siano in grado di vedere il mondo con occhi diversi da quelli dell' "homo economicus" che non trova nessun valore in un animale vivo, soltanto in uno ucciso e servito in tavola. (UB)


DIALOGO FRA IL CANE COLTO E IL GIOVANE CANE
(…una aspirante operetta morale)

di Elena Corna


Il cane colto: “ Sniff… Sento odore di tristezza. Perchè queste orecchie basse? “

Il giovane cane: “ Pensavo…Pensavo a cosa successe quando il cane incontrò l’uomo…”

Il colto : “ Non per essere pignolo, ma il titolo giusto è L’uomo incontrò il cane …Grande uomo, l’autore; una sensibilità quasi canina…Comunque l’uomo, se vuoi saperlo, incontrò il cane e grazie a lui divenne un cacciatore migliore, un pastore migliore, un cercatore migliore…Avrei voluto vederlo, l’uomo, a cavarsela senza il cane!”

Il giovane: “Lo so questo, ma intendevo il contrario: il cane incontrò l’uomo e cosa divenne?”

Il colto : “Oh bella, lo sanno tutti. Divenne,come si suol dire, il miglior amico dell’uomo!”

Il giovane : “E allora perché si suol dire anche solo come un cane? Cosa rappresentiamo noi? Amicizia o solitudine?”

Il colto : “Già, si contraddicono un po’… Comunque direi amicizia, senza dubbio! Gli umani infatti dicono fedele come un cane.”

Il giovane : “ Sì, ma dicono anche “cane infedele”! L’ho sentito in un sacco di film. Perché? E perché ci associano con l’idea del freddo e del gelo? Fa un freddo cane,dicono!”

Il colto : “Beh, ma ci associano anche con l’idea del caldo. La felicità è un piccolo cane caldo, dicono sempre nei fumetti di Charlie Brown. Certo,ora che ci faccio caso, gli umani sono un po’ incoerenti…Dev’essere perché non sanno mettere d’accordo quei due emisferi del loro cervello…Non ci pensare…”

Il giovane : “Ma io sto a disagio! Mi trattengo anche dall’abbaiare alla luna, perché gli umani dicono sempre canta come un cane:..”

Il colto : “Vedi? Non sanno quel che dicono. I primi can-tanti siamo stati noi cani, si sa. Guarda le parole: “cane” e “cantare” hanno la stessa etimologia. Infatti, quando un antico romano chiedeva a un altro antico romano di cantare, che gli diceva? -Cane!- , gli diceva.* Questo è latino, piccolo, mica robetta.”

Il giovane : “Sarà…Fatto sta che se gli uccelli, o addirittura i ranocchi, strepitano tutti insieme, lo chiamano concerto. Se lo facciamo noi cani, lo chiamano cagnara. Ma la cosa che mi spaventa di più non te l’ho detta ancora…E’ così terribile che mi fa paura pensarci…Perché dicono l’ha ucciso come un cane, ti ucciderò come un cane, eccetera? Dimmi: com’è che uccidono i cani?”

Il colto : “Ah, questo te lo so spiegare. Vedi, è un modo di dire antico, di quando gli uomini erano più come noi animali, e quindi non uccidevano facilmente i propri simili. Perciò “ti ucciderò come un cane” significava “come se tu fossi tutt’altro che un mio simile. Mi segui?”

Il giovane : “Come un cane poliziotto. E quindi?”

Il colto : “E poi gli umani hanno imparato a farsi fuori fra loro nei modi più impensabili (impensabili per noi animali, intendo): si bombardano, si avvelenano, si torturano…Non esistono modi peggiori di uccidere che quelli che usano anche per sé, perciò stai tranquillo. Noi cani di città, poi, moriremo di vecchiaia…”

Il giovane : (con un sospiro di sollievo)“Meno male! Ma, vedi, non è solo la morte che mi preoccupa! E’ la vita! Perché si dice giornata da cani, o vita da cani? Perché?”

Il colto : “Perché gli umani fanno fare a molti cani una vita da cani, ecco perché! Cioè, gli fanno fare tutto quelle cose che non hanno voglia di fare loro: recuperare chi si perde in montagna, fiutare la droga, guidare i loro simili che non ci vedono..”

Il giovane: (con aria pensierosa)“Ma…se gli umani sono così tremendi, com’è che siamo diventati loro amici ?”

Il colto : “Che ti devo dire? Però, di’ la verità: vedere un umano che si abbassa per raccattare i tuoi escrementi dà una certa soddisfazione, non trovi?” Il colto sorride sotto i baffi.

Il giovane “ Ecco…C’è un’ultima cosa che mi angoscia…Non te l’avrei chiesto, è una cosa un po’…personale, ma, di già che hai parlato di escrementi…” Guaisce .

Il colto : “Spara, piccolo.”

Il giovane : “Ecco. Mi sento inibito….”

Il colto agita una zampa in segno di noncuranza.

Il giovane “No, aspetta, non per il fatto di cantare…E’ che gli umani dicono sempre, quando qualcosa fa schifo, che è fatta a cazzo di cane. Allora io non oso nemmeno tirarlo fuori, che so, per dargli una leccatina, capisci? Ma…è davvero così brutto?”

Il colto (ridendo):”Ah, questo è facile! “ Il colto abbassa la voce: “ E’ tutta invidia. Ma l’hai visto, il loro? Tutto grinzoso e penzoloni, con quella specie di pelo ispido! E’ così brutto che lo tengono sempre nascosto. Anche al mare, stanno tutti nudi ma quello lo tengono dentro a un “costume” fatto apposta. Gli piacerebbe, averlo come noi!” 

Il colto avvicina il muso a quello del giovane:” Pensa che nemmeno le femmine della loro specie lo trovano bello. Poveretti…”

Il giovane appoggia il muso alle zampe con aria sollevata.

Il colto : “Ti senti meglio ora?”

Il giovane : “Non sai quanto! Però… a proposito di femmine, com’è che quando vogliono parlar male di una donna dicono che è una cagna? Il mio umano non dice mai alla sua fidanzata cagnolina mia, però la chiama gattina, topolina…Come se poi sapesse qualcosa del comportamento sociale delle tope!”

Il colto : “Boh, questo è davvero incomprensibile. E poi, mi risulta che le tope sono più facili delle cagne. Le nostre femmine non la danno mica a tutti! Ecco, ad esempio: vedi la barboncina che sta passando? “ Sospira. “Eh, l’ho corteggiata, ma mi ringhiava sempre…”

Il giovane : “Eh, sì, è proprio carina…”

Il colto : “E allora smettila di pensare agli umani e vai! Sei un bel cane giovane, buttati!”

Il giovane : “Magari…Però non la lasciano mai sola, la fanno uscire poco…”

Il colto : “Ecco, lo vedi che gli umani non sono molto intelligenti! La vedono mogia e che fanno? La portano dallo psicanalista per cani! Quella avrebbe solo bisogno della compagnia di cani come noi, te lo dico io! ” Sorride.

Il giovane : “Ma davvero? La portano da un umano psicanalista? Mi dispiace per lei… Ma dimmi: la cura sta funzionando, almeno?”

Il colto : “ No che non funziona. Ne sono sicuro perché ieri ho sentito i suoi umani che dicevano: -Certo che quello psicanalista è proprio un cane!“




* “Cane” è l’imperativo del verbo cànere, che significava, appunto, cantare.












mercoledì 20 dicembre 2017

Il dilemma del campeggiatore



Immaginiamo di affrontare un orso in mezzo a una foresta, insieme a un amico. Siete entrambi disarmati e l'orso può correre più velocemente di voi. Qual è la strategia migliore, cooperare o tradire? Potrei chiamare questa situazione il "dilemma del campeggiatore", in analogia con il ben noto "dilemma del prigioniero"



Tu e un amico siete accampati in una foresta abitata da orsi affamati.Immaginate che per qualche motivo avete perso il contatto con il mondo civile e che dovete cavarvela da soli per tornare a casa. Siete entrambi disarmati e gli orsi possono facilmente uccidervi. Qual è la migliore strategia per sopravvivere? Ecco alcune considerazioni sul "Dilemma del Campeggiatore" in base al livello di pericolo.

1. Il pericolo è basso: collaborazione. Sai che ci sono gli orsi nella foresta, ma non hai alcuna prova che ce ne sia uno vicino. Tu e il tuo amico siete d'accordo sul fatto che dovreste cooperare per fare il meno rumore possibile, non lasciare residui di cibo, non dare prova della vostra presenza.

2. Il pericolo è elevato: inganno. Hai visto l'orso e l'orso ti ha visto, ma il tuo amico non lo ha visto. Non dici al tuo amico quello che hai visto, anzi neghi di aver visto un orso in giro. Alla prima occasione, dici al tuo amico che farai una breve passeggiata nella foresta, alla ricerca di frutti di bosco, mentre lui dovrà occuparsi del campo fino che non torni. Appena si è fuori dalla vista, cominci correre il più velocemente possibile, lasciando l'amico ad affrontare l'orso, da solo.

3. Il pericolo è immediato: emergenza. L'orso improvvisamente appare davanti a voi, attaccando. Non c'è che lottare disperatamente per sconfiggerlo.


Probabilmente conoscete una storia abbastanza diffusa sul Web con il titolo "i due campeggiatori e l'orso." Viene raccontata in uno stile fra il serio e il faceto e si conclude con uno dei due campeggiatori che dice all'altro "ma cosa ti allacci le scarpe a fare? L'orso corre più velocemente di noi." E l'altro gli risponde "Si, ma a me basta correre più velocemente di te!" Questa storia è stata una delle fonti di ispirazione per questo post. 

L'altra storia che ha ispirato questo post è il "Dilemma del Prigioniero". È un gioco operazionale in cui ognuno dei due giocatori deve scegliere se collaborare o tradire l'altro, senza sapere quale strategia l'altro sceglierà. Il tradimento porta un vantaggio a uno dei giocatori solo se l'altro giocatore coopera. Se entrambi tradiscono, entrambi soffrono pesanti penalità. 

Il dilemma del prigioniero è stata analizzata in profondità e il risultato è che non ha una strategia ottimale; Gli studi empirici hanno dimostrato che la strategia semplice chiamata "tit per tat" è quella che si comporta meglio nel lungo periodo, ma non c'è garanzia che funzionerà sempre. Quindi, il gioco del prigioniero riflette bene la complessità e l'imprevedibilità del mondo reale, anche se in forma semplificata.

Il dilemma del campeggiatore, come descritto qui, è molto simile al dilemma del prigioniero, con la differenza che il risultato non è solo una penalità: se perdi la partita, muori. Il dilemma del campeggiatore è anche "graduale" nel senso che la migliore strategia dipende dal livello di pericolo. In una situazione di pericolo basso, entrambi i giocatori possono capire facilmente che la collaborazione è la strategia migliore. Ma, come il pericolo diventa sempre più evidente e immediato, il tradimento comincia a sembrare una strategia migliore.

Non mi sembra (ma posso sbagliare) che i teorici abbiano esaminato questo tipo di gioco, per cui per ora queste considerazioni devono rimanere qualitative. Tuttavia, mi sembrano illuminanti quando applicate alla situazione mondiale attuale, in particolare se pensiamo all'orso come "cambiamento climatico", mentre i campeggiatori sono intere popolazioni o strati sociali.

Ad esempio, il trattato sul clima di Parigi può essere visto come parte di una strategia di collaborazione, ma considerando che si è sempre saputo che non è sufficiente per evitare il disastro climatico, può anche essere visto come parte di uno sforzo di inganno. Allo stesso tempo, alcuni governi hanno preso una posizione più o meno esplicitamente negativa; Per esempio gli Stati Uniti, il Canada e la Russia. Questi governi possono credere che la loro situazione geografica possa permettere loro di sconfiggere l'orso climatico o, comunque, di avere risorse sufficienti per evitare il peggio, almeno per una frazione della loro popolazione. Come ho discusso in un post precedente, è possibile che alcune delle élite planetarie siano già arrivate alla conclusione che l'orso climatico sta arrivando e che per loro la migliore strategia è il tradimento, spostandosi verso nord e lasciando i poveri al loro destino; affogare, morire di fame o, al limite, finire bolliti vivi .

Naturalmente, questa interpretazione non può essere dimostrata e potrebbe essere sbagliata. È anche vero che c'è ancora spazio per una strategia collaborativa che potrebbe risolvere il problema climatico attraverso una rapida transizione energetica. Tuttavia, il gioco del dilemma del campeggiatore offre una prospettiva della situazione attuale che non darei come impossibile, e nemmeno improbabile. .

Nota: questo post è stato ispirato da una storia raccontata da Filippo Musumeci, pubblicata in italiano sul blog "Effetto Risorse"

giovedì 14 dicembre 2017

Disoccupazione, Lavoro e Reddito



Un post di Gianni Gatti
da "Parole Libere" per gentile concessione dell'autore


Le rivoluzioni di trasformazione sociale sono almeno tre : 1) dell’agricoltura intensiva, 2) il passaggio alla prima rivoluzione industriale e la manifattura (con elettricità e lavorazioni in serie , 3) la trasformazione da industria di massa a tecnologica fatta di elettronica e digitalizzazione dagli anni 70 in poi con accelerazione indotta nel nuovo secolo.

Esaminiamo alcune possibilità reali di interpretazione dell’ultimo periodo, l’attuale :

1) Il premio del trionfo nella classifica delle cause della disoccupazione, sicuramente spetta all’introduzione di tecnologia , aspetti materiali che negli ultimi cento anni a velocità variabili hanno cambiato modi di produzione dall’agricoltura al manifatturiero (dove l’Italia era uno dei top ten al mondo), all’artigianato, alla comunicazione , ai trasporti , ecc . Non mi pare il caso di spiegare perchè , ma per chi vuole approfondire consiglio “La fine del lavoro” di Jeremy Rifkin , scritto nel 1995 come economista ricercatore negli USA , ma con una preveggenza di analisi davvero sconcertante , come laboratorio del sistema economico-sociale .

Questo tecnologizzazione ha davvero creato benessere ed efficienza nel senso di ricaduta anche indotta sulle masse (ovvio non solo in Italia), cioè la tecnologia che all’origine aveva il compito di “alleviare la fatica”, ha davvero raggiunto lo scopo a distanza di tempo ?

Il reddito e la vivibilità sociale generale sia dal punto di vista della P.A., sia dal punto di vista privato, ha avuto effetto positivo sulla vita di tutti con questa, considerata la” terza rivoluzione industriale” ? 

Ovunque si analizzi aspetti di lavoro pubblico o privato, i numeri dicono che è peggiorato il rapporto in quantità e qualità, fra beni prodotti e livello di vita comune e soprattutto non ha implementato l’occupazione che se una volta era direttamente collegata con il diritto ad un reddito certo , costante anche ai livelli bassi, ora non lo è più affatto con la normalità delle varie formule utilizzate di precarietà e provvisorietà . Si consideri la distruzione o il forte impatto ambientale di tante scelte con unico obiettivo di incrementare guadagno considerando l’uso ad es. della chimica nella dinamica dell’agricoltura e degli allevamenti , beni primari attraverso la diffusione di sementi geneticamente modificati insensibili a diserbanti e pesticidi , anzi appositamente previsti per l’esclusività mondiale che comportano . Oppure di allevamenti giganti in batteria di polli , maiali, bovini, ecc , con cariche di ormoni diluiti nel cibo animale per prevenzione infezioni, che si ritrovano poi nella catena alimentare sotto forma di anticorpi ormai immuni ad ogni contrasto di malattia insorgente agli umani

Qualche banale esempio :

negli anni 1920 alla Ford negli Usa , per fare un auto servivano circa 4.500 ore di lavoro. Oggi la media dei grandi stabilimenti automatizzati va da 12 a 20 ore di media. Per l’operaio o impiegato standard da 1.200 euro/mese acquistare un auto significa debito difficile da pagare, oggi come allora con l’aggravante di altri fattori negativi per danni collaterali connessi a questa attività sia ambientali, sia sociali.

Nel 1920 gli addetti all’agricoltura erano dal 15 al 22 % del totale , oggi si parla complessivamente del 4-5 % e qualcosina è cambiato nella produttività dall’aratro ai trattori multiuso moderni … mentre gli aranci e le ciliege rimangono sulle piante perché pagate un nulla , mentre sui banchetti si trovano prodotti di altre nazioni importati. Mentre la Monsanto e proprietari di semi per vendere la loro merda tossica di Glifosato o simili, hanno creato il vuoto della catena del lavoro, in più costruendo sovranità sul prodotto in intere aree del pianeta

Gli anni ’80 hanno rappresentato il boom della comunicazione dove si sono moltiplicati nuovi mestieri . A quel tempo sono nati colossi della carta stampata e dei media (Mediaset, grandi gruppi editoriali, ecc) moltiplicando addetti alle rotative, alla scrittura dei testi , a tutte le procedure necessarie, nel secolo attuale le tecniche digitali e l’eccessiva concorrenza con ulteriore salto di concentrazioni aziendali multidisciplinari hanno ridotto al minimo gli addetti e un trafiletto di un giornalista su uno dei giornali come Repubblica oggi vale meno di un buon pranzo (a parte pochi personaggi legati al sistema politico). Chi ancora lavora nel settore dei media nella comunicazione deve adeguarsi a tenere i piedi in “dieci” scarpe per campare e su più livelli anche internazionali , innescando fenomeni di assoluta obbedienza ai criteri editoriali senza discrimine personale .
Huber la più grande azienda di noleggio trasporti mondiale è senza la proprietà di un solo mezzo meccanico di trasporto, solo un App…che sviluppa algoritmi che a loro volta mettono in relazione persone. Piaccia o no, è già fra di noi in Italia e nel mondo “buttando a mare” intere categorie di tassisti e noleggiatori.

Siamo vicini al momento, come previsione di sviluppo a breve-medio periodo, in cui scompariranno persino grandi magazzini tipo Ikea. La gente da casa sceglierà prodotti da un catalogo sul web e attraverso punti locali nel territorio, i prodotti verranno ricostruiti, resi fruibili e vendibili attraverso stampanti 3D senza grandi costi di trasporto e magazzinaggio con conseguenze ovvie sull’occupazione ulteriore. Chi ha chiaro come si muovono protocolli, regolamenti tecnici e commerciali fra stati sul software e sulle reti di comunicazione sa che i 6 milioni di lavoratori che scompariranno nei prossimi 10 anni non saranno sostituiti se non in minima parte da forme di operai con preparazioni specialistiche elevate che faranno lavori poco remunerativi e ripetitivi . Inoltre chi controlla i passaggi strutturali di dipendenza delle reti e dei server controlla tutta una catena di conseguenze sociali come vertice della catena operativa degli scambi , delle produzioni e sono accordi politici fra paesi che li decidono.

2 ) Un altro aspetto che ha indotto sicuramente un incremento della disoccupazione, anche se più composito, è la mancanza di infrastrutture e la burocrazia frenante della P.A. , ma non solo. Pensiamo a quante aziende de-localizzano perché non riescono ad abbassare costi di produzione per il livello di tassazione , per la mancanza di reti di comunicazione decenti compreso il trasporto delle merci prodotte , per la mancata applicazione di un vero sistema di supporto al business, per la burocratizzazione tecnica soffocante nei legami politici , alla mancanza di strutture rivolte sia al commercio sia alle fondamentali produzioni in agricoltura e industria .

Difendere il Made in Italy (come per ogni paese) è gridare alla luna !

Ogni merce nata per essere diffusa nel mondo deve avere servizi infrastrutturali complessivi adeguati o cessa di essere competitiva e data la velocità di evoluzione della finanza e del commercio scompaiono altrettanto in tempi brevi.

3 ) l’accesso al credito ha strozzato centinaia di aziende dopo un periodo di “rilascio incontrollato” e produzioni pur con buon mercato non hanno retto alla sfida globale . Le banche facevano affari con la finanza e mescolando titoli tossici e raccolta commerciale hanno creato il vuoto pneumatico attorno soprattutto alle piccole, medie imprese che hanno chiuso in quantità . Pensiamo a quante aziende sane produttive che si sono quotate in borsa per cavalcare il momento che pareva oro e si sono trovate coinvolte in speculazioni che l’hanno messa in ginocchio . Anche con recente formazione in categorie di punta (aerospaziale, ecc), ed ora devono licenziare addetti pur con mercato fiorente davanti ,ma senza liquidità evaporata in titoli tossici o altro similare .

4 ) per assurdo la scuola con la parte “alta” legata alle università e al mondo del lavoro dove la ricerca in altri paesi era fattore di crescita è stata spenta pian piano , impedendo soprattutto nel periodo recente di affiancare altri paesi dove università ed impresa marciano in sintonia. Tutti vediamo il livello di basso “servizio” assegnato alla maggioranza di università e poli di ricerca pubblica , con tagli agli incentivi ed alle ricerche proprio per mancanza di progettazione e finalizzazione delle poche risorse . La fuga dei “cervelli” dei giovani i cui genitori si indebitano per dare loro un futuro , ma la cui unica chance post laurea è emigrare in paesi con ancora offerta di lavoro per sopravvivenza , cioè situazioni in cui le spese le facciamo in Italia e i risultati si concretizzano altrove in un crescendo di dipendenza e sfruttamento globale .

5) la disoccupazione è stata favorita ( o non contrastata negli effetti , vedi art. 18 abolito, job act, legge di stabilità, ecc) da una quota importante del sindacato che non ha detto un amen (salvo rari casi) in quanto il principio guida era : difendiamo il lavoro, pazienza per le condizioni , la sicurezza e la quantità degli occupati . Dal caso Ilva in poi hanno fatto scuola esempi di drenaggio soldi pubblici a favore di privati , con rovina colossale dell’ambiente ed espulsione calcolata di migliaia di persone dal ciclo produttivo oltre a disastri ambientali distruttivi permanenti .Risultato niente lavoro e niente reddito.

Se diamo lettura alle banali nude cifre oggi nel nostro paese (ma non solo) il 10-12 % delle persone ha la proprietà del 75% di tutti i beni materiali come risultato dello “sviluppo” degli ultimi dieci anni!

Mentre autorevoli centri universitari nelle loro ricerche sociali prevedono che nei prossimi 10 anni circa sei milioni di posti di lavoro SPARIRANNO !

Qui non c’è una morale da ricavare ma soluzioni da trovare .

Vivere giorno per giorno facendo come gli struzzi con la testa nella sabbia e gloriandosi di pochi posti di lavoro ottenuti in qualche settore , deve farci porre la domanda : cosa succederà a monte ed anche a valle di quei posti ? Cosa rappresenta il valore intrinseco del significato sociale che vi è dietro a certi investimenti in grandi opere ? Penso per stare in zona di Sv , alla presentazione come trionfo dei governanti locali e del sindacato l’annuncio di 450 posti circa, nella gestione al termine della costruzione della piattaforma Maersk a Vado L. (con investimento di circa 400 milioni di euro pubblici dati a concessionari privati) su cui è assolutamente il caso di riflettere.

Non c’è una visione di prospettiva nel far opere pagate con soldi pubblici che consegniamo a privati (caso Maersk appunto) per loro business per far arrivare commesse di merci a basso costo dalla Cina (Cosco) e frutta dai paesi del Nord Africa e non solo . Nel migliore dei casi distruggeranno commercio e produzioni autoctone , al di là del senso delle grandi opere spacciate per utili , mentre quelle davvero di difesa del Made in Italy, del dissesto idrogeologico non trovano un cent di impegno concreto.

Atti decisi da chi ci governa nelle varie istituzioni nel migliore dei casi sono atti di stupida indifferenza , di mancanza di progettualità ad una situazione dove le poche risorse investite creano benessere per pochi e danneggiano la maggioranza, dove il vantaggio del business è solamente di chi le esegue materialmente e pazienza se non sono integrate e utili, però sempre in modo non evidente . 

Le cause della mancanza di lavoro-reddito ci fanno credere siano tutte da addebitare alla crisi finanziaria , che invece ne è solo parzialmente causa , mentre c’è un sistema globale, di cui la finanziarizzazione è parte , pur con differenze di territori nel mondo. Questo fatto è un po’ coltivato ed un po’ va per conto suo e si sviluppa in autonomia …se non cambiano dei paradigmi a monte

Questa quarta rivoluzione tecnologica e finanziaria, aggressiva nelle dimensioni globali di commercio, ha l’effetto dirompente dell’espulsione di milioni di persone dal ciclo produttivo e quindi dall’accesso ai beni primari (mangiare, bere, casa, sicurezza di vita, ecc) e vanno ad aumentare la folta schiera della domanda di lavoro vista come ricatto alle condizioni imposte dal mercato reale.

E’ un cambiamento epocale che sta avvenendo con lo sviluppo anche qui di una quota importante di popolazione secondo quanto già analizzato nel 1994 da J. Rifkin , che quasi non appare nella comunicazione dei media per la frammentazione , la segmentazione sociale stratificata della massa oggettivamente a livello globale .

Considero cioè la massa importante che va sotto la categoria di “TERZO SETTORE” . Categoria che oggi è stimata ad un terzo della popolazione .Parlo delle migliaia e migliaia (milioni ) di persone che trascinano quello che scompare dai tabulati di spesa dei governi o si riduce sempre più : il volontariato “necessario“.

Quante sono le associazioni, le cooperative , le strutture riconosciute e seminascoste che si occupano di servizi indispensabili, di ogni genere e con vari effetti sociali . Dall’assistenza ai disabili, alla protezione civile, alla gestione dei migranti, dei senza casa, all’alfabetizzazione di quote consistenti oggi di analfabetismo indotto, alla gestione di malattie difficili e uso di droghe o tossicodipendenze , allo studio delle tecnologie informatiche per dare un senso di partecipazione alla società tecnologica inclusiva . Penso a chi studia arti, culture minori e le diffonde , chi protegge il patrimonio culturale, chi opera in cooperative di turismo consapevole , chi si occupa del verde o della vigilanza, chi si occupa degli animali in generale e della loro gestione, chi anche dà il suo contributo alle opere sanitarie negli ospedali, ambulatori, alle campagne di studio per valorizzarle, chi cerca di mantenere memoria di usi e tradizioni, chi sviluppa forme associative per prodotti per l’agricoltura o per allevamenti ecocompatibili, chi dà attraverso partecipazione volontaria possibilità alla terza età, di avere minime forme sostenibili di vita comune, chi è quasi obbligato al termine o durante gli studi all’ultima aberrazione dell’alternanza scuola-lavoro.

Ognuno nella propria esperienza di vita può aggiungere a questo esercito nascosto, ma reale già oggi , fatto di numeri e categorie inquadrabili, ormai indispensabili .

Bene, l’assunto è che in relazione alla mancanza progressiva di lavoro , di mezzi di sussistenza e beni primari pure sanciti dalla Costituzione, nasce spontanea la necessità di un reddito (che ognuno può chiamare aggettivandolo come meglio crede ), ma che dia un freno qui ed ora a questo ecocidio globale in Italia, ma non solo. E perché non vincolarlo al finanziamento strutturato ed organizzato di questo terzo settore attraverso banca pubblica, compreso l’uso modificato del 5 per mille sui redditi, ovviamente in contemporanea a una secca ristrutturazione del modo di tassazione iniquo e soffocante vigente in Italia ?

Perché non usare la tassazione dello stato con la sua indispensabile riduzione e revisione per pagare piccoli , grandi servizi a questo settore lasciando perdere grandi opere, utili solo a caimani di grandi aziende o banche , per far rifiorire i territori in modo diffuso di tanti piccoli lavori e attività, riparando ciò che non si fa più da tempo e dando lavoro dietro minimo compenso alla vita sociale che tornerà valore ?

Ogni euro dato in questo modo, proprio per la parcellizzazione, non andrà in depositi bancari, ma torna in circolo nella società e a strati ognuno fa da sponda ad altri , ma soprattutto risponde alla domanda di fondo : cosa facciamo degli espulsi dal lavoro e dal reddito oggi, non domani in attesa di modifiche strutturali di fondo?

Quindi sovranità monetaria e autonomia decisionale sono decisive .

Non sono un esperto, ma è ovvio che queste poche idee danno la dimensione del lavoro necessario a livello politico e sociale perché questo sia possibile, con passaggi attraverso ai regolamenti, alle leggi, alla giurisdizione per dare regole uguali per tutti (anche quelli che ancora hanno un lavoro) ed eque, compatibili con il sistema complessivo, con l’ambiente, per ritrovare quell’armonia di comunità oggi spezzata da ladri indecenti e cacciatori di futuro.

Sapere verso quale sviluppo va il mondo o almeno quanto è auspicabile socialmente e ragionare sulle specifiche peculiarità per come ingegnerizzare il rapporto fra tempo libero e lavoro, spero nasca anche da queste poche note.

Gianni Gatti 10/11/17


sabato 9 dicembre 2017

I giornalisti e il cambiamento climatico.


Certe volte, il giornalismo italiano non è proprio al top come qualità

Sono usciti qualche giorno fa un gran numero di articoli sui giornali e servizi sul fatto che il 2017 è stato l'anno più siccitoso dal 1800 nella storia italiana. Qualcuno ha segnalato al gruppo di "Climalteranti"  qualcosa di strano che è stato detto al telegiornale di La7. Non ho un link al servizio, ma ho una registrazione (*) e vi trascrivo che cosa è stato detto al minuto 1.34, circa.

Ma la scarsità delle piogge, spiegano gli esperti, nulla ha a che vedere con il riscaldamento globale che invece, come confermano tutti gli studi, sta producendo un aumento delle temperature di circa 5 gradi per secolo. Per quanto riguarda le precipitazione, si tratta solo di un fatto casuale dovuto alla circolazione atmosferica.   

Ora, cosa dire di questa gran confusione di inesattezze (per non dire di scemenze)? Lasciamo perdere il discorso dei "5 gradi per secolo", non diciamo niente del concetto di "un fatto casuale dovuto alla circolazione atmosferica." Ma chi saranno mai questi 'esperti' che "spiegano" con tanta sicurezza che la siccità "nulla ha a che vedere con il riscaldamento globale."

Tutti questi articoli e servizi sui telegiornali avevano un'unica origine: un comunicato emesso dal CNR il 4 Dicembre e che trovate a questo link. Notate che non dice in nessun posto che la siccità "nulla ha a che vedere con il riscaldamento globale." E allora? Da dove è venuta questa idea al/alla giornalista che ha preparato il servizio di La7?

Così, ho telefonato al contatto fornito dal CNR, il collega Michele Brunetti che conosco essere persona seria e preparata. Lui mi ha raccontato che ha ricevuto svariate telefonate da giornalisti a proposito del comunicato del 4 Dicembre. Non si ricordava esattamente cosa avesse detto a quello di La7, ma molti gli avevano fatto la domanda se la siccità del 2017 era causata al riscaldamento globale. Lui aveva risposto che non lo si poteva provare su base statistica. Una risposta corretta anche se forse troppo cauta. In ogni casa, il/la giornalista di La7 l'ha interpretata in modo decisamente scorretto.

In realtà, se è vero che si può dire poco o nulla di clima a partire da un singolo anno, è anche vero che una correlazione statistica di lungo periodo fra riscaldamento e siccità nelle regioni Mediterranee esiste. Lo potete leggere, per esempio a questo link. Oppure qui. Secondo questi studi, il progressivo riscaldamento globale ci porterà una sempre maggiore frequenza di estati siccitose, anche se non possiamo dire quanto sarà siccitoso un anno specifico.

In sostanza, non è vero che la siccità di quest'anno "nulla ha a che fare con il riscaldamento globale." E' un evento che fa parte di una serie in crescita e che si ripeterà con sempre maggiore frequenza se non ci sono cambiamenti nelle tendenze attuali del riscaldamento globale.

Cosa dire di questa vicenda, allora ? Evidentemente, giornalisti e scienziati parlano lingue diverse, cosa che ho constatato direttamente anch'io in varie occasioni. Riusciranno mai a capirsi? A questo punto, comincio a dubitarne. Comunque, continuiamo a provarci.


(*) Se volete la registrazione completa del servizio su La7, scrivetemi a ugo.bardi(verralaparusiacomeladrodinotte)unifi.it 


giovedì 7 dicembre 2017

Il futuro è solare (ma non per tutti)


Dal blog "il Climologo" per gentile concessione dell'autore

Scritto il 6 December 2017 da VMARLETTO

A cura del gruppo Energia per l’Italia



Secondo un recente (e molto lungo) pezzo pubblicato in rete da V. Romanello e F. Andreoli nel sito filonucleare Atomi per la Pace l’energia fotovoltaica sarebbe in un vicolo cieco. In particolare secondo gli autori l’energia necessaria per costruire i pannelli sarebbe talmente elevata in rapporto alla produzione elettrica degli stessi che il loro uso non darebbe alcun vantaggio (in sostanza l’indicatore ERoEI – energia prodotta rispetto all’energia investita – risulterebbe inferiore all’unità).

L’articolo risulta pieno di forzature, tutte dalla stessa parte. Ad esempio si parla di un prezzo di €2.300 per kWp dell’impianto che forse è realistico per impianti piccolissimi (2 kWp). Al crescere della taglia però il prezzo tende a € 1.000/kWp (1,2).
La figura 10 di Romanello/Andreoli sul consumo di energia (massimo alle ore 18) si riferisce al 5 dicembre, giorno nel quale il fotovoltaico fa in effetti un po’ fatica alle 18. In verità, con le estati sempre più torride che inducono a forti picchi diurni di consumo elettrico per i condizionatori, avere in Italia un parco fotovoltaico da 20mila megawatt in piena attività nelle stesse ore è una vera benedizione per le nostre emissioni di gas serra.

Gli autori parlano inoltre di costi di pulizia e manutenzione pari a 15% all’anno che sono largamente esagerati, così come i rischi di incendio.

Nel pezzo si legge inoltre: “Bisogna considerare come la natura dei pannelli possa influenzare lo scenario incidentale in caso di incendio: quelli in silicio non danno particolari problemi, ma quelli all’arseniuro di gallio o al tellururo di cadmio possono rilasciare fumi tossici.” Peccato che in Italia i pannelli utilizzati siano praticamente solo quelli in silicio e che il tellururo di cadmio sia sostanzialmente assente dal contesto europeo anche per problemi regolatori.

Per sostenere le loro tesi gli autori fanno riferimento anche a un articolo di Ferroni e Hopkink apparso nel 2016 sulla rivista tecnica Energy Policy, il quale sosteneva conclusioni analoghe presentando una stima del citato parametro ERoEI (Energy Return on Energy Invested) inferiore a 1 (0,82). I conti però sono fatti per la Germania (per l’Italia bisogna scalare tutto in alto del 30-40%) e la lunghezza di vita del pannello (17 anni) sembra largamente sottostimata. In letteratura si citano invece valori di ERoEI pari ad almeno 5 e tipicamente 10 e oltre, assumendo tra l’altro una durata di vita dei pannelli di 30 anni. La durata dei pannelli dipende chiaramente anche dall’incentivo a mantenerli in funzione, e a continuare nelle normali operazioni di manutenzione dell’impianto.

L’articolo di Ferroni e Hopkirk tra l’altro generò una reazione molto pronta e critica da parte di un nutrito gruppo di scienziati tra i quali Ugo Bardi, professore di chimica all’università di Firenze, che in merito a questa vicenda ha risposto ad alcune domande.

D. Prof Bardi è vero che i pannelli fotovoltaici “non valgono la pena”?

R. Dipende da cosa si intende per “valerne la pena”. Se l’idea è di creare un futuro pulito e sostenibile per noi e per i nostri discendenti, direi proprio di si.


D. Quali sono i limiti dell’analisi di Romanello e Andreoli?

R. Romanello e Andreoli citano in pochi paragrafi i risultati di una ricerca in corso in tutto il mondo per valutare le prestazioni dei pannelli fotovoltaici in funzione dei vari parametri energetici. Come per tutte le cose, i risultati di queste valutazioni variano col tempo. Via via che i pannelli diventano più efficienti per via dei miglioramenti tecnologici la loro resa migliora. Migliorano anche le tecniche di analisi, per cui si arriva a valutazioni sempre più affidabili basandosi sull’uso rigoroso di standard internazionali condivisi. Purtroppo, non sempre questi standard vengono applicati, per cui alcuni risultati pubblicati si trovano a essere “fuori dal coro.”

Questo è il caso del lavoro di Ferroni e Hopkirk citato da Romanelli e Andreoli. Usando valori non-standard per i parametri e selezionando condizioni sfavorevoli, questi autori sostengono che il fotovoltaico ha una resa particolarmente bassa. Questo, semplicemente, non è vero. Il fotovoltaico ha oggi una resa molto vicina a quella dei combustibili fossili. Con l’andare del tempo, via via che la resa dei fossili diminuisce a causa della necessità di usare risorse non convenzionali, il fotovoltaico va a porsi come una sorgente pulita e conveniente di energia.

D. Quali sono le più recenti valutazioni in merito all’efficacia del fotovoltaico come sorgente di elettricità pulita ed alternativa a quelle tradizionali (fossili e nucleare)?

R. C’è un lavoro del gruppo di Christian Breyer e altri che riassume la situazione. In sostanza, il fotovoltaico funziona e funziona bene. Tutta la fuffa in proposito è politica, non scienza.

Il lavoro citato da Bardi è recentissimo e si intitola “Global Energy System based on 100% Renewable Energy – Power Sector” ed è un corposo rapporto presentato durante la conferenza sul clima COP23 di Bonn. Nel riassunto del rapporto si legge che “La transizione globale al 100% di elettricità rinnovabile è fattibile in ogni ora di tutto l’anno ed è meno costosa del sistema attuale, largamente basato su fonti fossili ed energia nucleare. La transizione energetica non è più questione di fattibilità tecnica o economica, bensì di volontà politica.”

Il messaggio è quindi molto chiaro, chi dà ascolto a ragionamenti costruiti ad arte per gettare cattiva luce (è il caso di dirlo) sull’energia solare, commette un errore gravissimo, specie se è in grado di condizionare le scelte politiche, o addirittura in posizioni di comando.

Ancor prima di Breyer, il lavoro certosino del prof. Mark Jacobson di Stanford e colleghi da anni indica chiaramente che la strada verso il 100% rinnovabili al 2050 è non solo praticabile ma foriera di grandi vantaggi in termini di occupazione, salute umana e, ovviamente, protezione del clima.

Le politiche energetiche italiane da qualche tempo appaiono invece influenzate da cattivi maestri (o da cattiva volontà). I cittadini però devono sapere cosa sta succedendo per davvero in questo settore, che è cruciale e strategico non solo per il benessere e l’economia ma anche per la protezione della salute, della natura e del clima planetario.


(1) https://www.greentechmedia.com/articles/read/report-how-much-does-a-solar-pv-system-cost-in-2016#gs.GPlbUi4

(2) Fraunhofer ISE (2015): Current and Future Cost of Photovoltaics. Long-term Scenarios for Market Development, System Prices and LCOE of Utility-Scale PV Systems. Study on behalf of Agora Energiewende.


A cura del gruppo Energia per l’Italia

lunedì 4 dicembre 2017

Non si uccidono così anche i cavalli? (Il dirupo di Seneca dell'umanità)



Vedi un po' dove si ritrova il "dirupo di Seneca"!! Con la popolazione dei cavalli negli Stati Uniti (sorgente)


Nel suo blog, "micidial" Massimo Bordin fa un'osservazione molto azzeccata. Dice:
C'è stato un periodo della storia - il periodo più lungo della storia dell'umanità - nel quale i cavalli avevano tantissime cose da fare. Venivano impiegati per trasporti di uomini e alimenti, calessi e carrette. In guerra, come in pace. Oggi, per vedere un cavallo bisogna andare all'ippodromo, al maneggio o al circo. La stragrande maggioranza degli occidentali non ha mai avuto a che fare con un cavallo, gli risulta completamente inutile, se non per attività ludiche o sotto forma di bistecche, in carenza di ferro.
Bordin fa poi notare come lo sviluppo dell'automazione e dell'intelligenza artificiale sta facendo diventare gli esseri umani altrettanto inutili dei cavalli, in guerra come in pace. Cita poi il recente rapporto McKinsky, dicendo:
Per rimanere "vivi", i lavoratori dovranno cercare la riqualificazione in diversi campi e come se fosse l'acqua nel deserto. "Ma i governi e le aziende - sostiene magnanimamente il report - dovranno contribuire a facilitare quella che dovrebbe essere una transazione durissima".
Comparando gli esseri umani ai cavalli, citando il termine "transizione durissima" e usando la frase "rimanere vivi" (sia pure con il 'vivi' fra virgolette) Bordin fa venire subito in mente che cosa ci potrebbe essere in serbo per l'umanità: un "dirupo di Seneca" (ovvero un rapido collasso) della popolazione simile a quello subito dai cavalli nel ventesimo secolo.

Il collasso della popolazione umana, in questa ipotesi, non sarebbe causato dai disastri generati dal riscaldamento globale o dall'esaurimento delle risorse ma, semplicemente, dal fatto che  la maggior parte degli esseri umani diventerebbero inutili - ovvero non avrebbero più alcun valore economico.

Non che gli esseri umani verrebbero sterminati; non risulta che i cavalli siano stati sterminati (beh, non tutti, perlomeno). Semplicemente, quando i cavalli hanno cessato di essere utili, non sono stati messi in condizione di riprodursi. E, in effetti, sembra che sia proprio quello che sta succedendo agli esseri umani, con la natalità che sta crollando più o meno ovunque (anche se in Europa e in Italia crolla più della media).

E allora? E allora, beh, consoliamoci: i cavalli hanno passato un brutto periodo, ma ci sono ancora; anzi, la loro popolazione è in aumento. Chissà se sarà questo il destino degli esseri umani.



domenica 3 dicembre 2017

Un sogno di Freud (L'invidia del pelo)

Dopo che c'e stata qualche polemica sui commenti di questo blog, cerchiamo di rasserenare un po' gli animi con un racconto molto creativo e intelligente di Elena Corna, di cui abbiamo già visto un post giorni fa. Non ha a che fare con le catastrofi, per una volta! Leggetelo, perché è molto divertente. 



UN SOGNO DI FREUD
Un racconto di Elena Corna




“…Non ti spaventare…Mi chiamo Emmelina Freud e sono la tua pronipote. Ti parlo dal 1996.”

Sto sognando e so che sto sognando. Interessante. Mai successo. Perché sogno la mia pronipote? Perché il mio inconscio desidera una pronipote? Perché il 1996?

“No, zio, questo non è un sogno della categoria che studi tu. Sono io che sono venuta nel 1923 per dirti una cosa importante.”

I sogni sono un appagamento del desiderio…

“Guarda che ci sono diversi tipi di sogni, mica solo quelli lì. “

 Diversi tipi di sogni? E’ un’ispirazione questa che sto avendo?

“Per favore, zio. Sono tua nipote e ti appaio in sogno dal futuro, punto e basta. Accettalo, santi numi! E ora ascoltami.  Non ho molto tempo. A che ora hai messo la sveglia?”

Non ho messo la sveglia, domani non ho impegni al mattino.

“Benissimo, allora cerca di dormire finché non finisci il sogno.  Ti devo parlare per evitarti un grosso errore.”

Errore?

"Sì. So che stai scrivendo un nuovo saggio, è lì sulla tua scrivania.”

Certo. Sulla sessualità infantile. Importante.

“Sì, ma zio. Cito: “…non si pone un'alternativa tra maschile e femminile, ma tra genitale maschile da un lato e l'essere evirati dall'altro. Quando constata la 'propria inferiorità organica', la bambina suppone di aver posseduto una volta un membro  e di averlo in seguito perduto per evirazione" .

E’ il brano sull’invidia del pene, sì.

“Ecco, zio, l’invidia del pene non esiste. Stai prendendo una cantonata e la vorrei prevenire. Guarda che in futuro su questa cantonata rideranno anche i polli. So che sto interferendo nel corso della storia ma chi se ne frega, non è un’interferenza di quelle che cambiano il corso delle cose. Però si potrebbe evitare una figuraccia alla nostra famiglia in generale e a te in particolare.”

Ma come? Lo sviluppo della psiche della bambina, vero, dalle mie osservazioni…

“Zio, l’invidia del pene non esiste. Senti questa barzelletta: ci sono un bambino e una bambina che confrontano i loro giocattoli e il bambino mostra un giocattolo dopo l’altro vantandosi. A ogni giocattolo la bimba risponde con un altro giocattolo. “Io ho questo!” “E io ho questo!” “E io ho anche questo, tu ce l’hai?” “Certo, e ho anche questo..” Alla fine il bambino, esauriti gli oggetti, abbassa i pantaloni e dice: "E io ho questo! Tu questo non ce l’hai!!” E la bambina, serafica: "Pfui, io con la mia di quelli ne prendo quanti ne voglio.”

Ma, Emmelina, è solo una barzelletta! Io sono uno studioso…

“Dai, che lo sai bene anche tu che le barzellette nascondono una scheggia di verità. Non sei tu che hai scritto qualcosa sui motti di spirito?...Va bene, ora te lo argomento secondo i tuoi canoni…

Interessante. Chissà se al risveglio ricorderò tutto questo. Difficile. Sta parlando da dieci minuti. Convincente, però. Sì, può essere. Sto davvero prendendo una cantonata che lederà la mia credibilità? Va bene, mi hai persuaso. Sì, sì, hai ragione. Ben argomentato. Come le sai tutte queste cose?

“ Ho due lauree. Sai, alla fine del ventesimo secolo le donne studiano.”

C’è un problema, Emmelina cara. Durante una conferenza ho accennato al mio nuovo studio, ora la comunità scientifica se lo aspetta… anche se sono rimasto un po’ sul vago…

“Per Giove, non avrai parlato di evirazione e ferita narcisistica eccetera?”

No, sono certo di no. Però ho accennato all’invidia. Anzi, sono sicuro che hanno colto solo quella parola. Sai, volevo lasciare un po’ di aspettativa. Si aspettano comunque un saggio sull’invidia.

“ Beh, con tutte le invidie che ci sono, devi solo deviare l’oggetto dell’invidia.”

Sì, ma sono banalità. L’invidia della ricchezza, della bellezza, dei quarti di nobiltà…Queste cose le sanno tutti. Ci vorrebbe un’invidia inedita. Un’invidia profonda.  Un’invidia inconscia.

“ Ecco, zio, un’ idea ce l’avrei. Mi è venuta vedendo un video…”

Un cosa?

“Un esperimento. Un esperimento sociale. I ricercatori si avvicinavano a persone sconosciute…”

Dove?

“Dappertutto. Per la strada, nei bar, in treno. Dunque, si avvicinavano e li accarezzavano sulla testa o sulle spalle per vedere come reagivano. L’idea era venuta guardando la gente che normalmente, appena vede un cane a passeggio, lo accarezza sulla testa. Allora ci si è chiesti perché tutti considerano normale accarezzare dei cani estranei e non i propri simili. Così gli sperimentatori andavano qua e là accarezzando le capocce di perfetti sconosciuti. E quelli come pensi che reagissero?”

Male, molto male.

"Infatti. E sai perché?"

Ma è ovvio. Invasione della sfera privata. Mi stupisco che tu ti stupisca. La nostra civiltà reprime il contatto fisico, non siamo scimpanzé che si spulciano. Perché diavolo uno dovrebbe venire ad accarezzarmi la testa?

“Tutto questo è vero, ma c’è di più. Ti chiedi perché diavolo uno dovrebbe venire ad accarezzarti la testa. E te lo chiedi anche perché sai benissimo che non c’è niente di piacevole nell’accarezzarti la testa. Cioè, né la tua né quella di altri. A te viene mai voglia di accarezzare la testa di qualcuno?”

Se penso a certe testoline…

“E non pensare al sesso come tuo solito, zio Siggy. Dimmi chi c’è che accarezza la testa di un altro.”

Ma Emmelina, dove vuoi arrivare? Le mamme accarezzano i figli, i mariti le mogli eccetera.

“Appunto. Si fa per affetto, non perché sia piacevole.  Invece quasi tutti accarezzano cani e gatti anche sconosciuti. E lo fanno perché lo trovano piacevole. Che ne dici?”

E’ molto gradevole, sì. 

“Perché? Continua. Perché, zio?”

Piacevole. Soprattutto i gatti. Affondare le dita in quel pelo…

“Touché! E’ il pelo che è piacevole. “

Sì, il pelo è bello. Tutti quei colori, quelle striature, quel calore, quella morbidezza... Diamine, appena mi sveglio vado a mettere le mani sul gatto dei vicini.

“Ecco, zio. Gli umani sono attratti dal pelo di cani e gatti perché è bello e anche perché… loro non ce l’hanno. L’abbiamo perso, il pelo. Una cosa così bella come il pelo ce la siamo persa o insomma non ce l’abbiamo. E lo invidiamo. “

L’invidia del pelo?! Mi stai prospettando un’invidia del pelo?

“Già. Pensaci, zio: le donne non vanno in giro con dei cetrioli o delle cose a forma di pene, ma amano andare in giro con le pellicce. Le pellicce sono belle, le donne le vogliono perché pensano che le rendano più attraenti. In sostanza, piacciono alle donne che pensano che piacciano anche agli uomini. Se questa non è invidia del pelo!”

Geniale, Emmelina, davvero geniale.  Indubbiamente, sei mia nipote. Grazie, grazie. Spero di ricordarmi questo sogno… Appena mi sveglio mi metto al lavoro. Dopo aver affondato le mani nel pelo del gatto, beninteso. 

“Ora devo andare zio, è quasi mattina e fra poco ti sveglierai. Ma ti ho detto quello che volevo. Ce l’abbiamo fatta per un pelo.”
…………………………………………………………………………………..

Che bella mattina di sole. Guarda guarda, devo essermi agitato stanotte. Per un pelo non sono rotolato giù dal letto. Per un pelo…Qualcosa mi risuona. Ho la sensazione di aver fatto un sogno importante…Cos’era?...Per un pelo… per un pelo Martin perse la cappa. Cercare il pelo nell’uovo. Non avere peli sulla lingua. Mah. Forse potrei scrivere qualcosa sui proverbi e i modi di dire…Ci penserò.


Commenti disabilitati su "Effetto Cassandra"

Gentili lettori,

scusate, ma mi è parso il caso di disabilitare i commenti a questo blog, perlomeno per un certo periodo. Insieme con i vari autori che pubblicano su questo blog facciamo il possibile per mettere a disposizione di tutti dei post che siano interessanti e informativi. Sui commenti, purtroppo, ultimamente abbiamo visto soltanto sfoghi personali e insulti - cose perfettamente comprensibili vista la situazione, ma mi pare il caso di ridurre la "temperatura" dei commenti mettendo in pausa tutto per un po'. (Nota: gli autori del blog possono ancora commentare e se avete qualcosa da dirmi, scrivetemi pure a ugo.bardi(pispolino)unifi.it)

venerdì 1 dicembre 2017

La Svizzera a 2000 Watt.

di Jacopo Simonetta

Il 4 ottobre scorso il Movimento Decrescita Felice e l’Associazione Italiana Economisti dell’Energia hanno organizzato a Roma, in Campidoglio, un’interessante convegno dal titolo: “ Modelli per la valutazione dell'impatto ambientale e macroeconomico delle strategie energetiche” (qui il link al sito per consultare tutte le relazioni).
In una serie di articoli cercherò di riassumere le presentazioni, tutte molto interessanti sia per le cose che sono state dette, sia per le cose che sono state taciute. Per prima vorrei qui trattare quella che il 4 ottobre è stata esposta per ultima, dal dr. Marco Morosini, perché, pur non avendo un contenuto tecnico rilevante, ha un contenuto politico potenzialmente rivoluzionario.

Di che si tratta?

Società a 2000 Watt” è un’idea elaborata nel 1998 da due politecnici federali: quello di Zurigo (ETH) e quello di Losanna (EPFL). Adottata nel 2002 come linea-guida dal governo federale e diventata legge locale nel 2008 a Zurigo, sempre tramite referendum (78% di si). Nel 2016 è stata approvata dal parlamento federale e nel 2017 resa attuativa con referendum nazionale (58% di si). In sintesi si tratta di porsi un obbiettivo vincolante: entro il 2050, ridurre i consumi pro-capite di energia di circa 2/3 rispetto ad oggi, portando le emissioni di CO2 a una tonnellata a cranio all'anno.

Perché è importante?

“Ridurre i consumi e le emissioni” è un mantra che oramai abbiamo sentito tante volte da dare la nausea, perché questa volta potrebbe essere diverso? Per svariate ragioni che si possono così riassumere:
1 - Non si tratta di una generica indicazione o di una dichiarazione di buoni propositi, bensì di una legge dello stato che stabilisce un obbiettivo preciso entro un tempo dato.
2 – Non si usano concetti vaghi ed elastici come “sostenibilità”, mentre si usano termini precisi: “Società” - significa che coinvolge tutti i cittadini in cambiamenti sostanziali - e “2000 Watt” - una quantità precisa espressa mediante un’unità di misura conosciuta.
3 – Si specifica che gli interventi dovranno svilupparsi secondo un ordine preciso di priorità: Primo ridurre i consumi di energia; secondo aumentare l’efficienza; terzo incrementare il ricorso alle rinnovabili; quarto uscire dal nucleare.

Il punto qualificante ed innovativo dell’intera faccenda è proprio che, per la prima volta in un documento governativo, si ha il coraggio di dire chiaro e tondo che gli obbiettivi non saranno centrati senza, per prima cosa, una diffusa adozione di stili di vita nettamente più sobri dell’attuale. Un fatto condensato con lo slogan “Fare meno con meno”, in contrasto con il “Fare di più con meno” di cui solitamente si parla. Insomma, dare finalmente la priorità alla Sufficienza sull'efficienza.
Naturalmente,  ben venga l’efficienza, ma solo in un quadro di riduzione programmata dei consumi finali; altrimenti non si farebbe che reiterare il perverso meccanismo che ha moltiplicato per 20 (circa) i consumi pro-capite dai tempi in cui Mr. Watt progettava le sue caldaie a vapore. E che ha finora vanificato qualunque tentativo di ridurre davvero le emissioni climalteranti.

Cambiare rotta

Finora, i tentativi di pianificare una reale riduzione dei consumi si sono puntualmente arenati su tre secche ideologiche principali:

Secca 1 – “La riduzione della prosperità materiale non necessaria perché l’aumento di efficienza ridurrà il consumo energetico”. Solo in teoria, perché durante tutta la storia dello sviluppo industriale lo smisurato aumento nell’efficienza delle tecnologie ha comportato un aumento e non una diminuzione dei consumi finali. Può sembrare strano, ma è così.

Secca 2 – “La riduzione del consumo energetico non è necessaria se si userà il 100% di energie rinnovabili.” Falso per due ordini di motivi: il primo è che anche le energie rinnovabili hanno impatti ambientali spesso considerevoli, mentre richiedono materiali rari e processi industriali energivori. Il secondo è che ad oggi le energie rinnovabili coprono poco più del 10% del consumo globale (principalmente con l’idroelettrico che è la tecnologia più efficiente, ma anche più impattante). Non è realistico pensare di poter rendere maggioritaria questa percentuale senza ridurre di almeno 2/3 i consumi finali.

Secca 3 –“La riduzione del consumo energetico e della prosperità materiale non sono possibili perché sono inaccettabili per la popolazione e per l’economia”. E’ stato vero finora, ma se gli svizzeri riusciranno a portare avanti il loro progetto, avremo l’esempio di un’intera nazione che accetta una contrazione economica pur di ridurre il proprio impatto sul pianeta!

Se gli svizzeri riusciranno a centrare gli obbiettivi è presto per saperlo, ma questa volta sono partiti col piede giusto e davvero è già tanto.