Da “The Great Change”. Traduzione di MR
"Strategicamente, tutto si riduce a giocare la carta della paura o quella della speranza, anche se non si escludono l'una con l'altra".
Di Albert Bates
Ultimamente abbiamo ponderato strategie attraverso le quali le persone consapevoli si sono approcciate alla minaccia esistenziale posta dal cambiamento climatico. Ha poco senso sprecare tempo in strategie che sono destinate a fallire, quindi periodicamente dobbiamo chiederci se il tempo dedicato alla rabbia, a reinventarci e a re-inquadrarci sia ben speso. In numerosi anni nel passato abbiamo adottato un approccio “tutto quello di cui” al consiglio di mitigare il cambiamento climatico, concedendo ugual peso ai processi esasperanti dei negoziati e agli arresti di massa. Da un lato ci impegniamo nella ritualità complessa degli incontri lunghi settimane delle Nazioni Unite cercando di metterci d'accordo su codici di condotta vincolanti. Dall'altro ci rallegriamo alle dimostrazioni di piazza ed ascoltiamo discorsi di incoraggiamento delle celebrità che ci dicono che dobbiamo modificare i nostri stili di vita, diventare verdi, conservare.
Per molti anni siamo stati tentati dalla prospettiva allettante degli ecovillaggi, con iterazioni progressivamente più soddisfacenti, mentre adesso molti degli esperimenti del mondo reale sono in grado di fornire decenni di dati preziosi sulle pratiche migliori. Ogni decennio il numero di conferenze su energia alternativa, gestione olistica e recupero ecologico sembrano fare un salto di un'ordine di grandezza. Allo stesso tempo, siamo di fronte all'inesorabile avanzata del lato oscuro, evidenziata da quel crescente corpus scientifico sui rilasci di metano artico e sulle possibilità di un'estinzione umana a breve termine; gli assunti macroeconomici inclinano il piano di gioco verso il ritardo e gli impedimenti neurobiologici come il pregiudizio di conferma, la deriva etica, la psicologia della perdita di investimento e la riduzione del tasso di sconto. Piuttosto che esporli tutti, semplifichiamo e diciamo, strategicamente, tutto si riduce a giocare la carta della paura o quella della speranza, anche se non si escludono l'una con l'altra e non sono nemmeno opposte.
A volte ci chiediamo se, sostenendo una rapida guarigione del clima usando reagrarianesimo e permacultura, biochar ed agro-silvicoltura non stiamo distribuendo oppio. Stiamo vendendo indulgenze? Tutto quello che dovete fare a premere un interruttore et voilà! La civiltà viene trasformata per soddisfare i nostri bisogni di cibo (comprese mucche allevate al pascolo), energia pulita, un riparo incantevole e i giusti mezzi di sussistenza mentre sequestriamo gigatonnellate di gas serra riportandole alla Terra per i tempi supplementari di un comodo Olocene. Eppure sappiamo che non è così semplice. Tutto il biochar del mondo non ci salverà dalla funzione esponenziale applicata al principio del piacere e della fecondità umana. Fukushima e tutte le testate ammucchiate possedute da Israele e Nord Corea non scompariranno semplicemente anche se l'UNFCCC a Parigi si accordasse per tenere il carbone dei fratelli Koch nel sottosuolo sotto la pena dell'estradizione all'Aja e l'internamento a Spandau. Gli esseri umani hanno ancora molto a cui rispondere se avremo un speranza realistica di evitare la mannaia di Madre Natura.
Nel Lachete, Platone ha ricostruito un dialogo che Socrate ha fatto con due rispettati generali. A questi generali, Lachete e Nicia, era stato chiesto da alcuni distinti cittadini di Atene, Lisimaco e Melesia, se ai giovani si dovesse insegnare a scuola il combattimento con la corazza. Uno diceva di sì e l'altro diceva di non dargli alcun valore. Era lo stesso tipo di discussione che i genitori potrebbero fare oggi sul fatto che ai bambini si debba permettere di giocare o meno coi giocattoli da guerra.
Socrate disse a questi distinti militari che prima voleva informarsi, visto che erano entrambi esperti nell'arte del combattimento con la corazza, chi di loro era un esperto nell'animo dei giovani, dal momento che era quello il prodotto finale che cercavano. Chiede ad uno di loro di definire una particolare virtù del campo di battaglia, il coraggio. Il generale definisce un uomo di coraggio come uno che non scappa di fronte al nemico. Socrate spiega che questa definizione non copre tutti i casi di coraggio, così il generale definisce il coraggio come “una resistenza dell'anima”. Socrate continua ad incalzarlo. Il generale restringe la sua definizione ad una “saggia resistenza dell'anima”. Socrate deride la sua definizione mostrandogli che il coraggio in realtà più vicino ad una sciocca resistenza dell'anima. A questo punto, l'altro generale tenta di definire il coraggio: Definisce il coraggio come un tipo di saggezza o come “conoscenza dei motivi della paura e della speranza”.
Socrate: Noi consideriamo temibili le cose che procurano timore e rassicuranti quelle che non lo procurano e procurano timore non i mali passati né quelli presenti, ma quelli attesi, perché il timore è attesa di un male futuro. Non pare così anche a te, Lachete?
Lachete: Proprio così, Socrate.
Socrate: Tu senti, Nicia, la nostra affermazione che chiamiamo temibili i mali futuri e rassicuranti le cose che non saranno mali o saranno beni. Su questo, dici così o altrimenti?
Nicia: Così.
Socrate: E la scienza di queste cose la chiami coraggio?
Nicia: Esattamente.
Socrate: Esaminiamo ancora un terzo punto, se tu e noi lo condividiamo.
Nicia: Quale?
Socrate: Te lo dirò. A me e a Lachete pare che per le cose su cui c’è scienza, non ci sia una scienza del passato per sapere come è avvenuto, un’altra del presente come avviene e un’altra su come può avvenire nel modo migliore e avverrà ciò che non è ancora avvenuto, ma ci sia la stessa scienza. Per esempio, a proposito della sanità, per tutti i tempi non c’è che la medicina, che è unica e osserva ciò che avviene, ciò che è avvenuto e ciò che avverrà come avverrà. E a proposito dei prodotti della terra, identica è la posizione dell’agricoltura. E per le cose della guerra, voi stessi potete testimoniare che la strategia provvede a tutto nel modo migliore e soprattutto a ciò che avverrà e crede che occorra non asservirsi alla divinazione, ma dominarla, in quanto conosce meglio gli eventi della guerra presenti e futuri: e così prescrive la legge, che l’indovino non comandi lo stratega, ma lo stratega l’indovino. Diremo questo, Lachete?
Lachete: Lo diremo.
Socrate: E tu, Nicia, affermi con noi che, a proposito delle stesse cose, la medesima scienza è competente delle future, presenti e passate?
Nicia: Sì, a me pare così, Socrate.
***
Socrate: Il coraggio, dunque, non è solo scienza delle cose temibili e di quelle rassicuranti, perché è competente non solo sui beni e sui mali futuri, ma anche su quelli presenti, passati e di ogni tempo, come le altre scienze.
Nicia: Sembra.
Socrate: Allora, Nicia, tu ci hai detto che cosa è un terzo, circa, del coraggio; ma noi ti chiedevamo che cosa fosse il coraggio intero. Ora, a quanto sembra, stando al tuo discorso, il coraggio non solo è scienza delle cose temibili e di quelle rassicuranti, ma pressappoco è la scienza di tutti i beni e di tutti i mali di ogni tempo (tale è ora la tua definizione). Dichiari di mutare così la definizione o come, Nicia?
Nicia: A me pare così, Socrate.
Socrate: E ti pare, divino amico, che un uomo mancherebbe di una parte della virtù, se conoscesse tutti i beni in ogni tempo, come avvengono, avverranno e sono avvenuti e allo stesso modo i mali? Credi che costui mancherebbe di temperanza, giustizia o santità, egli a cui solo spetta, riguardo agli Dei e agli uomini, guardarsi dalle cose temibili e da quelle che non lo sono e procurarsi i beni, sapendo comportarsi correttamente con essi?
Nicia: Mi pare che tu abbia ragione, Socrate.
Socrate: Allora, Nicia, non è una parte della virtù ciò che ora hai detto, ma la virtù intera.
Nicia: Sembra.
Socrate: Eppure dicevamo che il coraggio è solo una delle parti della virtù.
Nicia: Lo dicevamo.
Socrate: Ma ciò che ora si è detto non sembra tale.
Nicia: Non sembra.
Socrate: Dunque, Nicia, non abbiamo trovato che cos’è il coraggio.
Nicia: Pare di no.
— Platone , Discutere di coraggio con i generali
Come possiamo vedere da questi passaggi, la questione è stata se il coraggio fosse qualcosa da coltivare e, ipotizzando che lo fosse, se si dovessero separare paura e speranza per il futuro dalla paura e speranza provenienti dal passato e dal presente. Socrate ha detto che non c'è separazione. Noi ce lo chiediamo. Possiamo fare poco riguardo al presente e niente riguardo al passato, quindi la paura e la speranza a loro legate è inutile. La paura e la speranza per il futuro sono di una qualità diversa. Più che modi di vedere, sono modi per motivare ad agire. Socrate e i generali li mettono sullo stesso piano.
La cerimonia dell'innocenza è annegata.
I migliori mancano di ogni convinzione mentre i peggiori
Sono pieni di intensità appassionata.
La seconda venuta W. B. Yeats
La domanda che sembrava sul punto di fare Socrate, ma che non ha fatto, era cosa pensare di una persona “che sapesse tutte le cose buone e tutto della loro produzione nel presente, nel futuro e nel passato e allo stesso modo sapesse tutto delle cose cattive” ma non usa il proprio dono per prendere la dovuta precauzione o procurare le cose buone. Possiamo fare congetture sul fatto che Socrate e gli altri che una persona del genere non avrebbe avuto coraggio, anche se non fosse necessariamente privo di altre virtù, e forse che avrebbe risolto l'impasse filosofico nel discorso.
Tornando alla nostra domanda, potremmo riformulare questo per chiedere: è più probabile pieghiamo l'arco della civiltà verso la sostenibilità instillando paura delle conseguenze di rimanere sulla nostra attuale traiettoria man mano che procede dal passato conosciuto o offrendo una visione di un percorso in avanti (una storia credibile a prescindere dal tempo che le possibilità contro di essa impiegheranno per diventare realtà)? Platone finisce la sua narrazione senza risolvere il problema filosofico. Nella filosofia Greca, questa sarebbe stata chiamata aporia, una fine neutrale. Ne veniamo fuori in modo analogo col nostro approccio, che potrebbe essere descritto meglio come il bastone e la carota. Entrambi sembrano motivare allo stesso modo. E' solo un po' triste che, collettivamente, sembra che abbiamo bisogno di una randellata col bastone prima di avventurarci a sgranocchiare la carota.
"Strategicamente, tutto si riduce a giocare la carta della paura o quella della speranza, anche se non si escludono l'una con l'altra".
Di Albert Bates
Ultimamente abbiamo ponderato strategie attraverso le quali le persone consapevoli si sono approcciate alla minaccia esistenziale posta dal cambiamento climatico. Ha poco senso sprecare tempo in strategie che sono destinate a fallire, quindi periodicamente dobbiamo chiederci se il tempo dedicato alla rabbia, a reinventarci e a re-inquadrarci sia ben speso. In numerosi anni nel passato abbiamo adottato un approccio “tutto quello di cui” al consiglio di mitigare il cambiamento climatico, concedendo ugual peso ai processi esasperanti dei negoziati e agli arresti di massa. Da un lato ci impegniamo nella ritualità complessa degli incontri lunghi settimane delle Nazioni Unite cercando di metterci d'accordo su codici di condotta vincolanti. Dall'altro ci rallegriamo alle dimostrazioni di piazza ed ascoltiamo discorsi di incoraggiamento delle celebrità che ci dicono che dobbiamo modificare i nostri stili di vita, diventare verdi, conservare.
Per molti anni siamo stati tentati dalla prospettiva allettante degli ecovillaggi, con iterazioni progressivamente più soddisfacenti, mentre adesso molti degli esperimenti del mondo reale sono in grado di fornire decenni di dati preziosi sulle pratiche migliori. Ogni decennio il numero di conferenze su energia alternativa, gestione olistica e recupero ecologico sembrano fare un salto di un'ordine di grandezza. Allo stesso tempo, siamo di fronte all'inesorabile avanzata del lato oscuro, evidenziata da quel crescente corpus scientifico sui rilasci di metano artico e sulle possibilità di un'estinzione umana a breve termine; gli assunti macroeconomici inclinano il piano di gioco verso il ritardo e gli impedimenti neurobiologici come il pregiudizio di conferma, la deriva etica, la psicologia della perdita di investimento e la riduzione del tasso di sconto. Piuttosto che esporli tutti, semplifichiamo e diciamo, strategicamente, tutto si riduce a giocare la carta della paura o quella della speranza, anche se non si escludono l'una con l'altra e non sono nemmeno opposte.
A volte ci chiediamo se, sostenendo una rapida guarigione del clima usando reagrarianesimo e permacultura, biochar ed agro-silvicoltura non stiamo distribuendo oppio. Stiamo vendendo indulgenze? Tutto quello che dovete fare a premere un interruttore et voilà! La civiltà viene trasformata per soddisfare i nostri bisogni di cibo (comprese mucche allevate al pascolo), energia pulita, un riparo incantevole e i giusti mezzi di sussistenza mentre sequestriamo gigatonnellate di gas serra riportandole alla Terra per i tempi supplementari di un comodo Olocene. Eppure sappiamo che non è così semplice. Tutto il biochar del mondo non ci salverà dalla funzione esponenziale applicata al principio del piacere e della fecondità umana. Fukushima e tutte le testate ammucchiate possedute da Israele e Nord Corea non scompariranno semplicemente anche se l'UNFCCC a Parigi si accordasse per tenere il carbone dei fratelli Koch nel sottosuolo sotto la pena dell'estradizione all'Aja e l'internamento a Spandau. Gli esseri umani hanno ancora molto a cui rispondere se avremo un speranza realistica di evitare la mannaia di Madre Natura.
Nel Lachete, Platone ha ricostruito un dialogo che Socrate ha fatto con due rispettati generali. A questi generali, Lachete e Nicia, era stato chiesto da alcuni distinti cittadini di Atene, Lisimaco e Melesia, se ai giovani si dovesse insegnare a scuola il combattimento con la corazza. Uno diceva di sì e l'altro diceva di non dargli alcun valore. Era lo stesso tipo di discussione che i genitori potrebbero fare oggi sul fatto che ai bambini si debba permettere di giocare o meno coi giocattoli da guerra.
Socrate disse a questi distinti militari che prima voleva informarsi, visto che erano entrambi esperti nell'arte del combattimento con la corazza, chi di loro era un esperto nell'animo dei giovani, dal momento che era quello il prodotto finale che cercavano. Chiede ad uno di loro di definire una particolare virtù del campo di battaglia, il coraggio. Il generale definisce un uomo di coraggio come uno che non scappa di fronte al nemico. Socrate spiega che questa definizione non copre tutti i casi di coraggio, così il generale definisce il coraggio come “una resistenza dell'anima”. Socrate continua ad incalzarlo. Il generale restringe la sua definizione ad una “saggia resistenza dell'anima”. Socrate deride la sua definizione mostrandogli che il coraggio in realtà più vicino ad una sciocca resistenza dell'anima. A questo punto, l'altro generale tenta di definire il coraggio: Definisce il coraggio come un tipo di saggezza o come “conoscenza dei motivi della paura e della speranza”.
Socrate: Noi consideriamo temibili le cose che procurano timore e rassicuranti quelle che non lo procurano e procurano timore non i mali passati né quelli presenti, ma quelli attesi, perché il timore è attesa di un male futuro. Non pare così anche a te, Lachete?
Lachete: Proprio così, Socrate.
Socrate: Tu senti, Nicia, la nostra affermazione che chiamiamo temibili i mali futuri e rassicuranti le cose che non saranno mali o saranno beni. Su questo, dici così o altrimenti?
Nicia: Così.
Socrate: E la scienza di queste cose la chiami coraggio?
Nicia: Esattamente.
Socrate: Esaminiamo ancora un terzo punto, se tu e noi lo condividiamo.
Nicia: Quale?
Socrate: Te lo dirò. A me e a Lachete pare che per le cose su cui c’è scienza, non ci sia una scienza del passato per sapere come è avvenuto, un’altra del presente come avviene e un’altra su come può avvenire nel modo migliore e avverrà ciò che non è ancora avvenuto, ma ci sia la stessa scienza. Per esempio, a proposito della sanità, per tutti i tempi non c’è che la medicina, che è unica e osserva ciò che avviene, ciò che è avvenuto e ciò che avverrà come avverrà. E a proposito dei prodotti della terra, identica è la posizione dell’agricoltura. E per le cose della guerra, voi stessi potete testimoniare che la strategia provvede a tutto nel modo migliore e soprattutto a ciò che avverrà e crede che occorra non asservirsi alla divinazione, ma dominarla, in quanto conosce meglio gli eventi della guerra presenti e futuri: e così prescrive la legge, che l’indovino non comandi lo stratega, ma lo stratega l’indovino. Diremo questo, Lachete?
Lachete: Lo diremo.
Socrate: E tu, Nicia, affermi con noi che, a proposito delle stesse cose, la medesima scienza è competente delle future, presenti e passate?
Nicia: Sì, a me pare così, Socrate.
***
Socrate: Il coraggio, dunque, non è solo scienza delle cose temibili e di quelle rassicuranti, perché è competente non solo sui beni e sui mali futuri, ma anche su quelli presenti, passati e di ogni tempo, come le altre scienze.
Nicia: Sembra.
Socrate: Allora, Nicia, tu ci hai detto che cosa è un terzo, circa, del coraggio; ma noi ti chiedevamo che cosa fosse il coraggio intero. Ora, a quanto sembra, stando al tuo discorso, il coraggio non solo è scienza delle cose temibili e di quelle rassicuranti, ma pressappoco è la scienza di tutti i beni e di tutti i mali di ogni tempo (tale è ora la tua definizione). Dichiari di mutare così la definizione o come, Nicia?
Nicia: A me pare così, Socrate.
Socrate: E ti pare, divino amico, che un uomo mancherebbe di una parte della virtù, se conoscesse tutti i beni in ogni tempo, come avvengono, avverranno e sono avvenuti e allo stesso modo i mali? Credi che costui mancherebbe di temperanza, giustizia o santità, egli a cui solo spetta, riguardo agli Dei e agli uomini, guardarsi dalle cose temibili e da quelle che non lo sono e procurarsi i beni, sapendo comportarsi correttamente con essi?
Nicia: Mi pare che tu abbia ragione, Socrate.
Socrate: Allora, Nicia, non è una parte della virtù ciò che ora hai detto, ma la virtù intera.
Nicia: Sembra.
Socrate: Eppure dicevamo che il coraggio è solo una delle parti della virtù.
Nicia: Lo dicevamo.
Socrate: Ma ciò che ora si è detto non sembra tale.
Nicia: Non sembra.
Socrate: Dunque, Nicia, non abbiamo trovato che cos’è il coraggio.
Nicia: Pare di no.
— Platone , Discutere di coraggio con i generali
Come possiamo vedere da questi passaggi, la questione è stata se il coraggio fosse qualcosa da coltivare e, ipotizzando che lo fosse, se si dovessero separare paura e speranza per il futuro dalla paura e speranza provenienti dal passato e dal presente. Socrate ha detto che non c'è separazione. Noi ce lo chiediamo. Possiamo fare poco riguardo al presente e niente riguardo al passato, quindi la paura e la speranza a loro legate è inutile. La paura e la speranza per il futuro sono di una qualità diversa. Più che modi di vedere, sono modi per motivare ad agire. Socrate e i generali li mettono sullo stesso piano.
La cerimonia dell'innocenza è annegata.
I migliori mancano di ogni convinzione mentre i peggiori
Sono pieni di intensità appassionata.
La seconda venuta W. B. Yeats
La domanda che sembrava sul punto di fare Socrate, ma che non ha fatto, era cosa pensare di una persona “che sapesse tutte le cose buone e tutto della loro produzione nel presente, nel futuro e nel passato e allo stesso modo sapesse tutto delle cose cattive” ma non usa il proprio dono per prendere la dovuta precauzione o procurare le cose buone. Possiamo fare congetture sul fatto che Socrate e gli altri che una persona del genere non avrebbe avuto coraggio, anche se non fosse necessariamente privo di altre virtù, e forse che avrebbe risolto l'impasse filosofico nel discorso.
Tornando alla nostra domanda, potremmo riformulare questo per chiedere: è più probabile pieghiamo l'arco della civiltà verso la sostenibilità instillando paura delle conseguenze di rimanere sulla nostra attuale traiettoria man mano che procede dal passato conosciuto o offrendo una visione di un percorso in avanti (una storia credibile a prescindere dal tempo che le possibilità contro di essa impiegheranno per diventare realtà)? Platone finisce la sua narrazione senza risolvere il problema filosofico. Nella filosofia Greca, questa sarebbe stata chiamata aporia, una fine neutrale. Ne veniamo fuori in modo analogo col nostro approccio, che potrebbe essere descritto meglio come il bastone e la carota. Entrambi sembrano motivare allo stesso modo. E' solo un po' triste che, collettivamente, sembra che abbiamo bisogno di una randellata col bastone prima di avventurarci a sgranocchiare la carota.
Che belli i post filosofici, sono i miei preferiti.
RispondiEliminaLa mia opinione, comunque, è che, almeno collettivamente, sia meglio instillare una speranza anche un po' vana, piuttosto che un paura eccessiva, perchè:
- la paura fa "giocare" in difesa, tutti gli input sensoriali sono del tipo "vita o morte", tutte le funzioni superiori dell'essere umano come empatia, creatività, motivazione tendono a venire meno. È come se, percorrendo lo spettro emotivo dalla semplice preoccupazione al terrore più tremendo, facessimo un viaggio all'indietro nella storia evolutiva dell'uomo, regredendo allo stato di scimmie, quasi. Non credo sia quello che vogliamo.
- quando i problemi sono troppi ti senti impotente e giustamente ti chiedi se ne valga la pena anche solo di pensarci. Se la fine è inevitabile e siamo tutti nella stessa barca, perchè dovrei preoccuparmene vivendo male il poco tempo che mi rimane?
Dato che, invece, di tempo ancora un po' ne abbiamo, non dico per costruire un futuro rose e fiori, ma almeno per attutire significativamente la caduta, tanto vale instillare qualche balla per dare speranza. In certi casi il fine giustifica i mezzi, in definitiva.
A memoria mia, entrambe le strategie sono state ampiamente usate, sia in alternativa, sia insieme. Ma hanno comunque fallito. Né la paura, né la speranza, né una qualsivoglia mescolanza delle due ha potuto spostare di un grado la rotta dell'umanità. Quella di un numero molto sparuto di persone si (non è quindi stato tutto fiato sprecato), ma quello delle collettività no.
RispondiEliminaAmen.
@Jacopo
Elimina"A memoria mia, entrambe le strategie sono state ampiamente usate, (...) Ma hanno comunque fallito. Né (...) ha potuto spostare di un grado la rotta dell'umanità. Quella di un numero molto sparuto di persone si (non è quindi stato tutto fiato sprecato), ma quello delle collettività no.
Amen."
Mi sembra che manchi un elemento fondamentale per capire il perché del fallimento. Questo elemento è, IMO, che quando si parla di "umanità" non si parla di un insieme omogeneo "lineare" e "neutrale", ma di una compagine pluri-articolata e squilibrata verso l'alto, in cui il potere decisonale di maggior peso è nelle mani di un'elite (i nominati fratelli Koch e simile genia...) che, per insipienza o pura malizia, NON è interessata al riequlibrio, alla giusta distribuzione e alla conservazione di risorse/ambiente ( http://www.huffingtonpost.com/robert-greenwald-and-jesse-lava/top-ten-koch-facts_b_1413499.html ), elite per la quale anche TUTTI noi "altri", oltre al pianeta intero, siamo "esternalità" sacrificabili per il loro guadagno immediato.
In parole povere: il MALE esiste e ha nomi e cognomi... :-(
Possiamo intercettare una parte della colpa sia nel nostro modo di porci (direi un 20%) e di porre la querelle.
EliminaPossiamo intercettare La grossa parte della colpa nell'animo umano fortemente individualista e competitivo (come dice Krishnamurti).
Questo suo carattere fortemente violento, egoista e competitivo è stata la base su cui plasmare la società. L'uomo ha creato una società a sua somiglianza (vi torna qualcosa delle sacre scritture cristiane?)
Lo vediamo nelle corporazioni che non sono altro che un essere umano con emozioni esasperate in maniera parossistica. Come dice N.Klein, analizzando il comportamento di una corporation dal punto di vista psicologico, ci troviamo ad avere a che fare con un avido psicopatico disposto a tutto per dare i dividendi agli azionisti.
E chi sono gli azionisti? Chi darebbe credito ad aziende che non "danno" utili? Nessuno.
Abbiamo creato un circolo vizioso da cui è difficile uscire, una trappola. Ma in realtà è difficile uscirne perche non vogliamo uscirne, perchè siamo talmente abituati e talmente assuefatti dal sistema e da questo paradigma da non vederne altri.
E sempre in questa ottica, le corporation, che sono diventate degli esseri dipendenti dalla nostra volontà (i dividendi) ma assolutamente indipendenti nelle azioni che portano al fine cui precedentemente parlato, hanno ricercato negli anni tutti i metodi più raffinati per mentire, minacciare, estorcere al solo fine di fornirci (di ritorno) più dividendi.
Cosi il big Tobacco ha fornito false statistiche sull'incidenza dei tumori a causa del tabacco. Così le multinazionali pagano persone per mentire sulla questione climatico/energetica.
Il problema è stato riassunto in un solo unico grosso problema anche se in realtà ci sono molte luci e ombre con relative sfumature.
Una delle operazioni intraprese, sempre dalle multinazionali, è un flood di dati di informazioni di oggetti di gadget tali che la gente è drogata, non riesce più a focalizzarsi talmente è sommersa di informazioni inutili. Aggiungeteci gli stupidi negazionisti e avete il quadro preciso del fallimento.
Questo è secondo me il motivo principale del perchè la divulgazione ha fallito. Non avere preso coscienza di queste dinamiche in maniera completa ha fatto modo che anche il classico e collaudato "bastone e carota" fallisse miseramente. Allo stato attuale quelli che nei commenti partecipano, sono sempre le stesse persone (me compreso).
Quindi come si usa dire dalle mie zone, "ce la cantiamo e ce la suoniamo da soli" con le ovvie conseguenze del caso.
Ho pure notato che ben pochi mi rispondono, forse per astio nei miei confronti o forse per disprezzo, o forse perchè fondamentalmente vengo considerato stupido. Non ho idea del motivo per cui riesco a non piacere alla gente. Ma non penso di dire cose sbagliate, e i risultati danno forza alla mia tesi.
Se è per questo, caro CD, anche ai miei post vedi che dopo una o due risposte, non risponde più nessuno...
EliminaNel mio caso forse i motivi sono altri...
Il motivo per cui non funzionano è perché richiedono maggiori sacrifici nel presente; presente che già molti vivono in grave crisi economica.
Immagina quanto gli e ne può interessare a un precario con prole, che arriva a stento a fine mese, di investire nel lungo periodo.
Per lui, il lungo periodo è arrivare a fine mese!
Caro CD, non credo che non ti rispondano per i motivi che dici. Molto spesso, infatti, l'impersonalità di una sezione commenti impedisce risposte sensate e una conversazione approfondita. Dobbiamo tenere sempre conto di questi limiti quando ci confrontiamo qui (e tra l'altro ricordare anche che questo è invece il terreno preferito dai troll). Non di rado mi ritrovo a scrivere commenti che poi non invio. Mi rendo conto che non sono adeguati e che le ulteriori repliche sarebbero faticose da gestire in questi spazi. e quindi non li invio. E credo che siano in molti a fare così. Aggiungici che spesso la concentrazione è attratta da altre attività o che non si ha proprio tempo e il risultato è che non si scrive nulla. Credo che sarebbe molto diverso se si potesse parlare a voce. Il mio consiglio è quello di non dare troppo peso ai commenti, non per i loro contenuti, ma per i limiti intrinseci di questo tipo di confronto. E anche per la grande potenzialità di equivoci che ne consegue.
EliminaNon era mica riferito a te o a qualcuno in generale, era un discorso generale... è che sto rileggendo Tolstoj e sono leggermente malinconico. Mi sento un po' Levin fra l'alta borghesia: inadatto, rozzo e tutto d'un pezzo
EliminaPenso che la “paura” non serva a convincere le persone.
RispondiEliminaHa mai smesso di fumare un fumatore che legge sul pacchetto di sigarette “fumare uccide” ?
Penso che tali persone preferiscano il piacere della sigaretta presente al terrore futuro.
Anche perché pensano, il presente me lo godo di sicuro, il futuro chissà? Forse morirò prima in un incidente stradale!
(P.S: io non fumo!)
Io direi che le persone sarebbero più propense se ci fosse una speranza non solo di vivere, ma anche di fare cose meravigliose che adesso non sono possibili (già il semplice smartphone sarebbe fantascienza per una persona di un secolo fa).
Se poi diamo pure la ciliegina nel presente, saranno felicissimi di accettare di tutto.
Invece come procedono i divulgatori?
RispondiEliminaChiedono sacrifici nel presente (costi per pannelli fotovoltaici, costi per il cappotto alla casa, ecc.) per ottenere qualcosa nel futuro, e per di più, in modo molto graduale!
Allora, Alessandro, dov'è il tuo barattolo delle amarene allo sciroppo?
RispondiEliminaNon ti rispondo così per sterile impeto polemico.
Per me il barattolo, anzi l'intera giara di leccornie sta proprio nel fatto che agire fin da subito inizia un processo di gratificazione contemporaneo all'azione.
I tuoi ultimi tre commenti sono quasi delle tautologie o almeno delle considerazioni quasi del tutto ovvie.
E poi, che cosa dovrebbero divulgare al volgo i divulgatori?
Chi frequenta questo blog, e non è in troll perdigiorgio, sa quanto sia improbabile un'aggiustata al disastro planetario in quattro e quattr'otto, con poca spesa e la finale collettiva soddisfazione.
Ma, appunto, stiamo vivendo un momento enormemente singolare, epico e perciò dove siamo chiamati a soddisfare esigenze grandiose.Tutto è utile ma niente è risolutivo, più che mai.
Un saluto, Marco Sclarandis.
Invece, il "barattolo delle amarene" si trova nei contributi pubblici.
EliminaRicordo che in Italia il fotovoltaico ha avuto un grande sviluppo, solo perché c'erano dei contributi pubblici che promettevano di guadagnare soldi.
Forse l'1% di chi li ha installati, l'ha fatto per l'ambiente; per gli altri la priorità era guadagnare.
Quindi: qualsiasi soluzione si voglia applicare, deve NECESSARIAMENTE essere conveniente economicamente nel presente o che faccia risparmiare da subito (se non guadagnare).
Tutto il resto è... noia!
(come direbbe un famoso cantante)
Questo tuo commento, conciso e limpido, mi ha rischiarato enormemente su quale sia il tuo pensiero.
RispondiEliminaIn parte ti do ragione, ma per il resto sappiamo dalla Storia e dala Umana Natura quanto il pubblico contributo sia soggetto a innumerevoli interpretazioni.
Da quelle quelle più sensate fino a quelle più bizzarre per scendere fino a quelle volgarmente criminali.
Io propengo per l'iniziale iniziativa politica individuale, che significa per esempio non abbandonare il sacchetto della plastica riciclata davanti e per terra al cassonetto del riciclo della plastica, solo per evitare la fatica di infilarci dentro il contenuto del riciclaggio.
O tanto per scendere ne personalissimo, di ammettere, se hai sbagliato a fare un sorpasso dove dovevi aspettare incolonnato tre secondi che chi ti sta davanti finisca la manovra, invece che sorpassare e causare un incidente per un soffio non mortale, ammettere lo, compilare il CID e non farneticare di rispetti ad personam delle legge o della sua trasgressione.
(tanto per la cronana, ha dovuto rapportare tutto ai Vigili Urbani, dove ha fatto sfoggio l'imbecille, della sua fantasiosa interpretazione del Codice della Strada.)
Un saluto, Marco Sclarandis
A tutti piacerebbe il mondo dei sogni in cui tutte le persone si vogliono bene e dove i politici pensano al bene della collettività e non a quello personale.
EliminaSoltanto che, se continuiamo a pensare a tale mondo, non capiremo mai perché la realtà va in tutt'altra direzione.
A me piace dire chiaro la realtà com'è! perché solo comprendendola appieno possiamo gestirla, indipendentemente che sia bella o brutta.
------
P.S: mi ricordo una volta che ho fatto una settimana educational per agenti di viaggio (lavoravo in una agenzia viaggi).
Il primo giorno le persone erano tutte cortesi con tutti.
Il terzo giorno già qualcuno veniva visto male.
Al quarto giorno c'era chi si evitava nel modo assoluto, onde evitare il peggio.
Per non parlare della competizione che c'era tra gli uomini per le belle ragazze.
Invece nel mondo di fantasia sarebbe:
prego... esci tu con questa bellissima ragazza, visto che l'hai vista tu, io mi faccio da parte.
Nella realtà:
Se quel tipo non si toglie dai piedi gli spezzo le gambe!
Che volete che vi dica: aprite gli occhi e guardate la realtà!