Parte quarta (e conclusiva) della serie di Jacopo Simonetta sul destino della specie umana
Prima parte.
Seconda parte.
Terza parte
Ricordiamole:
In pratica, se il destino della società industriale globalizzata appare effettivamente segnato per motivi geologici, termodinamici ed ecologici, il futuro delle società che si formeranno dalla sua disintegrazione rimane del tutto imperscrutabile. Curioso che dopo tanti sforzi per dominare e controllare completamente la Natura, ci troviamo a riporre ogni nostra speranza nel fatto che non ci siamo riusciti.
Prima parte.
Seconda parte.
Terza parte
di Jacopo Simonetta
Come reagiremo, collettivamente, alla situazione di carenza di risorse e crescita esplosiva della popopolazione - come delineato nei post precedenti? In altri termini, come potranno quattro
caratteristiche fondamentali della specie umana ci porteranno ad agire e con quali presumibili
conseguenze?
Ricordiamole:
1 – Estrema polifagia. Indubitabilmente continuerà lo sfruttamento
di risorse qualitativamente peggiori, man mano che quelle migliori diverranno
insufficienti. Già oggi lo vediamo, ad
esempio, con lo sfruttamento dei
cosiddetti “petroli non convenzionali” e del carbone, oppure con l’allevamento
industriale di insetti e batteri a scopo alimentare. Sicuramente ciò sta contribuendo a posticipare il
collasso globale che incombe, ma solo al prezzo di aggravarlo in quanto ogni
giorno che passa la popolazione aumenta, mentre la capacità di carico globale
diminuisce. In pratica, è come ottenere una rateizzazione di un debito impagabile a fronte di un ulteriore incremento degli interessi passivi.
2 – Evoluzione
culturale. La totalità delle
risorse disponibili è dedicata ad uno sforzo letteralmente titanico per sviluppare
tecnologie più aggressive ed efficienti, ma sempre sulla base di scoperte e
brevetti di base datati, perlomeno, di parecchi decenni. Ad esempio, le tecnologie fondamentali per l'informatica contemporanea sono brevetti militari degli anni '50; il fracking deriva da un brevetto degli anni '40; l'Ucg (recupero di gas da carbone bruciato in posto) data addirittura dalla fine del XIX° secolo. Sembra che siamo in grado di perfezionare anche
di molto quello che abbiamo, ma che non siamo capaci di inventare qualcosa di
veramente innovativo come furono, ai loro tempi, il motore a vapore o quello a
scoppio. In parte, forse perché la scoperta
“cornucopia” che cerchiamo non esiste, mentre la ricerca di un approccio
radicalmente diverso alla situazione è lasciato a settori marginali della
società.
In parte, certamente, perché il progresso tecnologico è in buona misura una funzione dell'energia disponibile al netto delle attività economiche vitali, in primis l'estazione e raffinazione dell'energia. Un margine che si sta rapidamente erodendo con il peggioramento qualitativo delle fonti disponibili.
Inoltre, l’aumento vertiginoso dei volumi e della velocità di informazione pongono problemi crescenti di sintesi, di comprensione e di reazione anche a personale altamente qualificato. Gran parte della classe dirigente (sia politica che economica) pare aver già raggiunto un livello di “overflow” oltre il quale prevalgono comportamenti istintuali e/o abituali sulla capacità di analisi razionale. Questo potrebbe spiegare almeno in parte perché, pur essendo perfettamente informati dei danni, dei rischi e delle principali cause della crisi attuale da almeno 40 anni, non abbiamo intrapreso alcuna azione efficace per evitarla. Di fatto, il comportamento complessivo dell’umanità non si sta dimostrando più “intelligente” di quello di una muffa; è come se la sommatoria di 7 miliardi di cervelli pensanti fosse tendente a zero.
In parte, certamente, perché il progresso tecnologico è in buona misura una funzione dell'energia disponibile al netto delle attività economiche vitali, in primis l'estazione e raffinazione dell'energia. Un margine che si sta rapidamente erodendo con il peggioramento qualitativo delle fonti disponibili.
Inoltre, l’aumento vertiginoso dei volumi e della velocità di informazione pongono problemi crescenti di sintesi, di comprensione e di reazione anche a personale altamente qualificato. Gran parte della classe dirigente (sia politica che economica) pare aver già raggiunto un livello di “overflow” oltre il quale prevalgono comportamenti istintuali e/o abituali sulla capacità di analisi razionale. Questo potrebbe spiegare almeno in parte perché, pur essendo perfettamente informati dei danni, dei rischi e delle principali cause della crisi attuale da almeno 40 anni, non abbiamo intrapreso alcuna azione efficace per evitarla. Di fatto, il comportamento complessivo dell’umanità non si sta dimostrando più “intelligente” di quello di una muffa; è come se la sommatoria di 7 miliardi di cervelli pensanti fosse tendente a zero.
3 – Incremento della
complessità. Finora è stata una
strategia vincente perché la disponibilità di risorse e la stabilità degli
ecosistemi erano sufficienti a sostenere strutture progressivamente più costose
in termini di risorse ed inquinamento. Ma
dal momento in cui la disponibilità di energia ha cominciato a declinare
(perlomeno in termini qualitativi) la complessità ha cominciato a divenire
sempre meno sostenibile. D'altronde, la
disarticolazione dei mega-sistemi in sub-sistemi più semplici e meno interconnessi
abbasserebbe drasticamente la capacità di fronteggiare problemi ordinari, come pure di estrarre ed utilizzare le risorse
residue. Si pensi, ad esempio alle capacità terapeutiche dei grandi ospedali universitari rispetto a quella degli ospedalini di provincia. Oppure si pensi al
livello iperbolico di complessità organizzativa necessario per costruire e
mantenere operativa una piattaforma petrolifera artica e confrontiamolo con il
livello organizzativo ed economico che permise al “colonnello” Drake di
trivellare i suoi pozzi.
Inoltre, la complessità dei problemi da affrontare richiede oramai l’impiego di personale troppo specializzato per potersi efficacemente coordinare, col risultato che le risposte imbastite da governi e grandi organizzazioni in genere si stanno dimostrando frammentarie ed inefficaci, spesso producendo danni imprevisti a latere di risultati deludenti. Un effetto probabilmente dovuto anche al fatto che la dimensione dei sistemi sociali è divenuta tale da impedire alle persone di riconoscervisi e, dunque, di collaborare efficacemente alla sopravvivenza collettiva. In altre parole, pare che i livelli di complessità stiano raggiungendo livelli ingestibili.
Inoltre, la complessità dei problemi da affrontare richiede oramai l’impiego di personale troppo specializzato per potersi efficacemente coordinare, col risultato che le risposte imbastite da governi e grandi organizzazioni in genere si stanno dimostrando frammentarie ed inefficaci, spesso producendo danni imprevisti a latere di risultati deludenti. Un effetto probabilmente dovuto anche al fatto che la dimensione dei sistemi sociali è divenuta tale da impedire alle persone di riconoscervisi e, dunque, di collaborare efficacemente alla sopravvivenza collettiva. In altre parole, pare che i livelli di complessità stiano raggiungendo livelli ingestibili.
4 – Costruzione
sociale di modelli mentali di riferimento. Il modello attualmente dominante e’ stato
elaborato nel periodo in cui il tesoro nascosto delle energie fossili diventava
disponibile e sembra incapace di adattarsi ad un contesto di progressiva
carenza energetica, sia qualitativa che quantitativa. Ma quando un modello ampiamente accettato e profondamente
radicato viene posto sotto stress dalla forza di fatti che questo non è in
grado di spiegare, si crea una situazione di grave sofferenza nei soggetti
coinvolti. Sofferenza tanto più forte
quanto più brusco e profondo è il contrasto e, normalmente, la risposta alla sofferenza
è la violenza. Ne sono testimonianza il fiorire di movimenti integralisti in più meno tutte le grandi religioni, come il risorgere di ideologie già costate milioni di morti che rappresentano altrettanti tentativi di ricreare dei modelli mentali ad un tempo esplicativi della realtà ed identitari del gruppo. Certo, è teoricamente
possibile una revisione del modello o la sua sostituzione con uno più adeguato,
ma questo tipo di processo richiede tempi relativamente lunghi che non abbiamo
più a disposizione. Di fatto, le classi dirigenti continuano a pensare
sulla base di paradigmi elaborati in contesti completamente diversi dall'attuale
e questo ne spiega il sistematico fallimento, anche a prescindere dai pur
reali e diffusi fenomeni di stupidità, corruzione ed ignoranza.
E dunque? Personalmente, ritengo che i livelli organizzativi superiori
(organizzazioni internazionali, stati, grandi imprese, ecc.) non potranno
materialmente elaborare alcuna strategia efficace e dunque si limiteranno a
tamponare via via le falle maggiori, di solito aprendone altre. Una cosa che potranno fare ancora per un
periodo relativamente lungo (probabilmente un paio di decenni, forse di più)
poiché la disponibilità di mezzi a loro disposizione è davvero molto elevata. Il problema è che così facendo posticiperanno sì eventi particolarmente dolorosi come le carestie, ma eroderanno nel contempo le
riserve ancora presenti in termini di risorse, di resilienza degli ecosistemi,
di capacità di adattamento delle popolazioni.
Al momento, alcuni tentativi di elaborare strategie
alternative si vedono a livelli organizzativi del tipo di piccole cittadine di
provincia o piccole imprese, ma sono molto pochi, mentre molto più numerosi
sono gli esempi di micro-comunità auto selezionate, oppure di singoli
individui o famiglie. Il problema è che
tanto più basso è il livello organizzativo, tanto minori sono i mezzi a disposizione
e le possibilità operative.
Inoltre, occorre tener presente che ogni tentativo di modificare la strategia ad un determinato livello organizzativo, sottrae risorse ai livelli superiori, una cosa autenticamente, profondamente sovversiva. Per adesso questo tipo di iniziative non provoca alcuna particolare reazione, se non un passivo boicottaggio derivante dall'incompatibilità di queste strategie con il sistema di norme e consuetudini esistenti. Questa comoda situazione potrebbe però cambiare se iniziative di questo tipo si moltiplicassero, oppure se il degenerare della situazione sociale portasse a governi più autoritari. Già in molti paesi del mondo le possibilità di scelta dei cittadini sono fortemente limitate non solo dai paradigmi mentali comuni e dalla propaganda, ma anche da apparati repressivi molto efficaci. Ed anche nei paesi di tradizione più liberale, esigenze di ordine pubblico e fiscale stanno portando alla creazione di sistemi di spionaggio e controllo della popolazione assolutamente capillari.Se ne potrebbe trarre la facile conclusione che un Fato funesto attende la nostra specie e, probabilmente, l’intero pianeta. Effettivamente, in una prospettiva plurisecolare, questa è una possibilità concreta, ma assolutamente non una certezza.
A conclusione del suo ultimo (e più amaro) libro, “Il declino dell’uomo”, Konrad Lorenz illustra come il comportamento dell’uomo contemporaneo continui ad essere condizionato da paradigmi istintuali che per almeno 100.000 anni hanno fatto di noi la specie vincente in assoluto. Questo li ha radicati profondamente nella nostra mente e, probabilmente, anche nei nostri geni, cosicché non riusciamo a liberarcene, malgrado nel contesto odierno siano diventati, a tutti gli effetti, degli istinti suicidi. Conclude, tuttavia, dicendo che una speranza comunque c'è e e risiede nel fatto che la caratteristica principale dei sistemi viventi rimane l’imprevedibilità. E le società umane sono sistemi viventi estremamente complessi, all'interno delle quali evolvono contemporaneamente numerose tendenze diverse, talvolta contrastanti.
Inoltre, occorre tener presente che ogni tentativo di modificare la strategia ad un determinato livello organizzativo, sottrae risorse ai livelli superiori, una cosa autenticamente, profondamente sovversiva. Per adesso questo tipo di iniziative non provoca alcuna particolare reazione, se non un passivo boicottaggio derivante dall'incompatibilità di queste strategie con il sistema di norme e consuetudini esistenti. Questa comoda situazione potrebbe però cambiare se iniziative di questo tipo si moltiplicassero, oppure se il degenerare della situazione sociale portasse a governi più autoritari. Già in molti paesi del mondo le possibilità di scelta dei cittadini sono fortemente limitate non solo dai paradigmi mentali comuni e dalla propaganda, ma anche da apparati repressivi molto efficaci. Ed anche nei paesi di tradizione più liberale, esigenze di ordine pubblico e fiscale stanno portando alla creazione di sistemi di spionaggio e controllo della popolazione assolutamente capillari.Se ne potrebbe trarre la facile conclusione che un Fato funesto attende la nostra specie e, probabilmente, l’intero pianeta. Effettivamente, in una prospettiva plurisecolare, questa è una possibilità concreta, ma assolutamente non una certezza.
A conclusione del suo ultimo (e più amaro) libro, “Il declino dell’uomo”, Konrad Lorenz illustra come il comportamento dell’uomo contemporaneo continui ad essere condizionato da paradigmi istintuali che per almeno 100.000 anni hanno fatto di noi la specie vincente in assoluto. Questo li ha radicati profondamente nella nostra mente e, probabilmente, anche nei nostri geni, cosicché non riusciamo a liberarcene, malgrado nel contesto odierno siano diventati, a tutti gli effetti, degli istinti suicidi. Conclude, tuttavia, dicendo che una speranza comunque c'è e e risiede nel fatto che la caratteristica principale dei sistemi viventi rimane l’imprevedibilità. E le società umane sono sistemi viventi estremamente complessi, all'interno delle quali evolvono contemporaneamente numerose tendenze diverse, talvolta contrastanti.
In pratica, se il destino della società industriale globalizzata appare effettivamente segnato per motivi geologici, termodinamici ed ecologici, il futuro delle società che si formeranno dalla sua disintegrazione rimane del tutto imperscrutabile. Curioso che dopo tanti sforzi per dominare e controllare completamente la Natura, ci troviamo a riporre ogni nostra speranza nel fatto che non ci siamo riusciti.
“Sento dunque che
l’improbabile al quale mi dedico rischia di diventare davvero impossibile. Ma sento anche che, se il Titanic naufraga,
forse una bottiglia gettata in mare giungerà sulla riva di un mondo in cui
tutto sarebbe da ricominciare … Non si
sa mai se e quando è troppo tardi.” (E.
Morin, La via, 2012).