Terza parte della serie di Jacopo Simonetta sull'origine e il destino degli esseri umani
Prima parte.
Seconda parte.
di Jacopo Simonetta.
Meccanizzazione, irrigazione e concimi sintetici hanno infatti consentito un aumento delle rese ad ettaro comprese fra il 50 ed il 200% a seconda delle colture e delle zone, ma tutto ciò è fattibile solo con grandi consumi di energia. Oggi si stima che l’agricoltura consumi in media 4 joule fra petrolio e gas per produrre 1 joule sotto forma di cibo, ma le colture ad altissima produttività (quelle che fanno i 180-200 q/ha e che nutrono le megalopoli del mondo) consumano oltre 10-12 joule di energia fossile per ogni joule di granella raccolta. E bisogna ancora trasportarla, macinarla, impacchettarla, cuocerla, ecc. Stime ragionevoli valutano in una media globale di 40 joule di energia fossile consumata per mangiare un joule di cibo; che ci si trovi a New York, a San Paolo, a Shanghai od al Cairo fa poca differenza.
In termini energetici, stiamo letteralmente
mangiando petrolio condito con metano; tutto il resto serve sostanzialmente
renderlo più gustoso e digeribile.
L’impronta ecologica è un modello di valutazione della sostenibilità approssimativo, ma è comunque indicativo. E’ interessante vedere che il numero di giorni in cui siamo andati in “debito ecologico” ha continuato ad aumentare di anno in anno, a partire dal 1976 quando, probabilmente, l’umanità superò per la prima volta la capacità di carico complessiva del pianeta (fig. 7). Com'è possibile che la gente sopravviva? Semplice: si stanno usando ed esaurendo le riserve di energia fossile, acqua, fertilità, biodiversità. E man mano che le riserve si erodono, la capacità di carico del pianeta si riduce ed il debito ecologico si accumula, analogamente a quello finanziario di cui tanto si parla in questi anni. Eppure, il debito ecologico, di cui non si parla, è molto più grave giacché non è possibile azzerarlo in altro modo che morendo in quantità sufficiente. E quanto è sufficiente? Nessuno può saperlo, ma sappiamo che ogni anno è un po’ di più del precedente.
Prima parte.
Seconda parte.
di Jacopo Simonetta.
Ci sono volute circa 10.000 generazioni perché la popolazione umana raggiungesse 1
miliardo nel 1800 circa ed altri 130 anni per raggiungere i 2 miliardi di
individui verso il 1930; poi, nell’arco di una sola vita umana, siamo passati
ad oltre 7 miliardi in ulteriore, rapido aumento. E’ vero che il tasso di crescita sta
diminuendo costantemente dalla metà degli anni ’60, ma il tasso record del
2,19% del 1963, applicato ad una popolazione di 3,2 miliardi di persone,
comportò un aumento di poco più di 70 milioni di bocche da sfamare. Nel 2013, un tasso di crescita pari a
“solamente” 1,14 %, applicato ad una base di 7,16 miliardi, ha portato quasi 82
milioni di bocche in più attorno al desco globale.
La densità di popolazione media mondiale oggi è all'incirca
di una persona ogni 2
ettari , compresi i deserti e le alte montagne. Se si considera la sola superficie agricola, le
stime della FAO del 2006 davano una persona ogni 2.000 mq circa, altre fonti
danno cifre un po’ diverse, ma poco importa la differenza, da momento che tutte
concordano sul fatto che tale cifra si è dimezzata in 40 anni circa e che la
tendenza è ad un’ulteriore, rapida, riduzione. In Italia, nel 2004 avevamo “ben”
2.280 mq di terra agricola a persona (ISTAT), ma considerando che diminuisce di
circa 30 mq l’anno a causa dell’incremento demografico e dell’urbanizzazione; oggi
dovremmo averne poco più di 2.000 mq con “rating” negativo. Eppure il costo medio del cibo nel corso degli ultimi 50 anni è
diminuito, come è possibile un simile miracolo?
Figura 1 |
Semplicemente è stato reso
possibile dal fatto che abbiamo trovato il modo di utilizzare petrolio e gas per produrre cibo. Chiunque pensi che l’attuale
popolazione possa sopravvivere senza avere a disposizione combustibili fossili
di alta qualità, in quantità praticamente illimitate ed a prezzo molto basso
osservi bene questo grafico (fig.1):
Meccanizzazione, irrigazione e concimi sintetici hanno infatti consentito un aumento delle rese ad ettaro comprese fra il 50 ed il 200% a seconda delle colture e delle zone, ma tutto ciò è fattibile solo con grandi consumi di energia. Oggi si stima che l’agricoltura consumi in media 4 joule fra petrolio e gas per produrre 1 joule sotto forma di cibo, ma le colture ad altissima produttività (quelle che fanno i 180-200 q/ha e che nutrono le megalopoli del mondo) consumano oltre 10-12 joule di energia fossile per ogni joule di granella raccolta. E bisogna ancora trasportarla, macinarla, impacchettarla, cuocerla, ecc. Stime ragionevoli valutano in una media globale di 40 joule di energia fossile consumata per mangiare un joule di cibo; che ci si trovi a New York, a San Paolo, a Shanghai od al Cairo fa poca differenza.
Niente di strano, dunque, che il
prezzo del cibo segua quello del petrolio (fig.2).
Figura 3 |
Con tutto ciò, la
produzione mondiale pro- capite di cereali ha raggiunto un picco nel 1985 per
poi declinare (fig.3). Le scorte strategiche mondiali sono ai minimi storici e non
riescono a risollevarsi neppure nelle annate migliori, mentre abbiamo visto che ogni anno
ci sono circa 80-90 milioni di bocche in più da sfamare.
Figura 4. |
Parallelamente, la quantità di
persone denutrite è andata diminuendo dal 1960 fino al 1995, per poi circa triplicare nei 20 anni successivi.(fig. 4).
Forse la resa agricola potrebbe
ancora aumentare, ma anche in questo caso l’effetto della legge dei “ritorni
decrescenti” è evidente (fig.5). Quali
sarebbero dunque i costi, quali conseguenze e con quali risultati?
Figura 5 |
Sappiamo inoltre che il cambiamento climatico in corso già grava sulla produzione agricola mondiale e che sempre di più lo farà. In un disperato tentativo di compensazione, ogni anno circa
1.500.000 di ettari vengono annualmente messi a coltura mediante bonifiche e
disboscamenti. E’ impossibile sapere
con esattezza di quanto annualmente diminuisca la superficie forestale sia per
motivi politici (ovvi), sia tecnici (cosa
è classificato come “foresta” cambia a seconda degli autori). Comunque, pare che dal 8.000 a .C. al 1.900 d.C
(10.000 anni) siano state distrutte circa il 50% delle foreste originarie; fra
il 1900 ed il 2.000 (100 anni) la metà di quelle rimaste; entro il 2020-30
(10-20 anni) la metà di quelle che rimangono oggi (anzi, ieri). Le conseguenze
sui suoli, le acque, la biodiversità ed il clima sono semplicemente incalcolabili.
Eppure la superficie agricola continua
a diminuire (dal 1980 al 2000 è calata dell’11%, pari a 80 milioni di ettari) in
conseguenza di una serie di fenomeni, perlopiù dipendenti dall'eccessivo
sfruttamento cui è sottoposta (desertificazione, erosione, edificazione,
salinizzazione, ecc.). Oramai, questo immane sforzo
produttivo fa si che praticamente tutti i suoli accessibili siano più o meno
seriamente degradati, compresa la maggior parte di quelli forestali (fig. 6).
Figura 6 |
Forme più moderne di agricoltura (come la permacoltura, l’agricoltura
biologica e biodinamica) hanno consumi energetici che sono circa la metà di
quelli dell’agricoltura industriale e non danneggiano il suolo, ma comunque
necessitano di petrolio sia per la meccanizzazione, sia per tutti i servizi
collegati (consumi domestici degli agricoltori, trasporti, ecc.). Sulle rese gli effetti sono diversi: in
grossolana approssimazione si può ritenere che nei paesi temperati i raccolti
diminuiscono leggermente, mentre nelle zone tropicali aumentano. Nell'insieme, si può quindi ritenere che,
passando a forme di agricoltura più sostenibili, la produzione mondiale di cibo
potrebbe restare circa costante, a fronte di un netto rallentamento nel degrado
dei suoli e nei consumi di energia. Un
vantaggio enorme, ma che da solo non sarebbe sufficiente a risolvere il
problema della sovrappopolazione. Anzi, potrebbe addirittura peggiorarlo consentendo un ulteriore aumento della popolazione, analogamente a quanto accaduto con la "rivoluzione verde".
Figura 7 |
L’impronta ecologica è un modello di valutazione della sostenibilità approssimativo, ma è comunque indicativo. E’ interessante vedere che il numero di giorni in cui siamo andati in “debito ecologico” ha continuato ad aumentare di anno in anno, a partire dal 1976 quando, probabilmente, l’umanità superò per la prima volta la capacità di carico complessiva del pianeta (fig. 7). Com'è possibile che la gente sopravviva? Semplice: si stanno usando ed esaurendo le riserve di energia fossile, acqua, fertilità, biodiversità. E man mano che le riserve si erodono, la capacità di carico del pianeta si riduce ed il debito ecologico si accumula, analogamente a quello finanziario di cui tanto si parla in questi anni. Eppure, il debito ecologico, di cui non si parla, è molto più grave giacché non è possibile azzerarlo in altro modo che morendo in quantità sufficiente. E quanto è sufficiente? Nessuno può saperlo, ma sappiamo che ogni anno è un po’ di più del precedente.
Tuttavia da molte parti ci dicono di non preoccuparsi perché
la natalità diminuisce spontaneamente con l’aumento del benessere, quindi la
crescita economica ridurrà la natalità: è solo una questione di tempo e di
sviluppo. In realtà la natalità è correlata con la capacità di decisione autonoma delle
donne e non con il reddito (anche se donne benestanti ed istruite sono spesso
più autonome di donne povere ed analfabete, ma non sempre). All'atto pratico, la cosiddetta “transizione
demografica” rappresenta abbastanza bene quello che è accaduto nei paesi
“occidentali” al netto dell’immigrazione, ma non nel resto del mondo (v.
tabella). Fra i paesi a crescita più rapida troviamo sia i poverissimi che i ricchissimi, mentre fra quelli a crescita negativa troviamo praticamente solo poveri (v. energia-e-crescita-demografica). Questa è una grossa fortuna perché il livello di
benessere sta diminuendo per moltissima gente in tutto il mondo e molto di più
diminuirà nei prossimi decenni senza che ciò, per ora, provochi una
recrudescenza della natalità.
Al di là di imprevedibili
fluttuazioni di dettaglio, sappiamo infatti che siamo attualmente in una fase
di picco della disponibilità energetica e che nel giro di 10-20 anni la
disponibilità globale non potrà che diminuire (fig. 8), con quali conseguenze sulle
economie e le popolazioni?
Figura 8 |