venerdì 13 agosto 2021

Mutilazione Rituale come una Prova di Appartenenza nelle Società sotto Stress

 Le mani di un anziano membro della mafia giapponese (gli "Yakuza"). Oltre ai tatuaggi, notate l'amputazione del dito mignolo. E' una delle tante forme di mutilazione rituale praticate nella società umana. 

 

Fino a non molto tempo fa, esisteva in Giappone un'organizzazione criminale i cui membri andavano sotto il nome di Yakuza. Era molto simile alla nostra mafia, tanto è vero che viene spesso chiamata la "mafia giapponese." Gli Yakuza praticavano varie forme di mutilazione rituale, una delle quali era l'amputazione dell'ultima falange del dito mignolo. Lo descrive anche Fosco Maraini nel suo "Ore Giapponesi" (1958), raccontandoci che lui stesso si taglio il mignolo come protesta contro il governo Giapponese. 

Tagliarsi una falange del mignolo è un buon esempio di una mutilazione rituale. Non è utile a niente, ma è visibile, è doloroso, ed è una prova di coraggio per chi lo fa. Quindi, è una testimonianza di appartenenza a un certo gruppo -- in questo caso gli Yakuza. Oggi, sono quasi spariti in Giappone e con loro le mani dal mignolo amputato. Ma le mutilazioni rituali in altre forme sono comuni in altre regioni del mondo. 

Nella parte Ovest dell'Eurasia, ci sono due tipi di mutilazione rituale diffuse: la circoncisione maschile e l'infibulazione femminile. Per entrambe, si parla di possibili benefici sanitari ma su questo non esistono prove certe. Come nel caso dell'amputazione del mignolo, sono prove di appartenenza a un gruppo sociale o religioso. Come sappiamo, la circoncisione è obbligatoria per gli ebrei, è comune fra i musulmani, anche se non obbligatoria per motivi religiosi, meno comune ma non rara fra i cristiani. In Europa si parla di circa il 20% dei maschi circoncisi, una percentuale che sale a circa l'80% negli Stati Uniti. 

Tutto sommato, la circoncisione non ha grandi effetti sul fisico del circonciso, ma per quanto riguarda l'infibulazione si parla di una vera e propria mutilazione che influisce pesantemente sulla sessualità della donna che la subisce.  E' condannata dalla religione cristiana, non fa parte della tradizione ebraica ed è stata oggetto di Fatwa islamiche che la proibiscono. In molti stati, è esplicitamente proibita dalla legge.

Eppure, l'infibulazione resiste tenacemente in certe aree dove è un'antica tradizione, specialmente in Africa. E' difficile per noi occidentali rendersi conto del perché le donne in queste regioni spesso non la vedono come un'imposizione, ma come un motivo di orgoglio, una prova di maturità e di appartenenza alla società in cui vivono. In queste società, la donna non infibulata è considerata una reietta, una nemica da isolare e demonizzare. E' un meccanismo perverso che persiste nonostante i molti tentativi di eradicare la pratica. 

Esistono, ed esistevano nel passato molte altre pratiche di mutilazione rituale che colpiscono sia uomini che donne. Si racconta che, un tempo, le amazzoni si amputassero una mammella per tirare meglio con l'arco. E' quasi certamente una leggenda.  Anche se fosse vera, è improbabile che avrebbe migliorato la loro capacità di infilzare i nemici con le freccie. Se le Amazzoni (assumendo che siano mai esistite) lo facevano, era per la stessa ragione per la quale gli yakuza si tranciavano una falange del dito mignolo. 

In Cina, si praticava fino a tempi recenti la legatura dei piedi delle bambine. Era una forma di mutilazione: una vera tortura giornaliera con conseguenze che duravano per tutta la vita. Da adulte, queste donne non erano in grado di camminare da sole. Per fortuna, oggi non si fa più, ma rimangono ancora in vita alcune anziane donne cinesi che hanno subito questa pratica in gioventù. 

In Occidente, la prevalenza della visione cristiana a partire da Paolo di Tarso tendeva al rifiuto di ogni intervento irreversibile sul corpo umano. Ciononostante, forme minori di mutilazione sono rimaste diffuse, come quella di bucare il lobo delle orecchie per gli orecchini. 

Più spesso, la mutilazione veniva eseguita con il supporto della "scienza." Un esempio era la rimozione delle tonsille dei bambini, come era venuto di moda fare negli anni 1970. Un'operazione che probabilmente non faceva gravi danni, ma la cui opportunità è quantomeno discutibile se eseguita su persone sane.

Molto peggiore è il caso della mastectomia radicale per la cura del tumore della mammella. Come descrive Siddharta Mukherjee nel suo libro "L'imperatore di tutte le malattie" (2010) era una terapia invasiva che in certi casi implicava "l'escissione completa di tutto il tessuto mammario, contenuto ascellare, rimozione del latissimus dorsi, muscoli pettorali maggiori e minori e dissezione dei linfonodi mammari interni". E tutto questo senza una vera ragione medica che la giustificasse. Il risultato era una mutilazione radicale e irreversibile che trasformava la donna in un'invalida per il resto della vita.

Nella nostra società, teoricamente razionale, potremmo pensare di esserci liberati da queste usanze che consideriamo superstizioni o perlomeno errori di valutazione di una scienza ancora imperfetta. Ma il meccanismo di "prova di appartenenza basata sulla sofferenza" è profondamente radicato nel nostro modo di pensare e tende a rispuntare fuori in un modo o nell'altro, con o senza giustificazioni mediche. 

Pensiamo soltanto all'uso dei tatuaggi, considerato primitivo e barbarico in Occidente fino a qualche decennio fa, oggi diffusissimo fra i giovani. Tatuarsi è doloroso e quindi è una prova di coraggio per chi lo fa. E' anche irreversibile, cosicché rappresenta una prova di appartenenza definitiva a un certo gruppo sociale. Quindi non è sorprendente che si sia diffuso così rapidamente in una società che ai giovani da poco o niente, se non bastonate, reali o virtuali. 

Inutile nasconderlo: sotto un'infarinatura di razionalità, la nostra mentalità è ancora quella del tempo in cui si bruciavano le streghe, secoli fa. E quando siamo sotto stress sociale, le tendenze ossessive e punitive vengono fuori facilmente e sono impossibili da fermare. Per fortuna, oggi le donne non sono costrette a tagliarsi una mammella per tirare meglio con l'arco (per ora) e gli uomini non sono costretti a tranciarsi il mignolo per mostrare il loro coraggio (per ora). Ma con lo stress a cui siamo sottoposti, chissà....


martedì 10 agosto 2021

Consenso: un'arte che stiamo perdendo. Il caso della scienza del clima

 

Dal blog "The Seneca Effect"

Nel 1956, Arthur C. Clarke scrisse "The Forgotten Enemy", una storia di fantascienza che trattava del ritorno dell'era glaciale ( fonte immagine ). Sicuramente non era la migliore storia di Clarke, ma potrebbe essere stata la prima scritta su quell'argomento da un noto autore. Diversi altri autori di fantascienza hanno esaminato lo stesso tema, ma ciò non significa che, a quel tempo, esistesse un consenso scientifico sul raffreddamento globale. Significa solo che un consenso sul riscaldamento globale è stato ottenuto solo più tardi, negli anni '80. Ma quali meccanismi sono stati utilizzati per ottenere questo consenso? E perché, oggigiorno, sembra impossibile raggiungere il consenso su qualsiasi cosa? Questo post è una discussione su questo argomento che usa la scienza del clima come esempio.

 

di Ugo Bardi

 

Forse ricorderete come, nel 2017, durante la presidenza Trump, sia circolata brevemente sui media l'idea di organizzare un dibattito sui cambiamenti climatici sotto forma di un incontro "squadra rossa contro squadra blu" tra gli scienziati del clima ortodossi e i loro avversari. Gli scienziati del clima erano inorriditi all'idea. Erano particolarmente sgomenti per le implicazioni militari dell'idea "rosso contro blu" che suggeriva il modo in cui avrebbe potuto essere organizzato il dibattito. Da parte del governo, invece, si è subito capito che in un dibattito scientifico equo la loro parte non aveva nessuna possibilità di successo. Quindi, il dibattito non ha mai avuto luogo ed è un bene che sia stato così. Forse chi lo proponeva aveva buone intenzioni (o forse no), ma in ogni caso sarebbe degenerato in una rissa e avrebbe creato solo confusione.

Eppure, la storia di quel dibattito che non si è mai tenuto suggerisce un punto che la maggior parte delle persone comprende: la necessità del consenso . Nulla nel nostro mondo può essere fatto senza una qualche forma di consenso e la questione del cambiamento climatico ne è un buon esempio. Gli scienziati del clima tendono ad affermare che esiste un consenso e talvolta lo quantificano come il 97% o addirittura il 100%. I loro avversari affermano il contrario

In un certo senso hanno ragione entrambi. Esiste un consenso sul cambiamento climatico tra gli scienziati, ma questo non è vero per il grande pubblico. I sondaggi dicono che la maggior parte delle persone ha delle nozioni sui cambiamenti climatici e concorda sul fatto che bisogna fare qualcosa al riguardo, ma non è la stessa cosa di un consenso approfondito e informato. Inoltre, questa maggioranza scompare rapidamente non appena è il momento di fare qualcosa che tocca il portafoglio di qualcuno. Il risultato è che, per più di 30 anni, migliaia dei migliori scienziati del mondo hanno continuato ad avvertire l'umanità di una terribile minaccia in arrivo, e non è stato fatto nulla di serio per fermarla. Solo proclami, greenwashing e "soluzioni" che peggiorano il problema (l'" economia basata sull'idrogeno " ne è un buon esempio).

Quindi, la costruzione del consenso è una questione fondamentale. La si può chiamare una scienza o vederla come ciò che altri chiamano "propaganda". Alcuni rifiutano l'idea stessa come una forma di "controllo mentale" o la praticano in vari metodi di negoziazione basata su regole. È un argomento affascinante che va al cuore della nostra esistenza di esseri umani in una società complessa. 

Qui, invece di affrontare la questione da un punto di vista generale, discuterò un esempio specifico: quello del "raffreddamento globale" contro il "riscaldamento globale", e come si è ottenuto un consenso sul fatto che il riscaldamento sia la vera minaccia. È una disputa che spesso si dice sia la prova che non esiste consenso nella scienza del clima. 

Avrete sicuramente sentito la storia di come, solo pochi decenni fa, il "raffreddamento globale" fosse la visione scientifica generalmente accettata del futuro. E come quegli sciocchi scienziati hanno cambiato idea, passando invece al riscaldamento. Al contrario, potreste anche aver sentito che questo è un mito e che non c'è mai stato un consenso sul fatto che la Terra si stesse raffreddando.

Come sempre, la  realtà è più complessa di quanto la politica voglia che sia. Il raffreddamento globale come consenso scientifico è una delle tante leggende generate dalla discussione sui cambiamenti climatici e, come la maggior parte delle leggende, è sostanzialmente falsa. Ma ha perlomeno alcuni collegamenti con la realtà. È una storia interessante che ci dice molto su come si ottiene il consenso nella scienza. Ma dobbiamo cominciare dall'inizio.

L'idea che il clima della Terra non fosse stabile è emersa a metà del XIX secolo con la scoperta delle passate ere glaciali. A quel punto, una domanda ovvia era se le ere glaciali potessero tornare in futuro. La questione è rimasta al livello di speculazioni sparse fino alla metà del XX secolo, quando il concetto di "nuova era glaciale" è apparso nella "memesfera" (l'insieme dei memi pubblici umani). Possiamo vedere questa evoluzione utilizzando Google "Ngrams", un database che misura la frequenza delle stringhe di parole in un ampio corpus di libri pubblicati ( Grazie, Google !!).

 

Vedete che la possibilità di una "nuova era glaciale" è entrata nella coscienza pubblica già negli anni '20, poi è cresciuta e ha raggiunto un picco nei primi anni '70. Altre stringhe come "Earth cooling" e simili danno risultati simili. Si noti inoltre che il database "English Fiction" genera un picco per il concetto di "nuova era glaciale" all'incirca nello stesso periodo, negli anni '70. In seguito, il raffreddamento è stato completamente sostituito dal concetto di riscaldamento globale. Possiamo vedere nella figura sottostante come è arrivato il crossover alla fine degli anni '80.

 


Anche dopo che iniziò a declinare, l'idea di una "nuova era glaciale" rimase popolare e i giornalisti amavano presentarla al pubblico come una minaccia imminente. Ad esempio, Newsweek ha pubblicato un articolo intitolato "The Cooling World " nel 1975, ma il concetto ha fornito un buon materiale per il genere catastrofico. Ancora nel 2004, era alla base del film " The Day After Tomorrow. "

Questo significa che gli scienziati credevano che la Terra si stesse raffreddando? Ovviamente no. Non c'era consenso sulla questione. Lo stato della scienza del clima fino alla fine degli anni '70 semplicemente non consentiva certezze sul clima futuro della Terra.

Ad esempio, nel 1972, il noto rapporto al Club di Roma,  "I limiti alla crescita ", rilevava la crescente concentrazione di CO2 nell'atmosfera, ma non affermava che avrebbe causato il riscaldamento - evidentemente il problema non era ancora chiaro nemmeno per gli scienziati impegnati in studi sull'ecosistema globale. 8 anni dopo, nel 1980, gli autori del " The Global 2000 Report to the President of the US " commissionato dal presidente Carter, avevano già una comprensione molto migliore degli effetti sul clima dei gas serra. Tuttavia, non hanno escluso il raffreddamento globale e ne hanno discusso come uno scenario plausibile.

Il Global 2000 Report è particolarmente interessante perché fornisce alcuni dati sull'opinione degli scienziati del clima così com'era nel 1975. Sono stati intervistati 28 esperti ai quali è stato chiesto di prevedere la temperatura media mondiale per l'anno 2000. Il risultato è stato nessun riscaldamento o un riscaldamento minimo di circa 0,1 C. Nel mondo reale, tuttavia, le temperature sono aumentate di oltre 0,4 C nel 2000. Chiaramente, nel 1980, non esisteva un consenso scientifico sul riscaldamento globale. Sul punto si veda anche l'articolo di Peterson (2008 ) che analizza la letteratura scientifica degli anni Settanta. Trovava che la maggior parte degli articoli erano in favore del riscaldamento globale, ma anche una minoranza significativa sosteneva l'assenza di variazioni di temperatura o il raffreddamento globale.

Ora stiamo arrivando al punto veramente interessante di questa discussione. Il consenso sul riscaldamento della Terra non esisteva prima degli anni '80, ma poi è diventato la norma. Come è stato ottenuto?

Ci sono due interpretazioni che fluttuano oggi nella memesfera. Una è che gli scienziati hanno concordato una cospirazione globale per terrorizzare il pubblico sul riscaldamento globale al fine di ottenere vantaggi personali. L'altra che gli scienziati sono analizzatori di dati a sangue freddo e che hanno fatto come disse John Maynard Keynes: "Quando ho nuovi dati, cambio idea". 

Entrambi sono leggende. Quello sulla cospirazione scientifica è ovviamente ridicolo, ma il secondo è altrettanto sciocco. Gli scienziati sono esseri umani e i dati non sono un vangelo di verità. I dati sono sempre incompleti, affetti da incertezze e devono essere selezionati. Prova a invetare la legge di gravitazione universale di Newton senza ignorare tutti i dati sulla caduta di piume, fogli di carta e uccelli, e capirai cosa intendo. 

In pratica, la scienza è nata come una macchina per la costruzione del consenso. Si è evoluta proprio allo scopo di assorbire nuovi dati in un processo graduale che non porta (normalmente) al tipo di divisione partigiana tipica della politica. 

La scienza utilizza un procedimento derivato da un antico metodo che, in epoca medievale, era chiamato disputatio e che affonda le sue radici nell'arte della retorica dell'antichità classica. L'idea è quella di discutere i problemi mettendo uno di fronte all'altro i campioni delle diverse tesi e cercando di convincere un pubblico informato utilizzando i migliori argomenti che possono raccogliere. La disputatio medievale poteva essere molto sofisticata e, ad esempio, ho discusso la " Controversy of Valladolid " (1550-51) sullo stato degli indiani d'America. Le Disputstiones teologiche normalmente non potevano armonizzare posizioni veramente incompatibili, ad esempio convincendo gli ebrei a diventare cristiani (è stato tentato più di una volta, ma vi potete immaginare i risultati). Ma a volte portavano a buoni compromessi e mantenevano il confronto a livello verbale (almeno per un po').

Nella scienza moderna, le regole sono leggermente cambiate, ma l'idea rimane la stessa: gli esperti cercano di convincere i loro avversari usando i migliori argomenti che possono raccogliere. Deve essere una discussione, non un litigio. Le buone maniere vanno mantenute e la caratteristica fondamentale è saper parlare una lingua reciprocamente comprensibile. E non solo: i relatori devono concordare su alcuni principi di base della cornice della discussione.  Durante il Medioevo, i teologi discutevano in latino e concordavano che la discussione doveva essere basata sulle scritture cristiane. Oggi gli scienziati discutono in inglese e concordano sul fatto che la discussione debba essere basata sul metodo scientifico.

Nei primi tempi della scienza si usavano dibattiti uno contro uno (forse ricorderete il famoso dibattito sulle idee di Darwin che coinvolse Thomas Huxley e l'arcivescovo Wilberforce nel 1860). Ma, al giorno d'oggi, è raro. Il dibattito si svolge in convegni e seminari scientifici a cui partecipano parecchi scienziati che guadagnano o perdono "punti prestigio" a seconda di quanto sono bravi a presentare le proprie opinioni. Occasionalmente, un presentatore, in particolare un giovane scienziato, può essere "fatto alla griglia" dal pubblico in una piccola rievocazione delle cerimonie di raggiungimento della maggiore età dei nativi americani. Ma, cosa più importante di tutte, durante la conferenza si svolgono discussioni informali. Questi incontri non devono essere vacanze, sono funzionali allo scambio di idee faccia a faccia. Come ho detto, Si fa molta scienza nelle mense e davanti a un bicchiere di birra. Probabilmente, la maggior parte delle scoperte scientifiche inizia in questo tipo di ambiente informale. Nessuno, per quanto ne so, è mai stato colpito da un raggio di luce dal cielo mentre guardava una presentazione in power point.

Sarebbe difficile sostenere che gli scienziati siano più abili nel cambiare le loro opinioni di quanto i teologi medievali e gli scienziati più anziani tendano ad attenersi alle vecchie idee. A volte si sente dire che la scienza avanza un funerale alla volta; non è sbagliato, ma sicuramente un'esagerazione: le opinioni scientifiche cambiano anche senza dover aspettare che muoia la vecchia guardia. Il dibattito in una conferenza può decisamente spostarsi in una certa direzione sulla base della brillantezza di uno scienziato, della disponibilità di buoni dati e della competenza complessiva dimostrata. 

Posso testimoniare che, almeno una volta, ho visto qualcuno del pubblico alzarsi dopo una presentazione e dire: "Caro signore, ero di parere diverso fino a quando non ho sentito il suo discorso, ma ora mi ha convinto. Mi sbagliavo e lei è nel giusto. " (e vi posso dire che questa persona aveva più di 70 anni, i bravi scienziati possono invecchiare bene, come succede per il vino). In molti casi, la conversione non è così improvvisa e così spettacolare, ma succede. Ovviamente, il denaro può fare miracoli nell'influenzare le opinioni scientifiche ma, finché ci atteniamo alla scienza del clima, non ci sono molti soldi coinvolti e la corruzione non è diffusa come in altri campi, come in medicina.

Quindi, possiamo immaginare che negli anni '80 la macchina del consenso abbia funzionato come avrebbe dovuto e ha portato l'opinione generale degli scienziati del clima a passare dal raffreddamento al riscaldamento. È stata una buona cosa, ma la storia non è finita con questo. Restava da convincere le persone al di fuori del ristretto campo della scienza del clima, e questo non era ovvio. 

Dagli anni '90 in poi, la disputatio è stata dedicata a convincere sia gli scienziati che lavorano in campi diversi dal clima sia il pubblico informato. C'era un problema serio in questo: la scienza del clima non è una cosa da dilettanti, è un campo in cui l'effetto Dunning-Kruger (persone che sopravvalutano la propria competenza) può essere dilagante. Gli scienziati del clima si sono trovati a dover affrontare vari tipi di oppositori. In genere, scienziati anziani che si rifiutavano di accettare nuove idee o, a volte, geologi che vedevano la scienza del clima invadere il loro territorio e risentirsi per questo. Occasionalmente, gli avversari potevano segnare punti nel dibattito concentrandosi su punti ristretti che loro stessi non avevano completamente compreso (ad esempio, il "punto caldo troposferico" era un trucco alla moda). Ma quando il dibattito coinvolgeva qualcuno che conosceva abbastanza bene la scienza del clima, il destino degli avversari era segnato: finivano asfaltati facilmente.

Questi dibattiti sono andati avanti per almeno un decennio. Forse conoscete il libro del 2009 di Randy Olson, " Non essere uno scienziatcosì" che descrive questo periodo. Olson ha sicuramente capito il punto fondamentale del dibattito: devi rispettare il tuo avversario se vuoi convincere lui o lei, e anche il pubblico. Sembrava funzionare, lentamente. Si facevano progressi e il problema climatico diventava sempre più noto.

E poi, qualcosa è andato storto. Di brutto. Gli scienziati si sono trovati improvvisamente coinvolti in un altro tipo di dibattito per il quale non avevano alcuna formazione e poca comprensione. Vedete in Google Ngrams come l'idea che il cambiamento climatico fosse una bufala è decollata negli anni 2000 ed è diventata una caratteristica della memesfera. Notate come è cresciuto rapidamente: ha avuto un culmine nel 2009, con lo scandalo Climategate, ma non è diminuito in seguito.



Era un modo completamente nuovo di discutere: non più una disputatio. Niente più regole, niente più rispetto reciproco, niente più linguaggio comune. Solo slogan e insulti. Uno scienziato del clima ha descritto questo tipo di dibattito come come essere coinvolti in una "rissa da bar a mani nude". Da lì in poi, la questione climatica si è politicizzata e fortemente polarizzata. Nessun progresso è stato fatto e nessun progresso si sta facendo in questo momento.

Perché è successo? In gran parte, è stato a causa di una campagna di pubbliche relazioni professionale volta a denigrare gli scienziati del clima. Non sappiamo chi l'abbia progettata e pagata ma, sicuramente, esistevano (ed esistono ancora) lobby industriali che avrebbero perso molto se si fosse attuata un'azione decisa per fermare il cambiamento climatico. Chi ha ideato la campagna ha avuto vita facile contro un gruppo di persone tanto ingenue in termini di comunicazione quanto esperti in materia di scienze del clima. 

La storia di Climategate è un buon esempio degli errori commessi dagli scienziati . Se leggete l'intero corpus delle migliaia di email rilasciate nel 2009, da nessuna parte troverate che gli scienziati stavano falsificando i dati, erano coinvolti in cospirazioni o cercavano di ottenere guadagni personali. Ma sono riusciti a dare l'impressione di essere una cricca settaria che si rifiutava di accettare le critiche dei suoi avversari. In termini scientifici, non hanno fatto nulla di male, ma in termini di immagine è stato un disastro. Un altro errore degli scienziati del clima è stato quello di cercare di schiacciare i loro avversari rivendicando il 97% del consenso scientifico. Anche supponendo che sia vero (potrebbe anche essere), gli si è ritorto contro, dando ancora una volta l'impressione che gli scienziati del clima siano autoreferenziali e non tengano conto delle obiezioni degli altri. 

Permettetemi di citare un altro esempio di dibattito scientifico che è deragliato ed è diventato politico. Ho già citato lo studio del 1972 "I limiti della crescita". Era uno studio scientifico, ma il dibattito che ne seguì era al di fuori delle regole del dibattito scientifico. Una "frenesia alimentare" tra gli squali sarebbe una descrizione migliore di come gli economisti del mondo si sono uniti per fare a pezzi lo studio. Il "dibattito" si è rapidamente riversato sulla stampa ufficiale e il risultato è stata una demonizzazione generale dello studio, accusato di aver fatto "previsioni sbagliate" e, in alcuni casi, di pianificare lo sterminio dell'umanità. (Parlo di questa storia nel mio libro del 2011 " The Limits to Growth Revisited.") La cosa interessante (e deprimente) che possiamo imparare da questo vecchio dibattito è che non sono stati fatti progressi in mezzo secolo. Avvicinandosi al 50° anniversario della pubblicazione, possiamo trovare la stessa critica ripubblicata di nuovo sui siti Web, "previsioni sbagliate", e tutto il resto. 

Quindi, siamo bloccati. C'è una speranza per invertire la situazione? Difficilmente. La perdita della capacità di ottenere un consenso sembra essere una caratteristica dei nostri tempi: i dibattiti richiedono un minimo di rispetto reciproco per essere efficaci, ma questo si è perso nella cacofonia del web. L'unica forma di dibattito che rimane è quella rudimentale che vede i candidati presidenziali scambiarsi goffamente luoghi comuni tra loro ogni quattro anni. Ma un vero dibattito? Niente da fare, è sparito come le dispute tra teologi nel Medioevo.

La discussione sul clima, così come su tutte le questioni importanti, si è spostata sul Web, in gran parte sui social. E l'effetto è stato devastante sulla costruzione del consenso . Una cosa è guardare un essere umano dall'altra parte di un tavolo con due bicchieri di birra nel mezzo, un'altra è vedere un pezzo di testo cadere dal nulla come commento al tuo post. Questa è una ricetta per il litigio, e funziona così ogni volta. 

Inoltre, non aiuta che gli incontri e le conferenze scientifiche internazionali siano quasi scomparsi in una situazione che scoraggia gli incontri di persona. Gli incontri online si sono rivelati ore di noia in cui nessuno ascolta nessuno e tutti sono felici quando finisce. Anche se riesci a essere presente a un incontro di persona, non aiuta che il tuo collega ti appaia sotto forma di un contenitore di virus pericolosi, mascherato e da tenere sempre a distanza, se possibile dietro una barriera di plexiglas. Non è il modo migliore per stabilire un rapporto umano.

Questo è un problema fondamentale: se non si può costruire un consenso attraverso un dibattito, l'unica altra possibilità è usare il metodo politico. Significa raggiungere la maggioranza attraverso un voto (e si noti che nella scienza, come nella teologia, il voto non è considerato una tecnica accettabile di costruzione del consenso). Dopo il voto, la parte vincente può imporre la propria posizione alla minoranza usando una combinazione di propaganda, intimidazione e, a volte, forza fisica. Una tecnica estrema di costruzione del consenso è lo sterminio degli avversari. È stato fatto così spesso nella storia che è difficile pensare che non sarà fatto di nuovo su larga scala in futuro, forse nemmeno in uno remoto. Ma, a parte le implicazioni morali, il consenso forzato è costoso, inefficiente e spesso porta a stabilire dogmi. Quindi è impossibile adattarsi ai nuovi dati quando arrivano. 

Allora, dove stiamo andando? Le cose continuano a cambiare continuamente; forse troveremo nuovi modi per ottenere consenso anche online, il che implica, come minimo, non insultare e attaccare il tuo avversario fin dall'inizio. Per quanto riguarda una lingua comune, dopo che siamo passati dal latino all'inglese, potremmo ora passare a "Googlish", una nuova lingua mondiale che potrebbe forse essere strutturata per evitare scontri di assoluti - forse potrebbe essere solo priva di imprecazioni, forse potrebbe avere alcune caratteristiche specifiche che aiutano a creare consenso. Sicuramente serve una riforma della scienza che sbarazzi della corruzione dilagante in molti campi: il denaro è una sorta di consenso, ma non quello che vogliamo.

O, forse, potremmo sviluppare nuovi rituali. I rituali sono sempre stati un mezzo potente per ottenere consensi, basti pensare alla messa cristiana (la chiesa cristiana non si è ancora resa conto di aver ricevuto un colpo mortale dalle regole anti-virus ). I rituali possono essere trasferiti online? O avremmo bisogno di incontrarci di persona nella foresta come le "persone del libro" immaginate da Ray Bradbury nel suo romanzo del 1953 " Fahrenheit 451 "? Non lo possiamo dire. Non ci resta che cavalcare l'onda del cambiamento che, al giorno d'oggi, sembra essere diventata un vero tsunami. Galleggeremo o affonderemo? Chi puo 'dirlo? La riva sembra essere ancora lontana.


h/t Carlo Cuppini e "moresoma"



 

sabato 7 agosto 2021

Jean Servier precursore del Cancrismo?


di Bruno Sebastiani
 

A pag. 375 de “L’uomo e l’invisibile” (Borla Editore, Torino, 1967) Jean Servier scrive:

“L’impero è per l’umanità e per la società da cui trae origine ciò che il cancro è per il corpo umano: una proliferazione disordinata di cellule a detrimento dell’armonia dell’insieme. C’è forse una strutturazione delle cellule cancerose, così come c’è un’apparente armonia nell’organizzazione dell’impero: l’una e l’altra sono tuttavia agenti di distruzione.”

Partiamo da questo assunto per verificare se l’analogia proposta tra impero e cancro può in qualche modo configurarsi come antesignana della teoria a cui ho dato nome di Cancrismo.

L’intera opera di Jean Servier, etnologo francese nato e vissuto a lungo in Algeria, sottintende un profondo dualismo tra le cosiddette “civiltà tradizionali” e la “civiltà dell’uomo bianco occidentale”.

Le prime sarebbero contraddistinte da un diretto contatto con l’“invisibile”, termine con il quale Servier definisce la sfera soprannaturale del sacro. Le divinità sono tante quante le etnìe umane e ognuna è contraddistinta da sue specifiche caratteristiche, ma, al di là di ogni particolarità, il “divino” ha sempre guidato ovunque nel mondo il comportamento di ogni appartenente al genere umano, fino all’avvento della cosiddetta “civiltà dell’uomo bianco occidentale”.

Quest’ultima è andata affermandosi per gradi, favorita nella sua avanzata dall’instaurarsi degli “imperi”, vere e proprie “[…] prefigurazioni della civiltà occidentale per la loro volontà di egemonia […] questi regni della materia hanno trascinato con sé un indebolimento dei valori spirituali dando all’uomo, come unico scopo della sua vita terrena, la conquista dei beni di questo mondo.” (p. 418)

Tutti i più famosi imperi della storia sono crollati, lasciando dietro di sé cumuli di macerie materiali e morali. Ma, con la loro decomposizione, hanno contribuito all’edificazione di quello che è oggi l’Impero più grande, da Servier definito “civiltà occidentale” e che io ho denominato “L’Impero del Cancro del Pianeta” (titolo del mio libro edito da Mimesis).

A questa mostruosa realtà Servier dedica un ulteriore accostamento al cancro:

“La nostra civiltà porta in sé il germe di un processo inevitabile di distruzione. Divenuta un fine in sé, la nostra società disintegra l’individuo al punto di renderlo inadatto al servizio efficace della collettività, come, in certi cancri del sangue, i globuli bianchi divorano i globuli rossi e indeboliscono l’organismo che dovrebbero invece difendere.” (p. 419)

Non vi sono altri punti in cui venga riproposto l’accostamento dell’essere umano al cancro, ma l’intero messaggio di Servier spinge a ritenere l’uomo bianco occidentale un agente distruttore dell’armonia che regnava sulla Terra e il suo dissennato comportamento è paragonato a quello dei lemmings, piccoli roditori che compiono lunghe marce e “raggiunta la loro meta, si gettano nel mare e vi annegano.” (p. 421)

Le “civiltà tradizionali” si riconoscono nel mito del “peccato originale”, “[…] sono coscienti di aver perduto un “paradiso” primordiale, tutte si considerano in stato di caduta.” (p. 388) Anche per questo motivo chi ne fa parte cerca di mantenersi in costante contatto con l’invisibile, di osservarne i comandamenti e di preservare l’armonia dell’Universo già messa in pericolo dalla disobbedienza primigenia.

Al contrario, l’uomo bianco occidentale concepisce “la storia come un corso lineare” (p. 397) che, da un inizio di stenti, tende al superamento di ogni ostacolo per affermarsi su tutto e su tutti con una marcia verso il suo inarrestabile progresso.

La narrazione di Servier è estremamente ricca di esempi relativi a miti, riti e leggende (tutti vissuti come reali) di appartenenti alle “civiltà tradizionali”. Egli si rifiuta di ritenere costoro primitivi, o, peggio, selvaggi. Essi sono uomini saggi, rispettosi delle tradizioni ricevute dagli antenati e intenzionati a conservarle per non spezzare l’armonia voluta dall’“invisibile”. Il termine “armonia” è tra i più frequenti nel lessico di Servier.

Ma se nelle antiche civiltà e in quelle non contaminate dall’occidente (se ancora ce ne sono) la vita scorre in modo così armonioso, rispettoso delle tradizioni e in equilibrio con la Natura, come e perché l’uomo bianco ha potuto conquistarle e distruggerle?

Questa è la domanda che sorge spontanea scorrendo le pagine del libro di Servier. Oltretutto egli afferma che “L’occidente ha scelto lo sviluppo illimitato delle tecniche senza avere il tempo per domandarsi se in questa scelta non aveva rischiato e perso la propria anima.” (p. 211)

Questa affermazione e altre contenute nel testo paiono sottintendere che il passaggio dalla “civiltà tradizionale” a quella “bianca occidentale” sia avvenuto in conseguenza a una nuova “caduta”, una sorta di peccato originale “laico”, compiuto cioè non per disobbedire ai comandamenti di un ipotetico creatore, non più venerato, ma semplicemente per inseguire una volontà di potenza “imperiale”, tesa a tutto sottomettere e tutto riformare in senso materiale e utilitaristico.

Qui ci troviamo di fronte alla differente interpretazione della realtà che fa divergere la “visione del mondo” di Servier (e, aggiungo io, dell’Ecologia Profonda) da quella del Cancrismo (cfr. il mio precedente articolo “Il Cancrismo come superamento dell’Ecologia Profonda”).

In estrema sintesi, secondo Servier:

tutte le “civiltà tradizionali” si riconoscono nel mito della caduta, del “peccato originale” di lì in avanti sviluppano un rapporto di armonia con il Tutto suggellato da un formidabile patto di alleanza con l’“invisibile” tutto ciò permane sin quando una civiltà tra oltre cinquemila, quella dell’“uomo bianco occidentale”, infrange questo patto a favore del più abietto egoismo materialista di specie, e trascina in questa sua nuova folle avventura tutte le “civiltà tradizionali” che incontra sul suo cammino.

Non l’uomo in sé, quindi, sarebbe il cancro del pianeta, ma questa distorta visione del mondo che si è identificata prima nei grandi imperi della storia e poi nel progresso materiale fine a se stesso, sfociato alcuni secoli or sono nella rivoluzione industriale e in tutte le novità tecnologiche che stanno devastando la biosfera.

Il Cancrismo, più realisticamente, non scorge discontinuità tra il modo di vivere delle “civiltà tradizionali” e quello dell’“uomo bianco occidentale”.

L’essere umano ha sempre cercato di prevaricare il “diverso”, così come ha sempre fatto ogni specie (vegetale o animale) partorita da Madre Natura. Basti pensare all’edera che avvolge l’albero o al lupo che mangia l’agnello.

Ma l’essere umano, a un certo punto del percorso evolutivo, ha sviluppato in modo abnorme il suo “organo di comando” e, in conseguenza di ciò, è riuscito a dominare ogni altra specie partorita da Madre Natura.

Dapprima questa sua azione non è stata evidente, data l’immensa estensione della foresta vergine e l’enorme quantità e varietà della fauna esistente. Poi, con estrema ma continua gradualità, l’erosione del patrimonio forestale e faunistico è divenuta via via sempre più evidente, sino alla tragica situazione attuale.


Quando, come e quanto i cosiddetti primitivi abbiano iniziato a devastare la Natura è il tema del mio articolo “La distruzione della Natura nell’antichità”.

In conclusione, Jean Servier è stato un convinto avversario del progresso tecno-scientifico-industriale che ha portato alla devastazione della biosfera, e in tal senso, il suo nome può a buon diritto essere iscritto tra quelli dei precursori del Cancrismo. Ma la sua critica alla modernità si è limitata a condannare la “civiltà dell’uomo bianco occidentale” e non si è estesa al genere Homo sapiens in quanto tale.

Anzi, quest’ultimo è stato gratificato di sincera ammirazione laddove appartenente alle cosiddette “civiltà tradizionali”.

A distanza di quasi sessant’anni dalla prima pubblicazione de “L’Homme et l’invisible” si può affermare che di tali “civiltà” non rimane pressoché traccia: esse stesse sono divenute “invisibili”, salvo cercarle in qualche documentario da cineteca.

E la “civiltà dell’uomo bianco occidentale” è divenuta sempre più il modus vivendi universale, ovunque imperante. La Cina e tanti altri Paesi asiatici stanno soppiantando Europa e America come locomotive trainanti dell’economia mondiale, mentre India e Africa sono in attesa di unirsi al convoglio.

L’avverarsi di questa realtà è la più evidente, tragica, conferma di come non sussistano contrasti insanabili tra le “civiltà”, più o meno evolute, che si sono sviluppate sul pianeta Terra. Una, la più avanzata materialmente, ha approfittato della propria superiorità per “convincere” le altre ad adottare il suo stile di vita. Ma queste, generazione dopo generazione, lo hanno fatto di buon grado, sino a superare l’“uomo bianco occidentale” nell’inquinare, deforestare e devastare l’ambiente.

Servier dà questa spiegazione di quanto è accaduto:

“Il contatto dell’uomo bianco è stato più mortale per le civiltà tradizionali che una qualsiasi lebbra. Il solo possesso dei beni che egli vendeva ha annientato popolazioni intere come se essi trasmettessero un misterioso contagio.” (p. 416)

Personalmente avrei preferito che questo contagio non fosse mai avvenuto e che l’uomo sulla Terra avesse continuato a vivere in equilibrio con ogni altra specie, seguendo i presunti insegnamenti dell’“Invisibile”.

Ma se le cose non sono andate così è perché lo sviluppo dell’encefalo di Homo sapiens non poteva fermarsi a un determinato stadio. Una volta innescata l’abnorme crescita, il secolo dei lumi e il progresso scientifico erano realtà ineluttabili, con il loro conseguente strascico di industrializzazione, di aggressione alle risorse del pianeta e di ogni altro sfregio all’armonia della Natura.

sabato 31 luglio 2021

Non siamo più nell'Olocene: un mondo senza ghiaccio permanente.

Il post che segue è riprodotto dal mio blog " Gli Olobionti Orgogliosi ", ma penso che l'argomento sia compatibile con la visione del blog "Effetto Seneca". In effetti, tutto è correlato su questo pianeta e il concetto di "olobionte" può essere visto come strettamente connesso al concetto di "Dirupo di Seneca". I sistemi complessi, sia virtuali che reali, sono reti che possono essere quasi sempre viste come olobionti nella loro struttura. Un collasso, quindi, si verifica quando la rete subisce una rottura della catena di collegamento in un processo noto come "meccanismo di frattura di Griffith" in ingegneria (invero, tutto è correlato!)

Questo post fa anche parte del materiale che io e Chuck Pezeshki stiamo assemblando per un nuovo libro che si intitolerà (provvisoriamente) "Olobionte: la nuova scienza della collaborazione", in cui abbiamo in programma di esplorare come i nuovi concetti in biologia e scienza delle reti possono unirsi per darci la chiave per la gestione di sistemi altamente complessi: società umane, grandi e piccole. Il concetto dominante che lega tutto questo è uno: l' empatia.

 

Quando il ghiaccio se ne sarà andato: il più grande cambiamento visto sulla Terra in 30 milioni di anni.

Da: "The Proud Holobionts", 27 luglio 2021

 

Un'immagine dal film del 2006 "The Meltdown", il secondo della serie "L'era glaciale". Questi film hanno tentato di presentare un'immagine della Terra durante il Pleistocene. Ovviamente non erano intesi come lezioni di paleontologia, ma mostravano la megafauna dell'epoca (mammut, tigri dai denti a sciabola e altri) e il ghiaccio persistente, come si vede nella figura. La trama di "The Meltdown" si basava su un evento reale: la rottura della diga di ghiaccio che teneva chiuso il lago Agassiz all'interno dei grandi ghiacciai della Laurentide, nel continente nordamericano. Quando la diga si è rotta, circa 15.000 anni fa, il lago è sfociato nel mare in una gigantesca inondazione che ha cambiato il clima della Terra per più di mille anni. Quindi, il concetto di ere glaciali in relazione al cambiamento climatico sta penetrando nella memesfera umana. È strano che accada proprio quando l'attività umana sta riportando l'ecosistema a un periodo pre-glaciale. Se accadrà, sarà il più grande cambiamento visto sulla Terra in 30 milioni di anni. E non saremo più nell'Olocene.

 

Sappiamo tutti che ai poli della Terra c'è ghiaccio permanente: forma ghiacciai e copre vaste aree di mare. Ma è lì per caso o è in qualche modo funzionale all'ecosfera terrestre? 

Forse il primo a fare questa domanda è stato James Lovelock, il proponente (insieme a Lynn Margulis) del concetto di "Gaia", il nome del grande olobionte che regola l'ecosistema planetario. Lovelock è sempre stato una persona creativa e nel suo libro " Gaia: A New Look at Life on Earth " (1979) ha ribaltato la visione convenzionale del ghiaccio come entità negativa. Invece, ha proposto che il ghiaccio permanente ai poli facesse parte dell'omeostasi planetaria, ottimizzando di fatto il funzionamento dell'ecosfera. 

Lovelock è stato forse influenzato dall'idea che l'efficienza di un motore termico è direttamente proporzionale alle differenze di temperatura che incontra un fluido circolante. Potrebbe essere sensato: il ghiaccio permanente crea una grande differenza di temperatura tra i poli e l'equatore e, di conseguenza, i venti e le correnti oceaniche sono più forti e le "pompe" che portano i nutrienti ovunque sostengono più vita. Sfortunatamente, questa idea è probabilmente sbagliata, ma Lovelock ha il merito di aver aperto il coperchio su una serie di profonde domande sul ruolo del ghiaccio permanente nell'ecosistema. Cosa sappiamo di questa faccenda?

Ci volle del tempo perché i nostri antenati si rendessero conto che il ghiaccio permanente esisteva. Il primo che vide la calotta glaciale della Groenlandia fu probabilmente Eric il Rosso, l'avventuriero norvegese, quando vi viaggiò intorno all'anno 1000. Ma non aveva modo di conoscere la vera estensione del ghiaccio interno, e non ne parlò nei suoi rapporti.

Il primo rapporto che ho trovato sulla calotta glaciale della Groenlandia è la " Storia della Groenlandia " del 1820 , una traduzione di un precedente rapporto (1757) in tedesco di David Crantz. All'inizio del XX secolo, le mappe mostravano chiaramente la Groenlandia completamente ricoperta di ghiaccio. Per quanto riguarda l'Antartide, alla fine del XIX secolo, già si sapeva che era completamente ricoperta da uno spesso strato di ghiaccio. 

Ancora prima, a metà del XIX secolo, Louis Agassiz aveva proposto un'idea davvero rivoluzionaria: quella dell'era glaciale. Secondo Agassiz, nei tempi antichi, gran parte del Nord Europa e del Nord America era ricoperta da spesse lastre di ghiaccio. Gradualmente, divenne chiaro che non c'era stata una sola era glaciale, ma diverse, che andavano e venivano a cicli. Nel 1930, Milutin Milankovich propose che questi cicli fossero legati a variazioni periodiche nell'insolazione dell'emisfero settentrionale, a loro volta causate da cicli nel moto della Terra. Per quasi un milione di anni, la Terra è stata una sorta di pendolo gigante in termini di estensione della calotta glaciale. 

Il film del 2006 " Una scomoda verità " è stata la prima volta in cui queste scoperte sono state presentate al grande pubblico. Qui vediamo Al Gore che mostra i dati delle temperature dell'ultimo mezzo milione di anni.

Un'idea ancora più radicale sulle ere glaciali è apparsa nel 1992, quando Joseph Kirkschvink ha proposto il concetto di "Terra palla di neve". L'idea è che la Terra fosse completamente ricoperta di ghiaccio in qualche momento, circa 600-700 milioni di anni fa, il periodo giustamente chiamato "Criogeniano".

Questa super era glaciale è ancora controversa: non sarà mai possibile dimostrare che ogni chilometro quadrato del pianeta fosse sotto il ghiaccio e ci sono alcune prove che non era così. Ma, sicuramente, abbiamo a che fare con una fase di raffreddamento molto più pesante di qualsiasi cosa vista durante tempi geologici relativamente recenti.

Mentre sono state scoperte altre ere glaciali, è anche diventato chiaro che la Terra è stata priva di ghiaccio per la maggior parte della sua lunga esistenza. I nostri tempi, con ghiaccio permanente ai poli, sono piuttosto eccezionali. Diamo uno sguardo alle temperature degli ultimi 65 milioni di anni (il "Cenozoico"). Date un'occhiata a questa straordinaria immagine (cliccate per vederla in alta risoluzione)

All'inizio del Cenozoico, la Terra èra ancora sotto l'effetto del grande disastro della fine del Mesozoico, quello che portò alla scomparsa dei dinosauri (incidentalmente, quasi certamente non causato da un impatto asteroidale ). Ma, da 50 milioni di anni fa in poi, la tendenza è stata costante: raffreddamento. 

La Terra è ora circa 12 gradi centigradi più fredda di quanto non fosse durante il periodo caldo dell'Eocene. A partire da circa 35 milioni di anni fa, il ghiaccio permanente ha iniziato ad accumularsi, prima nell'emisfero australe, poi in quello settentrionale. Durante il Cenozoico, la Terra non è mai stata così fredda come lo è ora.

Le ragioni del graduale raffreddamento sono oggetto di dibattito, ma la spiegazione più semplice è che sia dovuto al graduale calo delle concentrazioni di CO2 nell'atmosfera durante l'intero periodo. Questo, a sua volta, potrebbe essere causato da un rallentamento del degassamento del carbonio dall'interno della Terra. Forse la Terra sta solo diventando un po' più vecchia e più fredda, e quindi meno attiva in termini di vulcani e fenomeni simili. Ci sono altre spiegazioni, tra cui la collisione dell'India con l'Asia centrale e l'ascesa dell'Himalaya che ha causato un prelievo di CO2 generato dall'erosione dei silicati. Ma è una storia estremamente complicata e non entriamo nei dettagli.

Torniamo ai nostri tempi. Probabilmenteavete sentito dire che, solo pochi decenni fa, quegli allocchi degli scienziati avevano predetto che saremmo tornati a un'era glaciale. È un'esagerazione: non c'è mai stata una simile affermazione nella letteratura scientifica. Ma è vero che l'idea di una nuova era glaciale galleggiava nella memesfera, e per buoni motivi: se la Terra aveva visto ere glaciali in passato, perché non una nuova? Guardiamo questi dati:

Queste sono le temperature e le concentrazioni di CO2 delle carote di ghiaccio di Vostok, in Antartide (potreste aver visto questi dati nel film di Al Gore). Descrivono i cicli glaciali degli ultimi 400.000 anni. Senza entrare nei dettagli di ciò che provoca le oscillazioni (i cicli di irraggiamento solare le attivano, ma non le causano), si può notare quanto le temperature si sono abbassate insieme alle concentrazioni di CO2 nei momenti più freddi delle passate ere glaciali. L'ultima era glaciale è stata particolarmente fredda e associata a concentrazioni di CO2 molto basse. 

La Terra era pronta a scivolare in un'altra condizione di "palla di neve"? Non si può escludere. Quello che sappiamo per certo è che, durante l'ultimo milione di anni, la Terra si è avvicinata alla catastrofe della palla di neve ogni 100.000 anni circa. Cosa la ha salvata dallo scivolare fino in fondo in una morte gelida?

Ci sono diversi fattori che potrebbero aver impedito al ghiaccio di espandersi fino all'equatore. Per prima cosa, l'irradiazione solare è oggi circa il 7% maggiore di quella che era al momento dell'ultimo episodio di palla di neve terra, durante il criogeniano. Ma potrebbe non essere abbastanza. Un altro fattore è che il freddo e le basse concentrazioni di CO2 possono aver portato ad un indebolimento - o addirittura ad un arresto - della pompa biologica negli oceani e della pompa biotica sulla terra. Entrambe queste pompe fanno circolare l'acqua e le sostanze nutritive, mantenendo la biosfera viva e vegeta. La loro quasi scomparsa potrebbe aver causato una generale perdita di attività della biosfera e, quindi, la perdita di uno dei meccanismi che eliminano la CO2 dall'atmosfera. Di conseguenza, le concentrazioni di CO2 sono aumentate a causa delle emissioni geologiche. Si noti come, in figura, la concentrazione di CO2 e le temperature siano perfettamente sovrapponibili nella fase di riscaldamento: la reazione della temperatura all'aumento di CO2 è stata istantanea su scala temporale geologica. Un altro fattore potrebbe essere stata la desertificazione del territorio che ha portato a un aumento della polvere atmosferica che si è depositata sulla superficie dei ghiacciai. Questo ha ridotto l'albedo (la frazione di luce riflessa) del sistema e ha portato a una nuova fase di riscaldamento. Una storia molto complicata che deve ancora essere svelata.  

Ma quanto era vicina la biosfera al disastro totale? Non lo sapremo mai.

Quello che sappiamo è che, 20mila anni fa, l'atmosfera conteneva appena 180 parti per milione (ppm) di CO2 (oggi siamo a 410 ppm). Questo era vicino al limite di sopravvivenza delle piante verdi e ci sono prove di un'estesa desertificazione durante questi periodi. La vita è stata dura per la biosfera durante le recenti ere glaciali, anche se le cose non erano così difficili come nel criogeniano. L'idea di Lovelock che il ghiaccio permanente ai poli faccia bene alla vita non sembra essere giusta .

Naturalmente, l'idea che nel prossimo futuro si potesse tornare a una nuova era glaciale era legittima negli anni '50, non più oggi poiché comprendiamo il ruolo delle attività umane sul clima. Alcuni sostengono che sia stata una buona cosa che gli umani abbiano iniziato a bruciare idrocarburi fossili poiché questo "ci ha salvato da una nuova era glaciale". Forse, ma questo è un classico caso di troppa grazia, Sant'Antonio. Stiamo pompando così tanta CO2 nell'atmosfera che il nostro problema ora è l'opposto: non siamo di fronte a una possibile nuova era glaciale, ma a una "warmhouse" (Terra serra) o addirittura una "hothouse" ("bagno turco planetario"). 

Un bagno turco planetario sarebbe un vero disastro poiché è stato la causa principale delle estinzioni di massa avvenute nel remoto passato del nostro pianeta. Principalmente, gli episodi di bagno turco sono stati il ​​risultato di esplosioni di CO2 generate dalle enormi eruzioni vulcaniche chiamate "grandi province ignee". In linea di principio, le emissioni umane non possono nemmeno lontanamente eguagliare questi eventi. Secondo alcuni calcoli, bisognerebbe continuare a bruciare combustibili fossili per 500 anni ai ritmi attuali per creare una concentrazione di CO2 simile a quella che ha sterminato i dinosauri (ma c'è sempre quel dettaglio che i sistemi non lineari ti sorprendono sempre... )

Tuttavia, considerando effetti di feedback come il rilascio di metano sepolto nel permafrost, è perfettamente possibile che le emissioni umane possano portare concentrazioni di CO2 nell'atmosfera a livelli dell'ordine di 600-800 ppm, o anche più, paragonabili a quelli del Eocene, quando le temperature erano 12 gradi più alte di adesso. Potremmo raggiungere la condizione chiamata, a volte, "Terra Serra".

Dal punto di vista umano, sarebbe un disastro. Se il cambiamento dovesse avvenire in un tempo relativamente breve, diciamo, dell'ordine di pochi secoli, la civiltà umana non sopravviverebbe. Non siamo attrezzati per far fronte a questo tipo di cambiamento. Basti pensare a cosa accadde circa 14.500 anni fa, quando la grande calotta glaciale Laurentide in Nord America si frammentò e collassò. ( fonte immagine ) (il film del 2006 "Meltdown" è stato ispirato proprio da questo evento).

 


Le preoccupazioni per la sopravvivenza umana sono legittime, ma probabilmente irrilevanti nel più ampio schema delle cose. Se torniamo all'Eocene, l'ecosistema subirebbe un duro colpo durante la transizione, ma sopravvivrebbe e poi si adatterebbe alle nuove condizioni. In termini di vita, l'Eocene è stato descritto come "lussureggiante". Con molta CO2 nell'atmosfera, le foreste erano fiorenti e, probabilmente, la pompa biotica forniva acqua abbondante ovunque nell'entroterra, anche se le temperature erano relativamente uniformi a diverse latitudini. Un possibile modello mentale per quel periodo sono le moderne foreste tropicali dell'Africa centrale o dell'Indonesia. Non abbiamo dati che ci permettano di confrontare la produttività della Terra oggi con quella dell'Eocene, ma non possiamo escludere che l'Eocene sia stato più produttivo. 

Di nuovo, sembra che Lovelock si sia sbagliato quando ha detto che le ere glaciali ottimizzano il funzionamento della biosfera. Ma forse c'è di più in questa idea. Almeno per una cosa, le ere glaciali hanno un buon effetto sulla vita. Date un'occhiata a questa immagine che riassume le principali ere glaciali della lunga storia della Terra


 ( fonte immagine )

Il punto interessante è che le ere glaciali sembrano verificarsi appena prima delle principali transizioni nella storia evolutiva della Terra. Non sappiamo molto dell'era glaciale dell'Uroniano, ma avvenne proprio al confine dell'Archeano e del Proterozoico, al tempo della comparsa degli eucarioti. Poi, il criogeniano ha preceduto il periodo ediacarano e la comparsa della vita multicellulare che ha colonizzato la Terra. Infine, anche l'evoluzione della specie Homo Sapiens può essere messa in relazione con il più recente ciclo glaciale. Con il raffreddamento del pianeta e la riduzione dell'estensione delle aree di foresta, i nostri antenati furono costretti a lasciare le foreste confortevoli dove avevano vissuto fino ad allora e ad adottare uno stile di vita più pericoloso nelle savane. E sapete a cosa ha portato!

Quindi, forse c'è qualcosa di buono nelle ere glaciali e, dopo tutto, James Lovelock potrebbe aver suggerito un'importante intuizione su come funziona l'evoluzione. Rimane la domanda su come esattamente le ere glaciali guidino l'evoluzione. Forse hanno un ruolo attivo, o forse sono semplicemente un effetto parallelo della vera causa che guida l'evoluzione. Molto probabilmente tutto è dovuto alla crescente concentrazione di ossigeno atmosferico che ha accompagnato la biosfera negli ultimi 2,7 miliardi di anni. L'ossigeno è la pillola magica che aumenta il ritmo metabolico delle creature aerobiche, è quello che rende possibili creature come noi. 

In ogni caso, è probabile che le ere glaciali saranno presto un ricordo sul pianeta Terra. L'effetto della perturbazione umana potrebbe essere modesto e, quando gli umani smetteranno di bruciare idrocarburi fossili (devono, un giorno o l'altro), il sistema potrebbe riassorbire la CO2 in eccesso e tornare gradualmente ai cicli dell'era glaciale del passato. Questo si potrebbe verificare in tempi dell'ordine di almeno diverse migliaia di anni , forse diverse decine di migliaia, forse anche di più. Ma, alla fine, il pianeta potrebbe semplicemente dimenticarsi di aver ospitato una particolare specie di primati che ha quasi distrutto l'ecosistema prima di sparire. 

Ma il clima è un sistema non lineare e potrebbe reagire rafforzando la perturbazione: i risultati sono impossibili da valutare. Non possiamo nemmeno escludere di andare incontro a una nuova megaestinzione, come quella che fece scomparire i dinosauri, 65 milioni di anni fa.

Quello che sappiamo per certo è che il ciclo dell'ecosistema terrestre (Gaia) ha una durata limitata. Abbiamo ancora circa 600 milioni di anni prima che la crescente luminosità del sole porti la Terra in una condizione diversa: quella di "serra umida" che porterà gli oceani a bollire ed estinguerà tutta la vita sul pianeta. E così sarà quello che dovrà essere. Gaia è longeva, ma non eterna.