mercoledì 10 gennaio 2018

Considerazioni su Le Metamorfosi liquide




Un commento di Silvano Molfese su un recente post di Elena Corna.


Leggendo il brano di Umberto Eco ripreso da Elena Corna:

"Con la crisi del concetto di comunità emerge un individualismo sfrenato, dove nessuno è più compagno di strada ma antagonista di ciascuno, da cui guardarsi. Questo soggettivismo ha minato le basi della modernità, l’ha resa fragile, da cui una situazione in cui, mancando ogni punto di riferimento, tutto si dissolve in una sorta di liquidità."

Mi chiedo: ma non sarà che la modernità si basa proprio sul soggettivismo per la massa dei consumatori? Al contrario i produttori, pochi e sempre più potenti, cercano di fare gruppo per tutelare i propri interessi.

Questa bulimia consumista “ha anche la conseguenza di aver saturato la terra e il mare di rifiuti, aggravando pesantemente le condizioni degli ecosistemi” e, aggiungo io, ha ingrassato le tasche dell’industriale.

E’ frequente sentire che “ognuno di noi è responsabile” per l’inquinamento; stranamente le società multinazionali sono a responsabilità limitata quando producono e immettono sul mercato prodotti tossici che sono pervasivi: Paolo Attivissimo, Le Scienze di ottobre 2017, riporta il caso del piombo tetraetile immesso dalla General Motors nella benzina.

La società controllata da General Motors non ha mai bonificato l’ambiente da tutto il piombo tetraetile !

Chi controlla l’informazione?

“Il cambiamento climatico porta turbamento sociale … L’incertezza resta diffusa e genera paura” Per quel che so gli animali reagiscono alla paura con l’aggressione, con la fuga o si paralizzano.

Immigrati e religione: ho sentito che qualche settimana fa su un autobus che un signore ha aggredito una studentessa italiana solo perché era mulatta! Una volta si diceva “guerra tra poveri”, altri, con dotta terminologia, parlano di conflitto sociale orizzontale.

Si cerca di dirottare le attenzioni e la discussione su singole questioni anziché sul sistema economico adottato: il capitalismo.



sabato 6 gennaio 2018

Ancora sulla degenerazione del dibattito: la questione dei sacchetti per la frutta.




La questione dei sacchetti per la frutta a due centesimi l'uno è andata a finire nel degenero più totale. Una cosa veramente di cui vergognarsi ma è il risultato dei meccanismi di diffusione dell'informazione: le peggiori scemenze possono diventare importantissime mentre le cose importanti passano inosservate.

Vi passo per prima cosa l'articoletto che ho scritto sui sacchetti per "Il fatto Quotidiano". Più in fondo, vi passo il messaggio che ho ricevuto dal signor Alfredo Davolio Marani in cui mi accusa di essere in combutta con Matteo Renzi solo perché sono di Firenze. Non è per far polemica, ma come si fa a ridursi a scrivere certe cose? Gli ho anche risposto gentilmente dicendo che non era il caso di metterla in quel modo, ma lui ha replicato insistendo con le accuse. E vabbé, si vede che deve essere così. Però è disperante.



La questione dei sacchetti a pagamento – un altro bel disastro all’Italiana. 
Ugo Bardi - Il Fatto Quotidiano


Con la faccenda della nuova legge sui sacchetti a pagamento per la frutta e la verdura ci troviamo di nuovo di fronte all’assoluta ingovernabilità del dibattito. Se su una questione da due centesimi riusciamo a fare un pasticcio del genere, che speranza abbiamo di discutere seriamente di cose importanti, tipo il cambiamento climatico o il degrado sistemico del paese?

Ma andiamo a vedere un po’ meglio la storia dei due centesimi a sacchetto e dell’obbligo che il sacchetto sia biodegradabile. E’ una cosa utile? In principio, si. Sono ormai parecchi anni che si paga qualcosa per i sacchetti della spesa al supermercato. Lo si fa perché sono un fattore di inquinamento importante e si cerca di ridurne l’impatto. Non che il fatto che ogni sacchetto costi qualche centesimo cambi qualcosa, ma se ne sprecano di meno di quanto non sarebbe se fossero gratis. Quindi, niente di strano nell’idea di fare la stessa cosa per i sacchetti trasparenti della frutta e della verdura. Pagandoli, sia pure poco, si presume che gli acquirenti stiano un po’ più attenti a non sprecarli.

Si poteva pensare a qualche altro metodo? Certamente si. La cosa migliore sarebbe stata trovare il modo di eliminare completamente i sacchetti – e non solo quelli della frutta e verdura. Buste di carta, oppure contenitori riutilizzabili possono offrire un alternativa probabilmente migliore. Ci sono molte possibilità che si possono pensare, discutere, e sperimentare.

Invece, la discussione sui sacchetti ha subito debordato nella pura follia. Si è parlato di complotti contro i consumatori, di balzello inaccettabile, di imbroglio del governo per favorire la Novamont che produce i sacchetti e la sig.ra Catia Bastioli, amministratrice. Quest’ultima è stata definita “Renziana di Ferro,” apparentemente soltanto sulla base di aver partecipato come oratore a un convegno alla Leopolda nel 2011.

L’accusa di aver brigato per imbrogliare i consumatori italiani in combutta con Matteo Renzi è decisamente pesante, soprattutto se pensiamo che non è basata su uno straccio di prova. Considerate poi che Catia Bastioli ha nel suo curriculum cose come “Inventore Europeo dell’anno” nel 2007, il premio Giulio Natta nel 2015, lauree honoris causa presso prestigiosi atenei italiani, pubblicazioni, centinaia di brevetti nazionali e internazionali e altre cosette (come potete leggere sulla pagina a lei dedicata su Wikipedia). Ma vedete quanto basta poco per la macchina del fango a mettersi in moto e trascinare via chiunque, anche persone di grandissimo valore.

Onestamente, questa faccenda comincia a diventare preoccupante. Qualsiasi cosa si faccia per cercare di migliorare la gestione dei rifiuti, anche piccola, rischia sempre di finire nel disastro comunicativo. Più che altro, questa la vicenda ci mostra come non siamo più in grado di discutere di niente su basi razionali. Forse non ne siamo mai stati in grado, ma l’irrompere dei social media ha cambiato lo stile della discussone: le opinioni diventano più importanti dei fatti, le illazioni diventano prove, le accuse non provate diventano l’opinione generale, il complottismo spicciolo domina ogni discorso e nessuno si sente più responsabile di quello che dice.

Ora, sui sacchetti da due centesimi l’uno, forse la storia può anche essere vista come una fesseria di poco conto. Il problema è che lo stesso stile di discussione si applica a cose serie – molto serie. Come dicevo all’inizio di questo post, se non riusciamo a discutere in modo razionale, come possiamo sperare di gestire cose da cui dipende la nostra sopravvivenza economica, tipo la gestione finanziaria del paese? Oppure anche la nostra sopravvivenza fisica, tipo il cambiamento climatico? Riusciremo mai ad imparare a ragionare? Possiamo solo sperarlo.

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Messaggio ricevuto il 4 Gennaio 2018


Leggo inorridito il suo articolo sul "Fatto" riguardante i sacchetti biodegradabili. Lei si lamenta che gli italiani si lamentano invece che pensare a cose più importanti.

Quali? Gli scandali governativi? I pasticci e gli inciuci? le "ladrate milionarie" che vengono alla luce ogni giorno? Le banche salvate?

Cosa possiamo fare noi cittadini? Niente! Assistiamo sgomenti ed impotenti al malaffare diffuso, Governo ladro!

E lei si lamenta che noi ci lamentiamo? Ci lamentiamo perché dopo i rincari - mai e semmai mal comunicati - di fine anno per gas, luce, autostrade ed altre tasse nascoste (ma che poi verranno alla luce, basta aspettare un po'), troviamo da ridire anche sui sacchetti. Certo che ci lamentiamo, ci mancherebbe altro, guardi che a pagare siamo sempre noi!

Si vede che lei guadagna bene - professore - e dei rincari se ne frega, ma noi, poveri italiani poveri, non ne possiamo più. Ha capito, Governo ladro?

Acc.... boccaccia mia statti zitta ... mi accorgo ora che lei è di Firenze ... non vorrà mica dire che ...

Mi scuso per prima, come non detto. Governo in gamba!

Alfredo Davolio Marani

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giovedì 4 gennaio 2018

Come il dibattito sul clima è degenerato oltre il rimediabile



A onore di Antonio Zichichi, va detto che probabilmente crede veramente in queste cose che racconta e che le racconta nonostante sappia che fanno danno alla sua reputazione. Il caso di Donald Trump è diverso, nel senso che lui racconta bufale sul clima sapendo che guadagna consensi politici. E questo è il vero problema. (sopra, lo sbufalamento della falsa petizione di Zichichi sul cambiamento climatico)


Uno vorrebbe che il solo problema fosse Trump che si diverte a sparare i suoi tweet tipo "oggi da me fa freddo, quindi il riscaldamento climatico non esiste."

Ma il problema NON è Trump. Lui è solo un furbacchione che ha trovato un modo per prendere per il posteriore gli scienziati. I quali ci sono cascati in pieno - come sempre - affannandosi a spiegare perché Trump ha torto senza rendersi conto che è proprio quello che lui voleva: attirare l'attenzione e guadagnare consensi sfruttando l'odio diffuso per i malefici scienziati che hanno inventato il cambiamento climatico per incassare soldi pubblici.

Il problema vero non è che Trump ha torto. E' che il dibattito è degenerato in modo tale da permettergli sparare scemenze senza conseguenze negative. E' proprio così. Ci sono persone in giro che pensano veramente che Trump abbia ragione. E ci sono per via dell'infinita confusione, della mancanza di cultura, del fatto che si ritiene che un'opinione valga come un fatto.

Un buon esempio: un post di Aldo Piombino si Facebook, dove arriva nei commenti un signore che si identifica con nome e cognome dicendo di essere un ingegnere e racconta che "il modello a partire dal quale è nata la teoria del riscaldamento globale di origine antropica" è stato "poi sconfessato dal suo stesso autore." Alla richiesta di dire quale fosse questo modello e chi fosse questo autore non sa rispondere ma insiste, dicendo che "un ingegnere su queste cose non fa populismo":



Insomma, il tutto è basato su "mi pare di aver letto da qualche parte che....."  E questo è il dibattito su una cosa per la quale ne va di mezzo la sopravvivenza del genere umano.

Com'è che siamo arrivati a questo disastro comunicativo? Si dice che tutto quello che esiste ha una ragione di esistere, ma in questo caso è dura a mandare giù.


lunedì 1 gennaio 2018

Il Picco e Le Capre: qualche riflessione per il 2018




Per prima cosa, vi posso dire che questo "Picco per Capre" di Pardi e Simonetta è veramente un bel libro. Proprio nel senso di ben fatto e curato. Non so se ci avete fatto caso ma, a parte le copertine accattivanti, i libri sono molto meno curati oggi di quanto non fossero anni fa. Gli editori sono disperatamente a caccia del "best-seller", un libro sta in vista negli scaffali per qualche mese al massimo, e allora che senso ha spendere soldi per fare un libro ben fatto? L'importante è che qualche fesso lo compri. Invece qui l'editore, Luciano Celi, ci ha tenuto a fare le cose bene e il risultato si vede.  (fra le altre cose, c'è anche il discorso del "leggere lento" analogo allo "slow food", ma ci torneremo in un altro post)

Poi, ovviamente, non è soltanto una questione di forma, ma di contenuto. E, anche qui, abbiamo un libro di eccellente livello. Come avrete potuto notare se vi capita di leggere i post di Pardi e di Simonetta su questo e altri blog, la classe non è una cedrata al limone. Insieme con il libro precedente di Luca Pardi ("Il Paese degli Elefanti"), abbiamo in Italia due libri completi e aggiornati sulla questione delle risorse naturali. Mentre il primo libro era più specifico sul petrolio, "Il picco per Capre" mette la storia in prospettiva, inquadrando il concetto di picco nel contesto generale dell'evoluzione dei sistemi economici in funzione dei costi di sfruttamento delle risorse.

A questo punto, vi proporrei due riflessioni: la prima non buona, la seconda cattiva. Per cominciare con qualcosa di non buono, questo è un libro che non avrà nessun impatto sul dibattito su come gestirsi la situazione locale, nazionale, e planetaria. Siamo in un momento in cui se qualcuno si azzarda a nominare il concetto di "picco del petrolio" in un dibattito, la reazione sarà di solito qualcosa tipo, "ma era stato previsto già per l'anno xxxx e non c'è stato. Quindi, era tutta una fesseria." Qui, l'anno "xxxx" può essere qualsiasi cosa dal 1930 a pochi anni fa, in ogni caso chi si esprime in questo modo non è normalmente in grado di fornire un riferimento a chi avesse previsto il picco per quel particolare anno e neanche glie ne importa.

Non vi sto a disquisire troppo su questi ameni dibattiti sul "picco" che, per fortuna, si sono fatti molto rari e che comunque è bene evitare per chiunque sappia di cosa sta parlando. Diciamo soltanto che gli studi sul picco hanno dimostrato una discreta capacità predittiva, sicuramente superiore a quelli classici basati sulle teorie economiche correnti. Poi, i "picchisti" hanno fatto alcuni errori, il principale dei quali è stato di focalizzarsi troppo sulle basi geologiche del picco. Questo li ha portati a trascurare la reazione rabbiosa del sistema economico all'aumento dei costi di estrazione. Abbiamo visto la volontà di fare qualunque cosa pur di continuare a produrre liquidi combustibili - non importa se rimettendoci soldi in quantità e facendo danni spaventosi all'ecosistema e a tutti quanti. Ed è stato fatto.

Tuttavia, il sistema ha completamente rifiutato ogni dibattito pubblico sulla questione dell'esaurimento delle risorse, confinandolo a una zona grigia di idee balzane, insieme ai non-allunaggi, le scie chimiche, e i cerchi nel grano. Ci sarebbe da disquisire a lungo sulle ragioni che portano la società a rifiutare in blocco di discutere su ogni idea che la costringerebbe a cambiare qualcosa. Ci possiamo limitare a dire che è parte del modo in cui i sistemi complessi funzionano. Quel sistema che chiamiamo "società umana" ha scarse capacità predittive, per cui tende a ignorare qualsiasi cosa che si trovi in un futuro più remoto di qualche anno.

E questa era la cosa non buona - ora veniamo a quella cattiva. Dicevo che il picco del petrolio (o, più in generale, l'esaurimento delle risorse) non ha cittadinanza nel dibattito standard. Bene - ma è anche vero che ci sono tante cose di cui non si parla in pubblico ma che sono ben presenti nella mente dei decisori politici planetari.

Vi faccio un esempio: vi ricordate della questione delle "armi di distruzione di massa" in Iraq di cui si parlava tanto prima della guerra del 2003. Era rapidamente diventato politicamente scorretto dire che le armi non esistevano o che, perlomeno, non c'era prova che esistessero (io mi ci ero provato e mi ricordo come mi hanno trattato). Tutti ne parlavano come se fossero un problema reale e, in fondo, noi tapini potevamo essere imbrogliati facilmente: come diavolo facevamo a sapere se era vero o no? Ma pensateci un attimo: quelli che hanno deciso di far la guerra all'Iraq dovevano sapere benissimo come stavano le cose, ovvero che le armi erano soltanto un pretesto per la guerra.

Le armi di distruzione di massa erano un esempio di una cosa di cui si parlava, ma che a un certo livello si sapeva che non esisteva. Ora, potrebbe essere il picco del petrolio (delle risorse) un esempio opposto e equivalente? Ovvero, una cosa di cui non si parla ma che a un certo livello si sa che esiste?

Ovviamente, non lo possiamo sapere. Ma una cosa che possiamo sapere è che la mente umana è sempre limitata e spesso imprevedibile. Questo porta i leader a fare degli errori clamorosi. Quale ragionamento aveva spinto Napoleone ad attaccare la Russia nel 1812? Quale ragionamento aveva spinto Saddam Hussein ad invadere il Kuwait nel 1990? E quale ragionamento aveva spinto George W. Bush a invadere l'Iraq nel 2003? In quest'ultimo caso, ci possiamo domandare se il presidente Bush avesse qualche sentore dell'esistenza di qualcosa che si chiama "peak oil" e se questa conoscenza non lo abbia guidato nelle scelte disgraziate che ha fatto.

Non che dobbiamo necessariamente immaginare il presidente degli Stati Uniti che legge la newsletter di ASPO (l'associazione per lo studio del picco del petrolio) - ma anche, perché no? In ogni caso, basta ricordarsi della cosiddetta "dottrina Carter" che risale al 1980 e che stabilisce che le riserve petrolifere degli stati del Golfo sono un interesse strategico tale per gli USA da giustificare un intervento militare nel caso in cui siano minacciate. Una dottrina del genere non avrebbe senso se non in una visione di scarsità di risorse, il che contrasta con l'ottimismo ufficiale che pervade il dibattito.

Tutto questo per dire che le idee sono sempre pericolose quando sono capite male, indipendentemente dal fatto che siano giuste o sbagliate. Ovvero, possono sempre generare delle "soluzioni" che peggiorano il problema,  qualunque esso sia - tipo l'invasione dell'Iraq del 2003. E lo possono fare anche operando dall'interno delle scatole craniche dei decisori, senza necessariamente manifestarsi pubblicamente.

Come un altro esempio, perché il presidente Trump sta cercando così disperatamente di incoraggiare l'estrazione di carbone? Anche qui, se vedete la vicenda nel contesto dell'ottimismo ufficiale sulle risorse petrolifere ottenibili con il "fracking", la cosa non ha senso. Se abbiamo tanto petrolio dagli scisti, come ci raccontano, allora perché spendere soldi e risorse sul carbone? A questo punto, tuttavia, vi potrebbe venire in mente il "rapporto Hirsch" (membro di ASPO) del 2006 che suggeriva di fare esattamente questo: contrastare il picco del petrolio negli USA, fra le altre cose, mediante l'estrazione e la liquefazione del carbone. E' possibile che Trump o qualcuno dei suoi advisors abbia letto quel rapporto e che se ne ricordi? Chi può dirlo?

Via via che scrivo, vedo che la catena del ragionamento che sto facendo mi sta portando verso cose che preferisco evitare, non dico soltanto di scrivere, ma anche di pensare. Mi limito ad accennare al fatto che la questione "picco" (oppure, Dio ci scampi, il "dirupo di Seneca") potrebbe essere interpretata in modo tale da fare enormi danni se finisce nella testa di qualche decisore politico senza essere veramente capita.

Quindi, concludo consigliandovi di leggere questo bel libro di Pardi e Simonetta, fatelo. Fra le tante cose, potrebbe anche farvi venire in mente come mai si fanno certe cose che si stanno facendo al mondo e che, apparentemente, sono prive di senso. E invece potrebbero averlo, anche troppo.

Comunque, buon 2018 a tutti e speriamo bene!








mercoledì 27 dicembre 2017

Blog: Abbiamo Sbagliato Tutto? (Una mela che costa un'iradiddio)




Qui sopra, vedete una foto che ho fatto in questi giorni di un prodotto in vendita in un negozio vicino a casa mia. Sono circa 10 fettine di mela essiccate dentro un barattolo di plastica trasparente per un peso netto di 30 g. Il prezzo lo vedete sull'etichetta, Eur 3,50.

Scusate se ho fatto uno smudge sul nome del prodotto. In ogni caso, se per caso il produttore ritenesse che il suo prodotto è comunque riconoscibile, mi affretto a dire che questo post non deve essere visto come una critica alla bontà del prodotto stesso e neppure inteso a scoraggiare i lettori dall'acquistarlo (viviamo nell'era del "disclaimer")

Ciò detto, facciamoci un ragionamento sopra. Dai dati di etichetta vediamo che queste fettine costano quasi 120 Euro/kg. Sono sicuramente mele di altissima qualità (disclaimer), ma mi sa che forse queste fettine di mela sono un po care considerando che le mele si vendono a meno di 1 Euro/kg al supermercato. Fa venire in mente la barzelletta di Adamo ed Eva, quando una mela costava un'iradiddio.

D'altra parte, è anche vero che ognuno compra quello che gli pare e se vuol comprare delle fettine di mela a 120 euro al chilo, sono scelte sue (dopotutto, per una mela, Adamo ed Eva ci hanno rimesso il loro appezzamento di terra). Quello che veramente non va in questa confezione è il barattolo di plastica. Un caso classico di "iperimballaggio", questo barattolo è un costo non solo per chi lo compra, ma per tutti quanti. Se finisce in un inceneritore diventerà uno di quei gas serra che cerchiamo disperatamente di limitare. Altrimenti, finirà dispersa da qualche parte e andrà lentamente a pezzi che poi potrebbero finire nella catena alimentare e da lì nei nostri piatti. O magari finirà ad aumentare le dimensioni della grande "isola della plastica" nel mezzo dell'oceano.

Tutte queste cose sono ben note, ciononostante nessuna legge regola la vendita di questi prodotti iperimballati. E questo è uno solo dei tantissimi casi di follia in cui si continuano a produrre cose del tutto inutili, costose, inquinanti, e che fanno danno a tutti.

E allora com'è che stiamo dicendo queste cose da anni e nessuno muove un dito in pratica? Serve a qualcosa tenere un blog come "Effetto Cassandra" dove un gruppo di brave persone (Corna,  Migliorino, Molfese, Simonetta, Rupalti, e tanti altri) fanno del loro meglio per raccontare cose che ritengono utili per vivere meglio e fare meno danni? Come sta che il dibattito sui media è su tutto, salvo che sulle cose veramente importanti (ovvero, quelle che ci fanno vivere)?

Queste sono domande per i lettori di "Effetto Cassandra". Cosa ne dite? Vale la pena continuare con questo blog? Con l'Internet che sta diventando sempre di più un triumvirato (Facebook/Google/Amazon) ha ancora senso tenere un blog, o dovremmo pensare a qualche altra forma di comunicazione? E se si, che tipo di comunicazione? E come potremmo essere più efficaci nel muovere qualcosa?

Se avete un minuto, fatevi sentire. I commenti del blog sono riaperti dopo la pausa di riflessione.




sabato 23 dicembre 2017

Piccola Storia Natalizia





Questa non è proprio una storia natalizia, ma ha qualche caratteristica di un'"operetta morale" che la rende proponibile come tale. L'autrice, Elena Corna, ha una notevole capacità di vedere il mondo da punti di vista diversi, anche non umani. Per esempio, un racconto precedente, è scritto dal punto di vista dei batteri, mentre qui sono i cani a parlare. E' una capacità di cui avremmo molto bisogno - mettersi nei panni (o magari, "nel pelo") delle creature che ci circondano. Sarebbe il modo di evitare di distruggere l'ecosistema e, nel process, noi stessi. Ma non sembra che molti di noi siano in grado di vedere il mondo con occhi diversi da quelli dell' "homo economicus" che non trova nessun valore in un animale vivo, soltanto in uno ucciso e servito in tavola. (UB)


DIALOGO FRA IL CANE COLTO E IL GIOVANE CANE
(…una aspirante operetta morale)

di Elena Corna


Il cane colto: “ Sniff… Sento odore di tristezza. Perchè queste orecchie basse? “

Il giovane cane: “ Pensavo…Pensavo a cosa successe quando il cane incontrò l’uomo…”

Il colto : “ Non per essere pignolo, ma il titolo giusto è L’uomo incontrò il cane …Grande uomo, l’autore; una sensibilità quasi canina…Comunque l’uomo, se vuoi saperlo, incontrò il cane e grazie a lui divenne un cacciatore migliore, un pastore migliore, un cercatore migliore…Avrei voluto vederlo, l’uomo, a cavarsela senza il cane!”

Il giovane: “Lo so questo, ma intendevo il contrario: il cane incontrò l’uomo e cosa divenne?”

Il colto : “Oh bella, lo sanno tutti. Divenne,come si suol dire, il miglior amico dell’uomo!”

Il giovane : “E allora perché si suol dire anche solo come un cane? Cosa rappresentiamo noi? Amicizia o solitudine?”

Il colto : “Già, si contraddicono un po’… Comunque direi amicizia, senza dubbio! Gli umani infatti dicono fedele come un cane.”

Il giovane : “ Sì, ma dicono anche “cane infedele”! L’ho sentito in un sacco di film. Perché? E perché ci associano con l’idea del freddo e del gelo? Fa un freddo cane,dicono!”

Il colto : “Beh, ma ci associano anche con l’idea del caldo. La felicità è un piccolo cane caldo, dicono sempre nei fumetti di Charlie Brown. Certo,ora che ci faccio caso, gli umani sono un po’ incoerenti…Dev’essere perché non sanno mettere d’accordo quei due emisferi del loro cervello…Non ci pensare…”

Il giovane : “Ma io sto a disagio! Mi trattengo anche dall’abbaiare alla luna, perché gli umani dicono sempre canta come un cane:..”

Il colto : “Vedi? Non sanno quel che dicono. I primi can-tanti siamo stati noi cani, si sa. Guarda le parole: “cane” e “cantare” hanno la stessa etimologia. Infatti, quando un antico romano chiedeva a un altro antico romano di cantare, che gli diceva? -Cane!- , gli diceva.* Questo è latino, piccolo, mica robetta.”

Il giovane : “Sarà…Fatto sta che se gli uccelli, o addirittura i ranocchi, strepitano tutti insieme, lo chiamano concerto. Se lo facciamo noi cani, lo chiamano cagnara. Ma la cosa che mi spaventa di più non te l’ho detta ancora…E’ così terribile che mi fa paura pensarci…Perché dicono l’ha ucciso come un cane, ti ucciderò come un cane, eccetera? Dimmi: com’è che uccidono i cani?”

Il colto : “Ah, questo te lo so spiegare. Vedi, è un modo di dire antico, di quando gli uomini erano più come noi animali, e quindi non uccidevano facilmente i propri simili. Perciò “ti ucciderò come un cane” significava “come se tu fossi tutt’altro che un mio simile. Mi segui?”

Il giovane : “Come un cane poliziotto. E quindi?”

Il colto : “E poi gli umani hanno imparato a farsi fuori fra loro nei modi più impensabili (impensabili per noi animali, intendo): si bombardano, si avvelenano, si torturano…Non esistono modi peggiori di uccidere che quelli che usano anche per sé, perciò stai tranquillo. Noi cani di città, poi, moriremo di vecchiaia…”

Il giovane : (con un sospiro di sollievo)“Meno male! Ma, vedi, non è solo la morte che mi preoccupa! E’ la vita! Perché si dice giornata da cani, o vita da cani? Perché?”

Il colto : “Perché gli umani fanno fare a molti cani una vita da cani, ecco perché! Cioè, gli fanno fare tutto quelle cose che non hanno voglia di fare loro: recuperare chi si perde in montagna, fiutare la droga, guidare i loro simili che non ci vedono..”

Il giovane: (con aria pensierosa)“Ma…se gli umani sono così tremendi, com’è che siamo diventati loro amici ?”

Il colto : “Che ti devo dire? Però, di’ la verità: vedere un umano che si abbassa per raccattare i tuoi escrementi dà una certa soddisfazione, non trovi?” Il colto sorride sotto i baffi.

Il giovane “ Ecco…C’è un’ultima cosa che mi angoscia…Non te l’avrei chiesto, è una cosa un po’…personale, ma, di già che hai parlato di escrementi…” Guaisce .

Il colto : “Spara, piccolo.”

Il giovane : “Ecco. Mi sento inibito….”

Il colto agita una zampa in segno di noncuranza.

Il giovane “No, aspetta, non per il fatto di cantare…E’ che gli umani dicono sempre, quando qualcosa fa schifo, che è fatta a cazzo di cane. Allora io non oso nemmeno tirarlo fuori, che so, per dargli una leccatina, capisci? Ma…è davvero così brutto?”

Il colto (ridendo):”Ah, questo è facile! “ Il colto abbassa la voce: “ E’ tutta invidia. Ma l’hai visto, il loro? Tutto grinzoso e penzoloni, con quella specie di pelo ispido! E’ così brutto che lo tengono sempre nascosto. Anche al mare, stanno tutti nudi ma quello lo tengono dentro a un “costume” fatto apposta. Gli piacerebbe, averlo come noi!” 

Il colto avvicina il muso a quello del giovane:” Pensa che nemmeno le femmine della loro specie lo trovano bello. Poveretti…”

Il giovane appoggia il muso alle zampe con aria sollevata.

Il colto : “Ti senti meglio ora?”

Il giovane : “Non sai quanto! Però… a proposito di femmine, com’è che quando vogliono parlar male di una donna dicono che è una cagna? Il mio umano non dice mai alla sua fidanzata cagnolina mia, però la chiama gattina, topolina…Come se poi sapesse qualcosa del comportamento sociale delle tope!”

Il colto : “Boh, questo è davvero incomprensibile. E poi, mi risulta che le tope sono più facili delle cagne. Le nostre femmine non la danno mica a tutti! Ecco, ad esempio: vedi la barboncina che sta passando? “ Sospira. “Eh, l’ho corteggiata, ma mi ringhiava sempre…”

Il giovane : “Eh, sì, è proprio carina…”

Il colto : “E allora smettila di pensare agli umani e vai! Sei un bel cane giovane, buttati!”

Il giovane : “Magari…Però non la lasciano mai sola, la fanno uscire poco…”

Il colto : “Ecco, lo vedi che gli umani non sono molto intelligenti! La vedono mogia e che fanno? La portano dallo psicanalista per cani! Quella avrebbe solo bisogno della compagnia di cani come noi, te lo dico io! ” Sorride.

Il giovane : “Ma davvero? La portano da un umano psicanalista? Mi dispiace per lei… Ma dimmi: la cura sta funzionando, almeno?”

Il colto : “ No che non funziona. Ne sono sicuro perché ieri ho sentito i suoi umani che dicevano: -Certo che quello psicanalista è proprio un cane!“




* “Cane” è l’imperativo del verbo cànere, che significava, appunto, cantare.












mercoledì 20 dicembre 2017

Il dilemma del campeggiatore



Immaginiamo di affrontare un orso in mezzo a una foresta, insieme a un amico. Siete entrambi disarmati e l'orso può correre più velocemente di voi. Qual è la strategia migliore, cooperare o tradire? Potrei chiamare questa situazione il "dilemma del campeggiatore", in analogia con il ben noto "dilemma del prigioniero"



Tu e un amico siete accampati in una foresta abitata da orsi affamati.Immaginate che per qualche motivo avete perso il contatto con il mondo civile e che dovete cavarvela da soli per tornare a casa. Siete entrambi disarmati e gli orsi possono facilmente uccidervi. Qual è la migliore strategia per sopravvivere? Ecco alcune considerazioni sul "Dilemma del Campeggiatore" in base al livello di pericolo.

1. Il pericolo è basso: collaborazione. Sai che ci sono gli orsi nella foresta, ma non hai alcuna prova che ce ne sia uno vicino. Tu e il tuo amico siete d'accordo sul fatto che dovreste cooperare per fare il meno rumore possibile, non lasciare residui di cibo, non dare prova della vostra presenza.

2. Il pericolo è elevato: inganno. Hai visto l'orso e l'orso ti ha visto, ma il tuo amico non lo ha visto. Non dici al tuo amico quello che hai visto, anzi neghi di aver visto un orso in giro. Alla prima occasione, dici al tuo amico che farai una breve passeggiata nella foresta, alla ricerca di frutti di bosco, mentre lui dovrà occuparsi del campo fino che non torni. Appena si è fuori dalla vista, cominci correre il più velocemente possibile, lasciando l'amico ad affrontare l'orso, da solo.

3. Il pericolo è immediato: emergenza. L'orso improvvisamente appare davanti a voi, attaccando. Non c'è che lottare disperatamente per sconfiggerlo.


Probabilmente conoscete una storia abbastanza diffusa sul Web con il titolo "i due campeggiatori e l'orso." Viene raccontata in uno stile fra il serio e il faceto e si conclude con uno dei due campeggiatori che dice all'altro "ma cosa ti allacci le scarpe a fare? L'orso corre più velocemente di noi." E l'altro gli risponde "Si, ma a me basta correre più velocemente di te!" Questa storia è stata una delle fonti di ispirazione per questo post. 

L'altra storia che ha ispirato questo post è il "Dilemma del Prigioniero". È un gioco operazionale in cui ognuno dei due giocatori deve scegliere se collaborare o tradire l'altro, senza sapere quale strategia l'altro sceglierà. Il tradimento porta un vantaggio a uno dei giocatori solo se l'altro giocatore coopera. Se entrambi tradiscono, entrambi soffrono pesanti penalità. 

Il dilemma del prigioniero è stata analizzata in profondità e il risultato è che non ha una strategia ottimale; Gli studi empirici hanno dimostrato che la strategia semplice chiamata "tit per tat" è quella che si comporta meglio nel lungo periodo, ma non c'è garanzia che funzionerà sempre. Quindi, il gioco del prigioniero riflette bene la complessità e l'imprevedibilità del mondo reale, anche se in forma semplificata.

Il dilemma del campeggiatore, come descritto qui, è molto simile al dilemma del prigioniero, con la differenza che il risultato non è solo una penalità: se perdi la partita, muori. Il dilemma del campeggiatore è anche "graduale" nel senso che la migliore strategia dipende dal livello di pericolo. In una situazione di pericolo basso, entrambi i giocatori possono capire facilmente che la collaborazione è la strategia migliore. Ma, come il pericolo diventa sempre più evidente e immediato, il tradimento comincia a sembrare una strategia migliore.

Non mi sembra (ma posso sbagliare) che i teorici abbiano esaminato questo tipo di gioco, per cui per ora queste considerazioni devono rimanere qualitative. Tuttavia, mi sembrano illuminanti quando applicate alla situazione mondiale attuale, in particolare se pensiamo all'orso come "cambiamento climatico", mentre i campeggiatori sono intere popolazioni o strati sociali.

Ad esempio, il trattato sul clima di Parigi può essere visto come parte di una strategia di collaborazione, ma considerando che si è sempre saputo che non è sufficiente per evitare il disastro climatico, può anche essere visto come parte di uno sforzo di inganno. Allo stesso tempo, alcuni governi hanno preso una posizione più o meno esplicitamente negativa; Per esempio gli Stati Uniti, il Canada e la Russia. Questi governi possono credere che la loro situazione geografica possa permettere loro di sconfiggere l'orso climatico o, comunque, di avere risorse sufficienti per evitare il peggio, almeno per una frazione della loro popolazione. Come ho discusso in un post precedente, è possibile che alcune delle élite planetarie siano già arrivate alla conclusione che l'orso climatico sta arrivando e che per loro la migliore strategia è il tradimento, spostandosi verso nord e lasciando i poveri al loro destino; affogare, morire di fame o, al limite, finire bolliti vivi .

Naturalmente, questa interpretazione non può essere dimostrata e potrebbe essere sbagliata. È anche vero che c'è ancora spazio per una strategia collaborativa che potrebbe risolvere il problema climatico attraverso una rapida transizione energetica. Tuttavia, il gioco del dilemma del campeggiatore offre una prospettiva della situazione attuale che non darei come impossibile, e nemmeno improbabile. .

Nota: questo post è stato ispirato da una storia raccontata da Filippo Musumeci, pubblicata in italiano sul blog "Effetto Risorse"