Per prima cosa, vi posso dire che questo "Picco per Capre" di Pardi e Simonetta è veramente un bel libro. Proprio nel senso di ben fatto e curato. Non so se ci avete fatto caso ma, a parte le copertine accattivanti, i libri sono molto meno curati oggi di quanto non fossero anni fa. Gli editori sono disperatamente a caccia del "best-seller", un libro sta in vista negli scaffali per qualche mese al massimo, e allora che senso ha spendere soldi per fare un libro ben fatto? L'importante è che qualche fesso lo compri. Invece qui l'editore, Luciano Celi, ci ha tenuto a fare le cose bene e il risultato si vede. (fra le altre cose, c'è anche il discorso del "leggere lento" analogo allo "slow food", ma ci torneremo in un altro post)
Poi, ovviamente, non è soltanto una questione di forma, ma di contenuto. E, anche qui, abbiamo un libro di eccellente livello. Come avrete potuto notare se vi capita di leggere i post di Pardi e di Simonetta su questo e altri blog, la classe non è una cedrata al limone. Insieme con il libro precedente di Luca Pardi ("Il Paese degli Elefanti"), abbiamo in Italia due libri completi e aggiornati sulla questione delle risorse naturali. Mentre il primo libro era più specifico sul petrolio, "Il picco per Capre" mette la storia in prospettiva, inquadrando il concetto di picco nel contesto generale dell'evoluzione dei sistemi economici in funzione dei costi di sfruttamento delle risorse.
A questo punto, vi proporrei due riflessioni: la prima non buona, la seconda cattiva. Per cominciare con qualcosa di non buono, questo è un libro che non avrà nessun impatto sul dibattito su come gestirsi la situazione locale, nazionale, e planetaria. Siamo in un momento in cui se qualcuno si azzarda a nominare il concetto di "picco del petrolio" in un dibattito, la reazione sarà di solito qualcosa tipo, "ma era stato previsto già per l'anno xxxx e non c'è stato. Quindi, era tutta una fesseria." Qui, l'anno "xxxx" può essere qualsiasi cosa dal 1930 a pochi anni fa, in ogni caso chi si esprime in questo modo non è normalmente in grado di fornire un riferimento a chi avesse previsto il picco per quel particolare anno e neanche glie ne importa.
Non vi sto a disquisire troppo su questi ameni dibattiti sul "picco" che, per fortuna, si sono fatti molto rari e che comunque è bene evitare per chiunque sappia di cosa sta parlando. Diciamo soltanto che gli studi sul picco hanno dimostrato una discreta capacità predittiva, sicuramente superiore a quelli classici basati sulle teorie economiche correnti. Poi, i "picchisti" hanno fatto alcuni errori, il principale dei quali è stato di focalizzarsi troppo sulle basi geologiche del picco. Questo li ha portati a trascurare la reazione rabbiosa del sistema economico all'aumento dei costi di estrazione. Abbiamo visto la volontà di fare qualunque cosa pur di continuare a produrre liquidi combustibili - non importa se rimettendoci soldi in quantità e facendo danni spaventosi all'ecosistema e a tutti quanti. Ed è stato fatto.
Tuttavia, il sistema ha completamente rifiutato ogni dibattito pubblico sulla questione dell'esaurimento delle risorse, confinandolo a una zona grigia di idee balzane, insieme ai non-allunaggi, le scie chimiche, e i cerchi nel grano. Ci sarebbe da disquisire a lungo sulle ragioni che portano la società a rifiutare in blocco di discutere su ogni idea che la costringerebbe a cambiare qualcosa. Ci possiamo limitare a dire che è parte del modo in cui i sistemi complessi funzionano. Quel sistema che chiamiamo "società umana" ha scarse capacità predittive, per cui tende a ignorare qualsiasi cosa che si trovi in un futuro più remoto di qualche anno.
E questa era la cosa non buona - ora veniamo a quella cattiva. Dicevo che il picco del petrolio (o, più in generale, l'esaurimento delle risorse) non ha cittadinanza nel dibattito standard. Bene - ma è anche vero che ci sono tante cose di cui non si parla in pubblico ma che sono ben presenti nella mente dei decisori politici planetari.
Vi faccio un esempio: vi ricordate della questione delle "armi di distruzione di massa" in Iraq di cui si parlava tanto prima della guerra del 2003. Era rapidamente diventato politicamente scorretto dire che le armi non esistevano o che, perlomeno, non c'era prova che esistessero (io mi ci ero provato e mi ricordo come mi hanno trattato). Tutti ne parlavano come se fossero un problema reale e, in fondo, noi tapini potevamo essere imbrogliati facilmente: come diavolo facevamo a sapere se era vero o no? Ma pensateci un attimo: quelli che hanno deciso di far la guerra all'Iraq dovevano sapere benissimo come stavano le cose, ovvero che le armi erano soltanto un pretesto per la guerra.
Le armi di distruzione di massa erano un esempio di una cosa di cui si parlava, ma che a un certo livello si sapeva che non esisteva. Ora, potrebbe essere il picco del petrolio (delle risorse) un esempio opposto e equivalente? Ovvero, una cosa di cui non si parla ma che a un certo livello si sa che esiste?
Ovviamente, non lo possiamo sapere. Ma una cosa che possiamo sapere è che la mente umana è sempre limitata e spesso imprevedibile. Questo porta i leader a fare degli errori clamorosi. Quale ragionamento aveva spinto Napoleone ad attaccare la Russia nel 1812? Quale ragionamento aveva spinto Saddam Hussein ad invadere il Kuwait nel 1990? E quale ragionamento aveva spinto George W. Bush a invadere l'Iraq nel 2003? In quest'ultimo caso, ci possiamo domandare se il presidente Bush avesse qualche sentore dell'esistenza di qualcosa che si chiama "peak oil" e se questa conoscenza non lo abbia guidato nelle scelte disgraziate che ha fatto.
Non che dobbiamo necessariamente immaginare il presidente degli Stati Uniti che legge la newsletter di ASPO (l'associazione per lo studio del picco del petrolio) - ma anche, perché no? In ogni caso, basta ricordarsi della cosiddetta "dottrina Carter" che risale al 1980 e che stabilisce che le riserve petrolifere degli stati del Golfo sono un interesse strategico tale per gli USA da giustificare un intervento militare nel caso in cui siano minacciate. Una dottrina del genere non avrebbe senso se non in una visione di scarsità di risorse, il che contrasta con l'ottimismo ufficiale che pervade il dibattito.
Tutto questo per dire che le idee sono sempre pericolose quando sono capite male, indipendentemente dal fatto che siano giuste o sbagliate. Ovvero, possono sempre generare delle "soluzioni" che peggiorano il problema, qualunque esso sia - tipo l'invasione dell'Iraq del 2003. E lo possono fare anche operando dall'interno delle scatole craniche dei decisori, senza necessariamente manifestarsi pubblicamente.
Come un altro esempio, perché il presidente Trump sta cercando così disperatamente di incoraggiare l'estrazione di carbone? Anche qui, se vedete la vicenda nel contesto dell'ottimismo ufficiale sulle risorse petrolifere ottenibili con il "fracking", la cosa non ha senso. Se abbiamo tanto petrolio dagli scisti, come ci raccontano, allora perché spendere soldi e risorse sul carbone? A questo punto, tuttavia, vi potrebbe venire in mente il "rapporto Hirsch" (membro di ASPO) del 2006 che suggeriva di fare esattamente questo: contrastare il picco del petrolio negli USA, fra le altre cose, mediante l'estrazione e la liquefazione del carbone. E' possibile che Trump o qualcuno dei suoi advisors abbia letto quel rapporto e che se ne ricordi? Chi può dirlo?
Via via che scrivo, vedo che la catena del ragionamento che sto facendo mi sta portando verso cose che preferisco evitare, non dico soltanto di scrivere, ma anche di pensare. Mi limito ad accennare al fatto che la questione "picco" (oppure, Dio ci scampi, il "dirupo di Seneca") potrebbe essere interpretata in modo tale da fare enormi danni se finisce nella testa di qualche decisore politico senza essere veramente capita.
Quindi, concludo consigliandovi di leggere questo bel libro di Pardi e Simonetta, fatelo. Fra le tante cose, potrebbe anche farvi venire in mente come mai si fanno certe cose che si stanno facendo al mondo e che, apparentemente, sono prive di senso. E invece potrebbero averlo, anche troppo.
Comunque, buon 2018 a tutti e speriamo bene!