giovedì 10 ottobre 2013

Comunicazione sul cambiamento climatico: modelli a confronto

Nota: L'articolo originale sul Guardian aveva un titolo totalmente stupido: "I messaggi minacciosi sul cambiamento climatico non sono efficaci" - il che non è assolutamente quello che Dan Kahan dice in questo post. Quindi, siamo giustificati a cambiare il titolo su "Cassandra", così come gli editori del Guardian sarebbero giustificati a mettere il loro titolista a fare un mestiere più consono alle sue capacità intellettuali, tipo lucidare le maniglie delle porte - UB.


In questa intervista con Yale 360, il professor Dan Kahan spiega perché gli scienziati e i media devono inquadrare la scienza in modi che abbiano miglior risonanza con il pubblico

Da “The Guardian”. Traduzione di MR


Vista dell'Oceano Pacifico sul pianeta Terra. Foto: MODIS/Terra/NASA

E' un ritornello comune: se solo la gente sapesse di più della scienza, non ci sarebbe cosi tanta contrapposizione sul problema del cambiamento climatico. Ma il lavoro pionieristico di Dan M. Kahan è andato molto avanti per dimostrare che quell'idea è sbagliata. Infatti, ha scoperto che non è la mancanza di comprensione scientifica che ha portato al conflitto sul cambiamento climatico, ma piuttosto il bisogno di aderire alla filosofia e ai valori del proprio gruppo “culturale”. Kahan, un professore di legge e psicologia alla Scuola di Giurisprudenza di Yale, dice che gli “individualisti” - coloro che credono che gli individui dovrebbero essere responsabili del proprio benessere e che non si fidano della legge o del controllo governativo – tendono a minimizzare il rischio del cambiamento climatico. Dall'altro lato, nota, ci sono coloro che identificano, col favore del gruppo del “comunitarismo”, un più ampio ruolo del governo e di altre entità collettive nell'assicurare il benessere degli individui e tendono a non fidarsi dell'attività commerciale – li vede come propensi a favorire le restrizioni sulle emissioni di gas serra.

In un'intervista con la collaboratrice di Yale Environment 360,Diane Toomey, Kahan ha sostenuto questo per rompere questa contrapposizione, il problema necessita di essere re-inquadrato in un modo che minimizzi la probabilità che le posizioni sul cambiamento climatico saranno identificate con un particolare gruppo culturale. Ci sono modi per mettere insieme la scienza con dei messaggi positivi verso il pubblico, piuttosto che minacce?” ha detto. “penso che se qualcuno crede che semplicemente non ce ne sono, penso che questa persona non abbia molta immaginazione”.

Yale Environment 360: E' stato un sentire comune in certi circoli che le persone che minimizzano la minaccia del cambiamento climatico non sono scientificamente acculturate – semplicemente non capiscono l'evidenza che sta loro di fronte. Ma la tua ricerca mostra che non è così. Infatti, la contrapposizione sul cambiamento climatico può essere ascritta al gruppo culturale di appartenenza - “individualismo” contro “comunitarismo”. Cosa credono questi gruppi opposti e come questo ha a che fare con le credenze di ognuno, o le non credenze, sulla minaccia del cambiamento climatico?

Dan Kahan: I gruppi vengono definiti dalla loro comprensione di come dovrebbe essere organizzata la società. Le persone più individualiste credono che gli individui dovrebbero essere responsabili di assicurare condizioni che consentano loro di prosperare senza l'assistenza o l'interferenza di ogni tipo di autorità o entità collettiva. Le persone più comunitarie pensano che la collettività è responsabile di assicurare le condizioni per il benessere individuale e a volte dovrebbe essere capace di assumere la precedenza sugli interessi individuali, se c'è un conflitto. Le persone più individualiste saranno più deluse dal credere che le conseguenze di attività che amano, come molte attività commerciali, stanno creando danni che avremmo dovuto limitare. Ma se crediamo che le persone impegnate nelle attività di mercato stiano creando molta iniquità, per noi sarebbe congeniale credere che quest'attività sia davvero pericolosa e che dovrebbe essere limitata.

Così, parte della teoria è che le persone abbiano una predisposizione, basata sui propri valori e sul coinvolgimento emotivo con l'informazione, a capire in un certo modo... E' importante riconoscere che è così che le persone prendono ogni tipo di informazione relativa alla scienza. Le persone hanno bisogno di accettare molto di più di quello che si sa della scienza di quanto esse siano in grado di immaginare da sole. Guarderanno sempre i propri simili, coi quali condividono le vedute.

e360: Ma stiamo parlando di una questione scientifica qui. Sta dicendo che le persone guardano verso gli scienziati che percepiscono come “simili”?

Kahan: Gran parte delle cose sulle quali le persone stanno prendendo decisioni informate che dipendono dalla scienza non saranno quelle per le quali esse hanno consultato gli scienziati. Gran parte di ciò che le persone sanno – le decisioni che prendono – è basato sulle informazioni che viaggiano attraverso ogni tipo di intermediari. Gli scienziati non vanno in TV a dare ordini. Questo non è un buon modello di come le persone vengono a sapere ciò che si sa della scienza – dalla bocca degli scienziati all'orecchio del cittadino. Le persone immaginano queste cose perché si trovano nelle reti di altre persone che fanno parte della loro vita quotidiana. E quelle reti le guidano normalmente ed attendibilmente verso ciò che è conosciuto.

e360: In uno studio che tu e tuoi colleghi avete pubblicato sulla rivista Nature Climate Change, hai scoperto che mentre l'alfabetizzazione scientifica aumenta, la contrapposizione sul cambiamento climatico di fatto aumenta a sua volta. Perché è così?

Kahan: Una volta che hai un problema che è diventato un simbolo della tua appartenenza e alla lealtà a un gruppo, fare un errore può costare davvero caro alla tua appartenenza a quel gruppo. Se avessi girato intorno al campus [di Yale] con un cartello che dicesse “il cambiamento climato è una truffa”, anche se ho una cattedra, la mia vita non sarebbe bella com'è. Sai, Bob Inglis, il deputato della Carolina del Sud, era il Babe Ruth delle valutazioni politiche conservatrici. Nessuno faceva meglio di lui [nella valutazione dei gruppi conservatori] in tutte le questioni che normalmente determinano se sei un conservatore in regola. E poi un giorno dice, “Bene, sono preoccupato dal cambiamento climatico e dall'impatto che potrebbe avere sui miei elettori e su altra gente nel paese”. Poco dopo, si ritrova senza carica perché sconfitto alle primarie. Ora, immagina che tu sia un barbiere nel quarto distretto della Carolina del Sud [che era rappresentato da Inglis al Congresso]. Pensi sia una buona idea che quando qualcuno viene a farsi la barba gli allunghi una petizione con su scritto “Salva gli orsi polari” o qualcosa del genere? Voglio dire, saresti disoccupato all'istante come lo è diventato lui. L'impatto di fare uno sbaglio relativamente al tuo gruppo di appartenenza è grande. Il costo del fare uno sbaglio sulla scienza è zero.

Così, penso che le persone, siccome in genere elaborano le informazioni in un modo che sia buono per loro, vanno prevedibilmente a formare punti di vista che le connetta al proprio gruppo.

e360: Quindi, si comportano razionalmente.

Kahan: E' un tipo di razionalità. Non devi essere un ingegnere aerospaziale o un climatologo per far questo riguardo al cambiamento climatico, perché è davvero ovvia la posizioni che ha il tuo gruppo.

e360: Parliamo di un esperimento affascinante che hai realizzato. Hai chiesto alle persone di valutare uno studio sul cambiamento climatico dopo aver letto il primo di tre articoli. Un articolo non aveva niente a che fare col cambiamento climatico, un altro chiedeva delle leggi severe sulla CO2 ed un terzo perorava la causa della ricerca sulla geoingegneria, la manipolazione dell'ambiente per compensare l'aumento della CO2. Hai scoperto che il gruppo che ha letto l'articolo sulla geoingegneria era meno contrapposto sulla validità dello studio sul cambiamento climatico. Perché dovrebbe essere così?

Kahan: Abbiamo esaminato se le persone, nel giudicare la validità delle prove sul cambiamento climatico, sarebbero state più o meno di mente aperta in base al fatto che fossero satai appena esposti a informazioni sia sulla geoingegneria sia suoi limiti del carbonio. Logicamente parlando, se le informazioni sul cambiamento climatico sono valide non dipende dal fatto che tu possa porre dei limiti di emissione del carbonio, o dalla geoingegneria, o da nient'altro. O c'è un problema o non c'è. Ma, psicologicamente, l'ipotesi era che questi due tipi di storie avrebbero determinato il significato che le persone attribuivano alle prove sul cambiamento climatico. Il significato della storia del limite di carbonio era quella che porta le persone più individualiste a resistere alle prove sul cambiamento climatico. E' un specie di messaggio che comunica che il gioco è finito. La storia della geoingegneria, d'altro canto, ha in sé certi tipi di tema che le persone che hanno un a visione del mondo individualistica trovano attraenti e stimolanti – il fatto che usiamo la nostra ingegnosità per affrontare e superare i limiti, compresi i limiti che loro stessi possono aver generato con l'uso della propria ingegnosità. Così, il solo saper che la geoingegneria era una possibilità, l'ipotesi era che questo avrebbe dato un senso alle prove successive che abbiamo mostrato loro sul cambiamento climatico, che quindi non sarebbero più state una minaccia. E misurare il risultato qui è facile: stai prendendo la situazione con mente più aperta? Ed abbiamo scoperto che lo erano e, siccome lo erano, c'era meno contrasto.
e360: E' difficile immaginare Bill Mckibben, per esempio, che modifica il suo messaggio mentre manifesta contro l'oleodotto di Keystone. McKibben, immagino, continuerà a chiedere quello in cui crede: no all'oleodotto. Mi chiedo, finché il cambiamento climatico continua, forse queste posizioni sono state troppo radicate per troppo tempo per sperare in una qualche riduzione dei contrasti.

Kahan: Non sono sicuro circa Bill McKibben. Non ci ho parlato, quindi non so cosa pensa. Ma so che [il climatologo] James Hansen pensa che dovremmo avere l'energia nucleare. Abbiamo fatto lo stesso esperimento usando l'energia nucleare [al posto della geoingegneria] ed abbiamo ottenuto effetti simili.

Penso che la sola cosa che di sicuro non funziona sarebbe uno stile di inquadramento dei problemi e di presentare le informazioni che continuano ad accentuare la percezione che le parti del dibattito siano identificate con particolari gruppi. Credo che ci siano modi – di fatto molti modi – di presentare le informazioni sul cambiamento climatico e la scienza che non hanno questo effetto. La domanda è: quali sono così e come possiamo usarli? Il punto è, ci sono modi per combinare la scienza con significati che diano fiducia alle persone piuttosto che minacciarle? Credo che se qualcuno crede che non ce ne siano, penso che questa persona non abbia una grande immaginazione.

e360: Tu offri degli esempi a livello locale – la Florida, per esempio – dove l'adattamento al cambiamento climatico ha avuto luogo senza incorrere nell'ostacolo dell'identità culturale. Perché in quei casi la dinamica individualismo/comunitarismo non si è attivata?

Kahan: La ragione per cui lì c'è il potenziale per promuovere l'impegno è che i significati sono completamente diversi. Le persone in Florida hanno avuto un problema col clima da quando ci sono arrivate. E' un clima cattivo. Viene sopraffatto dall'acqua e dagli uragani. Non è che questo sia nuovo per loro. Posso trovare materiali che sono stati distribuiti negli anni 60 che non sono poi così diversi da quelli che usano ora per cercare di spiegare alle persone perché ci dobbiamo preoccupare della penetrazione dell'acqua salata nelle falde. Ad intervalli di pochi anni bisogna fare qualcosa, visto che il livello del mare sale. Sono abituati a parlare di questo e sono abituati a parlarne coi vicini. Possono essere rossi e blu quando parlano di certi problemi nazionali, ma sono tutti soltanto dei proprietari. Il tipo delle assicurazioni lì dice una cosa e la stessa cosa dice la compagnia elettrica. Ora, le persone avranno sempre dei battibecchi, perché le scelte si devono sempre fare in politica. Ma per gli scopi di questo dibattito, sono tutti nella stessa squadra. Non c'è bisogno di inventarsi messaggi d'inquadramento intelligenti. Basta usare il modo in cui le persone parlano già di questi problemi.

e360: Stai dicendo che in Florida parlano della minaccia del cambiamento climatico senza usare le parole “cambiamento” e “climatico”?

Kahan: Le perosne parlano di clima e cambiamento climatico in Florida, ma ciò di cui parlano realmente è: come affrontiamo il problema che abbiamo sempre affrontato? Non so se ci sia un taboo nel pronunciare la parola “clima”. Ciò di cui parlano è: cosa facciamo qui in Florida?

e360: Ho inteso che hai un progetto sul tappeto ora in Florida, nel quale guardi alla comunicazione della scienza sul problema del cambiamento climatico.

Kahan: Stiamo facendo da consiglieri per diversi attori municipali che fanno parte del Southeast Florida Regional Climate Compact. Quei gruppi stanno lavorando insieme dalle quattro contee più famose della Florida per attuare una direttiva che è in realtà stata fatta passare durante la legislatura repubblicana e firmata dal governatore repubblicano nel 2011: cioè che tutti dovrebbero aggiornare i propri piani generici d'uso della terra perché si adeguino alle informazioni più recenti sull'aumento del livello del mare ed altri tipi di impatti negativi del clima. Abbiamo parlato di come creare un ambiente di comunicazione per la scienza nel quale i membri saranno ricettivi al tipo di informazioni che arrivano loro. Ma, naturalmente, molto del tempo usato per comunicare è: che ne dite delle stime di questo modello su come salirà esattamente il livello del mare? E che ne dite di quel modello? E se facciamo questa ipotesi?

Queste sono persone che decidono in posti amministrativi che prendono informazioni da scienziati e che cercano di dar loro un senso e di capire lo scambio, i costi e i benefici. Quello che cerchiamo di fare è aiutare i membri del Compact a capire quale sia la prova migliore a disposizione per comunicare la scienza.

A proposito del rapporto del 2013 dell'IPCC

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR. (Peak & Transition Translators Team)

Cari lettori,

Carlos de Castro ha scritto questo post sull'ultimo rapporto dell'IPCC. Un rapporto contro il quale è subito nato ogni sorta di attacco, nonostante i molti esperti che conosco lo considerino timido, secondo tanta gente impegolata con un BAU, che a questo punto è già impraticabile, questo rapporto è troppo audace (vedete, per esempio, si infervorano i commentatori nei confronti di uno degli ultimi e inquietanti articoli Antonio Ruiz de Elvira). Per concludere, considero che le riflessioni di Carlos possano essere di vostro interesse.

Saluti.
AMT

di Carlos de Castro

Cambiamento climatico e scienza (o dell'ultimo rapporto dell'IPCC del 2013)

Sinceramente devo confessare che il mio approccio ai rapporti dell'IPCC è abbastanza olistico e scettico; non vi confondete, per cortesia, con l'atteggiamento scientificamente stupido dei negazionisti (che inoltre è umanamente suicida-assassino). Finora ho dedicato più di una dozzina di ore a qualcosa che ancora “non si può” citare ufficialmente, ma sul quale anche in questa forma mi piacerebbe fare qualche riflessione.

Effettivamente, rispetto al rapporto precedente (2007) abbiamo fatto molti passi avanti nella comprensione di un fenomeno tremendamente complesso e siamo consapevoli inoltre che ci rimane ancora molta strada da fare per comprenderlo bene. Tutto questo grazie al lavoro di migliaia di scienziati-formiche che cominciano ad operare quasi come un formicaio. Il rapporto riconferma ciò che avevano già dimostrato scientificamente nel 2007: il cambiamento climatico esiste, è molto grave ed è causato principalmente dagli esseri umani.

Ma prima di continuare con la critica, lasciate che vi ricordi il caso CFC-ozono che abbiamo già dimenticato, data la nostra breve memoria collettiva. Evidenziamo alcune date: anni 30 del ventesimo secolo, vengono inventati i CFC e comincia la loro crescita esponenziale (il vero male della nostra civiltà è questo tipo di crescita e la mancanza di comprensione della stessa). All'inizio degli anni 70, alcuni scienziati cominciano ad inquietarsi per la possibile influenza che possono avere alcuni composti sullo strato di ozono. Nel 1974 queste inquietudini prendono forma nelle prime “prove” scientifiche. Molina e Rowland pubblicano un articolo che conclude così: “I CFC raggiungono la stratosfera liberando cloro”. E Stolarski e Cicerone concludono nel loro articolo: “Il cloro nella stratosfera distrugge l'ozono”. Andiamo, se è bianco e in bottiglia... Per chiunque con un briciolo di cervello sembrava logico, ma le aziende implicate (ed alcuni scienziati pagati da esse) hanno cominciato col negazionismo dell'ovvio: le prove non erano prove scientifiche e i vari Molina, Rowland e gli altri sono stati etichettati come “pazzi allarmisti”. E la società chiese queste “prove” scientifiche, che sono arrivate in un rapporto del 1989, 15 anni più tardi. L'argomento in quegli anni è diventato scottante, perché i modelli sottostimavano la realtà (non prevedevano un buco tanto grande e rapido). Ma l'umanità è riuscita alla fine a trovare la soluzione: sostituire i CFC, una cosa molto semplice che implicava solo poche aziende.

Suppongo che al lettore questo tema risuoni (lo stesso schema si è ripetuto per la connessione tabacco-cancro, piogge acide-boschi...). Non impariamo perché la nostra cultura è ancorata a molti miti che ci impediscono questo apprendimento, il più importante progresso tecnologico. Stessa cosa per il cambiamento climatico; la fisica fondamentale per la sua comprensione elementare è del diciannovesimo secolo e le prime prove scientifiche datano agli anni 60-70 del secolo scorso. Siccome il tema è molto più complesso, abbiamo tardato mezzo secolo per trovare la dimostrazione scientifica (di recente). Questo è un problema fondamentale, il nostro metodo scientifico è lento e conservativo e, per problemi pressanti (nei quali la posta in gioco è l'umanità stessa) non si sta dimostrando utile. Quasi 50 anni persi perché la società richiede dimostrazioni e non si adegua alle prove ragionevoli (e ci sono molti, molti interessi dietro)...

Chiaramente, i rapporti dell'IPCC soffrono di tutti i nostri difetti culturali. Nel rapporto precedente è stato fatto un errore che ha fatto il giro del mondo: i ghiacciai dell'Himalaya potrebbero scomparire nel 2035. E i negazionisti si sono lanciati sulla giugulare. Oggi il rapporto del 2013 sembra più diretto ad evitare i negazionisti e la loro sete di sangue che ad accettare critiche come la mia (il che lo rende più lento e conservativo del normale). Quando ho letto le notizie sui ghiacciai, la mia critica all'IPCC andava proprio nel senso opposto. In questi casi dovremmo dire: non possiamo dimostrare che i ghiacciai dell'Himalaya scompariranno nel 2035; confondiamo l'onere della prova, costruiamo una scienza non cauta, ed è così che va.

Nel rapporto del 2013 ci sono pagine dedicate alla discrepanza fra l'aumento osservato delle temperature negli ultimi 15 anni (lento) e quello previsto dai modelli (più veloce). E tuttavia si passa in punta di piedi (e quasi si tergiversa) sulla discrepanza fra la diminuzione del ghiaccio dell'Artico osservata (molto rapida) e la previsione dei modelli. Di rapporto in rapporto, le discrepanze vengono a poco a poco corrette ma, in ciò che ci interessa di più, cioè gli effetti del cambiamento climatico sugli ecosistemi, i rapporti e i nostri modelli sono quasi sistematicamente inferiori. Siamo sempre indietro rispetto alla realtà e non sembra che ci interessi molto. Mi riferisco al fatto che quando si pubblica un rapporto dell'IPCC sappiamo già che le osservazioni di cui disponiamo in quella data lo renderanno obsoleto, perché conservativo. Come se non stessimo giocando alla roulette russa. Richiamo la vostra attenzione, per esempio, sulla figura 9.24 del rapporto:


Nel grafico a destra vediamo le osservazioni del ghiaccio artico in settembre in nero, la media dei modelli “antichi” in azzurro e la media degli ultimi modelli in rosso. Cercate anche la Figura 12.28 alla io quale avrei già fatto riferimento nel capitolo 9 per essere più precisi.  

Il rapporto, finora, dice testualmente che un 25% dei modelli danno una tendenza uguale o maggiore della diminuzione di questo ghiaccio rispetto a quella osservata. Pensate, al posto dire che un 75% dei modelli danno una diminuzione minore di quella osservata, che è la stessa cosa, ma non lo è (e se si guarda nel dettaglio si ha un vantaggio nel “calibrare” il passato). Io invece lo avrei scritto così: “Stiamo imparando nuove retroazioni nell'interazione ghiaccio-atmosfera-mare, ma anche se i modelli afferrano sempre meglio la tendenza è very likely (molto probabile) che siano troppo limitati e che la perdita accelerata del ghiaccio artico continui con la tendenza osservata ed è very likely che nel prossimo decennio vedremo anni nei quali nei quali in settembre il ghiaccio possa considerarsi scomparso (meno di un milione di Km2). Questo è un problema per i nostri modelli, ancora non in grado di tenere conto dei cambiamenti che si osserveranno nell'albedo e nelle correnti oceaniche della zona, per cui la retroazione nel clima globale qui saranno maggiori di quelle attese”. Ma senza dubbio me lo depennerebbe il politico di turno...

Prima che uscisse il rapporto avevo già previsto che su questo tema le osservazioni lo avrebbero reso obsoleto. Sappiamo già che il ghiaccio artico in in alcuni anni a settembre molto probabilmente rimarrà senza ghiaccio prima del 2030, ma i modelli pubblicati dall'IPCC non prevedono questo prima del 2050 (in quello precedente non prima del 2085).

La cosa negativa è che si suppone che il rapporto sia la scienza che raggiunge i Policy Makers perché cambino solo leggermente il BAU. Poi, fra il 2007 e il 2013, questi politici hanno considerato un aumento del livello del mare di 50 cm, poiché il rapporto del 2007 diceva che sarebbe stato fra i 20 e i 50 centimetri, anche se sapevamo dalla scienza che sarebbe stato intorno al metro perlomeno (ed è una differenza enorme, andate subito alla figura terrificante 13.25 che se non passa inosservata forse la cancellano). 

Nel rapporto attuale si da già un forbice vicina al metro (che ancora una volta può essere considerata conservativa). Così che i progetti delle dighe olandesi dovranno essere di nuovo rifatti, le misure di adattamento proposte in Bangladesh sono diventate obsolete, ecc. Stiamo giocando alla roulette russa e la scienza ci sta invitando, involontariamente, a giocarci. Se nel mio edificio vedo un incendio ed esco correndo ad avvisare i vicini gridando “al fuoco, al fuoco!”, i vicini non aspetteranno che qualcuno dimostri loro con 90% di probabilità che io sono un tipo sincero. E se vi dicessero che dico la verità solo nel 10% dei casi, chi rimarrebbe seduto a guardare la televisione?

O cambiamo la metodologia e il modo di trasmettere la scienza in casi come la crisi energetica, la perdita di biodiversità e il cambiamento climatico o questa non potrà contribuire ad una transizione non traumatica della nostra Civiltà.

Il riscaldamento globale non è ancora stato provato


mercoledì 9 ottobre 2013

Fabbriche di catastrofi


Longarone il giorno successivo alla catastrofe (foto tratta dal libro  “Sulla pelle viva” )

Di Silvano Molfese

Il Vajont può essere preso come emblema di una catastrofe artificiale. La diga fu costruita dalla SADE pensando ai milioni di kWh che si sarebbero aggiunti alle altre centrali idroelettriche gestite da questa grande impresa. Il 9 ottobre del 1963 franò il monte Toc. La frana fu cosi grande da causare quasi duemila morti, la distruzione di Longarone e di altri centri abitati nonché una duratura perdita di boschi e pascoli. Come accadde una tragedia cosi grande?

Si potrebbe spiegare il disastro dicendo che la realtà geologica del monte Toc fu oscurata, agli occhi dei progettisti, dai potenziali profitti della diga sul Vajont. Al contrario, gli abitanti di Erto e Casso, in prevalenza contadini, sapevano che il terreno poteva franare. Fin dall’inizio Tina Merlin seguì le vicende legate alla costruzione della diga e sostenne i diritti e le argomentazioni dei montanari di Erto Casso.  Tina Merlin fece una costante e documentata denuncia dei gravi rischi che le comunità del Vajont correvano; figlia di contadini, era una giornalista comunista e l’argomento fu preso a cuore da un partito politico: in Italia, nel clima della guerra fredda, il rischio della frana fu considerato anche come una presa di posizione partitica.  

L’energia idroelettrica è una fonte rinnovabile; comunque è bene rammentare anche gli altri elementi dell’ecosistema soprattutto quando gli impianti sono mastodontici (*). I contadini di Erto e Casso vedevano nelle montagne il sostentamento per se e per il loro bestiame, sebbene in condizioni dure,  ed erano consapevoli che il “Toc, monte malato; Salta, monte che trema.” (Merlin, 2000)

Nella mente dei progettisti di quella grande impresa, la SADE, invece svaniscono gli abitanti della valle; nella diga vedono solo la produzione di elettricità: tanta energia tanti incassi.  Con l’energia elettrica lavorano le industrie e noi italiani siamo poveri di energia rispetto agli altri paesi dell’Europa industriale: adesso possiamo produrcela da soli! E poi sempre più spesso anche in Italia i contadini possono diventare operai ed avere il mensile, anche loro possono maneggiare più soldi e permettersi l’elettricità in casa.

“Fra l'energia solare naturale - che è la vita dell'ecosistema - e la tecnologia solare ci sono di mezzo le strategie dei tecnocrati, sulla cui saggezza è bene avere dubbi.”  ( Sertorio, 2002). Una grande impresa come la SADE, per gli investimenti che realizzava, godeva di forti sovvenzioni pubbliche, aveva acquistato un giornale ed inoltre aveva legami molto forti con i centri decisionali dello Stato: quando l’Ing. Desidera, capo del Genio Civile di Belluno, cercò di far rispettare le leggi dello Stato bloccando i lavori della diga, venne rimosso da Belluno nel giro di ventiquattro ore! (Merlin, 2000)

“La grande impresa è un prodotto degli uffici legali, non della natura.  …  Profitti e perdite per loro sono solo profitti e perdite, e questo non perché siano dirette da cattive persone, niente affatto: il calcolo finanziario è semplicemente parte integrante degli atti che conferiscono status legale alle imprese. Come dire, fa parte del loro sistema operativo. …  Questo sistema conosce solo limiti interni, di ordine finanziario; rendiconti periodici, richieste di azionisti e creditori e cose del genere. Elementi che, abitualmente, spingono a distruggere la natura, non a usarla con parsimonia.”  (Rowe, 2008)

Le dimensioni della SADE sono ben poca cosa quando si fa il confronto con le società petrolifere: queste usufruiscono di sovvenzioni pubbliche, possiedono azioni dei media, allacciano rapporti con i centri degli apparati statali a livello mondiale! Il dramma del Vajont, per quanto grande, fu locale. Oggi un grande rischio per l’umanità intera viene dalla combustione di carbone, petrolio e metano. L’ industria petrocarbonifera, nonostante le numerose evidenze scientifiche, per diversi decenni ha cercato in tutti i modi di nascondere la realtà: e cioè che concentrazioni sempre crescenti di biossido di carbonio in atmosfera comportano un aumento di eventi meteorologici estremi, della desertificazione e conseguente scarsità di cibo per la popolazione mondiale. Se continuiamo di questo passo le conseguenze saranno globali e prolungate nel tempo per molte generazioni a venire.

Sono due visioni del mondo opposte: la civiltà contadina guarda la realtà nel suo insieme pensando al futuro; l’attuale società industriale, fondata sull’uso di combustibili fossili, è portatrice di una visione riduzionista. Una visione miope conduce alla morte della nostra civiltà.

(*) Mario Silvestri faceva notare che la diga di Assuan in Egitto “   bloccando il defluire consueto del limo contenuto nell'acqua del Nilo, ha reso più sterili le acque stesse, meno pericolose da bere, ma più povere di fertilizzanti per l'agricoltura. Così parte dell'energia elettrica ricavata dallo sbarramento è utilizzata per produrre concimi artificiali, con i quali fertilizzare i terreni un tempo fertilizzati naturalmente dal limo. E la produzione di fertilizzanti si porta dietro la sua scia di veleni chimici, difficili da abbattere.” (Silvestri, 1988)


Bibliografia

Merlin T. , 2000 . – Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont, 61, 167.
Rowe J. , 2008. – I beni comuni: un’economia parallela. -  State of the World 2008.  Edizioni Ambiente, 318
Sertorio L., 2002 . -  Storia dell’abbondanza. Bollati Boringhieri, 99
Silvestri M., 1988 . - Il futuro dell’energia. Bollati Boringhieri, 129

martedì 8 ottobre 2013

Di cose magnifiche e terribili

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR (Peak &Transition Translators Team)


Questa replica di cera del corpo di una ragazza morta si trova al Museo della Specola di Firenze (da "LaRocaille")


Pensate al tempo in cui Galileo ha puntato il suo telescopio verso il cielo. All'improvviso, il mondo è cambiato completamente. E' stato come emergere da uno scantinato buoi alla luce piena. I pianeti non erano più solo puntini luminosi in cielo; no, erano gigantesca palle sferiche. E avevano lune e anelli e fasi, proprio come la luna. Pensate che rivoluzione!

A quel tempo, i telescopi non erano così difficili da fare e tutti potevano vedere queste meraviglie coi propri occhi, o potevano rifiutarsi di farlo, se avevano questa inclinazione. Scoprire che la terra non era il centro dell'Universo è stato uno shock: è stato sia magnifico sia terribile.


Ma quegli anni non sono stati soltanto quelli del progresso dell'astronomia. E' stato anche il tempo in cui è stato esplorato il corpo umano. Dissezionare cadaveri ha portato a prodigi continui e ad un flusso infinito di scoperte. E' stata la scoperta dell'origine della nostra stessa mortalità, del modo in cui il corpo umano funzionava e si degrada. E' stata una rivoluzione.


Tagliuzzare cadaveri non era cosa per tutti e di tutti i giorni. Così, in un tempo in cui la fotografia non esisteva , è stata sviluppata una tecnologia completa per prendere i calchi dei cadaveri, basata sulle tecniche della “cera persa” che era stata creata per fare statue nel Rinascimento. Vedere questi corpi dissezionati finemente riprodotti, a misura naturale e a colori, dev'essere stato magnifico e terribile allo stesso tempo.

Pensate oggi alla rivoluzione nello studio del nostro pianeta, del nostro ecosistema. Stiamo scoprendo i meccanismi stessi che ci rendono vivi: è ciò che chiamiamo “Gaia”; l'insieme dei meccanismi che creano il delicato equilibrio che mantiene la Terra un pianeta blu, pieno di vita, con acqua liquida negli oceani e ossigeno nell'atmosfera. Questo è sia magnifico sia terribile, perché stiamo scoprendo che, proprio come il corpo umano ha una durata di vita limitata, così è anche per l'ecosistema della Terra. E' nato in tempi remoti, morirà, un giorno nel futuro, quando il Sole sarà diventato troppo caldo perché il meccanismo di equilibrio mantenga la Terra viva. E questo potrebbe avvenire molto prima se continuiamo a trafficare col sistema.

Ma, a differenza dell'astronomia e della medicina, non abbiamo immagini che, da sole, ci possano portare il significato dell'incredibile complessità dell'ecosistema. I dati e le scoperte che stanno creando questa rivoluzione sono nascosti in riviste accessibili solo a pagamento e resi misteriosi dal linguaggio arcano usato dagli scienziati. Abbiamo solo un nome, “Gaia”, come termine che descrive in una sola parola tutto il significato di una rivoluzione scientifica. Ma se cercate sul Web qualcosa che possa trasmettere il vero significato del termine, lo fareste in vano. Come rappresentereste un intero pianeta, un intero ecosistema, con qualcosa che si possa afferrare al volo?

Alla fine, il meglio che sono riuscito a trovare è una vignetta che mostra Gaia nel suo doppio ruolo di madre e di datrice di morte; divertente e crudele allo stesso tempo, in effetti magnifica e terribile, proprio come è tutto nell'Universo.


Originale di Humon @ DEVIANTART. Adattata da Rupo.






















sabato 5 ottobre 2013

Le 20 cose (importanti) che a scuola di economia non mi hanno insegnato - parte I

di Nate Hagens

Da “The Oil Drum”. Traduzione di Girolamo Dininno (Peak &Transition Translators Team) 

Ventun anni fa, ho conseguito un MBA (Master in Business Administration) con lode all'Università di Chicago. Il mondo diventò la mia ostrica, o così mi sembrava. Per molti anni ho avuto prestigio secondo i parametri comuni al giorno d'oggi: alte buste paga, belle auto, viaggi in luoghi esotici, ragazze, novità e, cosa forse più importante di tutte, rispetto per il fatto di essere un membro “di successo” della società. Però risulta che la mia carriera nella finanza, breve come doveva essere, capitò verso la fine di un'era in cui i segnali finanziari sarebbero stati sempre più disaccoppiati dalla realtà la quale erano stati creati per rappresentare. La mia capacità di creare più cifre da alcune altre cifre (o almeno di venderne la possibilità) mi permetteva di avere successo in un sistema finanziario “turbo” che sarebbe schizzato alle stelle durante i 20 anni successivi. Per un breve periodo, sono stato nel 1% (e ancora lo sono, in relazione a 'tutti gli umani che siano mai vissuti'), il che mi ha permesso di scavare un po' più in profondità in quello che stava davvero succedendo (perché ho smesso di lavorare, e per 10 anni ho avuto tempo di leggere e riflettere sulle cose). Risulta che che l'intero sistema finanziario, e quindi anche la mia carriera, erano basati su alcune ipotesi errate che 'funzionavano' bene nel breve periodo, ma che sono diventate obsolete da un bel po'; il che mette le società seriamente a rischio. Il 30% circa degli studenti universitari che si immatricolano oggi scelgono una disciplina di economia o affari; però occuparsi di business senza conoscere biologia, ecologia e fisica significa non cogliere alcuni principi basilari. Di seguito, ecco il mio elenco – troppo lungo, ma anche troppo corto – delle cose importanti che non mi sono state insegnate a scuola di economia.

Il Cieco e l'Elefante, di Rudyard Kipling

Il business as usual come lo conosciamo, mosso e guidato dall'economia e misurato e valutato da parametri finanziari, sta vivendo i suoi spasimi di morte. Questo saggio apparirà come una critica nei confronti della finanza e delle scuole economiche nazionali (e globali); ma è anche una critica rivolta all'intero sistema educativo. In tutti i casi, fisici, idraulici e contadini non hanno la stessa influenza dei finanzieri sugli obiettivi culturali e sulla narrazione dei nostri tempi, e in questo senso un vero e proprio esame dei presupposti centrali che guidano la società lo attendiamo da tempo. Ma prima di elencare quel che non ho imparato studiando per il mio MBA, devo essere onesto. Certamente ho imparato cose di grande valore per le acque in cui mi sarei trovato a nuotare in futuro: statistica, regressione, come presentare in modo professionale, come condurre le riunioni, ed alcuni utili concetti di marketing. Naturalmente, come per qualunque studente di 20 anni e qualcosa, la metà del valore della scuola consiste nell'imparare a interagire col gruppo di persone che saranno i tuoi pari, e nelle relazioni e nei contatti che si sviluppano; inoltre, l'ufficio di collocamento della scuola fu di grande aiuto quando si trattò di cercare e trovare un lavoro.

Mi impressionò più di tutti la cultura della Salomon Brothers, in cui finii nel settore Investimenti Privati, dove in pratica lavoravamo come agenti di cambio per conto di gente super-ricca (da stagista, nel 1993, non mi era permesso di visitare nessuno al di sotto di un valore di 50 milioni di dollari). Quando la Salomon chiuse quell'ufficio, trovai un lavoro simile alla Lehman Brothers. Lì avevo la crescente sensazione di essere uno strapagato venditore di automobili, così dopo due anni mi licenziai per iniziare a lavorare per un cliente a sviluppare algoritmi di trading di merci, finché non avviai il mio proprio piccolo fondo. Col passare del tempo però, anziché commerciare o tentare di far crescere il mio business, mi ritrovavo sempre più spesso a leggere di petrolio, di storia, di evoluzione, di argomenti ecologici. Mi seccava molto che le 'esternalità' non avessero un prezzo da inserire tra merci e profitti. Un giorno, durante una passeggiata, mi convinsi che quel che stavo facendo era spiritualmente vacuo, e nonostante la necessità di pagare le bollette iniziai ad accorgermi di essere più interessato a capire come funzionava il mondo e magari a fare qualcosa per migliorarlo. Nel 2002 restituii il denaro ai miei clienti, e in parole povere partii per un viaggio di 2 anni con il mio cane e un'automobile piena di libri. Alla fine feci un Dottorato in Risorse Naturali, ma come molti di voi il mio vero titolo di studio l'ho ottenuto su questo sito (The Oil Drum, ndt) interagendo con le tante e varie persone che ho incontrato e che continuo a chiamare amici e mentori; continuo a lavorare per rendere migliore il futuro vicino e lontano, nonostante le scarse probabilità di successo, e vivo in una piccola fattoria nel Wisconsin. In seguito, qualche dettaglio in più su questo.

In questi anni che son passati, la società moderna è diventata un folle miscuglio di ansia, incertezza e preoccupazione. Molti di noi riconoscono intuitivamente che abbiamo costruito una abnorme macchina di Goldberg che, per una serie di ragioni, potrebbe non farcela a sfornare beni e servizi per i prossimi 30-40 anni. La colpa di tali prospettive di declino la diamo a questa o a quell'altra parte della popolazione – i Repubblicani, gli ambientalisti, i ricchi avari, i poveri pigri, gli immigrati, i liberisti...; ce la prendiamo con questo o quell'altro paese o partito politico – i socialisti cattivi, i capitalisti senza cuore, i cinesi, i siriani, gli europei. Guardiamo in televisione e leggiamo su internet le ultime notizie che influenzano il nostro mondo, eppure non ci fidiamo completamente dei collegamenti. Ma alla base di tutto, prima e dopo, restano alcuni principi di base, che nelle nostre scuole vengono insegnati, se mai, solo in modo frammentario. Qui sotto c'è un breve elenco dei 20 concetti che sostengono gli “affari” globali oggigiorno. Devo notare che, se fossi un venticinquenne in procinto di iniziare i miei studi in economia, impaziente di ottenere un lavoro ben remunerato tra un paio d'annetti, non crederei a quanto segue, anche se avessi tempo o voglia di leggere (e probabilmente non ne avrei).

20. Le 'leggi' dell'economia sono state create durante un periodo non ripetibile della storia umana, e basate su di esso.


“Avevo trovato un errore. Ero sconvolto, perché ero andato avanti per 40 anni o più con la prova convincente che tutto stava funzionando eccezionalmente bene.” Alan Greenspan, testimonianza al Congresso USA, ottobre 2011


Il grafico sopra mostra la storia del nostro pianeta su tre scale. La linea in alto è su scala temporale geologica: il minuscolo settore in nero all'estremità destra è allargato nella seconda linea, e di nuovo la parte in nero in fondo a destra di questa è allargata nella terza linea, che mostra gli ultimi 12000 anni. Noi e il nostro ambiente siamo il prodotto di questa storia evolutiva. La nostra vera ricchezza ha origine dall'energia, dalle risorse naturali, dai meccanismi degli ecosistemi che si sono sviluppati durante le ere geologiche. I principi del nostro comportamento si sono formati e perfezionati in base a 'quel che funzionava' in tutte e tre le epoche del grafico (ma più che altro nelle prime due). La linea scura in basso rappresenta la popolazione umana, ma potrebbe rappresentare anche il prodotto economico, o l'uso di combustibili fossili, essendo stati questi valori molto ben correlati lungo questo periodo.

Le 'teorie' economiche su cui si basa l'attuale società sono state sviluppate esclusivamente durante il breve periodo chiamato 'A' nel grafico, su un pianeta ancora ecologicamente vuoto di sistemi umani, mentre quantità sempre maggiori di una energia fossile straordinariamente potente venivano impiegate per la prima volta in un sistema economico globale in espansione. Per decenni, le economie umane hanno mostrato di seguire un chiaro percorso di crescita, interrotto solo da brevi recessioni seguite da riprese. Ciò ha fatto sembrare, a tutti gli effetti, che sia la crescita dell'economia sia la crescita della ricchezza individuale aggregata fossero qualcosa di simile a una legge naturale – per lo meno, così insegnano le scuole di economia. La verità è che l'andamento umano (passato e futuro) non è una linea retta, ma somiglia a una polinomiale, con lunghi rami diritti, verso l'alto e verso il basso, qualche periodo ondulato nel mezzo, e alla fine stabilizzata su valori limitati. La nostra cultura, le nostre istituzioni, e tutte le nostre assunzioni sul futuro sono state sviluppate durante un lungo ramo ascendente di questa curva. Dal momento che tale periodo di andamento 'diritto' è durato più a lungo di una vita umana media, il nostro focus biologico, che è sul presente piuttosto che sul futuro o sul passato, ci rende difficile immaginare che la verità sia un'altra.

La scienza basata su prove e dimostrazioni, quella dei campi tipo biologia e fisica, è stata messa ai margini durante questo lungo periodo in cui si è confusa la 'correlazione' con il 'rapporto di causa-effetto'. E' una svista che si incontra dovunque, non solo nella finanza e nell'economia, ma anche in molte altre scienze sociali che nel corso delle ultime due generazioni hanno fornito le spiegazioni 'di massima' e 'di dettaglio' su individuo e società. In natura, le anatre volano a sud in inverno e a nord in primavera; lo fanno in base ai segnali che gli arrivano da alcuni neurotrasmettitori, perfezionati nel corso dell'evoluzione, i quali hanno contribuito e contribuiscono alla loro sopravvivenza come individui e come specie. “Volare a nord in primavera” è la spiegazione di massima, o approssimativa; “meccanismi neuro-chimici aventi lo scopo di massimizzare il rapporto 'cibo (energia) / sforzo', contribuendo così alla sopravvivenza” è la spiegazione di dettaglio, o esatta. A scuola di economia mi veniva insegnato che i mercati “vanno verso nord” spinti dall'inventiva, dalla tecnologia e dal profitto: spiegazione che mi sembrava vuota, anche se è risultata valida per gran parte della mia vita. Le scienze sociali hanno sempre reso grandi spiegazioni sul COSA del nostro comportamento, ma le descrizioni sul PERCHE' siamo quel che siamo e sul COME siamo arrivati a questa vasta e impressionante civiltà industriale sono ancora di là da venire nel percorso della scienza convenzionale. Attualmente è l'economia (col suo sottoinsieme della finanza) la scienza sociale che guida lo sviluppo della nostra cultura e delle nostre istituzioni, anche se ormai solo per inerzia.

19. E' l'economia ad essere un sottoinsieme dell'ambiente, e non viceversa.

Se distruggi qualcosa di rimpiazzabile creato dall'uomo, ti chiamano 'vandalo'; se distruggi qualcosa di non rimpiazzabile creato da Dio, ti chiamano 'sviluppatore'. Joseph Wood Krutch
Quando ti trovi a indicare la capacità stessa della Terra di sostenere la vita col nome di “esternalità”, forse è il momento di riconsiderare la tua teoria. Herman Daly

Secondo i testi classici di economia e finanza, l'ambiente naturale è solamente un sottoinsieme di un'economia umana più grande. Una descrizione meno antropocentrica (e più corretta) è invece che le economie dell'uomo sono solamente un sottoinsieme dell'ambiente naturale. Nonostante l'ovvietà di ciò, attualmente tutte quelle cose che non influenzano direttamente i prezzi di mercato restano al di fuori del sistema economico; e il loro valore 'attivo' è semmai dato da un'imposizione governativa, oppure da un individuo particolare, e non dal sistema culturale nel suo complesso. Un famoso studio uscito su “Nature” ha mostrato che il valore totale dei 'servizi degli ecosistemi' (quei processi fondamentali forniti dall'ambiente all'umanità, come aria pulita, cicli idrologici, biodiversità , eccetera), tradotto in termini monetari, era calcolabile tra il 100 e il 300% del Prodotto Interno Lordo globale. Eppure, il mercato considera questi servizi come garantiti e gratuiti, e non dà loro valore alcuno! La ragione sta in parte nel fatto che gli impatti negativi delle esternalità di mercato non sono immediati, e con i nostri alti tassi di sconto (vedi sotto) i 'benefici' nel breve periodo pesano sempre più dei 'costi' astratti di chissà quale momento del futuro.

La conquista sociale della Terra da parte dell'umanità ha portato con sé alcune 'esternalità' spiacevoli. Stiamo subendo la Sesta Grande Estinzione, il che non dovrebbe stupire dato che gli esseri umani e loro animali d'allevamento insieme pesano quasi 50 volte in più della fauna selvatica. Da sola la nostra specie si appropria di più del 30% della produttività primaria netta del pianeta (ci si può chiedere: come possiamo usare il 30% dell'energia dal sole, e pesare 50 volte gli altri vertebrati? La risposta è, come vedremo, nell'uso dei combustibili fossili). Ecco un breve elenco degli impatti deleteri che non vengono considerati nella formazione di prezzi e costi di mercato: inquinamento atmosferico, inquinamento delle acque, produzione animale industriale, pesca eccessiva (il 90% del pesce oceanico è scomparso), rifiuti nucleari, perdita di biodiversità, resistenza agli antibiotici; forse il peggiore è la minaccia del cambiamento del clima e dell'acidificazione degli oceani (gli umani, bruciando enormi quantità di carbonio fossile, stanno influenzando i sistemi bio-geo-chimici globali in maniera profonda e a lungo termine).

Siccome il successo si misura per mezzo del PIL, del profitto e della 'roba', l'unico parametro che valuta tali 'esternalità' è il senso di sconfitta, di inquietudine e di angoscia da parte della gente che vi pone attenzione. Tale perdita al momento non viene quantificata da chi è al potere. In passato, la società si è organizzata ed ha introdotto regole e limitazioni per le esternalità solo quando c'è stata una 'pistola fumante', come ad esempio nel caso dei clorofluorocarburi, del DDT, della benzina al piombo; ma questi esempi, per quanto seri fossero, non erano temi tabù per l'intera economia umana.

18. L'energia è quasi tutto

Senza risorse naturali, la vita stessa è impossibile. Da quando nasciamo a quando moriamo, sono risorse naturali, trasformate per l'uso umano, a nutrirci, vestirci, darci riparo e trasportarci. Dipendiamo da esse per qualunque necessità materiale, agio, comodità e protezione nelle nostre vite. Senza risorse abbondanti, la prosperità non è raggiungibile. Gifford Pinchot, “Breaking New Ground” (1998), 505

In natura, tutto funziona grazie all'energia. I raggi solari si combinano con suolo e acqua per far crescere i vegetali (produttività primaria). Gli animali si nutrono di vegetali. Animali si nutrono di altri animali. A qualunque livello di questo processo, c'è una quantità di energia in ingresso, una quantità di energia in uscita, e del calore di scarto. Ma alla base c'è sempre dell'energia in entrata. Niente può vivere senza un tale flusso. Allo stesso modo, l'uomo e i suoi sistemi fanno parte della natura; anche alla base della nostra piramide trofica c'è energia in ingresso, per il 90% circa sotto forma di carbonio fossile. Qualunque bene, servizio, transazione venga conteggiata nel nostro PIL ha bisogno di un input di energia come prerequisito. Non ci sono eccezioni. Non importa come scegliamo di costruire una tazza, se di legno, di cocco, di vetro, d'acciaio o di plastica: il processo avrà bisogno di energia. Senza energia primaria, non esisterebbe tecnologia, né cibo, né medicine, né microonde, né condizionatori, né auto, né internet, nulla.


L'andamento di lungo periodo del prodotto umano (PIL) è altamente correlato con il consumo di energia primaria. Per un certo tempo (dagli anni '50 ai '90 dello scorso secolo) i miglioramenti di efficienza, specialmente negli impianti a gas naturale, hanno fatto da contrappeso all'aumento del fabbisogno energetico contribuendo all'aumento del PIL, ma nel tempo essi sono diminuiti fino ad avere oggi scarso effetto. A partire dal 2000, il 96% dell'aumento del PIL può essere spiegato con l'aumento di uso di energia. (Per altri dettagli e spiegazioni sul punto, vedere "La crescita verde – un ossimoro"in inglese, ndt). Alcuni economisti delle risorse hanno sostenuto che andamenti di consumo energetico ed economia avessero iniziato a disaccoppiarsi a partire dagli anni '70, ma quel che è successo in realtà è stato solo lo spostamento dei processi industriali in capo a terzi (outsourcing) e verso località meno care. Se si tiene conto dei trasferimenti di energia inglobati (embedded) nei beni finiti e nelle importazioni, non c'è una sola nazione al mondo in cui consumo di energia e PIL non siano correlati. Risulta che è l'energia, non i dollari, ciò che dobbiamo mettere in conto e spendere. Semplicemente, l'energia è la capacità di compiere del lavoro. Quanto lavoro, lo vediamo più avanti.


17. Non è stata la tecnologia il principale elemento motore di ricchezza e produttività, bensì l'energia a basso costo.

La quantità di energia chimica potenziale che si rende disponibile quando bruciamo le cose (ad esempio legna) è impressionante, se la confrontiamo con l'energia che forniamo ai nostri corpi sotto forma di cibo; i combustibili fossili (carbone, petrolio, gas naturale) bruciano ancora più intensamente, e sono al contempo molto più semplici da immagazzinare e trasportare. Abbiamo imparato in fretta che usando un po' di questo calore per compiere del lavoro avremmo potuto trasformare massicciamente quel che eravamo in grado di fare. Un barile di petrolio, dal prezzo attuale di poco più di 100 dollari, fornisce 5.700.000 BTU o 1700 kWh di lavoro potenziale. A una media di 600 Wh per giornata, un uomo medio dovrebbe lavorare 2833 giorni, o 11 anni, per generare la stessa quantità di lavoro. Al salario medio orario statunitense, fanno circa 500 mila dollari di lavoro, che possono essere sostituiti dall'energia potenziale di un solo barile da 100 dollari. All'insaputa di gran parte dei procacciatori di azioni e obbligazioni di Wall Street, è questo il vero “Affare”.

La stragrande maggioranza dei nostri processi e attività industriali sono risultato di questo 'Affare' o 'scambio'. Usiamo enormi quantità di energia a bassissimo costo per compiti che l'uomo prima svolgeva manualmente; e ne abbiamo inventati innumerevoli altri. Ogni volta, si è trattato di uno scambio decisamente inefficiente in una prospettiva energetica (l'uso di energia è molto più alto); ma, ancor più decisamente, di uno scambio profittevole in una prospettiva di società umana. Per esempio, a seconda dei limiti, spostandosi in automobile su una strada asfaltata si impiega da 50 a 100 volte più energia che facendolo a piedi, però si arriva a destinazione 10 volte più in fretta. A questo “Affare” dobbiamo in larga parte qualche combinazione di: stipendi più alti, profitti maggiori, merci meno care, popolazione più numerosa. L'americano medio attualmente consuma combustibili fossili per un equivalente di 60 barili di petrolio all'anno, un 'sussidio' derivante da piante e processi geologici antichissimi per un ammontare pari a circa 600 anni di suo lavoro prima della conversione. Anche considerando l'intera popolazione mondiale di 7 miliardi di persone, ciascun kWh umano è sostenuto da oltre 90 kWh di energia fossile; tra le nazioni sviluppate (facenti parte dell'OCSE) questo rapporto è 4-5 volte tanto.

La tecnologia agisce da supporto, sia inventando nuovi metodi creativi per convertire l'energia in (utili?) attività e beni per il consumo umano, e sia, ogni tanto, permettendo di usare o estrarre l'energia in modo più efficiente. Anche tutti quei servizi che possono sembrare indipendenti dall'energia in realtà non lo sono: ad esempio, l'uso di computer e smartphone è responsabile complessivamente del 10% del nostro consumo totale di energia, se consideriamo i server e tutto il resto. Certo, la tecnologia può creare prodotto interno (PIL) senza incidere sul consumo energetico, permettendo un uso più efficiente dell'energia, però:
a) la gran parte dei miglioramenti di efficienza energetica teoricamente possibili sono già avvenuti;

b) l'energia così risparmiata viene spesso riutilizzata nel sistema da qualche altra parte per aumentare la domanda e i consumi, così il risultato è un aumento del fabbisogno totale di energia primaria (paradosso di Jevons ed effetto rimbalzo).

Nonostante la potenza dello 'scambio', è facile che i benefici da esso derivanti vengano ribaltati. Anzitutto, aumentando a dismisura l'apporto di energia, anche se a basso costo, la crescita di salari e benefici tende a diminuire. Ma soprattutto (ed è quel che è successo negli ultimi dieci anni circa), con l'aumentare del prezzo dell'energia i benefici dell'”Affare” cominciano a calare. Il grafico qui a destra (fonte, pagina 18) mostra come al raddoppiare o triplicare del prezzo dell'energia il vantaggio di questo 'scambio' cala rapidamente. Ciò vale specialmente per i processi estremamente energivori, come ad esempio la produzione di alluminio o di cemento (il 30% dell'industria degli USA ricade in questa categoria). La riduzione del 'salario' può essere compensata solo in parte da misure di efficientamento o da snellimenti del processo produttivo, perché è l'”Affare” nel suo complesso ad essere fondato su grandi flussi di energia a basso costo. Sostanzialmente, i benefici che derivano alla società umana dai mastodontici depositi bancari che abbiamo scoperto nel sottosuolo sono quasi indistinguibili da una magia; eppure, col tempo siamo riusciti a confondere la Magia (energia a basso costo) con il Mago (tecnologia).

16. L'energia è un fattore speciale, non è sostituibile nella funzione di produzione, e ha una curva di costo di lungo periodo crescente.

Il petrolio è una risorsa rinnovabile, senza alcun valore intrinseco al di là del suo costo marginale... Non esistono fonti o depositi originali di ricchezza che debbano essere razionati con qualche criterio particolare... I mercati di capitale sono attrezzati per gestire l'esaurimento del petrolio... E' solo una questione di denaro. M.A. Adelman, professore di economia, MIT (fonte)

La fisica ci dice che l'energia è necessaria per la produzione economica e quindi per la crescita. Tuttavia, i testi di economia nemmeno menzionano l'energia tra i fattori che limitano o permettono la crescita economica. La teoria finanziaria standard (modello di crescita esogena di Solow, funzione di Cobb Douglas) postula che capitale e lavoro si combinano per creare il prodotto economico, e che l'energia è solo una merce generica in ingresso alla funzione di produzione, del tutto sostituibile come potrebbero esserlo un jeans di moda, degli orecchini, o del sushi. La verità è che ogni singola transazione che crei del valore nell'economia globale richiede anzitutto un input energetico: il capitale, il lavoro, le conversioni sono TUTTI dipendenti dall'energia. Ad esempio, il testo introduttivo di Frank e Bernanke (seconda edizione, 2004, pag. 48) così spiega gli aumenti di produttività: “... aumento di capitale per lavoratore, aumento del numero di lavoratori, e forse più importante di tutti, … miglioramenti nella conoscenza e nella tecnologia”. Da nessuna parte nella letteratura economica standard viene nemmeno lontanamente suggerito che il “miglioramento” tecnico di cui si parla sia, storicamente, collegato alla progressiva sostituzione dei muscoli umani e animali, alimentati dal sole, con sempre maggiori quantità di energia da carbone, petrolio e gas. Anche altri minerali e metalli sono in esaurimento o in peggioramento qualitativo e non possono essere (facilmente) sostituiti, perciò l'energia, nonostante la sua centralità (in quanto giacimenti a concentrazioni minori richiedono più sforzo per l'estrazione, in termini di gasolio e altro), non è l'unico fattore chiave limitante.

Apparendo simili a qualunque altra merce, nei modelli economici energia e risorse seguirebbero la stessa curva di costo decrescente che abbiamo imparato ad aspettarci da prodotti come tostapane e tazzine da caffè, per i quali miglioramenti tecnologici, delocalizzazioni di parti produttive in paesi meno cari ed economie di scala hanno permesso in generale una diminuzione del costo nel tempo. Anche l'energia ha seguito per un po' una curva simile; però, dato che le risorse di qualità elevata sono limitate, e che richiedono esse stesse altre risorse processate di elevata qualità per essere estratte e raffinate, alla fine la curva di costo per l'energia e per altri minerali e materie prime chiave comincia prima o poi a puntare verso l'alto. Questa 'visione duale' dell'energia in confronto alle normali merci è una delle principali sviste dei libri di economia. Riferito a gran parte degli scorsi 60-70 anni, tale errore è magari comprensibile, essendoci stato davvero un flusso continuo di energia a basso costo – il cui valore sembrava essere solo il suo costo in dollari. Per molti è ancora questa la visione del mondo imperante: i dollari, più importanti dell'energia.

Andamenti storici del costo di petrolio, carbone e gas naturale in Europa. Fonte: Rune Likvern

15. L'energia ha un costo in termini energetici, che può essere molto diverso dal segnale di prezzo monetario.

E' appropriato concludere che, finché il sole splende sul nostro bel pianeta, la stima corretta dell'effetto frenante sull'economia da parte dell'aumento di entropia sia zero. William Nordhaus
Le leggi dell'economia sono come quelle dell'ingegneria. C'è solo un insieme di leggi, che funzionano ovunque. Una cosa che ho imparato lavorando alla Banca Mondiale è che quando qualcuno dice “Ma qui l'economia funziona in modo diverso”, sta per dire una sciocchezza. Lawrence H. Summers
… effettivamente, il mondo può andare avanti senza risorse naturali … a qualche determinato costo, è possibile rendere la produzione totalmente indipendente dalle risorse esauribili. Premio Nobel Robert Solow

In natura, per avere accesso a dell'energia (le loro prede), gli animali devono consumare dell'energia (calorie muscolari). Questo meccanismo di “ritorno sull'investimento” è un processo evolutivo fondamentale che ha a che fare con metabolismo, accoppiamento, forza e sopravvivenza; gli organismi che riescono a sviluppare ritorni energetici elevati ottengono in cambio dei surplus di energia con cui resistere meglio alle minacce ed ai nemici naturali. Così è pure nel sistema umano: la quantità di energia che la società può 'spendere' liberamente è quella che rimane dopo aver 'pagato' l'energia e le risorse necessarie a raccogliere e distribuire quella quantità. Per le risorse esauribili, in genere viene seguita una logica di estrazione tipo “prima le migliori”: dallo sfruttamento superficiale per mezzo di setacci, alle indagini sismiche per individuare le faglie sotterranee, allo sfruttamento di giacimenti in acque profonde e sottosaline, alla fratturazione idraulica del tight oil, il ritorno energetico per unità di energia impiegata nel processo è nel tempo diminuito da più di 100 a qualcosa intorno a 10. Economisti e decisori, durante tutto questo periodo, hanno considerato solo il costo in termini monetari e la produzione lorda, giacché alla fine dei conti più denaro avrebbe 'creato' più energia. Ma l'energia netta può arrivare a un picco e iniziare a diminuire anche mentre l'energia lorda continua ad aumentare, e può effettivamente arrivare ad azzerarsi anche in presenza di grosse quantità di risorsa lorda ancora rimanente. Tutto quel che facciamo diventerà più caro se non riusciamo a ridurre il consumo energetico dei processi specifici più velocemente di quanto i prezzi crescano. Eppure, i testi di finanza continuano a trattare l'attività economica come una funzione della creazione infinita di denaro, più che come funzione delle risorse limitate e dei flussi finiti di energia.

A sinistra: in giallo il costo di produzione di pareggio per le grandi imprese petrolifere occidentali, sovrapposto alla produzione di greggio OPEC / non OPEC. Fonte: IEA, relazione 'Higher long term prices required for troubled industry' (Prezzi di lungo periodo più alti richiesti per un'industria in crisi), Goldman Sach, aprile 2013. A destra: produzione totale di petrolio da parte delle grandi imprese petrolifere occidentali (fonte).

A prescindere totalmente da quel che dice l'etichetta del prezzo, ci vogliono circa 245 kilojoule per sollevare 5 kg di petrolio attraverso 5 km di sottosuolo fino in superficie. Costi biofisici di questo tipo si applicano a qualunque tecnologia di raccolta ed estrazione di energia che abbiamo a disposizione, solo che per comodità essi sono sempre tradotti in termini finanziari. Dopotutto sono in dollari (o euro, o yen, o renminbi) le quantità che il sistema cerca di ottimizzare, no? Però, i fabbisogni fisici non cambiano quando il numero di cifre nel sistema bancario mondiale aumenta, o diminuisce, o sparisce del tutto. Sebbene siano la nostra primaria fonte di benessere, i combustibili fossili si sono generati tanto tempo fa, e nell'approfittare della loro abbondanza noi non siamo tenuti a pagare il prezzo della loro formazione ma solo quello della loro estrazione. Nonostante l'enorme quantità di energia solare che incide sulla Terra ogni giorno, dobbiamo consumare (considerevoli) risorse reali per raccoglierla e convertirla in forme e luoghi dove possa essere utilizzata.

La sostanziale differenza tra il “lordo” e il “netto” si manifesta nella sfera finanziaria per mezzo dei costi. A prescindere da come misuriamo nominalmente il PIL (pietre preziose, o dollari, o cifre, o oro), una percentuale crescente dei costi sarà destinata al settore energetico. Se l'unico obiettivo è la crescita del PIL, possiamo continuare ad aumentare la produzione energetica lorda individuando e sfruttando giacimenti di combustibili fossili sempre più in profondità, ma alla fine arriveremo a un punto in cui la nostra intera infrastruttura alimentare, sanitaria e di intrattenimento sarà unicamente al servizio di una gigantesca operazione mineraria. Con la tendenza attuale, l'esaurimento energetico implica che le spese in energia passeranno dal 5% dell'economia al 10-15% o più. Oltre ai problemi ovvi che questo causerà, c'è anche il fatto che ci troveremo a usare energia di minor qualità: mentre il petrolio aumenta di prezzo, lo stiamo sempre più rimpiazzando con carbone e legna. Nei paesi in cui la capacità di spesa è crollata (vedi Grecia), già si stanno abbattendo i boschi per riscaldare le abitazioni in inverno. L'attenzione delle società dovrebbe essere puntata sull'energia netta, e invece la maggioranza delle persone non ne ha mai sentito nemmeno parlare.

14. Gli strumenti monetari e finanziari sono solo degli indicatori del capitale reale.

Alcune cose materiali mi rendono la vita più gradevole; ma molte altre no. Mi piace possedere un costoso aereo privato, ma avere una mezza dozzina di case sarebbe un peso. Troppo spesso accade che una collezione di averi e possedimenti finisca per possedere chi la possiede. A parte la salute, la cosa che ha più valore per me sono le amicizie interessanti, varie e durature. Warren Buffet, “The Giving Pledge


Un po' del mio “capitale reale”. Capitale naturale: il mio giardino, con alberi, sole, acqua. Capitale sociale: questi sono due dei miei cani, ma allo stesso modo i miei amici, i contatti, i rapporti familiari. Capitale costruito: la nostra casa, con acqua calda solare, seghe a motore, una pianta di aloe vera, e un banco da lavoro. Capitale umano: la mia salute e le mie abilità (saper riconoscere i funghi commestibili), la salute e le abilità di mio padre (è un dottore, sa coltivare verdure).

Accumulare denaro in un conto corrente bancario è come per gli animali accumulare riserve di grasso – ma in realtà è un'altra cosa, perché si tratta solo di un indicatore del grasso: un beneficio calorico accumulato per il futuro, interpretato in un sistema socio-cuturale legato ad indicatori creditizi e monetari. A scuola di economia (e a Wall Street) ci insegnavano che la crescita di lungo periodo di un'azione intorno al 10% ogni anno è qualcosa di simile a una legge naturale; ma risulta che la verità è ben diversa. Azioni ed obbligazioni sono esse stesse dei “derivati” del capitale primario (energia e risorse naturali) che si combina con la tecnologia per produrre il capitale secondario (trattori, edifici, attrezzature e così via). Il denaro e gli strumenti finanziari perciò sono capitale terziario, senza alcun valore: è unicamente il sistema sociale ad attribuirgli un valore, e questo sistema è basato sul capitale naturale, costruito, sociale e umano. E nell'attuale sistema di “credenze” (cioè quel che le persone ritengono di possedere) tale valore è parecchio scollegato dal “capitale reale” sottostante.

13. Il denaro viene creato dal nulla da parte delle banche commerciali (depositi e debiti sono creati contemporaneamente).

Se le società hanno bisogno di 'energia', gli individui hanno bisogno di denaro per eseguire scambi e transazioni di cose che l'energia offre. Ma cos'è il denaro? Di sicuro non l'ho imparato a scuola di business, né in alcuna lezione di materie economiche. Semplificando al massimo, il denaro è un diritto su una certa quantità di energia. Quando il sistema economico si stava avviando, agli inizi del 1900, il suo fattore limitante era il denaro (non l'energia, né le risorse): avevamo così tanta ricchezza stipata nei conti correnti delle nostre banche naturali di risorse, che cercavamo la maniera di sovralimentare l'economia perché chiunque dotato di capacità, prodotti e ambizione avesse la possibilità e il modo di intraprendere un'iniziativa produttiva. Fu in questo periodo che le banche entrarono in servizio: aveva senso aumentare il flusso di denaro, per farlo corrispondere al prodotto dell'economia, dato che con scarso denaro non si riusciva a esprimere la 'potenza' produttiva necessaria a soddisfare un mondo affamato. Individui e imprese affidabili adesso potevano ottenere prestiti da parte di banche commerciali, le quali avevano l'obbligo di mantenere una piccola porzione dei loro beni come riserve presso una banca centrale. E la cosa funzionò alla grande. Correlazione = causa, e tutta quella roba lì.

Ci hanno insegnato a considerare il processo di creazione del credito come una serie di 'intermediazioni' bancarie successive, attraverso le quali un deposito iniziale passa di mano nel sistema bancario e crea denaro aggiuntivo per mezzo di un moltiplicatore. In altri termini, le banche non possono creare del credito per loro iniziativa, ma vivono su qualche ricchezza creata altrove. Questo è vero più o meno per il 5% del denaro in circolazione; la realtà, valida per più del 95% del denaro che viene immesso nell'economia, è molto diversa. Il concetto standard di prestito implica un trasferimento dell'uso esclusivo di un bene, già esistente, da qualche altra parte; invece il nuovo concetto 'esteso' di credito bancario non prevede la rimozione e lo spostamento di potere d'acquisto o di diritti su risorse da un posto a un altro dell'economia. Poiché l'attività bancaria è basata sui capitali, e non sulle riserve, una banca può concedere un prestito ogni volta che un cliente (provatamente) affidabile ne faccia richiesta, e non solo quando ha riserve in eccesso. Quindi, il sistema bancario della “riserva frazionaria” insegnato nei libri e tanto demonizzato nella blogosfera non è una definizione esatta. Io l'ho appreso solo intorno al 2007. Le banche non prestano denaro: lo creano.

12. Il debito è un trasferimento inter-temporale non neutro.


Il grafico di sinistra mostra il disaccoppiamento tra il PIL e il debito aggregato non finanziario. Ogni anno, dal 1965 in poi, il debito è cresciuto più del PIL. Il grafico di destra mostra l'inverso: quanto aumenta il PIL per ogni nuovo dollaro preso a debito (è la produttività decrescente del debito).

(Nota: io uso i termini “credito” e “debito” indifferentemente, nonostante creditore e debitore siano soggetti opposti.)

Dei circa 60.000 miliardi di dollari di denaro complessivo oggi circolanti negli Stati Uniti, appena 1000 miliardi sono moneta fisica. Il resto può essere considerato “debito”, cioè rappresenta in qualche modo un titolo, una possibile rivendicazione di qualcuno, un diritto (aziendale, domestico, municipale, governativo...). Se il contante è un diritto su energia e risorse, aggiungerci del debito (a partire da una posizione di nessun debito) diventa un diritto su energia e risorse future. Nei libri di finanza, il credito è un concetto economicamente neutro, né buono né cattivo: solo uno scambio tra due parti, che scelgono il momento in cui consumare e si scambiano tale preferenza temporale. (In finanza aziendale, ci hanno insegnato che, grazie alla deducibilità degli interessi, è preferibile indebitarsi piuttosto che usare capitale proprio quando si è in presenza di tassazione; ma nel mondo reale, con mercati di capitale aperti e crediti circolanti, un Amministratore Delegato quasi sempre preferisce usare il debito se ne ha la possibilità. E infatti è quel che fanno gli AD.) Tuttavia, quando un debito / credito viene emesso, accadono alcune cosette che ne rendono l'impatto molto diverso da quel che c'è scritto nei libri.

  1. Nel corso del periodo di validità del debito (specialmente su un pianeta affollato), l'energia e le risorse più facili e di miglior qualità vanno man mano esaurendosi, rendendo in generale l'energia (e quindi tutto il resto) più cara sia per il creditore sia per il debitore. Chi sceglie di risparmiare (per consumare in futuro) viene “gabbato” da chi sceglie di consumare subito indebitandosi. In qualche punto del futuro, qualche creditore si vedrà restituito meno di quel che ha prestato, o nulla affatto (si tratta di capire “chi” e “quando”...).
  2. Per timore che la domanda aggregata cali, è necessario emettere sempre più debito al fine di compensare i benefici decrescenti dell'”Affare” (scambio tra lavoro umano e energia fossile).
  3. Nel tempo, consumiamo di più di quel che investiamo in nuova capacità produttiva, e questo abbassa la produttività del debito (= quanto PIL si ottiene da ogni dollaro di debito aggiuntivo) nel tempo. Quando ogni dollaro di debito aggiuntivo crea un dollaro di PIL (o quasi), è più o meno come sostengono i libri, cioè un compromesso di preferenze temporali tra creditori e debitori; quando la produttività del debito è alta, si sta trasformando ed estendendo la ricchezza in forme diverse di ricchezza futura (ad es. si trasforma energia in stabilimenti produttivi); ma quando la produttività del debito è bassa (o vicina allo 0 com'è il caso adesso), il nuovo debito è semplicemente un trasferimento da una ricchezza a un reddito. E' quel che sta accadendo in tutti gli stati del mondo, a diversi gradi. Ad esempio, dal 2008 le nazioni del G7 hanno aumentato il loro Prodotto Interno Lordo nominale di 1000 milioni, aumentando al contempo il debito di 18000 milioni – senza contare le riserve patrimoniali a garanzia.

Insomma, il debito può essere visto in due modi: 1) da una prospettiva di ineguaglianza della ricchezza, per ogni debitore c'è un creditore, è un gioco a somma zero; 2) tutti i debiti sono diritti su energia e risorse naturali necessarie a a) supportare tali stessi diritti b) ripagare il capitale. (Ricordate gli italiani: Gini e Ponzi).

11. Energia e denaro sono interscambiabili solo nel breve periodo.

Come l'energia è vitale per il sistema finanziario, così la finanza (specialmente adesso) mantiene attivo il flusso di energia primaria – però a un prezzo. Si genera PIL combinando energia primaria e materiali per tirar fuori prodotti o servizi, ma c'è bisogno del denaro per pagare questi beni. Nel breve e medio periodo, il denaro funziona come l'energia: possiamo usarlo per contrattare e pagare quel che vogliamo, incluse l'energia e la produzione di energia. Ma nel lungo periodo, l'unico vero motore della macchina è il ”consumo di energia”, il che significa che il vero costo capitale è fatto di energia e risorse naturali – e accelerare la creazione di credito nasconde piuttosto bene questa realtà. Il credito in sé non crea energia, però permette che l'estrazione di energia continui, e consente i prezzi molto (e necessariamente) più alti rispetto al caso di assenza di credito. Da qualche parte negli ultimi 40 anni abbiamo varcato la soglia di passaggio del sistema dalla situazione di “non abbastanza denaro” a quella di “non abbastanza energia a basso costo”, che a sua volta significa maggior fabbisogno di denaro. Oltre questa soglia, il credito in più ha aggiunto magnetite al suo precedente ruolo di lubrificante. E' difficile da credere, ma se la società avesse vietato il debito intorno al 1975 (ad esempio richiedendo alle banche di possedere capitali e riserve per il 100%) oppure se l'offerta di denaro fosse stata rigidamente vincolata a qualche risorsa naturale (ad es. l'oro), la produzione globale di petrolio e il PIL globale probabilmente avrebbero raggiunto un picco 20 o 30 anni fa (ed oggi ne avremmo ancora qualche rimanenza in più della porzione al di sotto di 50 dollari al barile).

Un esempio può aiutare a chiarire. Immaginate 3000 elicotteri che lanciano un miliardo di dollari in contante ciascuno sopra diverse comunità in giro per il paese (3000 miliardi di dollari in tutto). I cittadini che arrivano sul posto prima di tutti riempiono i loro zaini e diventano da un momento all'altro milionari; molti altri si impossessano di considerevoli somme da spendere, ancor più sono quelli che si ritrovano a caso centinaia di dollari infilati sul recinto o nelle fessure di casa, mentre un'alta percentuale della popolazione, lontana dalle zone di caduta del denaro, non ottiene nulla. L'effetto netto è un aumento del consumo di energia, dato che i nuovi ricchi acquistano automobili, fanno viaggi, e in generale consumano di più. Il ritorno energetico (EROEI) dei giacimenti petroliferi nazionali non cambia, ma le compagnie petrolifere possono praticare prezzi più alti ed estrarre petrolio più difficile perché l'economia è più forte, nonostante il fatto che quei 3000 miliardi siano stati creati dal nulla (o quasi). Quindi, il debito è aumentato, il PIL è aumentato, il prezzo del petrolio è aumentato, l'EROEI è rimasto uguale, qualcuno è diventato più ricco, e una grande percentuale della popolazione ha ottenuto poco o niente. Più o meno è quel che sta succedendo oggi nel mondo sviluppato.

I sistemi naturali possono forse crescere del 2-3% all'anno (le foreste esistenti negli USA aumentano il proprio volume del 2,6% all'anno). Questo valore può essere incrementato grazie alla tecnologia, all'estrazione del principio (carbonio fossile), al debito, o a qualche combinazione di questi. Attraverso la tecnologia, viene resa accessibile dell'energia che magari non sarebbe stata accessibile nemmeno in futuro; attraverso il debito, invece, viene resa accessibile immediatamente dell'energia che sarebbe stata accessibile in futuro, aumentandone l'economicità con garanzie e sussidi ed aumentando il prezzo che i produttori di energia ne ricavano. In questo senso, il debito agisce in maniera simile alla tecnologia nell'estrazione di petrolio. Nessuno dei due fattori (debito e tecnologia) è cattivo di per sé, ma entrambi favoriscono il consumo immediato, assumendo che il loro intervento sarà continuamente ripetuto nel futuro.
Il debito dà temporaneamente l'impressione che la produzione lorda di energia somigli a quella netta, dal momento che si consuma più energia a dispetto di prezzi elevati, e salari e profitti bassi. Inoltre la produzione energetica lorda si somma al PIL, poiché  ad esempio gli 80 $ e più al barile di costo di estrazione per il giacimento degli scisti di Bakken vengono spesi a Williston e nelle zone circostanti (la storia cambia se il petrolio è prodotto in Canada, o in Arabia Saudita). Però, nel tempo, quando la produzione energetica lorda aumenta e quella netta resta costante o diminuisce, cresce la percentuale dell'economia che dev'essere impiegata nel settore energetico. Già ora diversi laureati in biologia, ragioneria o gestione alberghiera si ritrovano a lavorare presso pozzi di petrolio. In futuro, importanti processi industriali e alcune parti dell'infrastruttura non energetica diventeranno troppo dispendiosi da mantenere in piedi.

Durante gli ultimi 10 anni il mercato globale del credito è cresciuto del 12% all'anno, spiazzando la crescita del PIL (appena 3,5% all'anno) mentre la produzione di greggio aumentava di meno del 1% all'anno. Siamo su tanti tapis roulant diversi, ma siamo talmente abituati a correre che il panorama non ci sembra cambiare granché. Per quanto l'energia abbia un ruolo fondamentale nella crescita, è l'accesso al credito che attualmente sostiene il sistema economico, in una specie di surreale e faustiano contratto di scambio. Finché i tassi di interesse (il costo governativo dei prestiti) si mantengono bassi e i partecipanti al mercato li accettano, questa situazione potrebbe andare avanti per parecchio tempo, mentre continuiamo a bruciare la prossima fetta di carbonio estraibile e si riduce il beneficio che otteniamo dall'”Affare”. Non mi aspetto che il monopolio governativo sul meccanismo del credito finisca; ma se succederà, sia la produzione sia il prezzo del greggio saranno un bel po' più bassi. Il denaro non può creare energia, può solo permettere di estrarla più velocemente.


Ad ogni modo, perché mai desideriamo energia e denaro?